Nikita Sergeevič Chruščëv: differenze tra le versioni

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''«Poco prima che Beria venisse liquidato dai suoi colleghi timorosi, si prese il merito della morte di Stalin. Confidò a Molotov di averli "salvati tutti", sottintendendo di aver ucciso Stalin o almeno di aver fatto in modo che il colpito Stalin non ricevesse cure mediche adeguate e tempestive<small>[[Nikita Sergeevič Chruščëv#Note|[15]]]</small>.»''
''«Poco prima che Beria venisse liquidato dai suoi colleghi timorosi, si prese il merito della morte di Stalin. Confidò a Molotov di averli "salvati tutti", sottintendendo di aver ucciso Stalin o almeno di aver fatto in modo che il colpito Stalin non ricevesse cure mediche adeguate e tempestive<small>[[Nikita Sergeevič Chruščëv#Note|[15]]]</small>.»''


Indipendentemente dalla "santità" o meno della figura storica e politica di Berija, ex capo dell'NKVD, poi MGB, ciò che è certo è che tanto la sua figura (post mortem) quanto quelle di altri collaboratori di Stalin durante il suo governo (in vita) furono soggette ad una sorta di ''damnatio memoriae'', effettuata da Chruščëv e dai suoi uomini per poter dare una legittimità ideologica non solo al suo colpo di mano, ma anche alla sua politica di parziale restaurazione di forme economiche e amministrative tipiche del capitalismo in URSS. Tali accuse furono legittimate dal fatto che Chruščëv si trovasse in una condizione di potere, a differenza di Kaganovič, Malenkov e Molotov, e che quindi questi ultimi, pur sapendo che in qualche misura il nuovo "liberatore" Chruščëv stesse mentendo (come dimostrano le memorie di Molotov, con tanto di data per le dichiarazioni, moltissime delle quali avvenute dopo la "caduta" dello stesso Chruščëv), ma non avendo più l'accesso diretto agli archivi, non potevano dimostrarlo. Le "tesi" di Chruščëv furono confutate  
Indipendentemente dalla "santità" o meno della figura storica e politica di Berija, ex capo dell'NKVD, poi MGB, ciò che è certo è che tanto la sua figura (post mortem) quanto quelle di altri collaboratori di Stalin durante il suo governo (in vita) furono soggette ad una sorta di ''damnatio memoriae'', effettuata da Chruščëv e dai suoi uomini per poter dare una legittimità ideologica non solo al suo colpo di mano, ma anche alla sua politica di parziale restaurazione di forme economiche e amministrative tipiche del capitalismo in URSS. Tali accuse furono legittimate dal fatto che Chruščëv si trovasse in una condizione di potere, a differenza di Kaganovič, Malenkov e Molotov, e che quindi questi ultimi, pur sapendo che in qualche misura il nuovo "liberatore" Chruščëv stesse mentendo (come dimostrano le memorie di Molotov, con tanto di data per le dichiarazioni, moltissime delle quali avvenute dopo la "caduta" dello stesso Chruščëv), ma non avendo più l'accesso diretto agli archivi, non potevano dimostrarlo. Nel 1957 Malenkov si riunì alla "vecchia guardia" capitanata da Malenkov e Kaganovič e votarono una "mozione di sfiducia" contro Chruščëv nel Presidium della presidenza del Soviet Supremo (l'organo collegiale che fungeva da capo di stato sovietico), con una maggioranza dei voti di 7 a 4. Chruščëv, però, confutò la loro mozione affermando che solo un voto da parte del Plenum, cioè del Politburo del Partito, potesse effettivamente rovesciarlo; è importante precisare che le sue dichiarazioni furono rafforzate da un discorso del maresciallo Zukov, il quale, minacciando addirittura di usare il potere militare contro tutti gli oppositori (di fatto rivelando la natura da golpe militare della cricca kruscioviana). È interessante notare, nonostante tutto, che un "penitente" Zukov, prima di morire, ebbe da riconoscere il revisionismo di Chruščëv, la validità di Stalin come "capo" politico e ideologico, e il suo "errore" nell'avere supportato l'ala revisionista del PCUS. Finnish Bolshevik, in merito, conclude che molto probabilmente l'ipocrita maresciallo, eroe sì della Grande Guerra Patriottica, ma traditore tardivo della Rivoluzione d'Ottobre, supportò Chruščëv per puro opportunismo: quest'ultimo promosse il maresciallo a ministro della difesa, mentre Stalin lo degradò perché implicato in dei procedimenti per corruzione. Le "tesi" di Chruščëv furono confutate apertamente dai contemporanei cinesi alla guida del Partito Comunista Cinese di Mao Tse Tung e dagli albanesi alla guida del Partito del Lavoro d'Albania di Enver Hoxha, a partire dal 1960, e con loro anche "dissidenti" all'interno di partiti comunisti occidentali, come Bill Bland, marxista-leninista britannico vicino alle posizioni degli albanesi. Tutte le loro principali tesi sono reperibili, in documenti integrali come dichiarazioni ufficiali, studi approfonditi e memorie, nella sezione bibliografica di questa voce.
 


== Bibliografia ==
== Bibliografia ==

Versione delle 22:23, 15 set 2024

Nikita Sergeevič Chruščëv

Foto a colori di Nikita Chruščëv
Nome Ufficiale Ники́та Серге́евич Хрущёв
Nome Intero Nikita Sergeevič Chruščëv
Data di nascita 15 Aprile 1894
Luogo di nascita Kalinovka, Impero Russo
Data di morte 11 Settembre 1971
Luogo di morte Mosca, Unione Sovietica
Cariche politiche
  • Primo Segretario del Partito Comunista dell' Unione Sovietica
    (07/09/1953 - 14/10/1964)
  • Presidente del Consiglio dei Ministri dell'Unione Sovietica
    (27/03/1958 - 14/10/1964)
  • Deputato del Soviet dell'Unione del Soviet Supremo dell'URSS
    (I, II, III, IV, V, VI Legislatura)
  • Primo Segretario del Partito Comunista dell'Ucraina (bolscevico)
    (27/01/1938 - 03/03/1947)
Partito politico

Nikita Sergeevič Chruščëv (pronuncia: Krusciòv) è stato un politico ideologicamente revisionista che servì come Segretario Generale del PCUS dal 1953 al 1964 e come Primo Ministro dell'URSS dal 1958 al 1964. Durante il suo governo, oltre ad essere responsabile di numerosi errori tattici e pratici, sintomo della sua genuina inettutidune come governante e "capo" politico, primo tra tutti la "coesistenza pacifica" con gli USA che cementificò definitivamente la "stasi" della Guerra Fredda a dispetto dell'avanzata della rivoluzione socialista nel mondo, è stato anche il primo ad attaccare pubblicamente (sulla base di pure congetture e pregiudizi ideologici, senza alcuna vera fonte storiografica o di archivio a favore di anche solo una delle sue dichiarazioni) l'operato del suo ben più capace e valido successore, Stalin, riprendendo gran parte delle calunnie e della propaganda contro Stalin utilizzate in passato dalla propaganda trotzkista, nazifascista e più genericamente anticomunista, prima tra tutte l'asserzione secondo cui Stalin avrebbe agito da "dittatore sanguinario" e avrebbe instaurato un "culto della personalità", menzogne confutabili tramite una semplice analisi dell'operato dello stesso Chruščëv durante il governo di Stalin. Lo scopo di questa voce, oltre che di analizzare i de-meriti del "leader" sovietico, è di fare luce sulla sua figura e sul suo operato, smentire le sue menzogne tramite le diverse fonti a disposizione (d'archivio, ricerche tramite materiale d'archivio de-secretato e reso pubblico dagli anni '90, confutazioni da parte di altri ben più validi rivoluzionari e capi socialisti suoi contemporanei e successivi a lui) e, in ultima istanza, spiegare la realtà dei fatti in merito ad argomenti "controversi" e su cui la propaganda mainstream e dei media capitalisti ha ingiustamente blaterato con menzogne alla cui base non vi è mai stato niente se non un pregiudizio anticomunista e in gran parte russofobo e antisovietico (e quindi razzista).

Primi anni e carriera

Nato nel 1894 da una famiglia di agricoltori nella cittadina di Kalinovka, nel governatorato di Kursk, suo padre lavorava come scalpellino, minatore e operaio di ferrovia; nel 1911 la sua famiglia si trasferì nel Donbas, nell'odierna Donetsk, dove, dopo un breve periodo come minatore, riuscì a conseguire un apprendistato in metallurgia, divenendo operaio di una fabbrica metalmeccanica. Escluso per questo dalla leva della Prima Guerra Mondiale, il giovane Chruščëv si iscrisse al Partito Comunista Russo (Bolscevico) nel 1918, ma non ebbe veri e propri avanzamenti nella sua carriera politica prima del 1929, quando fu inviato dal partito a frequentare l'Accademia Industriale di Mosca per conseguire il diploma, che fino a quel momento non aveva ancora ottenuto[1]. Secondo la ricostruzione degli storici e sovietologi Roger Keeran e Thomas Kenny, dal loro libro "Il Socialismo Tradito":

«Il modo migliore per comprendere le differenze tra la spinta delle politiche di Chruščëv e quelle dei suoi critici, come Molotov [...] era vederle come polarità, anche se in pratica le differenze a volte equivalevano a questioni di enfasi. Ad esempio, Chruščëv credeva in un percorso rapido e facile verso il comunismo, mentre i suoi critici prevedevano una strada più lunga e difficile. Chruščëv cercava un "allentamento della contesa" con gli Stati Uniti e i suoi alleati all'estero e un "rilassamento politico" e un "comunismo dei consumatori" in patria. I suoi critici vedevano una continuazione della lotta di classe all'estero e la necessità di vigilanza e disciplina in patria. Chruščëv vedeva in Stalin più cose da condannare che da lodare; Molotov e altri più cose da lodare che da condannare. Chruščëv era favorevole all'incorporazione di una gamma di idee capitaliste o occidentali nel socialismo, tra cui meccanismi di mercato, decentramento, una certa produzione privata, la forte dipendenza dai fertilizzanti e la coltivazione del mais e un aumento degli investimenti in beni di consumo. Molotov era favorevole a una migliore pianificazione centralizzata e alla proprietà socializzata, e al mantenimento della priorità dello sviluppo industriale. Chruščëv era favorevole all'ampliamento dell'idea della dittatura del proletariato e del ruolo di avanguardia proletaria del Partito Comunista per mettere altri settori della popolazione su un piano di parità con i lavoratori; i suoi critici non lo erano. Chruščëv nacque in una famiglia di contadini e dal 1938 al 1949 fu Segretario del Partito dell'Ucraina, dove divenne un'autorità sulle questioni agricole e sotto Stalin sostenne la subordinazione dell'agricoltura all'industrializzazione del paese. Il Partito aveva censurato la leadership di Chruščëv in Ucraina (e su questo Stalin era d'accordo) per aver ammesso troppe persone, principalmente contadini, nel Partito, per essere stato lassista sugli standard del Partito e per aver tollerato il ristretto nazionalismo ucraino. Anche dopo essersi trasferito a Mosca per diventarne il segretario del partito nel 1949, Chruščëv mantenne i suoi legami con l'agricoltura e, in quanto capo della politica agricola nazionale, fu l'unico membro del Politburo di Stalin a visitare frequentemente la campagna. Dopo il 1954, le sue politiche agricole avrebbero svolto un ruolo di primo piano nel crescente dibattito del partito[2]

Morte di Stalin, possibile coinvolgimento, salita al potere

Secondo molti critici di Chruščëv, sia marxisti-leninisti che non, egli, insieme al suo entourage, fu responsabile della morte di Stalin, oltre che della liquidazione della "prima generazione" di capi rivoluzionari dell'est-Europa dell'immediato post-bellico. Scrive nelle sue memorie Enver Hoxha, Segretario del Partito Comunista d'Albania (poi Partito del Lavoro d'Albania, cambio di nome suggerito da Stalin):

«I kruscioviani, questi nuovi trotzkisti, buchariniani, zinovievisti e seguaci di Tuchacevski, instillarono perfidamente negli uomini che avevano fatto la guerra il sentimento della presunzione e della superiorità; incoraggiarono i privilegi a favore dell’élite, spalancarono le porte del Partito e dello Stato al burocratismo e al liberalismo, violarono le autentiche norme rivoluzionarie e, un po’ alla volta, riuscirono a diffondere nel popolo lo spirito del disfattismo. Diedero ad intendere che tutti i misfatti frutto delle loro azioni erano dovuti invece all’"atteggiamento brutale e settario, ai metodi e allo stile di lavoro" di Stalin. Con il diabolico metodo di gettar la pietra e di nascondere la mano, essi puntavano a ingannare la classe operaia, le masse contadine colcosiane, gli intellettuali, a mettere in moto tutti gli elementi dissidenti fino ad allora nascosti. Agli elementi dissidenti, carrieristi e degenerati dicevano che era venuto per loro la «vera libertà» e che questa «libertà» era stata portata a loro da Nikita Chruščëv e dal suo gruppo. Questo era un modo per preparare il terreno alla liquidazione del socialismo in Unione Sovietica, all’abolizione della dittatura del proletariato e all’instaurazione di uno Stato di «tutto il popolo», che in realtà non doveva essere altro che uno Stato dittatoriale di tipo fascista, come è effettivamente oggi. Queste infamie non tardarono a venire a galla dopo la morte di Stalin, o piuttosto dopo l’assassinio di Stalin. Dico l’assassinio, poiché lo stesso Mikojan ci disse che insieme a Chruščëv e ai loro complici avevano deciso di ordire un "pokuchenie", un attentato, per uccidere Stalin, ma che in seguito, come lui stesso lo ammise, avevano rinunciato a questo piano. E’ un fatto notorio che i kruscioviani aspettavano impazientemente la morte di Stalin. D’altronde le circostanze della sua morte sono poco chiare. Sotto questo aspetto anche l’affare dei «ca mici bianchi», il processo cioè contro i medici del Cremlino, i quali, Stalin vivente, erano stati accusati di aver tentato di uccidere parecchi dirigenti dell’Unione Sovietica, è un enigma non ancora chiarito. Appena morto Stalin, questi medici furono riabilitati e l’affare archiviato. Ma perché mai l’affare fu chiuso?! Fu provata o no l’attività criminale di questi medici all’epoca in cui furono giudicati? L’affare dei medici fu archiviato perché se fossero proseguite le indagini, se si fosse rovistato più profondamente, sarebbero venute a galla molte sporcizie, molti crimini e complotti perpetrati dai revisionisti mascherati, guidati da Chruščëv e Mikojan. In tal modo si sarebbero spiegate forse le morti improvvise in un periodo di tempo relativamente breve di Gottwald, Bierut, Foster, Dimitrov, e di qualche altro, che soffrivano di malattie guaribili [...] Forse ciò avrebbe chiarito anche la vera causa della morte improvvisa di Stalin[3]

Grazie alle prove degli atti processuali dei processi di Mosca degli anni '30, in particolare grazie alle confessioni di Jagoda e del suo entourage nel processo contro il complotto dei destri e il "Blocco dei Destri e dei Trotzkisti" del 1938, riportate nell'opera del 1946 dei giornalisti statunitensi Sayers e Kahn, già citata ampiamente in questa wiki, sappiamo che in passato i dissidenti antisovietici e i cospiratori utilizzarono la coercizione tattica nei confronti dello staff medico del personale politico del partito per provocare le morti dei leader sovietici governativi a loro più "scomodi" tramite la negligenza dei medici corrotti, per cui tale congettura portata avanti dall'anziano "capo" comunista albanese, per quanto impossibile da dimostrare, a meno che non escano fuori altri documenti d'archivio, è certamente esistente nel reame delle possibilità. Anche il figlio Vasilij, come testimoniato dalla sorella Svetlana, pare ritenesse che il padre fu avvelenato dai suoi rivali politici:

«Mio fratello Vasilij era un pilota, dopo la seconda guerra mondiale era un generale e il comandante dell'aeronautica militare distrettuale di Mosca. Dopo la morte di mio padre lasciò l'esercito e fu presto arrestato. Questo accadde perché aveva minacciato il governo, disse che "mio padre era stato ucciso dai suoi rivali" e cose del genere, e c'era sempre molta gente intorno a lui, così decisero di isolarlo[4]

Nikita Chruščëv, lungi dall'essere il santino di qualche "comunismo buono e democratico" dal sapore liberal-capitalista e occidentale, è in realtà salito al potere in Unione Sovietica tramite quello che fu in tutto e per tutto un golpe politico-militare, fregandosene altamente delle istituzioni democratiche dei soviet e del partito che egli, nella sua propaganda demagogica, affermava di "difendere". I primi passi per questo golpe avvennero poco prima della morte di Stalin, quando le sue due principali guardie del corpo, Aleksandr Poskrëbyšev e Nikolaj Vlasik, furono allontanate da questi con accuse di violazione di segretezza di documenti e "inaffidabilità". Questo viene confermato dalla già citata figlia di Stalin, Svetlana Allilueva:

«Poco prima che mio padre morisse, anche alcuni dei suoi intimi furono disonorati: il perenne Vlasik fu mandato in prigione nell'inverno del 1952 e il segretario personale di mio padre, Poskrebyshev, che era stato con lui per vent'anni, fu rimosso[5]

Questo fatto viene confermato anche dall'ex agente di intelligence sovietico, poi disertore e collaborazionista per i servizi statunitensi, Peter Deriabin, che scrive:

«Ciò completò il processo di privazione di Stalin di ogni sicurezza personale, fatta eccezione per la relativa facciata degli ufficiali minori dell'Ochrana nel suo ufficio e nella sua casa. Era stato un affare studiato e gestito molto abilmente: l'incastrazione di Abakumov, il licenziamento di Vlasik, il discredito di Poskrebyshev, l'evirazione dell'Ochrana e la sua forzata sottomissione all'MGB, l'"infarto" di Kosynkin, la sostituzione di Shtemenko e la rimozione dello stato maggiore dalle ultime vestigia del controllo dell'Ochrana. [...] Cinque giorni dopo la morte di Kosynkin, la campagna stampa sul "Complotto dei dottori" si concluse all'improvviso come era iniziata. Non si sa cosa abbia portato quel progetto caro a Stalin a fermarsi. I cospiratori sopravvissuti si sono astenuti dal rivelare tali dettagli, senza dubbio perché erano troppo direttamente coinvolti negli ultimi giorni del loro padrone. Né, così spogliata di effettivi era stata l'Okhrana a quel tempo, se ci fossero state delle guardie del corpo, che in seguito disertarono verso l'Occidente, in una posizione abbastanza autorevole da saperlo. E persino quegli uomini dell'Okhrana ancora con il dittatore nei suoi ultimi giorni non sono più esistenti per fornire alcuna illuminazione. Trascurando le false piste e le invenzioni prodotte dai suoi successori, è logico presumere che una volta eliminati Kosynkin e Shtemenko, i cospiratori abbiano trovato il coraggio di affrontare Stalin. Sapevano che per la loro stessa sopravvivenza dovevano reprimere il "Complotto dei dottori", o in seguito essere portati a "processo" loro stessi, individualmente o come gruppo. Le accuse lanciate avanti e indietro sarebbero state orribili. E sembra ragionevole presumere che al culmine di quella scena il georgiano ormai apoplettico barcollò improvvisamente e cadde sul pavimento del suo ufficio del Cremlino, vittima di un infarto e probabilmente di un ictus. A quel punto, sembrerebbe dai resoconti dei terrorizzati subordinati dell'Ochrana alla periferia di quel gruppo, i conniventi, terrorizzati a loro volta dal crollo improvviso del padrone, si precipitarono come topi dal Cremlino. Gli uomini dell'Ochrana, ancora più spaventati, probabilmente si erano già fatti da parte. Poskrebyshev potrebbe essere stato fatto uscire prima ancora che iniziasse lo scontro, perché la sua ubicazione divenne sconosciuta dopo che il "Complotto dei dottori" fu sedato. L'attacco subito da Stalin non fu fatale e non lo divenne per alcuni giorni. Sembrerebbe che dopo che i conniventi e le guardie se ne furono andati, il georgiano si riprese abbastanza da rialzarsi a fatica e prendere una sedia alla sua scrivania dove crollò di nuovo. Da quel momento in poi, le supposizioni non sono più necessarie. Gli uomini dell'Ochrana fornirono il resto. Più tardi, non si può più stabilire quanto tempo dopo, un subordinato dell'Ochrana osò sbirciare nell'ufficio del dittatore. Vide il georgiano privo di sensi alla sua scrivania. Lanciò l'allarme e si mise in contatto con gli altri membri del Presidium. Ma solo la mattina presto del giorno dopo, e nella massima segretezza, il dittatore malato fu trasferito nella sua dacia a Kuntsevo, a circa sette miglia di distanza, alla periferia di Mosca. E solo dopo che Stalin fu arrivato a Kuntsevo, i dottori furono convocati al suo capezzale. Erano tutti funzionari dell'MGB, non molto più bravi professionalmente di Timashuk. Non fu fatta alcuna chiamata per l'abile Vinogradov. Come ci si poteva aspettare, gli uomini dell'MGB non poterono (o non vollero?) fare nulla per aiutare lo Stalin colpito. Così, chiamarono il Ministro della Salute, che gli somministrò gli ultimi riti medici. Ufficialmente, Iosif Vissarionovič Džugašvili (Stalin) morì il 5 marzo 1953[6]

Ci sono un sacco di elementi nella morte di Stalin che fanno in modo che essa venga definita, in termini da scienza forense, come una morte "sospetta". In primis, la salute di Stalin sembrava eccellente, prima di Marzo del 1953, come è stato testimoniato dal giornalista Salisbury:

«E che dire di Stalin stesso? In piena forma. Di ottimo umore. Questa è stata la parola di tre stranieri che lo hanno visto a febbraio: Bravo, l'amassador argentino; Menon, l'indiano, e il dottor Kitchlu, un indiano attivo nel movimento per la pace[7]

In secundis, dando anche per buona la "ricostruzione ufficiale", è innegabile che l'assistenza medica vera e propria non arrivò a Stalin nella notte tra il 1 e il 2 Marzo 1953 (facendo quindi ragionevolmente pensare ad una replica della tattica della già menzionata "negligenza medica" usata da Jagoda e dal blocco dei Destri contro Kujbyšev e Menžinskij), come confermano gli studi di diversi sovietologi:

«Il terzo inganno nel bollettino ufficiale è l'implicazione che Stalin stava ricevendo cure mediche in una fase iniziale. Le dichiarazioni sulla sequenza dei sintomi suggeriscono che un medico competente abbia osservato il corso dell'attacco. Ma le memorie della figlia e dell'erede politico chiariscono che in realtà nessun medico avrebbe potuto arrivare prima che la notte tra il 1 e il 2 marzo fosse finita o quasi finita. Chruščëv non menziona orari specifici, ma la sua narrazione rende incredibile che i dottori siano arrivati ​​molto prima delle 5 del mattino del 2 marzo. Sono molte ore, forse più di dodici, dopo l'attacco. Sia il secondo che il terzo inganno notati sembrano essere motivati ​​dal desiderio naturale di mostrare al pubblico sovietico che gli uomini che avrebbero potuto guadagnare dalla sua morte avevano fatto fin dall'inizio tutto il possibile per fornire assistenza medica al Leader malato. Anche se Stalin fosse effettivamente morto per cause del tutto naturali, anche se nessuna quantità di cure mediche avrebbe potuto influenzare le conseguenze mortali del suo ictus, non è vero che fosse sotto cure mediche subito dopo l'attacco[8]

«C'è un mistero su cosa sia successo a Stalin. Le sue guardie si erano allarmate quando non aveva chiesto il suo spuntino serale alle 23:00 [...] Gli uomini della sicurezza lo presero e lo misero su un divano, ma i dottori non furono chiamati fino al mattino. Stalin rimase inerme e senza cure per la maggior parte della giornata, rendendo molto più difficile il trattamento riabilitativo [...] Perché i leader del partito prolungarono il ritardo? Alcuni storici vedono prove di omicidio premeditato[9]

«Stalin stava morendo. Sdraiato sul pavimento della sala da pranzo della sua dacia a Kuntsevo, aveva rinunciato a rialzarsi, sollevando solo di tanto in tanto la mano sinistra, come se implorasse aiuto. I suoi occhi semichiusi non riuscivano a nascondere il suo sguardo di disperazione mentre guardava verso la porta. Debolmente, le sue labbra pronunciavano parole silenziose. Erano trascorse diverse ore dall'ictus, eppure non c'era nessuno con lui. Infine, allarmati dall'assenza di qualsiasi segno di vita all'interno della casa, le sue guardie del corpo entrarono cautamente nella sala da pranzo. Non avevano il potere di chiamare subito i dottori. Una delle figure più potenti della storia umana non poteva contare su di loro per questo, perché era necessario l'intervento personale di Berija. Quando alla fine Berija fu trovato, pensò che Stalin stesse semplicemente dormendo profondamente dopo una cena tardiva e pesante, e fu solo dopo dieci o dodici ore che i medici terrorizzati furono portati a visitare il leader morente [...] Vlasik fu arrestato e condannato a dieci anni di prigione e all'esilio. Quando tornò dopo la morte di Stalin, disse di essere totalmente convinto che Berija avesse "aiutato" Stalin a morire dopo avergli prima rimosso i medici. Vlasik lo scrisse nelle memorie che dettò alla moglie poco prima di morire. [...] Solo Berija, Poskrëbyšev e Vlasik avevano accesso diretto a Stalin, e solo loro potevano essere a conoscenza di queste note, ma Poskrëbyšev e Vlasik furono compromessi da Berija poco prima della morte di Stalin e quindi si allontanarono da lui. In altre parole, al momento della morte di Stalin, solo Berija gli rimase vicino, e quando i medici furono finalmente portati dal leader in coma, dopo un intervallo di dodici o quattordici ore, Berija capì che anche per lui la partita era finita. Lasciando Chruščëv, Malenkov e gli altri membri del Politburo alla dacia con Stalin morente. Berija si precipitò al Cremlino dove è ragionevole supporre che abbia svuotato la cassaforte, prendendo gli appunti personali del capo e con essi, si suppone, il quaderno nero. Berija doveva essere consapevole che l'atteggiamento di Stalin nei suoi confronti si era notevolmente raffreddato negli ultimi anni o diciotto mesi. Da parte sua, Stalin doveva anche essere a conoscenza delle intenzioni di Berija. Forse Stalin aveva lasciato delle istruzioni o una sorta di ultima volontà che l'entourage sempre disponibile sarebbe stato più che pronto a eseguire? Berija aveva una buona ragione per affrettarsi. Solo lui aveva il permesso di entrare nell'ufficio di Stalin e, naturalmente, le guardie di Stalin erano in servizio, eppure quando la cassaforte fu aperta ufficialmente, fu trovata vuota, a parte la tessera del partito del suo proprietario e alcuni documenti insignificanti. Avendo distrutto il quaderno di Stalin, se davvero era lì, Berija avrebbe spianato la strada alla sua ascesa. Forse la verità non verrà mai a sapere, ma Epišev era convinto che Berija avesse svuotato la cassaforte prima che gli altri potessero arrivare[10]

Si può quindi ragionevolmente pensare che la morte di Stalin, per quanto non sia dimostrabile essere un attentato alla vita o un assassinio, è una morte avvenuta in circostanze misteriose, e con le medesime caratteristiche di altre morti che furono poi dimostrate essere assassini da parte di cospiratori. Ciò che è certo è che la morte di Stalin, se naturale, fu una "fortuita" coincidenza in un momento in cui una considerevole fetta del Politburo sovietico aveva interesse nella sua morte e nella successione. Questo fu valido tanto, come è stato appena dimostrato, per Chruščëv quanto per Malenkov, Berija e altri uomini definiti dalla propaganda anticomunista come dei "boia di Stalin", ma che nei fatti, dimostrati dalle prove indiziarie e dalle fonti d'archivio, furono in realtà degli opportunisti che si finsero dei "fedelissimi" solo per salvare le proprie natiche da delle procedure legali per alto tradimento non dissimili dai processi degli anni '30.

Il vero motivo dietro le azioni della cricca di Chruščëv: i tentativi di "riforma democratica" e anti-burocratica di Stalin e Ždanov

Ma perché una tale ipotesi dovrebbe corrispondere a realtà, sarebbe la (in questo caso legittima) domanda da parte anticomunista? Per comprendere tutto ciò, è necessario tenere a mente che nel 1947 da parte di Stalin e di Ždanov venne rilasciata una proposta per la trasformazione del PCUS, da organo di fatto governativo e principale deliberativo dell'Unione Sovietica, ad un organismo più "simbolico", un "partito guida" nel vero senso del termine, un "principato civile" contemporaneo, per rimanere in tema con il paragone "machiavellico" sul ruolo del partito fatto da Antonio Gramsci nei suoi scritti. Ciò è stato confermato anche dal (fu) storico e sovietologo russo Aleksandr Pyzikov (anticomunista e anti-Stalin), come riportato dallo storico marxista-leninista Grover Furr:

«Probabilmente c'è di più nei piani di democratizzazione della leadership di Stalin di quanto sappiamo oggi. Aleksandr Pyzhikov, uno storico molto anticomunista e anti-Stalin, ha citato selezioni allettanti di una bozza del 1947 di un programma del partito per promuovere ulteriormente la democrazia e l'egualitarismo nell'URSS. Questo piano affascinante e finora del tutto sconosciuto non è mai stato pubblicato e, evidentemente, non è ancora disponibile per altri ricercatori. Ecco la sezione citata alla lettera da Pyzhikov: "Lo sviluppo della democrazia socialista sulla base del completamento della costruzione di una società socialista senza classi convertirà sempre di più la dittatura del proletariato nella dittatura del popolo sovietico. Man mano che ogni membro dell'intera popolazione viene gradualmente coinvolto nella gestione quotidiana degli affari di stato, la crescita della coscienza e della cultura comunista della popolazione e lo sviluppo della democrazia socialista porteranno alla progressiva scomparsa delle forme di coercizione nella dittatura del popolo sovietico e a una progressiva sostituzione delle misure di coercizione con l'influenza dell'opinione pubblica, a un progressivo restringimento delle funzioni politiche dello stato e alla conversione dello stato, in generale, in un organo di gestione della vita economica della società". Pyzhikov riassume altre sezioni di questo documento inedito come segue: "In particolare [la bozza] riguardava lo sviluppo della democratizzazione dell'ordine sovietico. Questo piano riconosceva come essenziale un processo universale di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dello Stato, nell'attività statale e sociale quotidiana sulla base di uno sviluppo costante del livello culturale delle masse e di una semplificazione massima delle funzioni di gestione statale. Proponeva in pratica di procedere all'unificazione del lavoro produttivo con la partecipazione alla gestione degli affari statali, con la transizione allo svolgimento successivo delle funzioni di gestione [statale] da parte di tutti i lavoratori. Si dilungava anche sull'idea dell'introduzione di un'attività legislativa diretta da parte del popolo, per la quale erano considerati essenziali i seguenti punti: a) attuare il voto universale e il processo decisionale sulla maggior parte delle questioni più importanti della vita governativa sia nella sfera sociale che in quella economica, nonché in questioni di condizioni di vita e sviluppo culturale; b) sviluppare ampiamente l'iniziativa legislativa dal basso, mediante la concessione alle organizzazioni sociali del diritto di sottoporre al Soviet Supremo proposte di nuova legislazione; c) confermare il diritto dei cittadini e delle organizzazioni sociali a presentare direttamente proposte al Soviet Supremo sulle questioni più importanti della politica internazionale e interna. Né è stato ignorato il principio dell'elezione dei dirigenti. Il piano del programma del partito ha sollevato la questione della realizzazione, secondo il grado di sviluppo verso il comunismo, della selezione di tutti i membri responsabili dell'apparato statale tramite elezione, di cambiamenti nel funzionamento di una serie di organi statali nella direzione di convertirli sempre più in istituzioni incaricate della contabilità e della supervisione dell'economia nel suo complesso. Per questo è stato visto come importante il massimo sviluppo possibile di organizzazioni volontarie indipendenti. Si è prestata attenzione al rafforzamento del significato dell'opinione sociale nella realizzazione della trasformazione comunista della coscienza della popolazione, dello sviluppo, sulla base della democrazia socialista tra le grandi masse popolari, della "cittadinanza socialista", dell'"eroismo del lavoro" e del "valore dell'Armata Rossa". [...] Questo piano audace riecheggia molte delle idee di "estinzione dello Stato" previste nell'opera fondamentale di Lenin Stato e Rivoluzione, che a sua volta sviluppa idee che Lenin trovò in Marx ed Engels. Nel proporre la partecipazione democratica diretta a tutte le decisioni statali vitali da parte del popolo sovietico e delle sue organizzazioni popolari, e il "rinnovamento" -- con almeno la possibilità di sostituzione -- di non meno di 1/6 del Comitato Centrale ogni anno attraverso una Conferenza del Partito, questo piano del Partito prevedeva lo sviluppo della democrazia dal basso sia nello Stato che nel Partito stesso. [...] Sembra che la dirigenza di Stalin abbia fatto un ultimo tentativo di separare il Partito dal controllo diretto sullo Stato al 19° Congresso del Partito nel 1952 e al Plenum del Comitato Centrale immediatamente successivo. A partire da Chruščëv, la nomenklatura del Partito ha cercato di distruggere ogni ricordo di questo Congresso e si è mossa immediatamente per sradicare ciò che vi era stato fatto. Sotto Brežnev sono state pubblicate le trascrizioni di tutti i Congressi del Partito fino al 18°. Quella del 19° Congresso non è mai stata pubblicata fino ad oggi. Stalin ha tenuto solo un breve discorso al Congresso, che è stato pubblicato. Ma ha tenuto un discorso di 90 minuti al Plenum del Comitato Centrale che lo ha seguito immediatamente. Quel discorso non è mai stato pubblicato, tranne che per estratti molto brevi, e nemmeno la trascrizione di questo Plenum. [...] Senza dubbio suggeriva anche meglio un organismo che governa solo il Partito, non il partito e lo Stato. Il Politburo era stato un organismo di membri misti. Comprendeva il Presidente del Consiglio dei Ministri (il capo dell'organo esecutivo dello Stato, ovvero il capo dello Stato); il Presidente del Presidium del Soviet Supremo (capo dell'organo legislativo); il Segretario Generale del Partito (Stalin); uno o due segretari del Partito in più; e uno o due ministri del governo. Le decisioni del Politburo erano efficaci sia per il governo che per il partito. [...] Furono apportate altre modifiche: la carica di Segretario Generale, la carica di Stalin, fu abolita. Ora Stalin era solo uno dei 10 segretari del Partito, tutti presenti nel nuovo Presidium, che ora conteneva 25 membri e 11 candidati-membri. Questo era molto più grande dei 9-11 membri del precedente Politburo. Le sue grandi dimensioni lo avrebbero reso più un organo deliberativo e provvisorio, piuttosto che uno in cui molte decisioni esecutive potevano essere prese di routine e rapidamente. La maggior parte di questi membri del Presidium sembravano essere funzionari governativi, non alti dirigenti del Partito. Khrushchev e Malenkov in seguito si chiesero come Stalin potesse aver sentito parlare delle persone che aveva suggerito per il primo Presidium, dal momento che non erano noti leader del Partito (vale a dire non Primi Segretari). Presumibilmente, Stalin li aveva nominati per le loro posizioni nella leadership dello Stato, in contrapposizione a quella del Partito. Stalin fece seguire le sue dimissioni da Segretario generale del Partito, avvenute al 19° Congresso, con la sua proposta, al Plenum del CC subito dopo, di dimettersi completamente dal Comitato centrale, rimanendo solo Capo di Stato (Presidente del Consiglio dei ministri). Se Stalin non fosse stato nel Comitato centrale, ma solo Capo di Stato, i funzionari governativi non avrebbero più ritenuto di dover rispondere al Presidium, l'organismo supremo del Partito. L'atto di Stalin avrebbe rimosso l'autorità dai funzionari del Partito, il cui ruolo di "supervisione" nello Stato era inutile, in termini di produzione. Senza Stalin come capo del Partito, la dirigenza del Partito, la nomenklatura, avrebbe avuto meno prestigio. I membri di base del Partito non si sarebbero più sentiti obbligati a "eleggere" -- cioè, a confermare semplicemente -- i candidati raccomandati dai Primi segretari e dal Comitato centrale. Viste in questa luce, le dimissioni di Stalin dal Comitato centrale potrebbero essere un disastro per la nomenklatura. Potrebbero aver pensato di essere protetti dalle critiche spietate dei comunisti di base solo dall'"ombra di Stalin". Ciò significherebbe che, in futuro, solo persone intelligenti e capaci sopravvivrebbero nella nomenklatura del Partito, come nell'apparato statale. La mancanza di una trascrizione pubblicata suggerisce che a questo Plenum siano accadute cose, e Stalin abbia detto cose nel suo discorso, che la nomenklatura non desiderava rendere pubbliche. Indica anche - ed è importante sottolinearlo - che Stalin non era "onnipotente". Ad esempio, la seria critica di Stalin a Molotov e Mikojan in questo Plenum non fu pubblicata fino a molto tempo dopo la sua morte. Il famoso scrittore sovietico Konstantin Simonov era presente come membro del CC. Registrò la reazione scioccata e in preda al panico di Malenkov quando Stalin propose un voto per liberarlo dall'incarico di segretario del Comitato Centrale. Di fronte a una veemente opposizione, Stalin non insistette. Non appena fu possibile, la dirigenza del Partito prese provvedimenti per annullare le decisioni del 19° Congresso del Partito. Alla riunione del 2 marzo, con Stalin ancora vivo ma incosciente, un Presidium abbreviato - essenzialmente, i vecchi membri del Politburo - si riunì nella dacia di Stalin. Lì presero la decisione di ridurre il Presidium a 10 membri, invece di 25. Questo era, fondamentalmente, di nuovo il vecchio Politburo. Il numero dei segretari del Partito fu ridotto ancora una volta a cinque. Chruščëv fu nominato "coordinatore" del segretariato e poi, cinque mesi dopo, "primo segretario". Infine, nel 1966, il nome Presidium fu cambiato di nuovo in Politburo. Per il resto della storia dell'URSS, il Partito continuò a governare la società sovietica, i suoi ranghi superiori divennero uno strato corrotto, autoselezionato e autocelebrativo di elitari privilegiati. Sotto Gorbacëv, questo gruppo dirigente abolì l'URSS, dandosi la ricchezza economica e la leadership politica della nuova società capitalista. Allo stesso tempo, distrusse i risparmi e rubò i benefici sociali alla classe operaia e ai contadini sovietici, il cui lavoro aveva costruito tutto, mentre si appropriava dell'immensa ricchezza creata pubblicamente dall'URSS. Questa stessa ex nomenklatura continua a governare gli stati post-sovietici oggi[11]

Primi tentativi di golpe e breve parentesi di potere di Berija

Con la morte di Stalin, avvenuta "ufficialmente" il 5 Marzo del 1953, un primo tentativo di golpe da parte dei revisionisti fu attuato la mattina del giorno successivo, il 6 Marzo 1953. Come testimonia il già menzionato giornalista Harrison Salisbury, corrispondente da Mosca e quindi testimone oculare della vicenda:

«Convogli di camion fluidi e silenziosi scivolavano nella città. Seduti a gambe incrociate su panche di legno nei camion dipinti di verde c'erano distaccamenti di truppe del MVD con i cappelli blu e rossi, ventidue per camion, le truppe speciali del Ministero degli Interni. . . . Mi passò per la mente il pensiero fugace che, forse, un colpo di stato potesse essere in atto. [...] Alle nove... le truppe degli Affari Interni erano ovunque nel centro della città [...] Nella parte alta di Gorky Street fecero la loro comparsa colonne di carri armati [...] Tutte le truppe e tutti i camion e tutti i carri armati appartenevano ai distaccamenti speciali del MVD. Non si vedeva un solo distaccamento di forze dell'esercito regolare. Più tardi scoprii che il MVD aveva, di fatto, isolato quasi tutta la città di Mosca [...] Alle dieci o alle undici del mattino del 6 marzo 1953 nessuno poteva entrare o uscire dal cuore di Mosca se non con il permesso del MVD [...] Le forze del MVD avevano preso il controllo della città [...] Potevano altre truppe entrare in città? No, a meno che non avessero il permesso del MVD o fossero pronte a farsi strada combattendo, strada per strada, barricata per barricata[12]

«Pertanto, prima ancora che il corpo di Stalin fosse freddo, Berija ordinò alle truppe dell'MGB, principalmente alla Prima Divisione di fanteria motorizzata Dzeržinskij (di designazione speciale) e alla sua gemella Seconda Divisione di fanteria motorizzata, di entrare a Mosca dai loro quartieri nei dintorni della città. Nel giro di poche ore, quelle unità non solo istituirono controlli e bloccarono il traffico, incluso quello pedonale, su ogni principale arteria della capitale, ma avevano anche circondato il Cremlino. La città, il partito, il governo e la leadership dell'esercito erano virtualmente sotto assedio. Con le sue truppe così al comando della situazione, Berija permise la formalità di una rapida divisione del bottino. Malenkov, l'erede apparente, assunse la guida del partito e del governo. La sicurezza tornò a Berija, le forze armate a Bulganin e gli affari esteri a Molotov. Prima ancora che quella divisione diventasse ufficiale, la politica era dilagante tra tutti i cospiratori, tranne Berija. Era troppo impegnato a riaffermare il suo controllo sulle forze di sicurezza. Unì l'MVD e l'MGB in un unico ministero, di cui era il capo. Così facendo, commise quello che in seguito si rivelò essere il suo più grande errore: mantenne come vice Kruglov, ex capo dell'MVD e uomo di Malenkov, e Serov, creatura di Chruščëv dall'Ucraina[13]

Questo primo tentativo di golpe, guidato principalmente dall'intelligence e da Berija, andò in fumo per via dell'ostruzionismo da parte del partito e in particolare dei marxisti-leninisti che in quel momento avevano ancora la maggioranza relativa nel Politburo. Una piccola deviazione va fatta sulla figura di Berija: definito da alcuni, come lo storico Grover Furr o Finnish Bolshevik, come una vittima della propaganda revisionista di Chruščëv, una figura politica ingiustamente demonizzata e quindi priva di colpe, è invece ritenuto da altri, come il già citato "presidente" dell'Albania socialista Enver Hoxha, alla pari degli altri cospiratori e revisionisti, tanto nelle idee quanto nei piani d'azione che voleva attuare. Non avendo, ovviamente, né la possibilità di intervistare il diretto interessato, in quanto morto, né le prove d'archivio che definiscano concretamente la posizione dell'allora capo dell'intelligence sovietica, è per noi impossibile stabilire una sentenza definitiva, pertanto sia in questa voce che in un'eventuale voce sul personaggio storico e politico in sé, sarà opportuno limitarsi ai fatti e a riportare entrambe le interpretazioni della sua figura per una maggiore obiettività.

Enver Hoxha, che in quei giorni fu personalmente inviato a Mosca come rappresentante del Partito del Lavoro d'Albania e della Repubblica Popolare Socialista d'Albania, scrisse nelle sue memorie del 1976, pubblicate nel 1980:

«In quanto comunista e dirigente del Partito, anch’io ho dovuto partecipare attivamente e dare il mio contributo a questa grande lotta eroica del nostro Partito. Incaricato dal Partito e dalla sua direzione fin dalla Liberazione dell’Albania, e soprattutto durante gli anni 1950-1960, ho più volte guidato le delegazioni del Partito e dello Stato negli incontri ufficiali con i dirigenti sovietici e con i principali dirigenti degli altri partiti comunisti e operai. Ci siamo anche scambiati visite, e ho preso parte a consultazioni e a incontri intemazionali dei partiti comunisti dove ho esposto e difeso la giusta linea del nostro Partito, le sue decisioni e le sue raccomandazioni. Durante tutti questi incontri e queste visite ho conosciuto da vicino gloriosi e indimenticabili dirigenti come Stalin, Dimitrov, Gottwald, Bierut, Pieck ed altri, ma ho dovuto entrare in contatto e conoscere anche i traditori kruscioviani, i quali, attraverso un processo lungo e complesso, hanno gradualmente usurpato il potere sia in Unione Sovietica che nei paesi che erano un tempo democrazie popolari. [...] Il giorno successivo alla morte di Stalin, il 6 marzo 1953, il Comitato Centrale del Partito, il Consiglio dei Ministri e il Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica convocarono in fretta un’adunanza congiunta. In caso di gravi perdite, come quella di Stalin, riunioni urgenti come questa sono una cosa utile e indispensabile. Ma i numerosi e importanti rimpasti comunicati attraverso la stampa il giorno seguente, dimostrarono che questa riunione urgente aveva avuto luogo unicamente per procedere... alla spartizione delle cariche! Stalin era appena morto, la sua salma non era stata portata ancora nella sala in cui gli sarebbero stati resi gli ultimi omaggi, non era stato preparato nemmeno il programma per l’organizzazione degli omaggi e della cerimonia funebre, i comunisti e il popolo sovietico erano in lacrime per la grande perdita, e invece il vertice della direzione sovietica riteneva opportuno proprio quel giorno per procedere alla spartizione dei portafogli! Malenkov fu designato presidente del Consiglio dei Ministri, Berija primo vicepresidente del consiglio e ministro degli interni, mentre Bulganin, Kaganovič, Mikojan, Molotov si spartirono le altre principali cariche. Quello stesso giorno si procedette a importanti cambiamenti in tutti gli organi supremi del partito e del potere. Il Presidium e l’Ufficio del Presidium del Comitato Centrale del Partito si fusero in uno solo organo, furono eletti nuovi segretari al Comitato Centrale del Partito, si procedette alla fusione di vari ministeri, furono fatti cambiamenti nella composizione del Presidium del Soviet Supremo ecc. [...] Ma se all’inizio tutto ciò suscitava in noi solo interrogativi che ci sconvolgevano e ci stupivano, l’evolversi degli avvenimenti, le vicende e i fatti che avremmo appreso in seguito ci avrebbero maggiormente convinti che da tempo mani segrete tramavano la congiura e aspettavano solo l’occasione per avviare il processo di distruzione del Partito Bolscevico e del socialismo in Unione Sovietica. [...] Noi, e molti altri come noi, ritenevamo che Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica sarebbe stato eletto Molotov, il più stretto collaboratore di Stalin, il bolscevico più vecchio, più maturo, dotato di maggiore esperienza e meglio conosciuto in Unione Sovietica e all’estero. Ma non fu così. Malenkov fu messo alla testa e Berija si aggrappò a lui. In quei giorni dietro di loro, un po’ più nell’ombra, stava una «pantera» che si apprestava a divorare e liquidare i primi due. Questi era Nikita Chruščëv. La sua ascesa, per il modo in cui avvenne, era veramente strana e destava sospetti: all’inizio fu designato solo capo della commissione centrale per l’organizzazione della cerimonia dei funerali di Stalin e il 7 marzo, quando la spartizione dei posti fu resa di pubblica ragione, non gli fu assegnata nessuna carica; egli fu solo esonerato dalle funzioni di Primo Segretario del Comitato di Partito di Mosca dato che «sarebbe stato incaricato a lavo rare principalmente presso il Comitato Centrale del Partito». Appena pochi giorni dopo, il 14 marzo 1953, Malenkov «dietro sua richiesta» fu esonorato dalla funzione di Segretario del Comitato Centrale del Partito (!) e nella composizione del nuovo Segretariato, eletto lo stesso giorno, Nikita Chruščëv figurava alla testa. Simili atti, benché non ci riguardassero, non ci piacquero affatto. Rimanemmo molto delusi per quanto riguarda l’idea che c’eravamo fatti della stabilità al vertice della direzione sovietica, ma pensammo che non eravamo affatto al corrente del modo in cui si sviluppava la situazione all’interno del Partito e della direzione dell’Unione Sovietica. Dai contatti che avevo avuto con lo stesso Stalin, con Malenkov, Molotov, Chruščëv, Berija, Mikojan, Suslov, Vorošilov, Kaganovič ed altri principali dirigenti, non avevo notato la benché minima spaccatura o discordanza fra loro. Stalin ha combattuto in modo coerente ed è stato uno dei fattori decisivi dell’unità marxista-leninista del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Questa unità nel partito, per la quale aveva lavorato Stalin, non era stata raggiunta con il terrore, come sostennero più tardi Chruščëv e i kruscioviani, facendo eco alle calunnie degli imperialisti e della borghesia capitalista mondiale, che lottavano per rovesciare e distruggere la dittatura del proletariato in Unione Sovietica, ma poggiava sulle conquiste del socialismo, sulla linea e l’ideologia marxista-leninista del Partito Bolscevico, sulla somma e indiscutibile personalità di Stalin. [...] Se in tutta questa titanica e giusta lotta c’è stato anche qualche eccesso, non fu Stalin a farlo, ma Chruščëv, Berija e soci, i quali, per fini oscuri e segreti, al tempo in cui non si sentivano abbastanza potenti, si mostrarono fra i più zelanti a fare epurazioni. Essi agirono in questo modo per acquistarsi credito come «fervidi difensori» della dittatura del proletariato, dimostrandosi «spietati con i nemici», con il proposito di dare la scalata al potere e di impadronirsene in seguito. I fatti dimostrano che quando Stalin venne a scoprire l’attività ostile di un Jagoda o di un Ežov, il tribunale della rivoluzione li condannò senza esitare. Simili elementi, come anche Chruščëv, Mikojan, Berija e i loro aparatciki nascondevano la verità a Stalin. In un modo o nell’altro essi bluffavano, ingannavano Stalin, che non aveva fiducia in loro, perciò aveva apertamente detto: "-... dopo di me, voi venderete l’Unione Sovietica". E’ stato lo stesso Chruščëv ad ammetterlo. E avvenne proprio come aveva previsto Stalin. Finché lui era vivo, anche questi nemici parlavano di unità, ma dopo la sua morte stimolarono la scissione. Questo processo andò via via sviluppandosi. [...] Alcuni mesi dopo la morte di Stalin, nel giugno 1953, mi recai a Mosca alla testa di una delegazione del nostro Partito e del nostro governo per chiedere un credito economico e militare. Era il tempo in cui Malenkov sembrava essere il principale dirigente. Egli era presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica. Chruščëv, benché dal marzo 1953 figurasse in testa all’elenco dei segretari del Comitato Centrale del Partito, a quanto pare non si era ancora impadronito totalmente del potere, non aveva preparato ancora il suo putsch. [...] Malenkov era sempre quello di prima — grasso e con una faccia gialla da imberbe. L’avevo conosciuto tanti anni prima a Mosca, durante gli incontri che avevo avuto con Stalin, e mi aveva fatto una buona impressione. Egli adorava Stalin e sembrava che Stalin pure lo apprezzasse. Al 19° Congresso fu Malenkov a presentare il rapporto in nome del Comitato Centrale. Egli era uno dei quadri relativamente giovani che erano giunti alla direzione, e che più tardi fu eliminato dal revisionista mascherato Chruščëv e dai suoi seguaci. Ma allora egli era a capo del paese, rivestiva la carica di presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica. Accanto a lui stava Berija, con gli occhi scintillanti dietro i suoi occhiali e le mani in continuo movimento. Dopo Berija veniva Molotov, calmo, simpatico, uno dei più serii e dei più rispettati dirigenti per noi, in quanto vecchio bolscevico fin dai tempi di Lenin e intimo compagno di Stalin. Continuavamo a considerare tale Molotov anche dopo la morte di Stalin. Dopo Molotov veniva Mikojan dal volto bruno e cupo, tetro come la notte. Questo trafficante teneva in mano una di quelle grosse matite rosso e blu (un oggetto che in Unione Sovietica si poteva vedere in tutti gli uffici), e stava facendo dei «calcoli». Ora egli aveva maggiormente esteso le sue competenze. Il 6 marzo, giorno in cui si procedette alla distribuzione delle cariche, era stato deciso che il Ministero del Commercio Estero e quello del Commercio Interno si fondessero in uno solo, e l’armeno aveva strappato il portafoglio del ministro commerciante. [...] Incominciai a parlare dei problemi che ci preoccupavano, specie delle questioni militari ed economiche. Prima feci un preambolo della situazione politica interna ed estera del nostro paese, che noi giudicavamo preoccupante. Dovevo senz’altro motivare le nostre necessità e le nostre richieste sia per quanto riguardava il settore economico che quello militare. Riguardo quest’ ultimo, gli aiuti forniti dai sovietici al nostro esercito erano sempre stati insufficienti, minimi, sebbene noi li avessimo apprezzati molto anche pubblicamente. Nella mia esposizione dei fatti ebbi cura di essere il più possibile conciso e concreto, cercai di non dilungarmi e stavo parlando da appena venti minuti quando sentii Berija, dagli occhi di vipera, dire a Malenkov che stava immobile come una mummia ad ascoltarmi: "Non sarebbe meglio dirgli ciò che abbiamo da dirgli e farla finita?" [...] Berija prese la parola. Con aria preoccupata, irritato, muovendo gli occhi e le mani, egli inco minciò a dire che, secondo le informazioni di cui disponevano, noi avevamo non solo ell’esercito, ma anche negli apparati dello Stato e dell’economia degli elementi poco buoni e sospetti (!), e citò perfino una cifra in percentuale. Bulganin tirò un respiro di sollievo e guardò intorno senza nascondere la sua soddisfazione, ma Berija gli stroncò il sorriso sulle labbra. Si oppose apertamente al "consiglio" di Bulganin a proposito delle epurazioni rilevando che "gli elementi con un passato oscuro, ma che in seguito si erano incamminati sulla giusta via, invece di essere epurati dovevano essere perdonati". L’ostilità e le profonde contraddizioni che esistevano fra questi due si manifestavano del tutto apertamente. Come risultò più tardi, le divergenze Bulganin-Berija non erano semplicemente divergenze personali, ma il riflesso delle contraddizioni, dei dissidi e dei profondi contrasti che covavano fra gli organi di Sicurezza dello Stato sovietico e gli organi d’informazione dell’esercito sovietico. Ma questo lo dovevamo apprendere più tardi. Nel caso concreto si trattava di una grave accusa contro di noi, accusa che non potevamo in nessun modo accettare. [...] Da ciò si poteva indovinare che nel Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica era cominciato fra i capi il gioco di gomiti. Malgrado la loro preoccupazione di non dare fuori l’impressione che al Cremlino stava per aver luogo il "cambio della guardia", essi non potevano nascondere tutto. Nel Partito e nel Governo erano stati fatti e venivano fatti ancora dei cambiamenti. Chruščëv, dopo aver fatto lo sgambetto a Malenkov, lasciandogli solo la carica di primo ministro, nel settembre del 1953 assunse personalmente il posto di Primo Segretario del Comitato Centrale. Si capiva che Chruščëv e il gruppo dei suoi stretti seguaci tramarono bene l’intrigo al Presidium, seminando la discordia fra gli oppositori, eliminando Berija, mentre gli altri, a quanto pare, furono messi «a dovere». Quanto all’arresto e all’esecuzione di Berija, esistono parecchie versioni in merito. Si è detto, tra l’altro, che Berija fu arrestato da uomini dell’esercito, con a capo il generale Moskalenko, nel corso stesso di una riunione del Presidium del Comitato Centrale del Partito. Pare che Chruščëv e compagni, non avendo fiducia negli organi di Sicurezza dello Stato, dal momento che erano stati per anni interi nelle mani di Berija, incaricarono l’esercito dell’esecuzione di questa "missione speciale". Il piano era stato predisposto in precedenza: Mentre era in corso la riunione del Presidium del Comitato Centrale del Partito, Moskalenko e i suoi uomini si erano introdotti, senza essere visti, in una stanza attigua. In un certo momento Malenkov preme il bottone di un campanello e, pochi istanti dopo, Moskalenko entra nell’ufficio in cui aveva luogo la riunione e si avvicina a Berija per arrestarlo. Questi, si dice, avrebbe allungato la mano verso la borsa che teneva vicino, ma Chruščëv, «vigilante», al suo fianco, si era mostrato più «lesto» e gli aveva strappato la borsa dalle mani. L’«uccello» non poteva prendere il volo, l’azione fu coronata di successo! Proprio come in un film poliziesco, ma non in un film qualsiasi: gli attori erano membri del Presidium del CC del PC dell’Unione Sovietica! Questa è la versione dei fatti che fu data, e Chruščëv stesso l’ha confermata. Più tardi un generale, consigliere militare sovietico, di nome Sergatskov, se ricordo bene, quando venne a Tirana ci raccontò qualche cosa a proposito del processo di Berija. Egli ci disse di essere stato chiamato come testimone per dichiarare al processo di Berija che questi si sarebbe comportato con arroganza nei suoi confronti. In quest’occasione, Sergatskov aveva detto in confidenza ai nostri compagni: "Berija si è difeso molto bene durante il processo, non ha ammesso nulla e ha respinto le accuse."[14]»

Liquidazione di Berija, golpe di Chruščëv, "discorso segreto"

La vicenda della liquidazione di Berija è poco chiara. La versione ufficiale del governo sovietico diede come giustificazione ufficiale il fatto che Berija fu imputato in quanto, presumibilmente, un "agente dei servizi britannici". Il fatto che nessun verbale di tale processo sia mai stato "redatto" e/o reso pubblico, e la testimonianza indiretta, tramite le memorie di Hoxha, di tale generale Sergatskov, fa pensare che tale processo fu una vera e propria farsa architettata da Chruščëv (il quale, ironicamente, ha poi accusato Stalin, a torto, di aver attuato dei "processi farsa" pubblici e accessibili a tutti, al contrario dei suoi "legittimi" processi privati e tenuti nascosti per mesi). Ciò non scagiona necessariamente Berija dall'accusa di essere stato anch'egli un cospiratore, come hanno già dimostrato le precedenti ricostruzioni che tutte sono unanimemente convinte nell'attribuirgli qualche responsabilità nella morte di Stalin, ma soprattutto in quanto nessuno dei principali collaboratori di Stalin ebbe parole lusinghiere anche dopo la sua morte e anche dopo la loro "caduta" politica, come ad esempio Molotov:

«Poco prima che Beria venisse liquidato dai suoi colleghi timorosi, si prese il merito della morte di Stalin. Confidò a Molotov di averli "salvati tutti", sottintendendo di aver ucciso Stalin o almeno di aver fatto in modo che il colpito Stalin non ricevesse cure mediche adeguate e tempestive[15]

Indipendentemente dalla "santità" o meno della figura storica e politica di Berija, ex capo dell'NKVD, poi MGB, ciò che è certo è che tanto la sua figura (post mortem) quanto quelle di altri collaboratori di Stalin durante il suo governo (in vita) furono soggette ad una sorta di damnatio memoriae, effettuata da Chruščëv e dai suoi uomini per poter dare una legittimità ideologica non solo al suo colpo di mano, ma anche alla sua politica di parziale restaurazione di forme economiche e amministrative tipiche del capitalismo in URSS. Tali accuse furono legittimate dal fatto che Chruščëv si trovasse in una condizione di potere, a differenza di Kaganovič, Malenkov e Molotov, e che quindi questi ultimi, pur sapendo che in qualche misura il nuovo "liberatore" Chruščëv stesse mentendo (come dimostrano le memorie di Molotov, con tanto di data per le dichiarazioni, moltissime delle quali avvenute dopo la "caduta" dello stesso Chruščëv), ma non avendo più l'accesso diretto agli archivi, non potevano dimostrarlo. Nel 1957 Malenkov si riunì alla "vecchia guardia" capitanata da Malenkov e Kaganovič e votarono una "mozione di sfiducia" contro Chruščëv nel Presidium della presidenza del Soviet Supremo (l'organo collegiale che fungeva da capo di stato sovietico), con una maggioranza dei voti di 7 a 4. Chruščëv, però, confutò la loro mozione affermando che solo un voto da parte del Plenum, cioè del Politburo del Partito, potesse effettivamente rovesciarlo; è importante precisare che le sue dichiarazioni furono rafforzate da un discorso del maresciallo Zukov, il quale, minacciando addirittura di usare il potere militare contro tutti gli oppositori (di fatto rivelando la natura da golpe militare della cricca kruscioviana). È interessante notare, nonostante tutto, che un "penitente" Zukov, prima di morire, ebbe da riconoscere il revisionismo di Chruščëv, la validità di Stalin come "capo" politico e ideologico, e il suo "errore" nell'avere supportato l'ala revisionista del PCUS. Finnish Bolshevik, in merito, conclude che molto probabilmente l'ipocrita maresciallo, eroe sì della Grande Guerra Patriottica, ma traditore tardivo della Rivoluzione d'Ottobre, supportò Chruščëv per puro opportunismo: quest'ultimo promosse il maresciallo a ministro della difesa, mentre Stalin lo degradò perché implicato in dei procedimenti per corruzione. Le "tesi" di Chruščëv furono confutate apertamente dai contemporanei cinesi alla guida del Partito Comunista Cinese di Mao Tse Tung e dagli albanesi alla guida del Partito del Lavoro d'Albania di Enver Hoxha, a partire dal 1960, e con loro anche "dissidenti" all'interno di partiti comunisti occidentali, come Bill Bland, marxista-leninista britannico vicino alle posizioni degli albanesi. Tutte le loro principali tesi sono reperibili, in documenti integrali come dichiarazioni ufficiali, studi approfonditi e memorie, nella sezione bibliografica di questa voce.

Bibliografia

Note

    1. Chruščëv, citato in Prolewiki
    2. Keeran, Kenny, 2004, p.28-29
    3. Hoxha, 1981, p.31-33
    4. Allilueva, 1969, p.202
    5. Allilueva, 1967, p.216
    6. Deriabin, 1972, p.325-327
    7. Salisbury, 1952, p. 157, citato in Finnish Bolshevik
    8. Mcneal, 1988, p.304
    9. Lewis, Whitehead, 1990, p.179, citato in Finnish Bolshevik
    10. Vogolnikov, 1988, p.XIX,333,513
    11. Furr, 2005, parte 2, p.3-7
    12. Salisbury, 1952, p.163-64, 166, 171, 173, citato in Finnish Bolshevik
    13. Deriabin, 1972, p.328-329
    14. Hoxha, 1980, p.11-12, 13-18, 19-24, 26-27, 30-32
    15. Molotov, Chuev, 1993, p.161