Processi di Mosca

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I Processi di Mosca furono una serie di processi tenutisi in Unione Sovietica contro i trotskisti e contro i membri dell'opposizione di destra che attuavano operazioni di sabotaggio e spionaggio. Nonostante i verbali dei processi, le testimonianze degli ambasciatori britannico e statunitense che assistettero ai processi, le confessioni stesse degli imputati, che all'epoca degli atti giudiziari dimostrarono in modo inoppugnabile la validità delle sentenze e la colpevolezza degli imputati almeno di quanto ebbero confessato (al punto che persino Alcide De Gasperi, citando "documenti inoppugnabili da parte statunitense", affermò che vi furono sabotatori e che i processi erano legittimi[1]), la vulgata anticomunista, sia da destra che da "sinistra", afferma, senza la benché minima prova (e anzi facendosi forza della propria mancanza di prove, in virtù del "Paradigma Anti-Stalin" citato dallo storico Grover Furr[2]), che essi furono dei processi farsa. Lo scopo di questa voce, con tanto di bibliografia e citazioni di fonti, è di dimostrare la realtà dei fatti, ben diversa dalla propaganda.

Premessa: Frazionismo, Centralismo Democratico, Opposizione Interna al Partito Comunista Russo (Bolscevico), 1921-27

Durante il 10° Congresso del Partito Comunista Russo (Bolscevico) nel 1921, Lenin propose il divieto delle fazioni interne al partito per preservare il principio del Centralismo Democratico. Questo principio, riassunto nella formula libertà di discussione, unità d'azione, prevedeva la libertà di discussione interna ma imponeva l'obbligo di seguire le decisioni prese dal partito, impedendo la formazione di correnti che contraddicessero la linea ufficiale. Lenin impose il rispetto di questo principio a gruppi come gli anarco-sindacalisti, i trotskisti e la "sinistra-comunista" di Bucharin[3].

Dal 1921 al 1927, con Stalin che rappresentava la maggioranza del partito, si verificò la formazione dell'Opposizione Unificata, un blocco frazionista guidato da Grigorij Zinovjev, Lev Kamenev e Lev Trotskij. Questo gruppo si sciolse dopo una manifestazione nell'Ottobre del 1927, in cui i suoi leader criticarono apertamente la linea staliniana, violando il Centralismo Democratico. Zinovjev e Kamenev si scusarono per evitare l'espulsione, mentre Trotskij rifiutò e fu espulso ed esiliato. Dall'esilio, Trotskij iniziò a criticare Stalin, accusandolo di dittatura e repressione.

Cospirazioni Trotskiste, gruppo "Bolscevichi-Leninisti" di Opposizione (1932)

Ricevuta della lettera ("misteriosamente" scomparsa negli anni della chiusura dell'archivio di Harvard al pubblico) inviata da Trotskij a Radek nel 1932

Gli oppositori guidati da Trotskij furono accusati di spionaggio, sabotaggio e di aver creato un'organizzazione illegale contro l'Unione Sovietica. Trotskij negò sempre queste accuse, ma la corrispondenza tra lui e suo figlio, Lev Sedov, resa pubblica nel 1980 con l'apertura dell'archivio di Harvard, racconta una storia diversa. Lo storico trotskista Pierre Broué, nonostante le sue intenzioni di difendere Trotskij, fu costretto ad ammettere l'esistenza di un "blocco delle opposizioni" e una cospirazione. Le lettere rivelano l'esistenza di vari gruppi, come i trotskisti, zinovievisti, il gruppo di Ivan Nikitič Smirnov, il gruppo Sten-Lominadze, il gruppo "Safar(ov)-Tarkhan(ov), i "destri" e i "liberali". che erano a conoscenza del blocco, anche se non tutti vi partecipavano attivamente.

Gli oppositori guidati da Trotskij sarebbero stati in seguito accusati di spionaggio, sabotaggio e di avere creato un'organizzazione illegale e clandestina di opposizione all'interno dell'Unione Sovietica. Trotskij ha sempre negato queste accuse, ma la corrispondenza tra quest'ultimo e il figlio, , resa pubblica nel 1980, quando l'archivio delle lettere di Trotskij di Harvard è stato aperto al pubblico, mostra una versione diversa dei fatti. Nel 1980, quando fu de-secretato l'archivio di Harvard di Trotskij, le lettere venute alla luce poterono venire studiate dallo storico trotskista, , che, a dispetto delle sue migliori intenzioni di dimostrare la validità del suo "maestro" politico, è stato invece costretto, per quanto a denti stretti e sminuendo gran parte delle rivelazioni, ad ammettere che tale blocco delle opposizioni esisteva davvero, e che un'opera di cospirazione era davvero in atto in quegli anni[4].

La scoperta che Trotskij e suo figlio Sedov avessero mentito ai loro seguaci fu scioccante per lo storico trotskista Pierre Broué. Tuttavia, ancora più sorprendente fu la rivelazione che l'archivio delle lettere di Trotskij a Harvard era stato manipolato prima della sua apertura al pubblico nel 1980, con parti potenzialmente più incriminanti rimosse. Si ipotizza che la moglie di Trotskij e lo storico Isaac Deutscher, che visitarono l'archivio prima della sua apertura, siano stati responsabili di queste alterazioni. Nonostante queste rivelazioni, molte persone, sia da destra che da "sinistra", continuano a negare l'esistenza di cospirazioni o blocchi di opposizione all'interno dell'URSS. Tuttavia, queste lettere hanno influenzato la nascita di una nuova corrente di pensiero nella sovietologia, guidata dallo storico J. Arch. Getty. Anche lui ha concluso che l'archivio fu censurato durante il periodo in cui era chiuso al pubblico.

Secondo J. Arch. Getty, nonostante Trotskij negasse di mantenere contatti con ex seguaci in URSS dopo il suo esilio nel 1929, in realtà inviò lettere segrete a ex oppositori, come Karl Radek e Grigorij Sokol'nikov. Anche se il contenuto di queste lettere non è noto, sembra che cercassero di convincere questi ex alleati a tornare all'opposizione. Nello stesso anno, un ex trotskista, E. S. Gol'tsman, incontrò Lev Sedov a Berlino e consegnò un memorandum economico sovietico, insieme a una proposta per formare un blocco di opposizione unito. Questo blocco avrebbe incluso trotskisti, zinovievisti, e altri gruppi di sinistra[5].

Trotskij approvò l'idea di un blocco, ma chiarì che doveva trattarsi di una collaborazione limitata, non di una fusione completa. Il blocco si formò, ma poco dopo alcuni leader chiave, come Smirnov, Zinoviev e Kamenev, furono arrestati, compromettendo il movimento. Nonostante questo, Sedov continuava a credere che il blocco potesse andare avanti. Trotskij, dal suo esilio, cercava di mantenere contatti segreti con i suoi sostenitori in URSS, inviando messaggi tramite intermediari. Incoraggiava gli oppositori a diventare più attivi, nonostante i rischi. È evidente, quindi, che Trotskij aveva un'organizzazione clandestina all'interno dell'URSS e che un blocco di opposizione fu effettivamente creato nel 1932[5].

Pierre Broué, pur riconoscendo la validità delle rivelazioni sul blocco di opposizione, ha risposto che in fondo concorda con le conclusioni di J. Arch. Getty. Secondo Broué, i nuovi dati sull'organizzazione dei blocchi di opposizione comunista e i tentativi di unificazione distruggono l'immagine di uno Stalin onnipotente e machiavellico. Broué sostiene che l'URSS negli anni '30 attraversava una crisi economica e politica, e che Stalin, sempre più isolato, era visto come un ostacolo da parte di alcuni, anche all'interno della burocrazia sovietica. I processi di Mosca, secondo Broué, non furono un crimine gratuito, ma una sorta di "guerra civile preventiva", come descritto da Trotskij, ovvero una risposta a un conflitto interno[6].

Omicidi politici: l'assassinio di Sergej Kirov (1934)

Stando a Broué: «La corrispondenza tra Trotskij e Sedov tra ottobre e dicembre 1932, il periodo del “blocco”, costituisce una straordinaria serie di documenti. Ci permettono di seguire quasi giorno per giorno gli sforzi di Trotskij per aggrapparsi il più possibile a ciò che stava realmente accadendo nell’Unione Sovietica e di cogliere il pieno significato del “blocco”, il cui cemento era proprio l’ostilità verso Stalin e il desiderio di cacciarlo dalla carica di Segretario generale. Trotskij aprì la discussione sull’opportunità o meno dello slogan «Sbarazzatevi di Stalin» il 17 ottobre. “Sbarazzatevi di Stalin”, scrisse, «è corretto in un senso ben definito e concreto», ma contrariamente agli «alleati» ed ai «destri», non lo riteneva appropriato. Infatti, scrisse che questo slogan non sarebbe stato pericoloso «se fossimo forti». Ma non rischiava di essere sostenuto dagli emigrati, dai menscevichi e dai «Termidoriani interni»? E continua: «È sempre possibile che tra qualche mese Stalin sia costretto a difendersi dalla pressione termidoriana, e che noi saremo costretti a sostenerlo momentaneamente». Infatti, «questa fase non è ancora superata e, di conseguenza, questa parola d’ordine non corrisponde alle esigenze del movimento».[7]

Nel 1934, due anni dopo questa corrispondenza, in nome dello slogan «Sbarazzatevi di Stalin», fu assassinato Sergej Kirov, capo della sezione di Leningrado del PCR(B), e il suo assassino, tale Leonid Nikolaev, pare avesse tentato il suicidio prima di venire catturato, fallendo nel suo intento. Sebbene durante gli interrogatori presso le autorità Nikolaev avesse affermato di essere un "lupo solitario" e di non avere mandanti, ha poi in seguito affermato di aver fatto parte di una cospirazione più ampia i cui mandanti sarebbero stati i membri del blocco Zinovievita-Trotskista clandestino. Trotskij e i suoi seguaci, e in seguito i detrattori di Stalin come Nikita Chruščëv o Michail Gorbačëv, hanno affermato di continuo, senza alcuna prova alla mano, che in realtà l'assassinio di Kirov fu una specie di operazione psicologica, e che Stalin avesse ordinato l'assassinio di Kirov, uno dei suoi più potenti alleati, per poter avere un pretesto per dare avvio alle sue "politiche dittatoriali". In merito a queste accuse, sia lo storico liberale-borghese J. Arch. Getty che lo storico marxista-leninista Grover Furr, con i loro studi, dimostrandone la falsità, hanno avuto da dire;

Arch. Getty: «Nel corso degli anni, ci sono state tre, e forse quattro, indagini "blue ribbon" sull'omicidio di Kirov... Chruščëv e Gorbačëv volevano attribuirne la responsabilità a Stalin e tutti e tre hanno scelto di conseguenza i loro investigatori. Avendo potuto familiarizzare con i materiali d'archivio di questi sforzi, è chiaro che nessuna delle tre indagini ha prodotto le conclusioni desiderate. In particolare, gli sforzi dell'era Chruščëv e Gorbačëv hanno comportato un'ampia analisi di archivi e interviste e non sono riusciti a concludere che Stalin fosse dietro l'omicidio. Lo sforzo di Stalin, ovviamente, ha concluso che l'opposizione lo aveva fatto ed era la base per i processi di Mosca.»[8]

G. Furr: «Il significato più ampio dell’omicidio di Kirov si rivelò solo gradualmente nel corso dei successivi tre anni. I fili che legavano i cospiratori di Kirov a Zinoviev e Kamenev, seguiti dagli investigatori dell'NKVD, portarono ai tre "processi farsa" di Mosca del 1936, 1937 e 1938 e al processo dei comandanti militari noto come "Affare Tuchačevskij" del 1937. Quest'ultimo portò a sua volta all'"Ežovščina", noto anche come "Grande Terrore" del 1937-1938, durante la quale alcune centinaia di migliaia di cittadini sovietici, certamente innocenti, furono arrestati e giustiziati, mentre molti altri vennero imprigionati. Il 5 marzo 1953 morì Iosif Stalin. Nel giro di pochi mesi Nikita Chruščëv era diventato il leader più potente dell'Unione Sovietica. Prima che Stalin morisse, molti mesi prima che Chruščëv iniziasse a organizzare una campagna per attaccare Stalin. Una parte importante di questo sforzo fu dichiarare che Stalin aveva inventato falsi casi contro tutti gli imputati dei processi di Mosca e dell'affare Tuchačevskij. Chruščëv accennò a queste cose nel suo famoso "Discorso segreto" del 25 febbraio 1956. Nello stesso discorso mise anche in dubbio la versione ufficiale dell'assassinio di Kirov. All'interno della dirigenza del partito Chruščëv e i suoi uomini promossero le "riabilitazioni" di molte persone che erano state giustiziate durante gli anni '30, tra cui alcuni degli imputati del processo di Mosca. Chruščëv e i suoi uomini cercarono con tutte le loro forze di trovare qualsiasi prova possibile per dimostrare che Stalin era dietro l'omicidio di Kirov. Ma non ci riuscirono, e così alla fine si accontentarono di una storia secondo cui Nikolaev aveva agito da solo. La versione secondo cui Stalin aveva causato l'uccisione di Kirov continuò a circolare, diventando ampiamente creduta sia all'interno che all'esterno dell'Unione Sovietica. Fuori dalla Russia la versione "Lo fece Stalin" continuò per un po' grazie ai libri di due noti scrittori anticomunisti: Robert Conquest, che scrisse Stalin and the Kirov Murder nel 1989, e Amy Knight, autrice di Who Killed Kirov? (1997). Entrambe queste opere si basano molto su voci e sentito dire. Durante il periodo di Gorbačëv, funzionari di partito di alto rango fecero un altro tentativo di promuovere la tesi che Stalin avesse ucciso Kirov. Anche questo tentativo fallì a causa della totale mancanza di prove a sostegno. Dal 1990, la tesi ufficialmente accettata in Russia è che Nikolaev agì da solo e che Stalin "usò" l'omicidio di Kirov per incastrare ex o presunti rivali, costringendoli ad ammettere crimini che non avevano mai commesso e giustiziandoli, insieme a molte altre migliaia di persone.»[9].

È importante sottolineare che anche questa "ricostruzione ufficiale" degli eventi del 1934 è contraddittoria con la realtà dei fatti che si può rinvenire dagli studi delle fonti di archivio fatti da entrambi gli storici, in quanto l'esistenza di un "Blocco Unito delle Opposizioni" clandestino, con velleità terroriste e pronto ad atti di sabotaggio, era all'epoca sconosciuto sia a Stalin che al resto del governo sovietico, che scoprirono della sua esistenza solo in seguito all'omicidio di Kirov del 1934. Secondo Getty: «Ci sono due possibilità. Forse Jagoda venne a conoscenza del blocco del 1932 solo all'inizio del 1936. Stalin ed Ežov, sospettosi della tardività di questa scoperta, assegnarono Ežov all'NKVD come cane da guardia. In alternativa, Jagoda potrebbe aver saputo del blocco da un po' di tempo (forse anche dal 1932) ma lo nascose o ne minimizzò l'importanza. Ežov e/o Stalin lo scoprirono all'inizio del 1936 e divennero sospettosi delle motivazioni di Jagoda. In entrambi i casi, Stalin deve aver avviato o almeno sanzionato il procedimento, ma gli eventi successivi avrebbero dimostrato che non aveva né diretto né approvato il corso delle indagini in queste prime fasi.»[10]. Getty ha successivamente confermato queste sue tesi asserendo, in merito, che: «Il capo dell'NKVD Jagoda non è mai stato il burattino di Stalin. Stalin non lo ha mai amato né si è mai fidato di lui, e fu necessario sostituirlo con Ežov nel 1936 per garantire il controllo di Stalin sulla polizia. Nel 1934, dopo l'omicidio di Kirov, Jagoda fu immediatamente rimosso dall'indagine, che fu condotta da due persone che erano critiche e gelose di Jagoda: Jakov Agranov e Nikolaj Ežov. Eventi successivi avrebbero dimostrato che erano in effetti ansiosi di diffamare o persino implicare Jagoda: ci sono buone prove che entrambi in effetti volevano il suo lavoro. I documenti d'archivio ora mostrano che hanno condotto un'indagine di vasta portata, compresi gli interrogatori di decine di uomini dell'NKVD di Leningrado su eventuali collegamenti che potevano avere con l'assassino Nikolaev. Alla fine, Ežov trasferì, declassò o censurò in altro modo più di 200 ufficiali dell'NKVD di Leningrado per incompetenza. Se qualcuno di loro "sapesse troppo del coinvolgimento di Stalin" sarebbe stato messo a tacere in modo permanente e, cosa più importante, immediatamente. Invece, sono stati lasciati liberi per più di due anni di raccontare la storia, qualunque essa fosse. Nessuno lo ha mai fatto, perché non c'era nessuna storia da raccontare.»[11]

A seguito delle confessioni di Nikolaev, furono imputati a processo Zinoviev e Kamenev come mandanti dell'assassinio di Kirov. Le investigazioni, con tanto di testimonianze e confessioni degli stessi imputati, si conclusero con la sentenza definitiva, che li dichiarò colpevoli di cospirazione, terrorismo e alto tradimento. La vulgata anticomunista asserisce che i processi furono una "farsa", e, senza uno straccio di prova, asseriscono o che le confessioni sono state estorte con la tortura o l'inganno, o che comunque le prove sarebbero state "falsificate". A smentire tali asserzioni ci ha pensato, nei suoi ultimi anni di vita, Aleksandr Zinovjev (da non confondere con Grigorij Zinoviev, con cui non era neanche imparentato), processato anch'egli come dissidente e oppositore cospirazionista nel 1939, ma assolto per insufficienza di prove. Nel 1978, dopo aver lasciato l'Europa dell'Est e il socialismo reale, si è stabilito in Europa occidentale e, dopo aver confrontato i due sistemi, nel 1999 ha pubblicato queste dichiarazioni: «Sono stato antistalinista convinto dall'età di diciassette anni. L'idea di un attentato contro Stalin occupava i miei pensieri e i miei sentimenti. Abbiamo studiato la possibilità “teorica” di un attentato. Siamo passati alla preparazione pratica. […] Se mi avessero condannato a morte nel 1939, questa decisione sarebbe stata giusta. Avevo concepito il piano di uccidere Stalin e questo era un crimine, non è vero? Quando Stalin era ancora in vita, avevo una diversa visione delle cose, ma ora che posso avere una visione d'insieme di questo secolo, dico: Stalin è stato la più grande personalità del nostro secolo, il più grande genio politico. Assumere un atteggiamento scientifico nei confronti di un personaggio è cosa diversa dal manifestare un'opinione personale»[12]. Il fatto che fu arrestato, processato, ma dichiarato innocente per insufficienza di prove, dimostra che la pregiudiziale dei tribunali dei processi di Mosca nei confronti degli imputati era "innocente finché non si dimostra il contrario", e che quindi lo svolgimento dei processi era tutt'altro che farsesco: perché "falsificare" prove o "estorcere confessioni false" per il gruppo Zinovievita e non fare altrettanto per un dissidente e cospiratore affermatosi qualche anno più tardi?

Infiltrazioni all'interno dell'NKVD

Getty afferma: «Gli staff di Trotskij e Sedov erano completamente infiltrati e si dice che il più stretto collaboratore di Sedov nel 1936, Mark Zborowski, fosse un agente dell'NKVD. Nel 1936, il blocco del 1932 sarebbe stato interpretato dall'NKVD come un complotto terroristico e avrebbe costituito il pretesto originale per la campagna di Ežov per distruggere l'ex opposizione.»[13]

Confessioni, memorie e ulteriori prove che dimostrano l'esistenza di sabotatori e di un "blocco unito"

Jules Humbert-Droz, amico intimo di Bucharin e comunista svizzero di lingua francese attivo presso il Comintern, nelle sue memorie (pubblicate nel 1971, alla sua morte, ben oltre la destalinizzazione di Chruščëv e la "riabilitazione" di Bucharin) ricorda un particolare episodio avuto nel suo ultimo incontro con questi, prima di partire per l'America Latina: «Prima di partire andai a trovare Bucharin un'ultima volta, non sapendo se lo avrei rivisto al mio ritorno. Abbiamo avuto una lunga e sincera conversazione. Mi ha informato dei contatti presi dal suo gruppo con la frazione Zinoviev-Kamenev per coordinare la lotta contro il potere di Stalin. Non gli ho nascosto che non approvavo non questa connessione delle opposizioni: “La lotta contro Stalin non è un programma politico. [...] A seguito di una vittoria comune contro Stalin, questi problemi politici ci divideranno. Questo blocco è un blocco senza principi, che crollerà prima ancora di riuscire”. Bucharin mi ha anche detto che avevano deciso di usare il terrorismo individuale per sbarazzarsi di Stalin. Anche su questo punto gli ho espresso le mie riserve: l'introduzione del terrorismo individuale nelle lotte politiche nate dalla Rivoluzione russa rischia di rivoltarsi contro coloro che vorrebbero usarlo. Non è mai stata un'arma rivoluzionaria. “La mia opinione è che dobbiamo continuare la lotta ideologica e politica contro Stalin."»[14] È importante notare come Humbert-Droz, pur essendo politicamente vicino alle tesi di Bucharin e quindi opposto a Stalin (nelle medesime pagine delle memorie e nel medesimo episodio raccontato si esprime contro Stalin con tesi non dissimili da quelle trotskiste e disfattiste dell'epoca) e alla maggioranza del PCR(B) e del Comintern, abbia condannato l'opposizione contro Stalin formata con coalizioni, organizzazioni clandestine e piani di assassinio e attentati terroristici, per il semplice motivo pratico che questa strategia sarebbe stata (come poi lo fu) una strategia suicida.

Un'altra confessione importante, simile a quelle di Humbert-Droz e di Zinoviev, è quella di tale Grigorij Aleksandrovič Tokaev, ex militare sovietico e membro di un gruppo di cospiratori interno all'Armata Rossa che ebbe contatti anche con il gruppo clandestino di Bucharin, e seppe in anticipo del piano di assassinio di Kirov. Mai pentitosi, a differenza di Aleksandr Zinoviev, e scappato nel Regno Unito nel 1948 come disertore, Tokaev afferma: «Stalin mirava alla dittatura di un solo partito e alla completa centralizzazione. Bucharin immaginava diversi partiti e persino partiti nazionalisti, e sosteneva il massimo della decentralizzazione. Era anche a favore dell'attribuzione di autorità alle varie repubbliche costituenti e pensava che le più importanti di queste avrebbero dovuto persino controllare le proprie relazioni estere. Nel 1936, Bucharin si stava avvicinando al punto di vista socialdemocratico dei socialisti di sinistra dell'Occidente.»[15] E ancora, in un'altra opera dello stesso autore: «Bucharin voleva che agissimo con maggiore determinazione. Dovevamo strappare l'iniziativa dalle mani del triumvirato Stalin-Molotov-Kirov. Avremmo dovuto stimolare la generazione più giovane di lavoratori e contadini in un movimento di opposizione. Avremmo dovuto far risuonare più forte il nostro Noi, e in effetti ogni nostro Io, perché non eravamo forse cittadini e padroni del nostro paese, e legittimi eredi della Rivoluzione?»[16]. In modo abbastanza grottesco e de-umanizzante, l'impenitente Tokaev, oltre ad attribuire assurdamente la paternità della costituzione del 1936 a Bucharin (e non a Stalin, vero autore), ritiene nella sua opera che Kirov meritasse di essere assassinato, e che se l'era cercata, la sua morte, "tradendo" non si sa bene quali specificati "principi rivoluzionari" tanto sposati da egli, dai trotskisti e più in genere da qualsiasi anticomunista di sinistra "ex comunista": «Se mai Leningrado, per quanto sofferente, raccontasse la sua storia, il secondo carnefice si rivelerà essere Ždanov, ma il primo sarà Kirov. Quindi non è stato sorprendente che gli oppositori di Leningrado abbiano riversato il loro odio su di lui. Quando l'assassino, Nikolaev, al suo primo controinterrogatorio dichiarò che l'opposizione di Leningrado aveva i suoi conti speciali da regolare con Kirov, stava solo dicendo la verità. L'errore risiedeva solo nel metodo di risoluzione.»[17]

Tali citazioni sono riportate in questa voce per un duplice motivo: anzitutto per mostrare la vera natura di tutti i "martiri della dittatura staliniana" tanto osannati dalla propaganda liberal-capitalista, tutt'altro che dei protestanti pacifici e gandhiani (tant'è vero che si potrebbero fare delle similitudini con i dissidenti russi contemporanei come il fu Navalnij), e in seguito, come motivazione di maggiore grandezza, dimostrare quanto gli stessi dissidenti pacifici, a dispetto del loro continuo contraddirsi, abbiano più volte ammesso, in memorie personali reperibili pubblicamente, l'esistenza di complotti e la loro colpevolezza.

La scoperta delle organizzazioni trotskiste (1935-36)

Come già scritto in altri paragrafi di questa voce, la scoperta vera e propria da parte dell'NKVD dell'organizzazione clandestina di opposizione avvenne nel 1936. Per quanto fossero già presenti degli "ex"-trotskisti ed "ex"-oppositori, l'esistenza di un'organizzazione di questo tipo, clandestina, e specializzata in attentati terroristici e azioni di sabotaggio, fu una scoperta nuova. Altrettanto sorprendente fu la scoperta che tra i capi di questa organizzazione c'erano non solo Zinoviev e Kamenev, ma anche molti altri "ex"-trotskisti che in teoria in quel momento avevano fatto "ammenda" e ufficialmente accettato la linea politica del PCR(B). Lo stesso Trotskij ha continuamente negato, dal 1927, di aver continuato ad avere contatti con i futuri imputati, anche se dai contenuti delle lettere tra quest'ultimo e il figlio Sedov è gia stato illustrato come questo sia falso. Come già illustrato nell'opera di Getty del 1987, già citata in precedenti paragrafi di questa voce, Trotskij in realtà mantenne una corrispondenza più o meno regolare con "ex" suoi seguaci come Radek e Sokolnikov, per quanto il contenuto delle lettere sia sparito, probabilmente a causa della già menzionata manipolazione e censura, probabilmente di materiale compromettente, che comunque non impedisce né a Getty ne a chiunque altro possa leggere ulteriori prove archiviali di giungere alla lapalissiana conclusione che il contenuto di tali lettere non fossero solo convenevoli, ma probabilmente anche inviti a "rientrare" nell'opposizione, oppure, più probabilmente, istruzioni su come agire all'interno del nascente blocco d'opposizione clandestino.

Lev Sedov, figlio di Trotskij, ha affermato in seguito ai primi processi di Mosca che: «L'Opposizione di Sinistra è sempre stata un'oppositrice intransigente delle combinazioni e degli accordi dietro le quinte. Per essa, la questione di un blocco poteva consistere solo in un atto politico aperto e in piena vista delle masse, basato sulla sua piattaforma politica. La storia della lotta durata 13 anni dell'Opposizione di Sinistra ne è la prova.»[18]

In merito a questa affermazione (falsa, e smentita da fonti già citate in precedenza in questa medesima voce), Pierre Broué (storico trotskista, è necessario ribadire), che ha potuto esaminare il contenuto delle lettere dell'archivio di Harvard, ha avuto da ridire: «Questo documento, scritto all'indomani del primo processo di Mosca, è in completa contraddizione con il documento in inchiostro simpatico scritto da Sedov nel 1932, a testimonianza dei negoziati con i "trotskisti" in URSS, nonché con la lettera di Trotskij che approva la formazione del "blocco" come alleanza e non come fusione, con i commenti di Trotskij citati sopra.»[19]

Coinvolgimento del "blocco dei destri"

Il coinvolgimento del "blocco dei destri" guidato da Bucharin può essere riassunto in questa breve ricostruzione da parte degli storici e sovietologi britannici Carr e Davies: «Sokol'nikov si presentò nell'appartamento di Kamenev alle 9 del mattino dell'11 luglio 1928 e cominciò a raccontare a Kamenev cosa era successo nel comitato centrale del partito. Kalinin e Vorošilov erano passati alla maggioranza. Bucharin aveva identificato la politica ufficiale con quella di Preobrazenskij; Rykov aveva attaccato Kaganovič. «La linea di Stalin è stata sconfitta». Bucharin aveva detto due volte (presumibilmente in privato a Sokol'nikov) che ora avrebbe "rinunciato a Stalin per Kamenev e Zinoviev"; voleva vedere Kamenev e sperava in "un blocco per rimuovere Stalin".»[20] In realtà, come concluso nella ricostruzione storica da parte dei già citati autori, Stalin era tutt'altro che sconfitto, ed era riuscito, con una strategia di saggio attendismo e dissimulazione, da una parte a prendere il controllo della maggioranza del partito, di organi di informazione come la Pravda, di sezioni di partito di intere repubbliche "contese", come la repubblica sovietica ucraina, e dall'altra parte a non concedere niente alle vecchie opposizioni riunite; di questo era consapevole anche Bucharin, che doveva apparire a Kamenev come un uomo ormai mentalmente sconfitto e fatalista, al punto da definire Stalin, come avversario, alla pari di Gengis Khan; Bucharin era altresì consapevole delle miriadi di divergenze tra le diverse fazioni politiche opposte alla maggioranza di Stalin, che avevano in comune soltanto il fatto di trovarsi all'opposizione, al punto da affermare: «Stalin attenderà che noi iniziamo a discutere per poi tagliarci la gola.» Stalin, politicamente, era addirittura più forte di quanto temesse Bucharin, in quanto era riuscito a rafforzarsi politicamente senza concedere alcuna posizione politica né a Bucharin né a Kamenev.[21] Ritrovandosi più impopolari e irrilevanti che mai nella legalità delle istituzioni politiche rivoluzionarie sovietiche, quindi, tutti gli oppositori della maggioranza, da destra a "sinistra", hanno ritenuto, in un atto, in ultima istanza, di disperazione, di poter "prevalere" politicamente solo e soltanto agendo in clandestinità e ricorrendo al terrorismo e al sabotaggio. Tale ricostruzione sarebbe confermata dalla confessione di Bucharin durante gli interrogatori del suo processo: «Il trio [Bucharin, Rykov, Tomskij, ndr] divenne un centro illegale e quindi, mentre questo trio era stato in precedenza a capo dei circoli di opposizione, ora divenne il centro di un'organizzazione controrivoluzionaria illegale. E nella misura in cui, ripeto, erano illegali in relazione al Partito, divennero quindi illegali in relazione alle autorità sovietiche. Vicino a questo centro illegale c'era Enukidze, che aveva contatti con questo centro tramite Tomskij. Uglanov, la cui influenza nell'organizzazione del Partito era piuttosto considerevole perché solo poco tempo prima aveva guidato l'organizzazione del Partito di Mosca, era anche vicino al centro in quel momento. In questo periodo, approssimativamente verso la fine del 1931, i membri della cosiddetta scuola furono trasferiti a lavorare fuori Mosca - a Voronež, Samara, Leningrado, Novosibirsk - e questo trasferimento fu utilizzato per scopi controrivoluzionari anche allora.»[22]

Coinvolgimento dei militari "vlasoviti" e di Tuchačevskij

Un'altra figura, ovviamente osannata dalla propaganda anticomunista come un "martire" delle "persecuzioni dittatoriali" di Stalin, è il generale Michail Nikolaevič Tuchačevskij. Santificato come un povero innocente vittima di barbarie e di invidia da parte ora di Stalin, ora di altri suoi colleghi come il generale di origine cosacca Budyenny, in realtà all'epoca dei fatti Tuchačevskij era unanimemente accettato, in Oriente come in Occidente, per il traditore quale era. A dispetto della propaganda anticomunista e antisovietica, che bolla la sola ipotesi come assurda, moltissimi generali sovietici in realtà, lungi dall'essere convinti compagni seguaci dell'immortale scienza del Marxismo-Leninismo, hanno agito solo e soltanto avendo in mente la propria carriera personale e l'aumento di rango. Stando a quanto riportato dallo storico e sovietologo russo Jurij Emelianov:

«Ma anche prima della pubblicazione di questi e altri libri russi, un certo numero di autori in Occidente ha presentato alcuni fatti che hanno dimostrato senza dubbio che la cospirazione di Tuchačevskij non era il risultato della creduloneria di Stalin o un frutto della sua immaginazione, ma una cruda realtà. I fatti appropriati furono narrati nelle memorie di un ex capo dell’intelligence tedesca Walter Schellenberg, in un libro di un ex ufficiale del NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni) Alexander Orlov, che fuggì dall’URSS in Occidente nel 1938, in un libro ‘The Conspirators ‘di uno storico americano Geoffrey Bailey. Un breve resoconto di come si è formato e sviluppato il complotto di Tukhachevsky è stato fornito nel libro “Hitler Moves East 1941-1943” da un ex interprete personale di Hitler, Paul Schmidt (il suo nome letterario – Paul Carell). Riassumendo tutti questi fatti narrati e analizzati da autori russi, tedeschi e americani si giunge alla conclusione che l’origine degli eventi del giugno 1937 differisce radicalmente dalla spiegazione data da Chruščëv e dai moderni mass media politici russi. Prima di tutto, questi eventi erano collegati alla lotta in corso all’interno del Partito Comunista Sovietico negli anni ’20. Si dovrebbe tenere conto che dal 1918 L. D. Trotskij era il presidente del Consiglio militare rivoluzionario della Repubblica sovietica e il suo commissario popolare per gli affari militari. Molte delle figure di spicco dell’Armata Rossa furono nominate da Trotskij durante la Guerra Civile. Condividendo le opinioni politiche del loro capo, tendevano a sopravvalutare i metodi di amministrazione militare e il ruolo dell’Armata Rossa nel processo rivoluzionario mondiale. Molti di loro continuarono a occupare posti di comando nell’Armata Rossa dopo che Trotskij fu estromesso dai suoi incarichi nel 1925. Nonostante le loro pubbliche ritrattazioni, molti di loro continuarono a condividere le opinioni e gli atteggiamenti di Trotskij con la loro tipica miscela di avventurismo e disprezzo per i principi ideologici, specialmente quando si trattava dei nemici della rivoluzione sovietica. L’approccio avventuroso ai problemi della strategia militare e dell’organizzazione dell’Armata Rossa era caratteristico di Tuchačevskij e del gruppo dei suoi sostenitori. Le differenze su questi temi portarono a un confronto latente ma crescente di questo gruppo con la maggioranza dei comandanti dell’Armata Rossa. Come lo stesso Trotskij, molti trotskisti dell’Armata Rossa erano inclini a mettere le loro ambizioni personali al di sopra degli interessi della classe operaia e dello stato sovietico. Alcuni di loro sognavano carriere bonapartiste. La tendenza a concludere alleanze con forze politicamente e ideologicamente aliene per amore della lotta personale per il potere (così tipica di Trotskij durante la sua carriera politica) si è rivelata nello stabilire strette relazioni tra alcuni ufficiali sovietici e tedeschi. A quel tempo il trattato di Versailles proibiva alla Germania di avere istituti di istruzione militare. Secondo un accordo segreto sovietico-tedesco concluso su iniziativa del trotskista Karl Radek, allora influente nel governo sovietico, un folto gruppo di ufficiali tedeschi istituì le loro scuole militari nella Russia sovietica aggirando così le clausole del trattato di Versailles. Non solo Radek, ma altri leader sovietici sostenevano questo accordo poiché a quel tempo la cooperazione della Russia sovietica con la Germania era vista come una svolta del fronte antisovietico unito degli stati capitalisti. Le possibili conseguenze negative dell’accordo non sono state prese in considerazione. Mentre esisteva l’accordo sovietico-tedesco, Tukhachevsky e un certo numero di altri comandanti militari sovietici coltivavano relazioni amichevoli con i loro colleghi tedeschi. Quest’ultimo invitava spesso gli ufficiali sovietici in Germania. Purtroppo tali contatti non si sono limitati a scambi di opinioni nel campo di problemi puramente professionali. Alcuni militari di entrambi i paesi tendevano a discutere i vantaggi del governo militare e le possibilità di interferenza congiunta dei militari nella vita dei civili di entrambi i paesi. I piani per l’assistenza reciproca dei militari dei due paesi in caso di cambiamenti politici nei due paesi hanno cominciato ad evolversi. L’acquisizione nazista nel 1933 interruppe l’attiva cooperazione militare tra Germania e Unione Sovietica. Sebbene a quel tempo l’esercito tedesco sostenesse completamente Hitler, erano desiderosi di pensare ai propri interessi ed erano pronti a prendere il potere se il regime nazista avesse vacillato. (I cospiratori militari tedeschi eseguirono quasi un colpo di stato nel settembre 1938. Poi temettero che la Germania avrebbe perso la guerra nel caso in cui Gran Bretagna e Francia avessero preso una posizione risoluta e difendessero la Cecoslovacchia. Solo la capitolazione di Francia e Gran Bretagna a Monaco ha si fatto che i cospiratori scartassero i loro piani. Un altro tentativo di rovesciare il governo Hitler fu intrapreso da loro nel luglio 1944, nel momento in cui il regime nazista era già condannato.) I loro piani di presa del potere militare in URSS furono nutriti da Tukhachevsky e dai suoi sostenitori. Allo stesso tempo Tukhachevsky e altri cercarono di ottenere il sostegno di alcuni ambiziosi leader del partito per la realizzazione dei loro piani bonapartisti. Secondo Paul Carell, “dal 1935 Tukhachevsky aveva mantenuto una sorta di comitato rivoluzionario a Khabarovsk … I suoi membri includevano alti funzionari amministrativi e comandanti dell’esercito, ma anche alcuni giovani funzionari del partito in cariche elevate, come il leader del partito nel Caucaso settentrionale, Boris Sheboldayev ‘. Nonostante la risoluzione dell’accordo militare sovietico-tedesco, Tukhachevsky mantenne una stretta collaborazione con i generali tedeschi. Carell scrisse: “Nella primavera del 1936 Tukhachevsky andò a Londra come capo della delegazione sovietica che partecipò ai funerali del re Giorgio V. Sia i suoi viaggi di andata che quelli di ritorno lo portarono attraverso Berlino. Ha usato l’occasione per colloqui con i principali generali tedeschi. Voleva assicurarsi che la Germania non usasse qualsiasi possibile agitazione rivoluzionaria nell’Unione Sovietica come pretesto per marciare contro l’Oriente. Ciò che gli importava di più era la sua idea di un’alleanza tedesco-russa dopo il rovesciamento di Stalin … Tukhachevsky si convinse sempre più che l’alleanza tra Germania e Unione Sovietica fosse un comandamento ineludibile della storia “. Nel suo libro “The Conspirators” Geoffrey Bailey cita un’osservazione attestata di Tukhachevsky fatta in quel momento al ministro degli Esteri rumeno Titulescu. Ha detto: ‘Hai torto a legare il destino del tuo paese a paesi che sono vecchi e finiti, come Francia e Gran Bretagna. Dobbiamo rivolgerci alla nuova Germania. Per alcuni almeno la Germania assumerà la posizione di leadership nel continente europeo ”. Nel frattempo le dichiarazioni filo-tedesche fatte da Tukhachevsky nei paesi dell’Europa occidentale durante il suo viaggio in Gran Bretagna divennero note in Francia e in Cecoslovacchia. I trattati di mutua assistenza di entrambi i paesi con l’URSS conclusi nel 1935 li unirono in una coalizione anti-nazista congiunta. L’informazione che una figura così importante come Tukhachevsky avesse preso una posizione filo-tedesca ha causato grave preoccupazione a Parigi e Praga. I due governi hanno notificato al governo sovietico le dichiarazioni di Tukhachevsky. [...] A quel punto la Gestapo ebbe notizia dei negoziati di Tukhachevsky con i capi militari tedeschi. Per avere maggiori informazioni sui rapporti tra i capi militari dei due Paesi, agenti della Gestapo sono penetrati negli archivi della Wehrmacht e hanno rubato alcuni dei documenti relativi ai contatti dei militari tedeschi con il Soviet. Gli agenti della Gestapo hanno cercato di nascondere il furto di documenti incendiando gli archivi. Dopo che i documenti rubati furono analizzati, il vice capo della Gestapo Heydrich giunse alla conclusione che c’erano ampie prove della cooperazione segreta tra i leader della Wehrmacht e l’Armata Rossa. La Gestapo informò Hitler dei documenti. Nonostante le dichiarazioni filo-tedesche di Tukhachevsky, Hitler e altri dirigenti nazisti non erano contenti dei contatti clandestini tra i capi militari della Germania e dell’URSS. I leader nazisti ritenevano che l’istituzione della dittatura militare in Russia potesse stimolare sviluppi simili in Germania. E il dittatore militare della Russia Tukhachevsky potrebbe aiutare i suoi colleghi tedeschi durante il futuro colpo di stato. Hitler ha deciso di contrastare la cospirazione congiunta dei capi militari dei due paesi. Ha ordinato l’invio dei documenti rubati a Mosca, ma aggiungendo ad essi falsificazioni per rendere i materiali ancora più scioccanti. Il capo dell’intelligence tedesca Walter Schellenberg scrisse in seguito che le false aggiunte costituivano solo una piccola parte dell’intera collezione, che fu segretamente venduta all’Unione Sovietica. (Più tardi nel 1971 V. M. Molotov affermò che lui, Stalin e altri membri del Politbureau sapevano della cospirazione di Tukhachevsky prima di ottenere i documenti tedeschi.) [...] Stalin ha suggerito che alcuni ufficiali militari siano stati coinvolti in una cospirazione per puro opportunismo. Allo stesso tempo Stalin parlò di alcuni cospiratori che furono intimiditi da Tukhachevsky e altri e furono costretti a unirsi a loro. Stalin ha proposto di perdonare queste persone se fossero venute e avesse detto onestamente della loro partecipazione al complotto. Smentendo la preoccupazione espressa da alcuni degli oratori alla sessione che gli arresti tra i militari potrebbero indebolire l’Armata Rossa Stalin disse : “Abbiamo nel nostro esercito riserve illimitate di talenti … Non bisogna aver paura di promuovere le persone verso l’alto”. Sebbene Stalin esprimesse la speranza che il numero dei cospiratori non fosse grande, presto molti militari, compresi alcuni di coloro che avevano partecipato alla sessione del 2 giugno, furono arrestati. Tra coloro che furono arrestati molti erano innocenti. Innanzitutto i loro arresti sono stati causati dall’atmosfera creata da molti funzionari locali del Partito (e Chruščëv era tra i più attivi) che, invece di cercare ragioni politiche e sociali per la cospirazione militare, hanno iniziato a fomentare l’isteria di massa. Hanno usato la cospirazione Tukhachevsky come pretesto per dimostrare che l’URSS era piena di spie straniere e quindi per mantenere metodi amministrativi tipici della guerra civile. (Successivamente Chruščëv cercò di nascondere la sua partecipazione a questa caccia alle streghe attribuendone tutta la colpa a Stalin.) Il bilancio degli arrestati aumentò anche a causa delle accuse calunniose mosse dai carrieristi nell’NKVD, pronti a ottenere la promozione per i loro successi nell’esporre ‘ nemici del popolo, o da ufficiali militari orientati alla carriera, desiderosi di prendere i posti di coloro che sono stati arrestati. Ora i mass media russi affermano che gli arresti e le esecuzioni degli ufficiali in comando dell’Armata Rossa furono fatali per lo sviluppo della Grande Guerra Patriottica. Si sostiene che il corpo degli ufficiali dell’Armata Rossa sia stato quasi decimato. Alcuni fanno notare che 40mila degli ufficiali in comando furono oggetto di varie rappresaglie nel 1937 – 1939. Infatti su 37mila ufficiali dimessi dall’Esercito in questo periodo circa 9mila furono quelli morti per cause naturali, diventati gravi malattie croniche o sono stati puniti per crimini non politici e comportamenti scorretti. Su 29mila ufficiali licenziati per reati politici 13mila furono successivamente restituiti all’esercito. Molti di loro (come il maresciallo Rokossovsky) hanno combattuto eroicamente nella Grande Guerra Patriottica. Quattromila sono stati giustiziati e circa 12mila hanno scontato le loro pene nei campi di lavoro. Sebbene si tratti di numeri elevati, si dovrebbe essere consapevoli che il numero totale degli ufficiali dell’esercito nel 1941 era di 680 mila. Al posto di Tukhachevsky e dei suoi sostenitori è arrivata una nuova coorte di generali e marescialli che si sono dimostrati abbastanza degni nello svolgere i loro doveri militari. Il riconoscimento di questo fatto venne nientemeno che da Joseph Goebbels. [...] Inavvertitamente il capo della propaganda nazista ha riconosciuto la verità di Stalin quando quest’ultimo ha parlato di “riserve illimitate di talenti” nei ranghi dell’Armata Rossa e ha affermato che Tukhachevsky e altri “non avevano contatti con il popolo” e “avevano paura del popolo” . La vittoria sulla Germania nazista e sui suoi alleati ottenuta principalmente dallo sforzo sovietico non sarebbe stata possibile se la leadership sovietica non fosse riuscita a sbarazzarsi della sua “Quinta Colonna”, simile a quelle che esistevano in molti paesi del mondo e che hanno permesso a Hitler di stabilire il suo controllo su mezza Europa. Sfortunatamente nel 1991 sia l’esercito sovietico che il partito hanno cambiato carattere e hanno perso la maggior parte dei loro stretti legami con il popolo. Questi cambiamenti hanno facilitato il temporaneo trionfo delle forze di restaurazione capitaliste sul socialismo.»[23]

In merito al coinvolgimento di Tuchačevskij e di parte dell'esercito sovietico in piani di cospirazione scrisse anche lo storico Furr, in un breve pamphlet del 1986 in cui analizzò le diverse fonti a sua disposizione (negli anni 80 gli archivi non erano ancora stati aperti) e riuscì a dimostrare, in modo non dissimile da Yemelianov circa 20 anni dopo, la verità dei fatti, ossia la natura traditrice delle azioni di Tuchačevskij:

«Nel 1928 un ex ufficiale francese pubblicò una breve biografia di Tuchačevskij “Pierre Fervacque” — pseudonimo del giornalista francese Remy Roure — era stato compagno di prigionia di Tukhachevsky nel 1917 nel campo ufficiali tedesco di Ingolstadt, in Baviera. Nel suo profilo biografico riportò il contenuto di diverse conversazioni che aveva avuto con il giovane tenente russo durante la prigionia, tra cui le seguenti: — Allora sei un antisemita, gli dissi. Perché? — Gli ebrei ci hanno portato il cristianesimo. Questa è una ragione sufficiente per odiarli. Ma poi sono una razza bassa. Non parlo nemmeno dei pericoli che creano nel mio paese. Non puoi capirlo, tu francese, per te l'uguaglianza è un dogma. L'ebreo è un cane, figlio di un cane, che diffonde le sue pulci in ogni terra. È lui che ha fatto di più per inocularci la peste della civiltà, e che vorrebbe darci anche la sua morale, la morale del denaro, del capitale. — Ora sei un socialista, allora? — Un socialista? Niente affatto! Che bisogno hai di classificare! Inoltre i grandi socialisti sono ebrei e la dottrina socialista è una branca del cristianesimo universale. … No, detesto i socialisti, gli ebrei e i cristiani. Tukhachevsky non protestò mai per il contenuto di questo libro ben noto. Al contrario, fino a poco prima della sua esecuzione, Tukhachevsky mantenne relazioni amichevoli con Roure. Parlò con il giornalista francese a un banchetto a Parigi nel 1936, e poi tre giorni dopo ebbe un'altra conversazione privata con lui. Roure ricordò nel luglio 1937 che, nel suo libro, aveva ritratto il giovane Tukhachevsky come colui che esprimeva orrore e disgusto per la civiltà occidentale e un amore giovanile per la "barbarie" in toni agghiaccianti (che, notiamo, avrebbero potuto provenire dai nazisti più radicali). Vent'anni dopo, Tukhachevsky si era addolcito, era diventato un ammiratore della cultura francese, ma era rimasto un nazionalista e imperialista pan-slavo "patriottico" che sentiva che, servendo il bolscevismo, aveva servito il suo paese. [...] All'inizio del 1937 c'erano due importanti figure militari nell'Unione Sovietica: Tukhachevsky e il Commissario per la Difesa, il Maresciallo Kliment Voroshilov. Era ben noto che le tensioni all'interno della massima dirigenza dell'esercito sovietico erano profonde. Non si dovrebbe dare troppo peso a un argomento e silentio. Ma più avanti nella stessa lettera Neurath potrebbe aver tacitamente fatto sapere a Schacht a quale dei due leader militari sovietici si riferisce: "A questo proposito dovrei anche notare, per tua informazione personale, che, secondo informazioni affidabili che ci sono pervenute in merito agli eventi in Russia, non c'è nulla di strano tra Stalin e Voroshilov. Per quanto si può stabilire, questa voce, che viene diffusa anche dalla nostra stampa, ha avuto origine in circoli interessati a Varsavia". Forse questo passaggio suggerisce che, con Voroshilov ancora un fervente stalinista, la Germania sarebbe interessata a colloqui con la Russia solo in caso di dittatura militare sotto Tukhachevsky. [...] Nel suo famoso libro Ho pagato Hitler, Fritz Thyssen, l'ex magnate tedesco dell'acciaio, uno degli immensamente influenti "Schlotbarone", i magnati dell'industria pesante della Ruhr e uno dei primi membri del partito nazista, associò esplicitamente Tukhachevskii a Fritsch: "Fritsch ha sempre sostenuto un'alleanza con la Russia, anche se non con una Russia comunista. Furono fatti tentativi di stabilire relazioni tra Fritsch e il generalissimo russo, Tukhachevsky. I due avevano un punto in comune: ognuno desiderava rovesciare il dittatore nel proprio paese". [...] Tuttavia, rimane il suo terzo punto: che i documenti potrebbero essere stati collegati al noto complotto dell'SD per falsificare un dossier che incriminasse Tukhachevsky come traditore. L'intera questione di questa presunta falsificazione è molto complessa e non può essere sbrogliata in questo articolo. Inoltre, è in linea di principio impossibile provare un negativo, in questo caso, che non sia stato fatto alcun tentativo di falsificazione tedesco. Si può semplicemente esaminare le prove citate a sostegno dell'esistenza di un simile tentativo di falsificazione e vedere come reggono. Detto questo, diverse considerazioni sono rilevanti per la questione in questione. In primo luogo, le fonti cruciali per la storia della "falsificazione SD-NKVD" non sono affidabili. Nella sua introduzione all'edizione inglese delle memorie di Walter Schellenberg, Alan Bullock conclude: "né sarebbe saggio accettare Schellenberg come testimone affidabile quando la sua testimonianza non può essere corroborata". Erickson sottolinea anche diversi passaggi importanti di Schellenberg che riconosce non possono essere veri. Il racconto di Alfried Naujocks, l'uomo delle SS che sosteneva di essere stato personalmente responsabile dell'organizzazione della falsificazione e che di solito viene preso in parola, è ancora più palesemente falso. In secondo luogo, secondo tutti i resoconti del complotto di falsificazione, Hitler e Himmler ne erano entrambi parte. Ma nulla del genere si poteva dedurre dai loro successivi riferimenti alle purghe militari. Ad esempio, si dice che Himmler abbia discusso dell'Affare Tukhachevsky in una conversazione con il generale sovietico rinnegato A. A. Vlasov il 16 settembre 1944 in un modo che rende chiaro che credeva che Tukhachevskii fosse colpevole di qualche complotto: "Himmler chiese a Vlasov dell'Affare Tukhachevskii. Perché questo era andato storto. Vlasov diede una risposta franca: 'Tukhachevsky ha commesso lo stesso errore che ha commesso il vostro popolo il 20 luglio. Non conosceva la legge delle masse". In un importante discorso a Posen il 4 ottobre 1943 Himmler dichiarò: Quando — credo fosse nel 1937 o nel 1938 — si svolsero a Mosca i grandi processi farsa, e l'ex cadetto militare zarista, in seguito generale bolscevico, Tukhachevskii, e altri generali furono giustiziati, tutti noi in Europa, compresi noi del Partito [nazista] e delle SS, eravamo dell'opinione che qui il sistema bolscevico e Stalin avessero commesso uno dei loro più grandi errori. Nel fare questo giudizio sulla situazione ci siamo ingannati molto. Possiamo affermarlo con sincerità e sicurezza. Credo che la Russia non sarebbe mai durata questi due anni di guerra — e ora è nel terzo anno di guerra — se avesse mantenuto gli ex generali zaristi. Ciò probabilmente rifletteva anche la valutazione di Hitler, poiché, secondo Goebbels (annotazione del diario dell'8 maggio 1943): "Seguì la conferenza dei Reichsleiter e dei Gauleiter... Il Fehrer ricordò il caso di Tukhachevskii ed espresse l'opinione che allora ci sbagliavamo completamente nel credere che Stalin avrebbe rovinato l'Armata Rossa con il modo in cui l'aveva gestita. Era vero il contrario: Stalin si sbarazzò di ogni opposizione nell'Armata Rossa e pose così fine al disfattismo". Infine, la falsificazione tedesca, se davvero ce n'era una, non esclude l'esistenza di un vero complotto militare. Infatti, tutte le fonti SD per la storia della falsificazione lasciano aperta la possibilità che il maresciallo stesse in effetti complottando con lo Stato maggiore tedesco.» [24]

In sostanza, entrambi gli studi, con tanto di fonti citate di diari privati, confessioni, riflessioni, biografie e altre opere dell'epoca in cui si sono svolti i fatti, dimostrano che Tukachesvky, palese larpagano con tendenze nietzscheane anti-cristiane e antisemite non così dissimili da quelle dei nazifascisti, era effettivamente un cospiratore, per di più filo-tedesco. Per quanto soltanto queste due fonti, ampiamente riportate e trascritte nella voce, possano essere sufficienti per comprendere la vera natura del coinvolgimento di Tukachevksy e dei militari nei complotti e nei sabotaggi in URSS degli anni 30, è necessario citare qualche altro riferimento. In primis, è necessario ricordare la vicenda del cosiddetto Rapporto Shvernik, un rapporto commissionato durante il governo di Chruščëv, idealmente per "scagionare" postumamente Tuchačevskij dalle accuse e dalle condanne dei processi, ma in realtà tale rapporto (rimasto inedito per grazia del "democratico" Chruščëv) ha dimostrato il contrario, facendo riaffiorare ancora più prove della colpevolezza del generale in piani e tentativi di golpe militari, come dimostra il rinvenimento di un telegramma di un attaché giapponese ad un suo superiore:

«Durante la verifica del “caso” di Tukhachevsky, nell’Archivio centrale di Stato dell’esercito sovietico è stato trovato un documento importante, un messaggio speciale del 3° dipartimento del GUGB dell’NKVD dell’URSS, che è stato inviato da Ežov al Commissario del popolo alla difesa Voroshilov contrassegnato “personalmente” il 20 aprile 1937, cioè nel momento immediatamente precedente gli arresti dei principali leader militari sovietici. Su questo documento, oltre alla firma personale di Ežov, c’è la risoluzione di Voroshilov datata 21 aprile 1937: “Segnalato. Decisioni prese, follow-up. K.V.” A giudicare dall’importanza del documento, si dovrebbe supporre che sia stato segnalato a Stalin. Di seguito è riportato questo messaggio speciale nella forma in cui è stato ricevuto da Voroshilov: MESSAGGIO SPECIALE

Il 3° dipartimento del GUGB ha fotografato un documento in giapponese, in transito dalla Polonia al Giappone tramite posta diplomatica e proveniente dall'addetto militare giapponese in Polonia - Sawada Shigeru, indirizzato personalmente al capo della Direzione principale dello Stato maggiore del Giappone, Nakajima Tetsuzo. La lettera è scritta con la grafia di Arao, addetto militare assistente in Polonia. Il testo del documento è il seguente: Sull'instaurazione di un collegamento con una figura sovietica di spicco. 12 aprile 1937. Addetto militare in Polonia Sawad Siger. Sulla questione indicata nel titolo, è stato possibile stabilire un contatto con l'inviato segreto del maresciallo dell'Armata Rossa Tukhachevsky.

L'essenza della conversazione era discutere (2 geroglifici e un segno sono incomprensibili) del messaggero segreto dell'Armata Rossa relativamente noto a voi n. 30.»[25]

Un'ulteriore fonte a dimostrazione, definitiva, della colpevolezza di Tuchačevskij e dell'esistenza di un complotto da parte dei militari è data da un testo del 1941, un pamphlet scritto negli anni della Seconda Guerra Mondiale in USA per far comprendere al popolo statunitense il perché dell'alleanza e del sostegno all'Unione Sovietica, smentendo quindi i diversi luoghi comuni, tra cui quello dell'URSS di Stalin come "dittatura sanguinaria macelleria di innocenti":

«Il nostro mondo odierno è lacerato da lealtà divise. Le linee di classe attraversano i confini nazionali. Sotto la pressione del conflitto le persone si schierano in base a molti motivi complessi. Il primo ministro Chamberlain indebolì l'Impero britannico per distruggere la democrazia in Spagna. Per quattro anni gli industriali americani hanno inviato petrolio e rottami di ferro per rafforzare il Giappone in vista della guerra contro gli Stati Uniti. Nessuna di queste persone è consapevole di aver commesso tradimento. E probabilmente non lo erano nemmeno Laval e Petain, Quisling o Wang Ching-wei, che per un motivo o per l'altro erano pronti a guidare un governo fantoccio al servizio di un invasore. Secondo gli standard del nazionalismo del diciannovesimo secolo, al cui crepuscolo stiamo probabilmente assistendo, gli atti sono tradimento della nazione. Come li chiamerà il ventunesimo secolo dipenderà da chi saranno i vincitori. I vincitori scrivono sempre i libri di storia. L'Unione Sovietica ha affrontato lo stesso problema in una forma particolare. La base usuale per una quinta colonna era carente poiché non c'erano grandi e contrastanti interessi di proprietà privata. [...] Nella sua forma più semplice, questo sabotaggio non era altro che un piccolo affare di comodo. Un rappresentante di un'azienda di Cincinnati che vendeva macchinari a certe industrie sovietiche fu informato che le sue macchine non andavano bene. Dovette combattere contro una buona dose di burocrazia per organizzare anche solo il viaggio da Mosca a Samara per visitare la fabbrica dove le macchine si supponeva non funzionassero. Alla fine arrivò, si fece strada con l'aiuto della polizia locale e si scontrò con un sovrintendente terrorizzato che ammise che le macchine americane non erano mai state tirate fuori dalle loro scatole. Questo sovrintendente era stato corrotto da un'azienda tedesca per inviare un rapporto negativo sulle macchine americane; aveva preso un accordo con un funzionario di Mosca per impedire la visita dell'americano a Samara. L'incidente non sconvolse particolarmente il mio conoscente americano; lo prese come un naturale trucco commerciale. Per i russi, che costruivano le loro imprese pubbliche a costo di grandi sacrifici, l'azione era un crimine grave. [...] La prima indicazione che la pista aveva portato all'Armata Rossa fu il suicidio, il 1° giugno 1937, del maresciallo Gamarnik, capo dei commissari politici dell'Armata Rossa. Otto giorni dopo Voroshilov annunciò che quattro comandanti importanti, tra cui il maresciallo Tukhachevsky, che era stato da poco vicecommissario della difesa, erano stati rimossi dai loro incarichi. Questi quattro e altri quattro furono processati dalla corte marziale l'11 luglio, di fronte al Collegio militare della Corte suprema, il primo dei grandi processi a essere tenuto in segreto. Si dichiararono colpevoli di alto tradimento e furono condannati a morte. La stampa di Mosca annunciò che erano stati al soldo di Hitler e che avevano accettato di aiutarlo a ottenere l'Ucraina. Questa accusa fu abbastanza ampiamente creduta negli ambienti militari stranieri e fu in seguito corroborata da rivelazioni fatte all'estero. Gli ambienti militari cechi sembravano essere particolarmente ben informati. I funzionari cechi a Praga si vantarono più tardi con me che i loro militari erano stati i primi a scoprire e a lamentarsi con Mosca che i segreti militari cechi, noti ai russi attraverso l'alleanza di mutuo soccorso, venivano rivelati da Tukhachevsky all'alto comando tedesco.»[26]

Ancora in merito al blocco dei cospiratori militari, Radzinski, autore di una biografia su Stalin, ha questo da dire in merito alla principale idea, propinata dagli anticomunisti, secondo cui le "purghe militari" avrebbero indebolito l'URSS all'indomani della Grande Guerra Patriottica:

«La distruzione del vecchio comando continuò per tutto il 1937 e il 1938. Questo massacro all'ingrosso lasciò l'esercito debole. Questa almeno è la visione generalmente accettata. Ma il maresciallo Konyev, uno degli eroi della seconda guerra mondiale, era di un'opinione diversa. Scrisse nelle sue memorie: "Dei comandanti distrutti - Tukhachevsky, Yegorov, Yakir, Kork, Uborevich, Blyukher, Dybenko - solo Tukhachevsky e Uborevich possono essere considerati leader militari moderni... La maggior parte di loro era allo stesso livello di Voroshilov e Budenny. Quegli eroi della guerra civile, uomini dell'esercito di cavalleria, che vivevano del loro passato. Blyukher pasticciò l'operazione Khasan, Voroshilov pasticciò la guerra con la Finlandia. Se fossero rimasti al vertice la guerra sarebbe andata in modo molto diverso". Il Capo, in effetti, sapeva che le repressioni avrebbero indebolito l'esercito per il momento ma lo avrebbero rafforzato a lungo termine. Fu un altro esempio del suo metodo preferito e omicida di selezione del personale. L'assassinio di massa di ex ufficiali fece sì che, alla vigilia della guerra, il comando passasse a uomini molto più aggiornati nella loro formazione e nel loro modo di pensare, uomini per i quali la guerra civile era solo un eroico mito[52]

Tutt'altro che azioni che hanno indebolito l'Armata Rossa, in realtà le "purghe militari" hanno quindi permesso un dovuto ricambio generazionale sbarazzandosi dei carrieristi e cospirazionisti che "pesavano" di più al funzionamento dell'apparato militare.

Cooperazione dei cospirazionisti con Germania, Giappone e altre potenze fasciste dell'epoca

Gli anticomunisti, siano essi trotskisti, liberali o dichiaratamente nazifascisti, ad oggi continuano a negare, forti della vulgata propagandistica occidentale e del già citato paradigma Anti-Stalin, che vi sia mai stata una collaborazione tra i cospirazionisti degli anni 20 e 30 e i servizi della Germania o del Giappone. Le loro affermazioni sono, ancora una volta, smentite dalle fonti dell'epoca. Naheda Krupskaya, moglie e vedova di Lenin, scrive poco dopo lo svolgimento dei primi processi, in cui furono imputati Zinoviev e Kamenev:

«"Il socialismo non può essere costruito con ordini dall'alto. Il suo spirito è estraneo al meccanismo burocratico-formale; è un processo vivo e creativo, costruito dal popolo stesso". - disse Lenin nei primissimi giorni della nostra Rivoluzione socialista d'Ottobre. (Volume XXII, pagina 45). [...] I trotskisti e gli zinoviev non pensavano alle masse. Non vivevano nella realtà. Pensavano solo a come prendere il potere anche a costo di un accordo con la Gestapo, con i più importanti nemici della dittatura del proletariato, sforzandosi così di ristabilire una struttura borghese e lo sfruttamento capitalista delle masse lavoratrici nel paese dei Soviet. [...] E non è una coincidenza che Trotskij, che non ha mai capito l'essenza della dittatura del proletariato, il ruolo delle masse nella costruzione del socialismo, pensando che si possa costruire semplicemente con un ordine dall'alto, ora si trovi sulla strada dell'organizzazione di atti terroristici contro Stalin, Voroshilov e altri membri del Politburo, che stanno aiutando le masse a costruire il socialismo. Non è un caso, quindi, che il blocco senza principi di Kamenev e Zinoviev insieme a Trotskij li abbia spinti da un passo all'altro in un profondo abisso di un tradimento inaudito dell'opera di Lenin, dell'opera delle masse, degli ideali del socialismo. Trotskij, Zinoviev, Kamenev e tutta la loro banda di assassini hanno agito insieme ai fascisti tedeschi, hanno stretto un patto con la Gestapo. [...] Non è una coincidenza che l'Internazionale venga fatta a pezzi, che la banda di assassini Trotskij-Zinoviev stia alzando il suo scudo nel tentativo di distruggere il fronte popolare. I de Brouckère e i Citrine stanno sostenendo tutti i tipi di attività sovversive che i nemici istigano contro la classe operaia dell'URSS, il suo partito e i suoi leader. Occupano il primo posto nel gridare slogan antisovietici, che vengono espressi dal mondo borghese. La Terza Internazionale è stata creata come risultato della lotta con la Seconda Internazionale. La Seconda Internazionale stava portando avanti una violenta propaganda contro la dittatura del proletariato e il potere sovietico con l'aiuto del rinnegato Kautsky e soci. La Seconda Internazionale desidera giustificare e difendere il sistema capitalista, bendare gli occhi delle masse lavoratrici. Ecco perché stanno difendendo l'agente della Gestapo: Trotskij. Non ha funzionato.»[27]

Similmente ebbe da dire Stalin in un rapporto del marzo del 1937 della sessione plenaria del PCR(B), disponibile in italiano nell'archivio del sito del Partito Marxista Leninista Italiano:

«Il processo del "blocco zinovievista-trotskista" allargò le lezioni dei processi precedenti, dimostrando nel modo più evidente che gli zinovievisti e i trotskisti raccolgono attorno a sé tutti gli elementi borghesi nemici, che essi si sono trasformati in un'agenzia di spionaggio, di diversione e terroristica della polizia politica tedesca, che la doppiezza e l'ipocrisia sono l'unico mezzo che gli zinovievisti e i trotskisti impiegavano per penetrare nelle nostre organizzazioni, che la vigilanza e la perspicacia politica sono il mezzo più sicuro per prevenire questa penetrazione, per liquidare la banda zinovievista-trotzkista. [...] Si può dire che il trotskismo del giorno d'oggi, il trotzkismo, diciamo, dell'anno 1937 sia una corrente politica in seno alla classe operaia? No, questo non lo si può dire. Perché? Perché i trotskisti del giorno d'oggi temono di mostrare alla classe operaia la loro vera faccia, temono di svelare i loro scopi e compiti veri, nascondono con cura alla classe operaia la loro fisionomia politica nella tema che, se la classe operaia venga a conoscere le loro effettive intenzioni, li maledica come gente estranea e li cacci dal suo seno. [...] La restaurazione del capitalismo, la liquidazione dei kolkhoz e dei sovkhoz, la restaurazione del sistema dello sfruttamento, l'alleanza con le forze fasciste della Germania e del Giappone per affrettare la guerra contro l'Unione Sovietica, la lotta per la guerra e contro la politica di pace, lo smembramento territoriale dell'Unione Sovietica offrendo l'Ucraina ai tedeschi e il litorale ai giapponesi, la preparazione della disfatta militare dell'Unione Sovietica in caso che essa sia attaccata dagli stati nemici e, come mezzo per raggiungere questi obbiettivi, il sabotaggio, la diversione, il terrore individuale contro i dirigenti del potere sovietico, lo spionaggio a favore delle forze fasciste giapponesi e tedesche - tale è la piattaforma politica del trotzkismo al giorno d'oggi, sviluppata da Piatakov, Radek e Sokolnikov. Si capisce che i trotskisti non potevano non nascondere tale piattaforma al popolo e alla classe operaia. Ed essi non la nascosero soltanto alla classe operaia, ma anche alla massa trotzkista e non solo alla massa trotzkista, ma perfino al piccolo nucleo dirigente trotzkista, composto di un gruppetto di 30-40 persone. Quando Radek e Pjatakov chiesero a Trotskij il permesso di convocare una piccola conferenza di trotskisti di 30-40 persone per informarle sul carattere di questa piattaforma, Trotskij proibì la cosa, dicendo che non era opportuno parlare del vero carattere della piattaforma neanche in un piccolo gruppo di trotskisti, perché una simile "operazione poteva provocare la scissione.»[28]

Lo storico e segretario del Partito Comunista Britannico Andrew Rothstein, nel 1950, ebbe da riportare nella sua opera storiografica sull'URSS: «Nelle due settimane successive, un certo numero di altri trotskisti di spicco – Pjatakov, Radek, Sokolnikov, Serebryakov e Jagoda, capo del Commissariato del popolo per l’interno – furono anch’essi arrestati, in seguito alle confessioni fatte dal gruppo Zinoviev-Kamenev. Furono processati nel gennaio 1937. Le rivelazioni che fecero e le loro confessioni in tribunale dimostrarono che, dopo aver finto per tanto tempo di essere animati dalla preoccupazione per il popolo sovietico, la loro politica era stata al contrario di completa subordinazione ai piani di Hitler. L’organizzazione di saccheggi sulle ferrovie e nei bacini carboniferi, in importanti stabilimenti chimici e centrali elettriche, nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame, si rivelò essere solo sussidiaria al loro scopo principale. Si trattava di chiedere assistenza esterna, dai servizi segreti tedeschi e giapponesi, per ristabilire l'equilibrio quando i loro sforzi all'interno dell'URSS stavano fallendo. Nelle parole di Sokolnikov (che era stato ambasciatore in Gran Bretagna per un certo periodo), "consideravamo che il fascismo fosse la forma di capitalismo più organizzata, che avrebbe trionfato e conquistato l'Europa e ci avrebbe soffocati. Era quindi meglio scendere a patti con esso". Questi termini includevano concessioni territoriali in Ucraina e nell'Estremo Oriente e concessioni economiche agli industriali tedeschi, in cambio di attività sovversive su larga scala in caso di guerra tra l'URSS e la Germania e per l'istituzione di un governo trotskista dopo una vittoria tedesca.»[29]

Chi potrebbe definire questi due esempi di discorsi dell'epoca come poco più che stralci di propaganda per niente obiettiva, difficilmente potrebbe dire lo stesso delle prove che sono venute fuori nelle investigazioni da parte degli studiosi, politologi e storici Burgio, Leoni e Sidoli, autori del libro storico e d'inchiesta "Il volo di Pjatakov". I tre autori, oltre a presentare nel loro testo immagini, tra cui gli scan di ricevute di lettere di Trotskij spedite a persone come Radek (con il quale negava, in quel momento, di avere contatti, mentendo, come già appurato in altre sezioni di questa voce), e diverse fonti di archivio, si concentrano in particolare su un episodio del 1935, quando Pjatakov, già menzionato collaboratore di Trotskij e all'epoca vice-ministro dell'industria pesante sovietica, partendo da Berlino, con la collaborazione degli Hitleriani all'epoca al governo, volò in Norvegia, dove Trotskij abitava come esule in quel momento, ed ebbe un incontro con lui. I tre autori affermano nella loro opera, nella prefazione, che la posizione di Trotskij di totale diniego della vicenda serviva solo ad avvalorare la propria tesi, ossia quella di dipingere i processi di Mosca come una farsa, ma che le sue dichiarazioni di non aver avuto più contatti con gli uomini imputati ai processi di Mosca è stata smentita dal lavoro, svolto da J. Arch. Getty, storico liberale e borghese dichiaratamente anticomunista e anti-Stalin, che ha rinvenuto le ricevute delle lettere spedite a Pjatakov e soprattutto a Radek. Tale studio, unito allo studio di tale Sven-Eric Holmström, che ha smentito nel 2008 un'altra menzogna trotskista secondo cui l'incontro, già citato da Arch. Getty, avvenuto a Copenhagen tra Trotskij e un suo seguace non sarebbe mai avvenuto perché l'Hotel "Bristol" sarebbe stato abbattuto negli anni delle vicende, dimostrando come nel 1932, grazie all'aiuto di materiale fotografico inoppugnabile, esistesse ancora un Bar-caffetteria, adiacente ad un Hotel con cui aveva una porta in comune, denominato "Bristol". A questi studi, e agli studi di Grover Furr, anch'essi già menzionati in altre sezioni di questa voce, si aggiungono elementi forniti dallo stesso Trotskij durante il suo interrogatorio presso una commissione statunitense antisovietica e proto-maccartista, la Commissione Dewey, in merito ad una illogica "gita nel ghiaccio".[30] Dopo aver analizzato approfonditamente, nel quarto capitolo[31], la vicenda della lettera spedita nel 1932 a Radek, lettera della cui esistenza da conferma lo storico (trotskista, necessario ribadire) Broué, che tra i primi ha messo mano sull'archivio di Harvard del 1980, come già riportato in altri paragrafi, gli autori, nel nono capitolo, si soffermano su un tassello importante della loro indagine, oggetto di controversie (ossia accuse infamanti da un lato e argomentazioni inoppugnabili misteriosamente senza risposta dall'altro) tra essi e la micro-setta trotskista del "Partito Comunista dei Lavoratori", ossia il "Caso Olberg". Valentin Olberg, individuo misterioso di cui ancora oggi si sa ben poco, appare per la prima volta in modo rilevante nella vicenda dei processi di Mosca, nello specifico nel processo del 1936 contro Zinoviev e Kamenev, in cui agisce come testimone dei rapporti creatisi tra Trotskij, il figlio Sedov e figure del regime Hitleriano come Rudolf Hesse e Alfred Rosenberg. Figlio di tale Paul Olberg, lituano, esponente della fazione dei menscevichi e quindi fuggito in esilio a Berlino con la moglie e i figli Pavel e Valentin, è indiscutibile che si sia presentato come trotskista a Trotskij e Sedov nel 1929. Una fitta e calorosa corrispondenza è reperibile in rete e dall'archivio di Harvard tra Olberg, Trotskij e Sedov, e la tesi secondo cui Olberg era un militante trotskista convinto, oltre a trovare riscontro in una sua dichiarazione riportata più volte dagli autori non solo nel capitolo del testo in questione, ma anche nelle risposte date sulle loro piattaforme alla "dirigenza" della setta "PCL". È inoppugnabile che Olberg sia entrato in URSS nel 1935 con un passaporto falso, di cittadinanza honduregna, garantitogli dal consolato tedesco a Praga, e sono troppe le contraddizioni logiche che bisognerebbe ignorare in caso si voglia ammettere che Olberg non era un trotskista, ma un "infiltrato stalinista", secondo i trotskisti, o un "curioso apartitico" secondo altre tesi, e bisognerebbe anche ignorare il fatto che tale Olberg sia stato interrogato più volte, prima di presentare come testimone al processo del 1936, avvenuto un anno dopo il suo ingresso illegale in URSS, e soprattutto che Olberg, "terribile infiltrato staliniano" tra le fila trotskiste e/o apolitico "curioso" e libertino, non abbia mai dichiarato né la sua natura di infiltrato per la "polizia stalinista", né abbia chiesto di essere liberato. Questo, unito ad altre analisi approfondite della vicenda dell'interrogatorio, della sua "presenza" in URSS per diversi mesi come clandestino, delle diverse contraddizioni logiche che si dovrebbero ammettere se si dovesse dare per buona qualsiasi tesi che non implichi Olberg come un sincero trotskista e cospiratore (ipotesi dinanzi a cui tutte queste contraddizioni invece cadono), non possono che dare come logica conclusione (comprovata dai fatti e dalle fonti storiche) che Olberg, entrato in URSS con un falso passaporto tramite il governo tedesco (di Hitler), fosse un "collaboratore tattico" e un "anello mancante" della collaborazione tra trotskisti e nazisti contro il "nemico comune" sovietico.[32] Come ammesso anche dallo storico trotskista Broué, e riportato dagli autori del testo, inoltre, pare che Trotskij, di ritorno da una conferenza a Copenhagen, nel novembre del 1932, abbia deciso, una volta a Marsiglia, anziché imbarcarsi presso una vecchia e malridotta imbarcazione ("la comodità prima di tutto", come riportano gli stessi autori), di tornare nel suo esilio in Turchia "transitando" da Milano, e quindi dall'Italia di Mussolini, che all'epoca imprigionava, ma per davvero, con processi farsa e con la sola pregiudiziale del reato di opinione politica, i comunisti italiani, tra cui Antonio Gramsci, ottenendo un visto di transito. Essendo improbabile che Trotskij considerava l'Italia fascista di Mussolini come qualcosa di diverso da un nemico della classe operaia con cui non avrebbe mai e poi mai trattato per niente, neanche per il visto di transito poi ottenuto, ed essendo improbabile che non avesse memoria di tale episodio, essendo Trotskij un uomo di ottima memoria per sua stessa ammissione, è certo che abbia mentito, non avendo problemi a "trattare" né con le autorità fasciste italiane, né con le autorità proto-maccartiste degli USA e dell'FBI, rappresentate dall'agente Robert McGregor, con cui ha calorosamente discusso per diverso tempo.[33] Inutile dire che questi fatti inoppugnabili, dimostrati citando diverse fonti, tra cui uno storico trotskista, sono state attaccate in modo calunniante e diffamatorio dalla micro-setta "PCL", che per tutta risposta ha ricevuto non solo una replica ma anche un invito tramite "quattro sfide" a dibattere gli autori. Invito che non ha ricevuto risposte.[34][35] A ulteriore riprova della predilezione di Trotskij per l'Italia sotto il governo Mussolini e della sua noncuranza per il suo essere un "nemico della classe operaia" è la sua presenza a Pompei durante un viaggio d'andata, dalla Turchia, verso la Danimarca, visita confermata, oltre che da un cinegiornale britannico dell'epoca, che non si fa scrupolo a riportare la notizia senza indicare la contraddizione di un sedicente "dissidente di sinistra" in visita in un paese governato da un regime politico radicalmente di destra e repressivo nei confronti di comunisti e democratici, da un'intervista dello stesso Trotskij presso il giornale danese di ispirazione socialdemocratica, il "Politiken", in cui afferma "Noi [Trotskij e la moglie, ndr] abbiamo avuto una grande esperienza", riferendosi a Pompei. Esperienza che non sarebbe certo stata rosa e fiori senza l'assenso delle autorità legali italiane, ossia del regime fascista all'epoca al potere, che ha garantito per lui il transito e la sicurezza della visita guidata presso gli scavi delle rovine dell'antica città.[36] Come ulteriore dimostrazione della continuata collaborazione tattica tra trotskisti e nazifascisti, ben oltre l'epoca delle lotte intestine e dei processi di Mosca, è data dalle dichiarazioni di un trotskista francese, tale H. Molinar, che affermava nel 1940 la necessità per i suoi alleati e compagni politici di collaborare con gli elementi "anticapitalisti" del fascismo e con le organizzazioni fasciste "di sinistra" del regime filo-nazista di Vichy, entrata giustificata, dal 1940 al 1944, dai trotskisti francesi Rodolphe Prager e Pierre Frank, o ancora dalle azioni di Ruth Fischer, nata E. Eisler, che nel medesimo anno iniziò una collaborazione con l'FBI per poter espatriare, dalla Francia occupata, negli USA, per i quali avrebbe continuato a collaborare fino al 1955 nell'opera di infiltrazione nei partiti e movimenti comunisti europei per distruggerli dall'interno; tale Ruth Fischer non era certo una parvenù all'interno del movimento trotskista, essendo conosciuta sia da Sedov che da Trotskij, che nel 1934 avallarono il suo ingresso tra le loro fila e negli stessi anni le affidarono posizioni di rilievo nel loro movimento. Chiunque dichiari che tali azioni siano avvenute dopo l'omicidio di Trotskij ignora, deliberatamente o meno, una sua dichiarazione del 1935 secondo cui «sarebbe assurdo, naturalmente, negare al governo sovietico il diritto di utilizzare gli antagonismi nel campo degli imperialisti o, se fosse necessario, di fare questa o quella concessione agli imperialisti», concessioni che fattivamente attuò nell'estate del 1940 quando divenne brevemente un informatore dell'FBI per la già citata commissione antisovietica e proto-maccartista Dewey, e già nel 1923, velatamente, sia Trotskij che il suo collaboratore Radek proposero un piano di collaborazione con l'estrema destra tedesca. Non mancando certo di pessimismo cosmico, a dispetto delle sconfitte sia politiche che militari del suo movimento, Trotskij, fermamente convinto, non si sa sulla base di quale specificata analisi, della "infallibilità" dell'apparato bellico tedesco hitleriano rispetto a quello sovietico, non vedeva altra "soluzione" per il suo ritorno alla "ribalta" in URSS se non la collaborazione tattica con questi, in un patto faustiano, nella speranza di poterli usare per tornare al governo. A dispetto di tutti i trotskisti che oggi accusano in modo infamante l'URSS di aver stipulato una "alleanza" con la Germania nel Patto Molotov-Ribbentrop, lo stesso Trotskij nel 1939 applaudiva allo scoppio della seconda guerra mondiale, da gufo/iettatore, sperando che provocasse una "rivoluzione proletaria", ossia il crollo del governo sovietico, cui sarebbe, naturalmente (solo nella sua mente bacata e staccata dalla realtà dei fatti), seguito un governo politico basato sulla sua linea d'azione.[37] Lo stesso Trotskij, in un articolo del 1933 firmato con pseudonimo, scrisse che un'eventuale URSS con un redivivo governo anti-Stalin sarebbe stata "costretta" a mantenere rapporti con la Germania Hitleriana, e questo è confermato anche dal già menzionato biografo di Trotskij, Isaac Deutscher, che scrisse: «La vittoria incruenta di Hitler e la distruzione totale della sinistra tedesca facevano pendere la bilancia a sfavore dell’Unione Sovietica, tanto più che il paese era indebolito anche internamente dalla collettivizzazione stalinista. La diplomazia sovietica aveva quindi ildiritto di guadagnare tempo, di parlamentare e persino di cercare un accordo temporaneo con Hitler. Trotskij dichiarò con sconcertante disinteresse che se l’Opposizione avesse assunto il potere nelle circostanze esistenti, non avrebbe potuto agire diversamente: “nei suoi atti pratici immediati l’Opposizione (trotskista) dovrebbe partire dall’attuale equilibrio di forze. In particolare sarebbe costretta a mantenere le relazioni diplomatiche ed economiche con la Germania di Hitler. Al tempo stesso preparerebbe la rivincita. Il suo sarebbe un compito difficile, che richiederebbe tempo: un compito che non potrebbe essere assolto con gesti spettacolari, ma esigerebbe un radicale mutamento di indirizzo politico in ogni campo”. Trotskij era sempre obiettivo nei suoi giudizi e non si lasciava influenzare dai sentimenti personali nei confronti di Stalin.»[37] Risulta ironico constatare in tutto ciò, oltre a quanto fosse errata l'analisi non solo di Trotskij e dei trotskisti, ma dell'opposizione tutta, da destra a "sinistra", come riportata fino a questo punto, in merito allo sviluppo politico ed economico sovietico sotto Stalin come "fallimentare a priori" se confrontato con la macchina bellica hitleriana, ma soprattutto come i trotskisti, nella loro grandeur, allora come oggi convinti di "usare" i reazionari di turno per i loro scopi idealisti (e in ultima istanza sciocchi e fallaci), abbiano sempre storicamente finito per farsi usare da altri ed essere gli utili idioti, i "comunisti buoni" usati come santino dai reazionari.

Il principale motivo della collaborazione e della cospirazione: l'irrilevanza dell'opposizione presso le masse lavoratrici sovietiche

Oltre all'assunto (errato) dei cospirazionisti, sia di destra che di "sinistra", secondo cui l'industrializzazione forzata dei piani quinquiennali non avrebbe mai potuto competere con l'industria bellica tedesca (lo svolgimento della Grande Guerra Patriottica ha invece dimostrato l'esatto contrario), il secondo, e forse più importante motivo, dietro le loro azioni di sabotaggio e terrorismo, è dato dall'incredibile irrilevanza che essi avevano presso i lavoratori e il popolo sovietico. Lo stesso Trotskij ebbe da dire in merito, in una lettera al figlio Sedov del 1932, ritrovata negli archivi di Harvard: «La mia proposta di dichiarazione è evidentemente rivolta alla nostra frazione dell'Opposizione di sinistra nel senso stretto del termine (e non ai nostri nuovi alleati). L'opinione degli alleati, secondo cui dovremmo aspettare che i destri si impegnino più profondamente, non ha il mio consenso, per quanto riguarda la nostra frazione. Si combatte la repressione attraverso l'anonimato e la cospirazione, non con il silenzio. La perdita di tempo è inammissibile: dal punto di vista politico, ciò equivarrebbe a lasciare il campo ai destri[37]

Le azioni di sabotaggio

Gran parte degli imputati minori dei processi di Mosca presenziava sotto l'accusa di sabotaggio. Ad oggi la stragrande maggioranza dei trotskisti, nazifascisti, liberali o più genericamente anticomunisti, specie quelli occidentali, negano che tali azioni di sabotaggio siano avvenute, ma prima della propaganda disinformatrice della guerra fredda, era una verità inoppugnabile che gli imputati fossero prima di tutto dei sabotatori. John Littlepage, un ingegnere statunitense che lavorò in URSS nell'industria mineraria degli Urali dal 1928 al 1937, ha avuto da testimoniare in merito: «La testimonianza a questo processo suscitò molto scetticismo all'estero e tra i diplomatici stranieri a Mosca. Ho parlato con alcuni americani lì che credevano che fosse una montatura dall'inizio alla fine. Bene, non ho assistito al processo, ma ho seguito la testimonianza molto attentamente, ed è stata stampata parola per parola in diverse lingue. Gran parte della testimonianza sul sabotaggio industriale mi è sembrata più probabile di quanto non lo sia sembrata ad alcuni diplomatici e corrispondenti di Mosca. So per esperienza personale che un bel po' di sabotaggio industriale era in corso tutto il tempo nelle miniere sovietiche, e che parte di esso difficilmente avrebbe potuto verificarsi senza la complicità di dirigenti comunisti di alto rango. La mia storia è preziosa, per quanto riguarda questo processo, solo per quanto riguarda l'incidente di Berlino. Ho descritto di cosa si trattava e come, per me, la confessione di Piatakoff ha chiarito cosa era successo. [...] Ho dimenticato di menzionare che gli ingegneri di cui ho parlato non lavoravano più nelle miniere quando sono arrivato lì nel 1937, e ho capito che erano stati arrestati per presunta complicità in una cospirazione nazionale per sabotare le industrie sovietiche che era stata rivelata in un processo ai principali cospiratori in un processo ai principali cospiratori nel Gennaio [dello stesso anno, ndr] [...] Naturalmente, c'è molto bisogno di una stretta supervisione della polizia nell'industria sovietica. Nell'industria dell'oro la polizia sorveglia le spedizioni di oro, che non occupano molto spazio e potrebbero essere facilmente deviate. Ma sono tenuti ancora più impegnati a cercare sabotaggi. Il sabotaggio era qualcosa di strano nella mia esperienza prima di andare in Russia. In tutti i miei quattordici anni di esperienza nelle miniere d'oro dell'Alaska, non mi ero mai imbattuto in un caso di sabotaggio. Sapevo che c'erano persone che a volte cercavano di distruggere impianti o macchinari negli Stati Uniti, ma non sapevo come o perché agissero. Tuttavia, non avevo lavorato molte settimane in Russia prima di imbattermi in casi indiscutibili di distruzione deliberata e dolosa. Un giorno del 1928, entrai in una centrale elettrica nelle miniere d'oro di Kochkar. Mi capitò di far cadere la mano su uno dei cuscinetti principali di un grande motore diesel mentre passavo e sentii qualcosa di granuloso nella parte superiore. Ho fatto fermare immediatamente il motore e abbiamo rimosso dal serbatoio dell'olio circa un quarto di gallone di sabbia di quarzo, che avrebbe potuto essere messa lì solo per progettazione. In diverse altre occasioni, nei nuovi impianti di macinazione di Kochkar, abbiamo trovato sabbia all'interno di apparecchiature come i riduttori di velocità, che sono completamente chiusi e possono essere raggiunti solo rimuovendo i coperchi delle maniglie. Questo piccolo sabotaggio industriale era, ed è ancora, così comune in tutti i rami dell'industria sovietica che gli ingegneri russi possono fare ben poco al riguardo e sono rimasti sorpresi dalla mia preoccupazione quando l'ho incontrato per la prima volta. C'era, e c'è ancora, così tanto di questo genere di cose che la polizia ha dovuto creare un intero esercito di spie professioniste e dilettanti per ridurne la quantità. Infatti, così tante persone nelle istituzioni sovietiche sono impegnate a controllare i produttori per vedere che si comportino correttamente che sospetto che ci siano più osservatori che produttori. Perché, mi è stato chiesto, il sabotaggio di questa descrizione è così comune nella Russia sovietica, e così raro in molti altri paesi? I russi hanno una particolare inclinazione per la distruzione industriale? Le persone che pongono tali domande apparentemente non si sono rese conto che le autorità in Russia hanno combattuto, e stanno ancora commettendo, una serie di guerre civili aperte o mascherate. All'inizio, hanno combattuto e spodestato la vecchia aristocrazia, i banchieri, i proprietari terrieri e i mercanti del regime zarista. Ho descritto come in seguito hanno combattuto e spodestato i piccoli contadini indipendenti, i piccoli commercianti al dettaglio e i pastori nomadi in Asia. Naturalmente, è tutto per il loro bene, dicono i comunisti. Ma molte di queste persone non riescono a vedere le cose in questo modo e rimangono acerrimi nemici dei comunisti e delle loro idee, anche dopo essere stati rimessi al lavoro nelle industrie statali. Da questi gruppi è venuto fuori un numero considerevole di lavoratori scontenti che detestano così tanto i comunisti che danneggerebbero volentieri una qualsiasi delle loro imprese se potessero. Per questo motivo, la polizia ha i registri di ogni lavoratore industriale e ha ricostruito la loro carriera fino al periodo della Rivoluzione, per quanto possibile. Coloro che appartenevano a un gruppo che è stato espropriato vengono marchiati con un marchio nero e tenuti sotto costante sorveglianza. Quando accade qualcosa di grave, come un incendio o un crollo in una miniera, la polizia raduna queste persone prima di fare qualsiasi altra cosa. E nel caso di un qualsiasi crimine politico di grandi dimensioni, come l'assassinio di Kirov, il rastrellamento diventa nazionale. [...] La polizia federale era molto meno presente quando arrivai in Russia nel 1928 rispetto a quando lasciai quel paese nel 1937. Mi sembra che le loro funzioni si siano accumulate come una palla di neve. Per quanto riguarda il loro numero, sembrava espandersi e contrarsi in sintonia con l'atmosfera politica. Dopo l'enorme attività di polizia al momento dell'assassinio di Kirov, ci fu un periodo di relativa calma nel 1935 e nella prima parte del 1936. Poi, con la scoperta della cospirazione "distruttiva" tra i comunisti di alto rango nel 1936 e la rimozione del capo della polizia, Genrich Jagoda, l'attività della polizia federale divenne più frenetica che in qualsiasi altro momento della mia esperienza, ed era al suo apice quando me ne andai. Per quanto riguarda l'industria, tuttavia, la polizia federale è stata attiva durante tutto il mio periodo in Russia. Sono ritenuti in parte responsabili di qualsiasi cosa vada storta nell'industria, e molte cose vanno naturalmente storte in un paese in cui l'industria moderna su larga scala viene introdotta per la prima volta, con manodopera contadina non qualificata e ingegneri e dirigenti inesperti spesso al comando. A me, come americano, sembra che la polizia federale abbia fin troppo a che fare con l'industria sovietica. La mente della polizia è naturalmente troppo sospettosa e vede crimini deliberati dove non ce ne sono. Sia i lavoratori che i funzionari sovietici sono spesso così inesperti, parlando di industria, che ci vuole un uomo davvero molto saggio per distinguere tra la cosiddetta distruzione e la semplice ignoranza. C'è stata molta distruzione reale nell'industria sovietica, come mi ha dimostrato la mia esperienza. Ma so che gli agenti di polizia, sia professionisti che dilettanti, sono ansiosi di fare bella figura. Quindi segnalano ogni piccolo errore in ogni piccola industria come prova di sabotaggio, e i dirigenti e i lavoratori di tutte le industrie sono tenuti in subbuglio da un'indagine di polizia dopo l'altra, specialmente durante i periodi di tensione politica[40]

La testimonianza data da Littlepage, quindi, dimostra due cose particolari: in primis, che vi erano effettivamente dei sabotatori, sia in malafede e interessati ad un guadagno personale, che in buonafede, incapaci di comprendere i motivi delle politiche industriali governative sovietiche perché "nuove" per loro; in secundis, un clima di isteria (ritenuto comunque dallo stesso Littlepage come giustificato, in parte, dalla realtà innegabile del conflitto interno e dall'effettiva esistenza di sabotatori) che come conseguenza del sabotaggio e del terrorismo si era creato negli organi governativi e nella polizia sovietica. Tale clima, come verrà approfondito in successivi paragrafi di questa pagina, lungi dall'essere voluto da Stalin, fu di proposito acuito, come già menzionato in altri paragrafi, da Chruščëv (che lo avrebbe poi negato e/o attribuito al solo governo di Stalin), da Ežov, e più in genere da ufficiali corrotti e carrieristi dell'NKVD che agivano in autonomia e contrariamente alle direttive di governo.

Un'altra simile testimonianza è data da un altro ingegnere statunitense che nello stesso periodo ha lavorato nell'industria siderurgica di Magnitogorsk, John Scott, che, similmente al collega Littlepage, pur non avendo certo stima del sistema politico ed economico sovietico (pur riconoscendo i meriti dell'industrializzazione dei piani quinquiennali), riporta la sua testimonianza:

«La purga colpì Magnitogorsk nel 1937 con grande forza. Migliaia di persone furono arrestate, incarcerate per mesi, infine esiliate. Nessun gruppo, nessuna organizzazione fu risparmiata. Questa purga faceva parte di una vasta tempesta che colpì l'intera Unione dal 1935 al 1938. Le cause di questa purga sono state ampiamente discusse: io offro quanto segue: 1. La Rivoluzione d'Ottobre si guadagnò l'inimicizia della vecchia aristocrazia, degli ufficiali del vecchio esercito zarista e dei vari eserciti bianchi, degli impiegati statali dei giorni antecedenti la guerra, degli uomini d'affari di ogni genere, dei piccoli proprietari terrieri e dei kulaki. Tutte queste persone avevano ampie ragioni per odiare il potere sovietico, perché li aveva privati ​​di qualcosa che avevano avuto prima. Oltre a essere internamente pericolosi, questi uomini e queste donne erano potenzialmente un buon materiale con cui lavorare per abili agenti stranieri. 2. Le condizioni geografiche erano tali che, indipendentemente dal tipo di governo al potere nell'Unione Sovietica, paesi poveri e densamente popolati come il Giappone e l'Italia e potenze aggressive come la Germania non avrebbero lasciato nulla di intentato nei loro tentativi di infiltrarsi con i loro agenti, al fine di stabilire le loro organizzazioni e affermare la loro influenza, per fare meglio a farsi dei pezzi. Mandarono quinte colonne di tutti i tipi in Russia, come fecero in ogni altro paese. Questi agenti generarono purghe. 3. Per secoli la Russia fu governata e amministrata con l'aiuto di una polizia segreta. I loro metodi erano tradizionalmente goffi, brutali e inefficienti. Si riteneva che valesse la pena condannare nove imputati innocenti per ottenere un colpevole. A volte interi villaggi di persone innocenti venivano distrutti per ottenere un capo contadino "colpevole". Per secoli l'atteggiamento verso gli stranieri è stato di paura e sfiducia. La Rivoluzione d'Ottobre cambiò molte cose in Russia, ma le tradizioni e le abitudini secolari sopra menzionate sono ancora presenti nell'Unione Sovietica. Condizionarono il carattere e l'esecuzione riuscita della purga, che avrebbe potuto benissimo causare un'insurrezione o una guerra civile in Inghilterra o negli Stati Uniti. Un gran numero di spie, sabotatori e quinte colonne furono esiliati o fucilati durante la purga; ma molti altri uomini e donne innocenti furono costretti a soffrire. 4. L'intolleranza bolscevica verso l'opposizione porta a cospirazioni e purghe. Per ampliare, vent'anni di attività clandestina nelle condizioni dispotiche della Russia zarista, gli arresti, l'esilio siberiano, gli agenti provocatori furono fattori dominanti nel determinare la forma e il carattere del partito di Lenin. Al secondo congresso del partito nel 1903 a Londra, Lenin chiese un "partito di nuovo tipo", che non doveva essere un gruppo di discussione, ma un esercito disciplinato di soldati rivoluzionari; i membri dovevano lavorare attivamente in qualche organizzazione del partito; dovevano obbedire alle decisioni degli organi superiori del partito; dopo una votazione la minoranza doveva smettere di parlare e mettersi al lavoro, eseguendo le decisioni della maggioranza. Il gruppo di Lenin divenne i bolscevichi e questi principi generali hanno dominato il partito bolscevico da allora. In Inghilterra o negli Stati Uniti, se un membro del governo non è d'accordo con la sua politica può fare obiezione, fare appello, protestare, dimettersi. Può quindi portare la questione agli elettori e, almeno in teoria, ha la possibilità di tornare dopo le elezioni con una maggioranza dalla sua parte e di far passare le sue idee. Questa funzione di opposizione è riconosciuta come una caratteristica importante del governo. Ma nel partito bolscevico non c'è appello dopo che è stata presa una decisione. Non c'è protesta, non c'è dimissioni. L'unica possibilità dell'opposizione, dopo che è stata bocciata, è la cospirazione.[41]

Scott, come il collega Littlepage, non ha certo simpatia per la metodologia sovietica di repressione del dissenso, ma non nega affatto che tale dissenso esista, e si manifesti con sabotaggio, terrorismo, e azioni clandestine tipiche di una quinta colonna, che quindi giustificano l'utilizzo di tali pratiche.

Un'ulteriore testimonianza in merito ci viene data da una fonte apparentemente improbabile, ossia il "compagno" Alcide De Gasperi, capo della prima Democrazia Cristiana, che in un discorso tenuto nel luglio del 1944 in una Roma appena liberata dagli Alleati, ebbe da dire a tal proposito: «Mi riferirò adesso anche all’esperimento russo. Con ciò non voglio menomamente diminuire il merito immenso, storico, secolare delle armate organizzate dal genio di Giuseppe Stalin. Lo riconosco questo merito e ho fiducia, ho speranza, che dal concorso delle forze operaie russe e delle forze occidentali, nasca un nuovo mondo. Bisogna però che c’intendiamo su parecchie questioni importanti e pregiudiziali. È stato scritto da parte autorevole comunista che “l’Unione delle repubbliche sovietiche è la prefigurazione vivente della futura unione dei popoli stretti in una economia mondiale unica”. E sia. C’è qualche cosa di immensamente simpatico, qualche cosa di immensamente suggestivo in questa tendenza universalistica del comunismo russo. Quando vedo che mentre Hitler e Mussolini perseguitavano degli uomini per la loro razza, e inventavano quella spaventosa legislazione antiebraica che conosciamo e vedo contemporaneamente i russi composti di 160 razze cercare la fusione di queste razze superando le diversità esistenti fra l’Asia e l’Europa, questo tentativo, questo sforzo verso l’unificazione del consorzio umano, lasciatemi dire: questo è cristiano, questo è eminentemente universalistico nel senso del cattolicesimo. [...] In quanto alle applicazioni pratiche, ci sarebbe da sperare che la presenza di Togliatti in Italia potrebbe in ogni caso servire a evitare gli esperimenti negativi e gli errori del sistema russo. Accenno qui alle varie trasformazioni subite dal comunismo russo, dal comunismo di guerra raggiunto, fra l’altro, non soltanto con la soppressione della moneta e dell’oro, ma anche con la soppressione fisica dei capitalisti alla NEP che ridà il commercio interno ai privati, e fa fiorire la classe dei contadini medi (kulaki) finché la volontà di industrializzare la Russia per farne il paese ideale del socialismo, e, più ancora poi, la minaccia rivelata dal Mein Kampf spingono i capi sovietici alla grande impresa economica coi tre famosi piani del ’28, del ’33 e dell’ultimo ancora in corso quando scoppiò la guerra. Se nel 1917 si erano colpiti tre o quattro milioni di latifondisti, nel 1929 si porta uno sconquasso in tutta la classe dei piccoli e medi proprietari trasformando in poderi collettivi le proprietà private, incaricando la polizia federale della liquidazione dei renitenti che vennero trasportati a distanza di migliaia di chilometri a fare gli operai nelle miniere, sui canali e nelle fabbriche. Altro fenomeno, la denomadizzazione: milioni di nomadi che vengono costretti ad abbandonare il loro secolare sistema di vita. Ed eccovi ad un tratto il sabotaggio nelle miniere. Vi ricordate che noi credevamo che i processi fossero falsi, che le testimonianze fossero inventate, che le confessioni fossero estorte: e invece no. Eccovi che oggettive informazioni americane assicurano che non si trattava di un falso, e che i sabotatori non erano truffatori volgari, ma vecchi cospiratori idealisti, che mal si adattavano ai concetti più democratici della costituzione del ’36 e che affrontavano la morte piuttosto che adattarsi a quello che per loro era tradimento del comunismo primitivo. Accenno a tutto questo per due ragioni: l’una per ricordare che il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva; vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni. La seconda perché in tutte queste trasformazioni quello che rimane costante è l’eccessiva coazione e l’eccessivo intervento dello Stato e della sua polizia. Se la dittatura trova resistenza, diventa violenta e sanguinaria: e non lo fa per capriccio e per istinto brutale, ma lo fa perché è costretta dalla logica interna del suo compito innaturale, che è quello di determinare i destini morali, economici e materiali di tutti i cittadini. Per raggiungere l’ideale comunista ci vuole o un’altissima temperatura morale o una immensa coercizione. La temperatura morale si ebbe solo nelle condizioni straordinarie delle comunità cristiane della Chiesa antica attraverso la povertà volontaria, e si ha ancora nelle comunità monastiche. Per le masse, tolto il periodo di estrema accensione, come può essere la guerra di estrema difesa, non rimane che la coercizione. E il fatto dei sabotaggi compiuti dai vecchi idealisti prova che la morale che si può dedurre dal concetto materialistico della storia è insufficiente a dirigere le coscienze[42]

L'improbabile "compagno" De Gasperi, che in questo discorso ha dimostrato più coscienza di classe non solo di qualsiasi moderno "comunardo" di idee liberali-trotskiste, ma anche di gran parte del movimento storico "comunista" occidentale dal dopoguerra ad oggi, afferma anch'egli, forte della conferma di quelle che lui chiama "oggettive informazioni americane", che quella dei sabotatori non era una mera "ipotesi", o un'accusa "falsa", ma una realtà oggettiva, dettata dall'incomprensibile e anacronistico idealismo dei cospiratori, trotskisti, destri, "ex"-menscevichi e semplici opportunisti, che cozzava con la realtà democratica della costituzione sovietica del 36 e della nuova società sovietica. De Gasperi, tutt'altro che un capitano di Stalin, riconosce l'oggettiva necessità della costruzione di una nuova società, socialista o cristiana che sia, attraverso la coercizione, non trattandosi certo, come ha lui stesso affermato, di realtà come quelle delle comunità monastiche del cristianesimo primitivo.

I Processi (1936-1938)

I Processi di Mosca sono stati una serie di processi separati, ma interconnessi tra loro dai capi di imputazione. Essi furono, in ordine:

  • Il processo tenutosi dal 19 al 24 Agosto 1936, il "Caso del Centro Terrorista Trotskista-Zinovievista", anche noto come il "processo Kamenev-Zinoviev", che ha riguardato principalmente le vicende legate all'assassinio di Kirov nel 1934 e alle operazioni clandestine dell'alleanza Trotskisti-Zinovievisti;
  • Il processo tenutosi dal 23 al 30 Gennaio 1937, il "Caso del Centro Trotskista Anti-Sovietico", anche noto come il "processo Piatakov-Radek", che ha riguardato la continuazione delle investigazioni da parte dell'NKVD sulle operazioni clandestine dei trotskisti;
  • Il processo tenutosi nel Maggio-Giugno del 1937, riguardante l'"Affare Tuchačevskij", riguardante le cospirazioni militari e i generali collaborazionisti delle potenze straniere e dei fascisti;
  • Il processo tenutosi dal 2 al 13 Marzo 1938, il "Caso del Blocco dei Destri e dei Trotskisti", anche noto come il "processo Bucharin-Rykov", che imputò gli ultimi membri cospiratori. A questo punto, durante le indagini, divenne chiaro che tutti i processi e le cospirazioni erano connesse tra di loro.

Ciò che è interessante riguardo gli imputati, i capi di imputazione e le accuse è che tutti coloro che furono coinvolti, pur lavorando per uno scopo comune, non erano necessariamente tutti d'accordo tra di loro. C'erano trotskisti in "collaborazione tattica" con la Germania, trotskisti che collaboravano per motivi personali, nazionalisti borghesi e secessionisti ostili all'URSS, collaboratori di Bucharin, "ex"-menscevichi, "ex"-opposizionisti delle opposizioni di destra, di "sinistra" o riunita, ma non tutti. Alcuni erano reclutati dai trotskisti, ma non erano personalmente trotskisti, altri erano collaboratori personali di Sedov e Trotskij, uomini reclutati da Zinoviev o da Bucharin, ma non tutti. Altri erano reclutati dalle intelligence della Germania e del Giappone e non avevano alcun legame col trotskismo o con altre correnti di opposizione.

Ma le accuse quanto erano legittime? E quanto erano legittimi i processi?

Principali contro-argomentazioni

1) Le accuse mosse non sono credibili

È comune, nell'epoca del post-Guerra Fredda in cui viviamo, che molti asseriscano, replicando come pappagalli dalla propaganda anticomunista e antisovietica, che le accuse di cospirazione fossero troppo "fantasiose", "astratte" e quindi poco credibili. La verità è che, come è già stato dimostrato nei precedenti paragrafi di questa voce, le accuse mosse agli imputati durante i processi erano accettate da tutti, comunisti e non, come credibili e vere, almeno prima della Guerra Fredda e soprattutto delle accuse (menzognere, ma su questo è necessario tornare in seguito) mosse da Chruščëv una volta salito al governo sovietico nel 1956. Oltre alla naturale domanda che verrebbe da fare a tutti coloro che ritengono una cospirazione come un evento "fantasioso" e "impossibile" a priori, se ritengano che le cospirazioni storiche, come quelle contro Giulio Cesare o gli imperatori romani, fossero anche loro una "invenzione fantasiosa", è importante precisare, soprattutto, che prima della Guerra Fredda e del governo di Chruščëv gli unici che rifiutavano a priori qualsiasi accusa mossa dai processi come legittima erano solo i trotskisti e gli anticomunisti più duri. Il motivo per cui Trotskij e i trotskisti, anche nella possibilità in cui fossero colpevoli (ed è stato già dimostrato nei precedenti paragrafi, dalle varie fonti citate, che lo erano), abbiano negato costantemente le accuse loro mosse è semplice: per non tradire se stessi e per continuare a darsi un alone ufficiale di legittimità. Anche nei comuni processi, è raro che un criminale, colto con le mani nella marmellata, ammetta la propria colpevolezza; basti pensare ai capi-mafia che, sotto processo, continuano a negare non solo la loro posizione, ma l'esistenza stessa della criminalità organizzata. La migliore strategia per un imputato di un qualsiasi processo è negare qualunque accusa, e se necessario, anche l'evidenza.

Ma, seguendo un'ulteriore fonte del tempo, ossia la testimonianza dell'ambasciatore statunitense in URSS Joseph E. Davies, che presenziò ai processi, ed ebbe questo da dire in merito alla legittimità degli atti giudiziari:

«Con un interprete al mio fianco, ho seguito attentamente la testimonianza. Naturalmente devo confessare che ero predisposto contro la credibilità della testimonianza di questi imputati. L'unanimità delle loro confessioni, il fatto della loro lunga prigionia (incommunicado) con la possibilità di durezza e coercizione che si estendevano a loro stessi o alle loro famiglie, tutto ciò mi ha fatto sorgere seri dubbi sull'affidabilità che poteva essere attribuita alle loro dichiarazioni. Tuttavia, considerando oggettivamente e basandomi sulla mia esperienza nel processo dei casi e sull'applicazione dei test di credibilità che l'esperienza passata mi aveva offerto, sono giunto alla riluttante conclusione che lo Stato aveva dimostrato il suo caso, almeno nella misura in cui dimostrava l'esistenza di una cospirazione e di un complotto diffusi tra i leader politici contro il governo sovietico, e che in base ai loro statuti aveva stabilito i crimini esposti nell'atto di accusa. Nella mia mente, tuttavia, rimane ancora qualche riserva basata sui fatti, che sia il sistema di applicazione delle sanzioni per la violazione della legge sia la psicologia di queste persone sono così ampiamente diversi dalla nostra che forse i test che applicherei non sarebbero accurati se applicati qui. Supponendo, tuttavia, che fondamentalmente la natura umana sia più o meno la stessa ovunque, sono ancora colpito dalle numerose indicazioni di credibilità ottenute nel corso della testimonianza. Avere supposto che questo procedimento fosse stato inventato e messo in scena come un progetto di finzione politica drammatica significherebbe presupporre il genio creativo di uno Shakespeare e il genio di un Belasco nella produzione teatrale. Anche il contesto storico e le circostanze circostanti conferiscono credibilità alla testimonianza. Il ragionamento che Sokolnikov e Radek hanno applicato per giustificare le loro varie attività e i risultati sperati erano coerenti con la probabilità e del tutto plausibili. I dettagli circostanziali, apparentemente a volte sorprendenti persino per il pubblico ministero e per gli altri imputati, che sono stati portati alla luce dai vari imputati, hanno dato una conferma involontaria al succo delle accuse. Anche il modo di testimoniare dei vari imputati e il loro atteggiamento sul banco dei testimoni hanno avuto peso su di me. La dichiarazione imparziale, logica, dettagliata di Pyatakov e l'impressione di disperato candore con cui l'ha rilasciata, hanno portato alla convinzione. Così, anche, con Sokolnikov. Il vecchio generale Muralov era particolarmente impressionante. Si comportava con una bella dignità e con la schiettezza di un vecchio soldato. Nella sua "ultima difesa" disse: "Rifiuto l'avvocato e mi rifiuto di parlare in mia difesa perché sono abituato a difendermi con buone armi e ad attaccare con buone armi. Non ho buone armi con cui difendermi... Non oso biasimare nessuno per questo; sono io stesso da biasimare. Questa è la mia difficoltà. Questa è la mia sfortuna..." Gli imputati minori, che erano solo strumenti, amplificarono con grande dettaglio circostanziale la loro cronaca del crimine e in molti casi diedero indicazioni che ciò che stavano affermando in quel momento veniva pronunciato per la prima volta. Questi e altri fatti, che ho visto, hanno costretto a credere che ci potesse essere stato molto ricamo ridondante nella testimonianza, ma che la vena coerente della verità scorreva attraverso il tessuto, stabilendo una cospirazione politica definita per rovesciare l'attuale governo.[43]

I media mainstream dei paesi capitalisti, anch'essi inizialmente predisposti a immaginare i processi come dei "processi farsa", sono stati costretti, a denti stretti e obtorto collo, ad ammettere, una volta svoltisi i processi, la legittimità delle accuse e la colpevolezza degli imputati. L'Observer, giornale domenicale legato al Guardian, quotidiano della borghesia industriale britannica, e non di commissari sovietici, ebbe questo da dire in merito al processo, nel suo numero del 23 agosto 1937:

«Stalin è ora il leader riconosciuto del Partito unificato, il cui prestigio nel paese è ormai indiscusso. [...] Gli imputati hanno ammesso francamente di aver fatto ricorso al terrore individuale come ultima risorsa, sapendo pienamente che il malcontento nel paese ora non è sufficientemente forte da portarli al potere in nessun altro modo. [...] È inutile pensare che il processo sia stato inscenato e che le accuse siano state inventate. Il caso del governo contro gli imputati è autentico.[44]

Altri stranieri in visita in URSS commentarono i processi, uno tra questi, tale D.N. Pritt, deputato britannico laburista, anch'egli politicamente lontano dalla definizione di un comunista, ebbe da dire:

«Ho studiato la procedura legale nei casi penali nella Russia sovietica con una certa attenzione nel 1932, e ho concluso […] che la procedura garantiva all'imputato ordinario un processo molto equo […] L'accusa era grave. Un gruppo di uomini […] sotto una certa misura di sospetto per attività controrivoluzionarie o deviazioniste, e la maggior parte di loro aveva avuto tali attività condonate in passato con garanzie di lealtà in futuro, ora erano accusati di una lunga, fredda e deliberata cospirazione per provocare l'assassinio di Kirov (che fu effettivamente assassinato nel dicembre 1934), di Stalin, di Voroshilov e di altri leader di spicco. Il loro scopo, a quanto pare, era semplicemente quello di prendere il potere per sé stessi, senza alcuna pretesa di avere un seguito sostanziale nel paese […] E in nessuna fase è stato fatto alcun suggerimento da parte di nessuno di loro che fosse stato usato un qualche tipo di trattamento improprio per convincerli a confessare. La prima cosa che mi ha colpito, come avvocato inglese, è stato il comportamento quasi disinvolto dei prigionieri. Sembravano tutti in buona salute; si alzavano tutti e parlavano, anche a lungo, ogni volta che volevano farlo (per quanto riguarda questo, uscivano a passeggio, con una guardia, quando volevano). L'uno o due testimoni che erano stati chiamati dall'accusa furono controinterrogati dai prigionieri che erano stati toccati dalla loro testimonianza, con la stessa libertà che sarebbe stata il caso in Inghilterra. I prigionieri rinunciarono volontariamente all'avvocato; avrebbero potuto avere un avvocato senza compenso se avessero voluto, ma preferirono farne a meno. E tenendo conto delle loro dichiarazioni di colpevolezza e della loro capacità di parlare, che ammontava nella maggior parte dei casi a vera eloquenza, probabilmente non hanno sofferto per la loro decisione, abili come lo sono alcuni dei miei colleghi di Mosca. La novità più sorprendente, forse, per un avvocato inglese, era il modo semplice in cui prima uno e poi un altro prigioniero intervenivano nel corso dell'interrogatorio di uno dei loro coimputati, senza alcuna obiezione da parte della Corte o del pubblico ministero, così che si aveva l'impressione di un dibattito rapido e vivace tra quattro persone, il pubblico ministero e tre prigionieri, tutti a parlare insieme, se non addirittura nello stesso momento, un metodo che, sebbene impossibile con una giuria, è certamente utile per chiarire le controversie di fatto con una certa rapidità. Molto più importanti, tuttavia, anche se meno sorprendenti, erano i discorsi finali. In conformità con la legge sovietica, i prigionieri avevano l'ultima parola: 15 discorsi dopo l'ultima possibilità dell'accusa di dire qualcosa. Il pubblico ministero, Vishinsky, parlò per primo. Parlò per quattro o cinque ore. Sembrava un uomo d'affari inglese molto intelligente e piuttosto mite. Parlava con vigore e chiarezza. Alzava raramente la voce. Non inveiva mai, non urlava, non batteva i pugni sul tavolo. Raramente guardava il pubblico o giocava per ottenere effetto. Diceva cose forti; chiamava gli imputati banditi e cani rabbiosi e suggeriva che avrebbero dovuto essere sterminati. Anche in un caso grave come questo, alcuni procuratori generali inglesi potrebbero non aver parlato così duramente; ma in molti casi meno gravi molti procuratori inglesi hanno usato parole molto più dure. Non è stato interrotto dalla Corte o da nessuno degli imputati. Il suo discorso è stato applaudito dal pubblico e non è stato fatto alcun tentativo di impedire gli applausi. [...] Ma ora è arrivata la prova finale. I 15 uomini colpevoli, che avevano cercato di rovesciare l'intero Stato sovietico, ora avevano il diritto di parlare; e hanno parlato. Alcuni a lungo, altri brevemente, alcuni in modo argomentativo, altri con qualche misura di difesa; la maggior parte con eloquenza, alcuni con emozione; alcuni rivolgendosi consapevolmente al pubblico nella sala affollata, alcuni girandosi verso la corte. Ma tutti hanno detto quello che avevano da dire. Si sono incontrati senza interruzioni da parte del pubblico ministero, con non più di una rara parola breve o due dalla corte; e il pubblico stesso è rimasto seduto in silenzio, senza manifestare nulla dell'odio che deve aver provato. Hanno parlato senza alcun imbarazzo o ostacolo. Le autorità esecutive dell'U.R.S.S. possono aver fatto, con il successo dell'accusa in questo caso, un passo molto grande verso lo sradicamento delle attività controrivoluzionarie. Ma è altrettanto chiaro che la magistratura e il pubblico ministero dell'U.R.S.S. hanno fatto almeno un passo altrettanto grande verso l'affermazione della loro reputazione tra i sistemi legali del mondo moderno.[45]

Va precisato che Pritt, per la sua onestà intellettuale, sarà dapprima cacciato dal partito laburista nel 1940, e poi inserito nella famosa "lista di Orwell", una lista di proscrizione che il "libertario" anticomunista pedofilo, propagandista, picchiatore e massacra-crani per la polizia coloniale britannica inviò ai servizi segreti britannici e statunitensi.

Un'altra testimonianza in favore della validità dei processi di Mosca è data da un certo Pat Sloan, militante del Partito Comunista Britannico che ha vissuto in Unione Sovietica dal 1931 al 1937, e la cui breve biografia è reperibile come collegamento nella bibliografia di questa voce. Sloan ebbe da dire a proposito dei processi:

«Ogni volta che c'è stato un grande processo in URSS, c'è stato un sussulto nella stampa mondiale. Ciò è naturale, perché i grandi processi in qualsiasi paese sono notizie e quando il processo ha la caratteristica aggiuntiva di essere "bolscevico" per giunta, le sue possibilità di fare del processo un pretesto per qualsiasi tipo di calunnia antisovietica, credibile o incredibile. [...] Come in tutti i precedenti grandi processi sovietici, questo è stato dichiarato una "montatura". Ma proprio come lo sfogo del signor Alan Monkhouse in tribunale, durante il famoso processo Metro-Vickers, che il processo era una "montatura", non è mai stato supportato da un briciolo di prova; così oggi, l'accusa di "montatura" rimane infondata nel minimo grado. Le dichiarazioni più gravi apparse sulla stampa, e le più fuorvianti, sono: (a) che Stalin ora è solo, avendo "assassinato" tutta la "Vecchia Guardia bolscevica"; (b) che il processo era una "montatura" perché tutti gli imputati hanno confessato la loro colpevolezza; e (c) che questo processo sminuisce il significato della nuova bozza di Costituzione. Se esaminiamo solo l'attuale leadership del Partito Bolscevico e le posizioni ricoperte dalle personalità di spicco, scopriamo che praticamente tutti sono bolscevichi con oltre trent'anni di anzianità. Per quasi vent'anni, quindi, hanno lavorato con Lenin. Basta considerare questi: Kalinin, Presidente dell'URSS dal 1922, era originariamente un operaio metalmeccanico. Entrò a far parte del Partito nel 1898 (prima ancora che portasse il nome di "bolscevico"), ed è membro del Comitato Centrale del Partito dal 1919. Molotov, Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, è membro del Partito dal 1906, è stato membro dell'Ufficio Russo del Comitato Centrale nel 1919, e Segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica per gli anni successivi al 1920, e uno dei più stretti collaboratori di Lenin. Ordjonikidze, Commissario per l'Industria Pesante, è membro del Partito dal 1903, è stato eletto al Comitato Centrale nel 1912, e ha svolto un ruolo attivo nella guida della Rivoluzione nel Caucaso. Voroshilov, Commissario della Difesa, era un lavoratore che entrò nel Partito nel 1903, ha svolto un ruolo di spicco nella Guerra Civile, ed è stato poi eletto al Comitato Centrale del Partito. Kaganovitch era un operaio di pelletteria, che si unì al Partito nel 1911. Quindi il più giovane di questi leader aveva lavorato sotto la guida di Lenin per almeno dieci anni, e la maggior parte di loro per vent'anni, e ora sono nel Partito da trent'anni. Quindi è giusto dire che Stalin rimane solo, e la "vecchia guardia" è stata uccisa? Ah, ma si potrebbe sostenere che ora rimangono al potere solo coloro che erano in posizioni minori quando Lenin era vivo. Quindi diamo un'occhiata a due individui che, fino al 1917, hanno lavorato a stretto contatto con Lenin per tutto il tempo. Persone che avevano posizioni di comando. Esaminiamo i registri di queste persone. Nel 1917, quando il Partito stava preparando la rivolta armata, i due intellettuali, Kamenev e Zinoviev, si opposero a questa rivolta in una riunione del Comitato Centrale. Quando furono sconfitti, portarono la loro opposizione sulla stampa pubblica e tradirono i piani dei bolscevichi al governo. A quel tempo Lenin scrisse: "Considererei vergognoso da parte mia se, a causa dei miei precedenti stretti rapporti con questi ex compagni, non li condannassi. Dichiaro apertamente che non considero più nessuno dei due compagni e che combatterò con tutte le mie forze, sia nel Comitato Centrale che al Congresso, per ottenere l'espulsione di entrambi dal Partito. Lasciamo che i signori Zinoviev e Kamenev fondano il loro partito tra le decine di persone disorientate. Gli operai non si uniranno a un tale partito". Così scopriamo che due intellettuali, che avevano "precedenti stretti rapporti" con Lenin prima dell'ottobre 1917, e che ora sono salutati dal "Daily Mail" al "Daily Herald" come la "Vecchia Guardia bolscevica", furono condannati da Lenin per il loro tradimento in uno dei momenti più seri della Rivoluzione, e lui cercò di farli espellere dal Partito. D'altro canto, i bolscevichi che oggi lavorano in stretta collaborazione con Stalin sono lavoratori, che sono stati nel partito per 20 o 30 anni e che sono saliti al potere come risultato delle loro attività nella guerra civile, dopo che Zinoviev e Kamenev si erano già screditati. E per quanto riguarda Trotskij, non c'è alcuna affermazione che quest'uomo sia stato con Lenin per anni prima della Rivoluzione. In realtà, ha definito Lenin il "leader dell'ala reazionaria del Partito" nel 1903 e nel 1917 disse che i "bolscevichi si erano debolscevizzati" e che il "settarismo bolscevico" era un "ostacolo all'unità". E oggi, in una recente intervista al "News Chronicle", si riferisce al "nuovo conservatorismo" della dirigenza sovietica, una ripetizione diretta del suo attacco a Lenin risalente al lontano 1903. Ma anche quando era all'interno del partito, tra il luglio 1917, quando era chiaro che solo i bolscevichi potevano guidare le masse al successo, fino alla sua espulsione, Trotskij si oppose a Lenin, che era sempre sostenuto da Stalin, su una questione dopo l'altra. E nella dirigenza dell'Armata Rossa, per la quale Trotskij divenne famoso, ci furono continui conflitti con la dirigenza del partito e con Lenin e Stalin. Ma mentre Trotskij si guadagnava la fama con i suoi discorsi, Stalin fu inviato su un fronte critico dopo l'altro come rappresentante del Comitato centrale e determinò la politica tramite brevi e concisi telegrammi a Lenin. E quando Lenin morì, Trotskij seppellì tutti i suoi vecchi litigi con Lenin. Non fece più riferimento alle sue precedenti accuse secondo cui i bolscevichi erano stati "burocratici" e "reazionari" sotto Lenin, ma introdusse ora i suoi attacchi alla "burocrazia stalinista", accusando Stalin di aver rotto con la politica di Lenin. È quando i fatti sono visti in questa luce che la vera posizione di Trotskij, Zinoviev e Kamenev, per citarne solo tre, può essere compresa. Sono tutti e tre ex dirigenti screditati, che hanno perso la fiducia delle masse e quindi non potrebbero mai essere rieletti alle posizioni di comando nel Partito o nello Stato. [...] Ma nell'URSS, una volta che i lavoratori hanno il potere, un "leader" screditato non ha una classe capitalista che gli dia un lavoro o lo finanzi per una carriera politica contro i lavoratori. Nell'URSS deve sottomettersi al lavoro sotto la guida di quegli stessi dirigenti che lo hanno sostituito. E un lavoratore, di regola, riconoscendo la necessità della disciplina di classe prima di tutto, può riconoscere i suoi errori e lavorare in una posizione minore quando viene sconfitto su una questione. Ma gli intellettuali rivoluzionari, più e più volte nei momenti di crisi, hanno mostrato la loro tendenza a mettere il prestigio personale prima di tutto il resto e a combattere fino in fondo contro gli avversari politici, anche se questo sacrifica gli stessi principi che stavano accettando verbalmente. Kamenev e Zinoviev dovettero accettare la leadership di Stalin, ma ciò li irritava. La loro "indipendenza" richiedeva che non si sottomettessero a questa dominazione da parte di un leader eletto con cui non erano d'accordo. Pertanto, dall'opposizione aperta iniziarono a combattere in segreto. E così entrarono in contatto con altri che combattevano in segreto: gli agenti fascisti nell'URSS. Trotskij fu espulso dal paese. Dopo la sua espulsione non ha mai smesso di attaccare la "burocrazia stalinista". Ma se una burocrazia governa l'URSS, allora rimuovi la burocrazia e Trotskij può tornare come un eroe! È quindi coerente con la teoria di Trotskij secondo cui l'intero popolo dell'URSS è dominato, contro la sua volontà, da una piccola "burocrazia", ​​che solo la "burocrazia" deve essere eliminata, perché lui possa essere accolto di nuovo come un liberatore. È irragionevole supporre che Trotskij, mettendo in pratica questa teoria, stesse lavorando con tutti quanti per porre fine ai pochi individui che componevano la sua "burocrazia", ​​come una via per tornare al potere? Ma poi viene sollevata l'accusa: che Stalin è un dittatore personale, senza il sostegno delle masse, e che questo processo stesso porterebbe a lotte di massa. In realtà, nessuna lotta di massa si è materializzata se non nella stampa fascista tedesca, copiosamente citata dal "Daily Herald" negli ultimi giorni. [...] Bene, ecco le accuse secondo cui Stalin ora sarebbe l'unico, avendo messo fine a tutta la "Vecchia Guardia Bolscevica". Tra l'altro, questa è la prima volta nella sua storia che il "Daily Herald" e il "Daily Mail" hanno pianto lacrime di sale all'unisono per la sorte dei "vecchi bolscevichi". E non per la "montatura". La vera domanda è: perché sedici imputati hanno confessato tutti la loro colpevolezza, hanno partecipato in modo vivace al procedimento giudiziario e hanno mostrato tutta la loro vecchia capacità di parlare in pubblico e di fare battute, e tuttavia si sono dichiarati "colpevoli"? Non è perché erano stati a marcire nelle segrete o qualcosa del genere. In realtà, gli imputati arrestati più di recente erano in libertà nell'URSS fino a maggio di quest'anno. E comunque, se fossero stati maltrattati in prigione, sicuramente alcuni segni di ciò sarebbero stati visibili al pubblico, o almeno uno di loro avrebbe fatto una sorta di dichiarazione sulla questione! No, il fatto è questo: i prigionieri avevano quattro alternative. Primo, dichiararsi innocenti. Secondo, dichiararsi colpevoli, tenendo discorsi politici contro il governo sovietico, la "burocrazia stalinista", e giustificando il loro crimine. Terzo, dichiararsi colpevoli e non dire altro. Quarto, confessare e rendere conto completo delle loro attività. Oltre a queste possibilità, non c'era nessun'altra via aperta per loro, se non il suicidio, la via scelta solo da Tomsky. Dichiararsi innocenti era impossibile perché le prove erano schiaccianti e tutte queste persone lo sapevano. Sapevano quali prove aggiuntive avrebbero potuto essere portate contro di loro se avessero cercato di dimostrare la loro innocenza. Attaccare il governo sovietico e la "burocrazia stalinista" era impossibile, perché da quasi dieci anni queste persone non hanno assolutamente alcuna politica politica da opporre a quella di Stalin. Il fatto è che la politica di Stalin è un successo e questo ha privato i suoi oppositori di ogni scusa per un attacco politico. Questo fatto è apertamente ammesso dall'imputato. Fuori dall'URSS, dal suo rifugio in Norvegia, Trotskij emana una politica "opposta". Si tratta di: (a) proletarizzare gli elementi non proletari nell'URSS; (b) organizzare un Fronte dei lavoratori, in contrapposizione a un Fronte popolare, nei paesi capitalisti. Sembra che tutti gli imputati fossero sufficientemente consapevoli delle tendenze politiche da rendersi conto che presentare una tale linea in tribunale, come giustificazione politica, sarebbe stato peggio che ammettere francamente di non avere una vera politica alternativa; cioè, nessun programma politico. In realtà, la politica di Stalin è stata costantemente quella di "proletarizzare" gli elementi non proletari nella popolazione, e la politica è ora quasi completamente realizzata. E a livello internazionale, suggerire lo smantellamento del Fronte popolare e la formazione di un Fronte dei lavoratori al suo posto, non merita di essere menzionato. E così, di fronte a tutti gli uomini, contro i quali le prove erano schiaccianti, che non avevano una politica, c'era l'unica possibilità di dichiararsi colpevoli, con o senza i dettagli del loro crimine. Ora accade che nessuno degli individui portati a processo abbia mai rinunciato nella sua carriera politica alla possibilità di fare un discorso davanti al mondo intero. E sono rimasti fedeli al loro tipo. E in tribunale hanno fatto i loro discorsi, hanno mostrato segni della loro vecchia gioia nel "mettere in chiaro" e della loro vecchia brillantezza oratoria, e hanno detto la verità al mondo intero. E ora, due questioni finali. In primo luogo, si dice che il processo è stato "inopportuno", è stato un "errore politico" tenerlo proprio ora. Naturalmente, se si fosse trattato di una "montatura", appositamente organizzata dal governo sovietico, quell'accusa sarebbe vera. Ma perché il governo sovietico, in questo momento così delicato negli affari internazionali, dovrebbe organizzare una montatura calcolata per correre il rischio di inimicarsi tutta quell'opinione liberale in tutto il mondo che sta sempre più sostenendo la politica di pace sovietica, ma ha orrore delle condanne a morte, persino contro assassini provati? Sono state avanzate tre ipotesi. La prima, che il governo sovietico volesse dimostrare che sta "diventando rispettabile". Ma i leader sovietici sono abbastanza intelligenti da sapere che i processi per tradimento non hanno mai probabilità di guadagnarsi una reputazione di rispettabilità nei circoli liberali, mentre il bolscevismo in quanto tale non può mai diventare rispettabile per i reazionari, chiunque possa essere ucciso. E la seconda ipotesi è che si trattasse di distogliere l'attenzione dalla Spagna all'interno dell'URSS! Quando i sindacati sovietici hanno raccolto più soldi per i lavoratori spagnoli di quanti ne siano stati raccolti in qualsiasi altro paese! Una terza ipotesi è che nell'URSS stessero crescendo disordini di massa. Ma se così fosse, e se gli uomini che furono processati fossero i leader di questi disordini, allora è assolutamente inconcepibile, con giornalisti stranieri e microfoni radio davanti a loro, che nessun prigioniero abbia detto una parola per mobilitare questi disordini, per dare coraggio alla popolazione scontenta e per accendere quella fiamma di insoddisfazione che stava strisciando nel paese! Solo la consapevolezza che gli imputati sapevano di non avere alcun sostegno di massa, come hanno dichiarato al processo, può spiegare la loro totale mancanza di qualsiasi tentativo di mobilitare opinione e azione contro l'attuale governo sovietico. E infine, sulla nuova Costituzione sovietica. C'è una sola parola in questa Costituzione che dice che i terroristi, che pianificano atti di terrore in cooperazione con i fascisti, contro i leader dello Stato sovietico, non devono essere processati e, se necessario, condannati a morte? No, non una parola. Perché, finché ci saranno stati fascisti e capitalisti, ci saranno agenti fascisti e capitalisti nell'URSS; e finché l'uso della violenza sarà un principio del capitalismo, portato a tutte le forme di terrorismo bestiale sotto il fascismo; così lo Stato operaio deve usare la forza per reprimere la forza. Nel processo di Mosca agli imputati fu offerto il diritto a un avvocato difensore, e loro rifiutarono. Si dichiararono colpevoli e spiegarono i loro crimini, perché non avevano un modo migliore di comportarsi. I vecchi leader screditati dei lavoratori russi, i MacDonald e gli Snowden russi, non avevano una classe capitalista a sostenere la loro futura carriera politica, così fecero ricorso al terrorismo clandestino e si allinearono alla classe capitalista tedesca con i suoi agenti fascisti.[46]

Sloan, che ha assistito di persona ai processi, che ha vissuto per 5 anni in Unione Sovietica, e che ha potuto studiare e apprendere non solo la legislatura sovietica, ma anche i motivi dietro le sue principali caratteristiche, oltre ad aver facilmente demolito i punti principali della propaganda trotskista di allora (e di oggi), dalla menzogna dei "Vecchi Bolscevichi" a quella della "burocrazia senza consenso popolare", ha illustrato la dinamica del processo, e i motivi logici per cui le confessioni degli imputati, politici di opposizione privi di qualsivoglia consenso popolare, che si sono visti costretti solo tramite la cospirazione e il terrorismo ad attaccare lo stato e il governo sovietico. C'è chi potrebbe facilmente bollare tale analisi, per quanto inoppugnabile e bene argomentata, come falsa a priori solo perché "di parte", in quanto scritta da un autore dichiaratamente comunista e filo-sovietico. Tali suggestioni, però, si sciolgono come neve al sole non appena si prende in considerazione il fatto che molti difensori di Trotskij dell'epoca, raggruppati principalmente nell'organizzazione liberale in odore di "diritti umanoidi" nota come "Comitato Americano per la difesa di Leon Trotskij", per molti versi progenitrice di ONG come Amnesty International e Nessuno Tocchi Caino che attaccano solo e soltanto i nemici del Dipartimento di Stato USA, hanno successivamente cambiato idea e pubblicamente affermato anch'essi la validità dei processi e la colpevolezza degli imputati. In particolare, Mauritz A. Hallgren, giornalista dell'epoca dichiaratamente liberale, ha avuto questo da dire:

«Da quando sono entrato a far parte del vostro comitato, ho riflettuto profondamente e seriamente sull'intero problema qui coinvolto. Ho esaminato, per quanto sono stati resi disponibili in questo paese, tutti i documenti relativi al caso. Ho seguito attentamente tutti i resoconti giornalistici. Ho consultato alcuni dei resoconti fatti dai non comunisti che hanno assistito al primo processo. Ho studiato attentamente le argomentazioni pubblicate dai partigiani di entrambe le parti. E ho riesaminato con altrettanta attenzione gli scritti di Trotskij riguardanti il ​​suo caso contro lo stalinismo e la sua teoria della rivoluzione permanente, vale a dire, quei suoi scritti su queste questioni che sono stati pubblicati fino ad oggi. Credevo quando sono entrato a far parte del vostro comitato, e [credo ancora, nel diritto di asilo per le persone esiliate a causa delle loro convinzioni politiche o di altro tipo. A Trotskij è stato concesso asilo in Messico e questa parte del compito del comitato sembrerebbe, quindi, essere stata portata a termine. In secondo luogo, a quel tempo nella mia mente c'erano sufficienti dubbi su certi aspetti del processo Zinoviev-Kamenev da indurmi a supporre che il processo non fosse del tutto autentico. Questo dubbio si basava sulla possibilità che, mentre Zinoviev e i suoi soci erano stati presi in giro per cospirazione (perché non ho mai visto una buona ragione per dubitare della loro colpevolezza), era stata loro promessa una mitigazione delle loro pene in cambio di una confessione pubblica che avrebbe implicato anche Trotskij nei loro crimini. Alla luce di questo dubbio, fui lieto di unirmi al comitato nel tentativo di fornire a Trotskij l'opportunità di rispondere alle accuse mosse contro di lui. [...] Subito dopo il primo processo, Zinoviev e i suoi soci furono giustiziati. È stato affermato che era stato loro promesso un trattamento indulgente se avessero da parte loro accusato pubblicamente Trotskij di aver cospirato con loro per rovesciare Stalin e il governo sovietico. In verità, fu in gran parte su questa supposizione che si basava l'affermazione che il primo processo fosse una "montatura". Ma ora che gli uomini erano stati messi a morte, Trotskij e i suoi seguaci dichiararono che loro, gli imputati, erano stati traditi. Per i trotskisti questa era un'ulteriore prova della loro affermazione che il primo processo era stato "incastrato". Per lo studente disinteressato, tuttavia, avrebbe potuto facilmente dimostrare il contrario. Dopo tutto, è una delle più semplici regole della logica che non si può usare una premessa per provare una tesi e poi usare la negazione di quella premessa per provare la stessa tesi. Logicamente, quindi, si sarebbe dovuto cercare altrove una spiegazione delle esecuzioni, e l'unica altra possibile spiegazione era che gli uomini erano stati effettivamente messi a morte nel normale corso della giustizia e per l'unica ragione che erano colpevoli dei crimini a loro imputati. Tuttavia era possibile, nonostante l'insorgere di questo contro-dubbio, che fossero stati traditi. Ora siamo giunti al secondo processo. Qual è la situazione? Gli uomini ora sotto processo non possono assolutamente essere sotto l'illusione di quale sia il loro destino. Devono sapere e sanno che saranno condannati a morte. Nonostante questo non esitano a confessare i loro crimini. Perché? L'unica risposta plausibile è che sono colpevoli. Di sicuro non si può e non si vorrà sostenere anche questa volta che c'è stato un "accordo", perché uomini come Radek non sono ovviamente così stupidi da credere che salveranno le loro vite in quel modo dopo quello che è successo a Kamenev e Zinoviev. È stato detto che sono stati torturati per confessare. Ma quale tortura più grande ed efficace può esserci della consapevolezza di una morte certa? In ogni caso, gli uomini in aula non hanno mostrato la minima prova di essere stati torturati o di essere stati sotto costrizione. Alcuni dicono che sono stati ipnotizzati per confessare, o che l'accusa, lavorando sulla sua conoscenza della psicologia slava, ha in qualche modo intrappolato questi uomini per confessare azioni di cui non sono colpevoli. Ad esempio, l'unanimità con cui gli uomini hanno confessato è considerata una prova che le confessioni sono false e sono state ottenute con qualche mezzo misterioso. Eppure queste affermazioni non si basano su alcuna prova tangibile o logica. L'idea che sia stata usata una qualche forma inspiegabile di mesmerismo orientale è un'idea che la sana ragione deve respingere come del tutto fantastica. La stessa unanimità degli imputati, lungi dal dimostrare che questo processo è anche una "montatura", mi sembra dimostrare direttamente il contrario. Perché se questi uomini sono innocenti, allora certamente almeno uno delle tre dozzine, sapendo che avrebbe affrontato la morte in ogni caso, avrebbe spifferato la verità. È inconcepibile che di questo gran numero di imputati, tutti debbano mentire quando le bugie non farebbero alcun bene a nessuno di loro. Ma perché guardare oltre l'ovvio per la verità, perché cercare nel misticismo o nella magia oscura i fatti che sono sotto il nostro naso? Perché non accettare il semplice fatto che gli uomini sono colpevoli? E questo fatto, se accettato per quanto riguarda gli uomini ora sotto processo, deve essere accettato anche riguardo agli uomini giustiziati dopo il primo processo. [...] È un fatto curioso, che sembra essere sfuggito ai liberali sia in questo paese che in Inghilterra, che il governo sovietico si sta danneggiando molto più di quanto potrebbe evitare tenendo questi processi, specialmente in questo momento. Il fatto stesso che i liberali e i socialisti siano stati risvegliati da questo evento, il fatto stesso che questo comitato di difesa sia stato formato, rivela la grande misura in cui l'Unione Sovietica sta subendo danni. Cosa ha da guadagnare Stalin nell'intraprendere azioni che tendono ad alienare questi elementi? È ovvio che non ha nulla da guadagnare. Al contrario, rischia di perdere molto. Al momento c'è un grave pericolo di intervento. Il governo sovietico ha bisogno di tutto il sostegno possibile da parte di lavoratori, liberali e democratici di altri paesi. Senza tale sostegno, la crescente ondata di fascismo potrebbe presto travolgere la Russia sovietica, dopodiché, naturalmente, Stalin e il suo governo scomparirebbero inevitabilmente. Dobbiamo supporre, quindi, che Stalin abbia stupidamente gettato ogni cautela al vento solo per vendicarsi dei suoi nemici personali? Dobbiamo supporre che egli sia ansioso di erigere fronti popolari per proteggere l'Unione Sovietica da un pericolo esterno e allo stesso tempo sia così cieco da intraprendere azioni che potrebbero distruggere questi fronti popolari per soddisfare qualche capriccio o ambizione puramente personale? Dobbiamo supporre che sia così ottuso da non rendersi conto della gravità di questo pericolo esterno non solo per l'Unione Sovietica ma anche per se stesso? Ora, nessuno dirà che Stalin è stupido. Perfino i trotskisti si lamentano che la minaccia dello "stalinismo" non risiede nella stupidità ma nell'intelligenza diabolica. Ne consegue che, poiché il governo di Stalin sta apparentemente rischiando molto tenendo questi processi, ha scoperto un pericolo interno non meno grave del pericolo esterno. In breve, ne consegue che il governo ha scoperto una cospirazione contro se stesso, le cui prove sono così abbondanti e il cui pericolo è così evidente che non osa trattenersi, anche se nel distruggere la cospirazione potrebbe alienare il suo sostegno democratico all'estero e quindi aumentare il pericolo esterno. Finora abbiamo preso in considerazione solo i cospiratori di Mosca. Si è detto poco di Leon Trotskij. È colpevole anche lui? I cospiratori dicono di sì. Lui lo nega con enfasi (e muove altre accuse di pari gravità contro Stalin). Abbiamo le prove di Mosca. Dove sono le prove di Trotskij? Si può ammettere che non abbia avuto il suo giorno in tribunale. E si può ammettere che verso la fine del suo soggiorno in Norvegia sia stato letteralmente heid incommunicado. Eppure è fuori dalla Norvegia da diverse settimane e non ha ancora ricevuto alcuna prova tangibile delle sue affermazioni, nessun documento, nemmeno dichiarazioni circostanziali. Non ha rilasciato altro che smentite negative. Anche alcune di queste smentite sono di tipo discutibile. Il suo attacco gratuito a D. N. Pritt, offerto senza alcun fatto a sostegno, di certo non lo ha aiutato. [...] È un fatto curioso, che sembra essere sfuggito ai liberali sia in questo paese che in Inghilterra, che il governo sovietico si sta danneggiando molto più di quanto potrebbe evitare tenendo questi processi, specialmente in questo momento. Il fatto stesso che i liberali e i socialisti siano stati risvegliati da questo evento, il fatto stesso che questo comitato di difesa sia stato formato, rivela la grande misura in cui l'Unione Sovietica sta subendo danni. Cosa ha da guadagnare Stalin nell'intraprendere azioni che tendono ad alienare questi elementi? È ovvio che non ha nulla da guadagnare. Al contrario, rischia di perdere molto. Al momento c'è un grave pericolo di intervento. Il governo sovietico ha bisogno di tutto il sostegno possibile da parte di lavoratori, liberali e democratici di altri paesi. Senza tale sostegno, la crescente ondata di fascismo potrebbe presto travolgere la Russia sovietica, dopodiché, naturalmente, Stalin e il suo governo scomparirebbero inevitabilmente. Dobbiamo supporre, quindi, che Stalin abbia stupidamente gettato ogni cautela al vento solo per vendicarsi dei suoi nemici personali? Dobbiamo supporre che egli sia ansioso di erigere fronti popolari per proteggere l'Unione Sovietica da un pericolo esterno e allo stesso tempo sia così cieco da intraprendere azioni che potrebbero distruggere questi fronti popolari per soddisfare qualche capriccio o ambizione puramente personale? Dobbiamo supporre che sia così ottuso da non rendersi conto della gravità di questo pericolo esterno non solo per l'Unione Sovietica ma anche per se stesso? Ora, nessuno dirà che Stalin è stupido. Perfino i trotskisti si lamentano che la minaccia dello "stalinismo" non risiede nella stupidità ma nell'intelligenza diabolica. Ne consegue che, poiché il governo di Stalin sta apparentemente rischiando molto tenendo questi processi, ha scoperto un pericolo interno non meno grave del pericolo esterno. In breve, ne consegue che il governo ha scoperto una cospirazione contro se stesso, le cui prove sono così abbondanti e il cui pericolo è così evidente che non osa trattenersi, anche se nel distruggere la cospirazione potrebbe alienare il suo sostegno democratico all'estero e quindi aumentare il pericolo esterno. Finora abbiamo preso in considerazione solo i cospiratori di Mosca. Si è detto poco di Leon Trotskij. È colpevole anche lui? I cospiratori dicono di sì. Lui lo nega con enfasi (e muove altre accuse di pari gravità contro Stalin). Abbiamo le prove di Mosca. Dove sono le prove di Trotskij? Si può ammettere che non abbia avuto il suo giorno in tribunale. E si può ammettere che verso la fine del suo soggiorno in Norvegia sia stato letteralmente tenuto in incommunicado. Eppure è fuori dalla Norvegia da diverse settimane e non ha ancora ricevuto alcuna prova tangibile delle sue affermazioni, nessun documento, nemmeno dichiarazioni circostanziali. Ha rilasciato solo smentite negative. Anche alcune di queste smentite sono di tipo discutibile. Il suo attacco gratuito a D. N. Pritt, offerto senza alcun fatto a sostegno, di certo non lo ha aiutato. Se Trotskij è innocente e ha la prova documentale della sua innocenza che dice di avere, perché non la produce? La stampa Hearst sarebbe stata ben felice di pubblicarlo e pagare Trotskij favolosamente bene per i suoi documenti. Il New York Times, il London Times e altre riviste borghesi sarebbero stati altrettanto felici di dare spazio ai suoi documenti. Il Manchester Guardian gli è stato accanto nella buona e nella cattiva sorte negli ultimi mesi: non lo abbandonerebbe nemmeno ora. Si è detto che intende mettere le sue prove nel nuovo libro che sta scrivendo sullo stalinismo. E si potrebbe anche sostenere che sarebbe meglio per lui presentare le sue prove alla commissione internazionale progettata che gli darà udienza. Ma considerate l'assurdità, lo sbalorditivo cinismo di un simile atteggiamento. Ecco uomini che aspettano la morte per accuse che Trotskij dice essere totalmente false, ed ecco Trotskij che sostiene di poter dimostrare che sono false, e tuttavia trattiene questa prova indispensabile per il bene di un libro o per il bene di un'inchiesta internazionale non ancora organizzata! E qui ci sono innumerevoli liberali e socialisti che credono fermamente che la giustizia venga distrutta per ordine di Stalin, ma che non hanno un briciolo di prova a sostegno di questa convinzione, a parte le loro paure e i loro sospetti, e qui c'è Trotskij che ha le prove essenziali, e tuttavia non riesce a produrle quando sono più necessarie. Considerate un'altra cosa. Trotskij negli ultimi anni ha scritto molti libri e opuscoli esponendo la sua dottrina della rivoluzione permanente e pretendendo di smascherare Stalin e lo stalinismo. Sostiene, non una volta ma più e più volte, che Stalin deve essere rovesciato se si vuole salvare la rivoluzione. Ora, o gli argomenti e le esortazioni di Trotskij sono del tutto passivi e accademici, nel qual caso potrebbero essere dimenticati, oppure intende che si dovrebbe agire in base a essi. È ovvio, tuttavia, che Trotskij non sta svolgendo alcun ruolo passivo, che sta coscientemente facendo l'agitatore, e che si considera il leader attivo del movimento contro Stalin. Ciò emerge da ogni riga che ha scritto sul problema ed è evidente da tutte le sue attività. Ma come si può rovesciare Stalin? È chiaro, persino ai seguaci di Trotskij, che non ci può essere alcuna speranza di provocare una rivolta popolare all'interno dell'Unione Sovietica. Potrebbe essere fatto solo con un intervento straniero, o con una cospirazione all'interno del governo sovietico, o con una combinazione dei due. Attraverso chi potrebbe essere intrapresa una cospirazione del genere? Ovviamente, attraverso persone all'interno del governo che hanno avuto esperienza in tale lavoro in passato. Ancora più ovviamente, da vecchi cospiratori che credono, o una volta credevano, nella dottrina di Trotskij. E cosa hanno rivelato i processi di Mosca? Hanno rivelato esattamente questo tipo di cospirazione. Hanno rivelato proprio il tipo di complotto contro il governo sovietico che gli insegnamenti di Trotskij richiedono! Di certo, questo di per sé non dimostra che Trotskij abbia cospirato con gli imputati di Mosca. Tuttavia, l'uomo ragionevole è costretto ad ammettere che, data la nota disposizione all'azione di Trotskij e la sua presentazione energica del suo caso contro Stalin, le prove circostanziali contro di lui sono davvero molto forti. Si potrebbe ben dire, e non si può negare, che il caso del governo sovietico contro Trotskij non è perfetto. Ha commesso degli errori. Ha fatto affermazioni apparentemente contrarie ai fatti. Ma poi, non c'è mai stata una controversia in cui i fatti da una parte fossero tutti neri e quelli dall'altra completamente bianchi. Si devono giudicare queste questioni, non secondo standard rigidi o assoluti, ma soppesando le prove. E nel caso presente la preponderanza delle prove è dalla parte del governo sovietico e chiaramente contro Trotskij. Sono prontamente d'accordo che Stalin ha i suoi difetti. Sono ben lontano dall'essere d'accordo con tutto ciò che il governo sovietico e il Comintern hanno fatto o stanno facendo. Eppure ogni persona imparziale deve ammettere che sotto la sua attuale leadership l'Unione Sovietica ha compiuto notevoli progressi verso l'istituzione del socialismo. È solo tra i nazisti, i fascisti e i reazionari di altri paesi, tra alcuni gruppi all'interno della Seconda Internazionale e tra i trotskisti che si sostiene che l'Unione Sovietica sotto Stalin e i suoi soci si stia muovendo, non verso il socialismo, ma verso il capitalismo o il bonapartismo o qualcosa chiamato "fascismo rosso". Le persone a conoscenza dei fatti devono e considerano assurde queste accuse. Chi ha una minima comprensione dell'economia può facilmente vedere che è il socialismo e nient'altro che si sta sviluppando nella Russia sovietica. Fare qualsiasi affermazione contraria è, alla luce dei fatti accertati, un mero pio desiderio o una distorsione deliberata. Stando così le cose, qualsiasi attacco alla leadership comunista nell'Unione Sovietica, per quanto imperfetta possa essere, che abbia come scopo il rovesciamento del governo sovietico deve essere considerato un attacco deliberato e malizioso al socialismo stesso. Ciò non significa che io consideri il governo sovietico al di sopra delle critiche. Tutt'altro. Ma significa che considero la critica disonesta o qualsiasi tentativo di andare oltre la critica (ad esempio, uno sforzo per distruggere piuttosto che aiutare lo sviluppo del socialismo nell'Unione Sovietica) come un tradimento del socialismo. E questo, a parte il clamore contro i processi di Mosca, è lo scopo oggettivo degli scritti e delle attività di agitazione di Trotskij. Forse Trotskij può sostenere le sue accuse. Non dovrebbe certamente essere negata l'opportunità di produrre le prove che dice di avere. Ma la sua riluttanza o incapacità di produrre le sue prove quando sono più necessarie deve contare contro di lui. Inoltre, e questo è un punto di estrema importanza, bisogna tenere a mente che Trotskij non è una parte disinteressata. Non si presenta in tribunale con le mani pulite. È un avversario giurato del governo di Stalin. Si deve presumere, quindi, che egli sia almeno altrettanto interessato, e con ogni probabilità molto di più, a portare avanti la sua campagna per distruggere il governo di Stalin quanto lo è a ottenere giustizia astratta per se stesso. Lasciate che affermi che è solo giustizia ciò che desidera, e poi lasciate che prometta pubblicamente che, nel caso in cui non riesca a comprovare le sue accuse contro il governo sovietico, cesserà prontamente i suoi sforzi per distruggere quel governo. Se rifiuta di impegnarsi in questo particolare, l'uomo ragionevole deve concludere che sta usando la sua richiesta di giustizia unicamente come un mezzo per arruolare ulteriore sostegno per la sua campagna contro il socialismo nell'Unione Sovietica. Cronologicamente, in effetti, le prove su questo punto sono già contro di lui. Il clamore contro i processi di Mosca è venuto per primo dai trotskisti. [...] In ogni caso, almeno finché Trotskij non si presenterà in tribunale con le mani pulite, rimarrò convinto che l'attuale movimento liberale per ottenere giustizia per lui non è altro che una manovra trotskista contro l'Unione Sovietica e contro il socialismo. Sono altrettanto convinto, come devo essere date le circostanze, che l'American Committee for the Defense of Lev Trotskij sia diventato, forse inconsapevolmente, uno strumento dei trotskisti per l'intervento politico contro l'Unione Sovietica. In effetti, a parte le considerazioni citate sopra, è fin troppo chiaro che l'intero approccio e la fraseologia del comitato sono stati radicalmente modificati da quando il comitato è stato formato. [...] Forse i membri liberali non sono consapevoli della vera natura del comitato. Ma questo non può essere vero per i membri politici, dei trotskisti e di altri, che hanno un solo scopo, ovvero quello di usare il comitato come trampolino di lancio per nuovi attacchi contro l'Unione Sovietica. Non intendo in nessun caso permettermi di diventare parte di alcun accordo che abbia come scopo oggettivo (qualunque possa essere la sua giustificazione soggettiva) il deterioramento o la distruzione del sistema socialista attualmente in costruzione nella Russia sovietica. Pertanto, ritirerete il mio nome come membro del comitato.[47]

Hallgreen, giornalista di ispirazione liberale, che, a differenza del già citato Sloan, tende nel suo scritto, oltre ad esprimere delle critiche abbastanza condivisibili, anche da socialisti e/o comunisti, sul governo di Stalin, a voler comunque dare il beneficio del dubbio a Trotskij e ai trotskisti, non può che concludere, per logica analisi degli atti processuali, del fatto che le confessioni siano avvenute tutte all'unanimità, e del fatto che soprattutto Trotskij, che asseriva di essere innocente, continuava comunque a produrre scritti di agitazione contro il governo sovietico non dissimili, nella teoria, dalla prassi degli inoppugnabilmente colpevoli cospirazionisti, senza produrre, invece, prove (che dichiarava di avere alla mano, e che tramite gli studi delle fonti di archivio dagli anni 80 in poi, più volte riportati in questa voce, sappiamo non essere mai esistite, ed essere solo menzogne) della sua "incontrovertibile innocenza", che Trotskij è più vicino ad essere colpevole che innocente, che i processi di Mosca sono stati legittimi, che gli imputati furono effettivamente colpevoli dei propri crimini e che, soprattutto, tutte le organizzazioni in odore di "diritti umani e individuali" di tipo liberale che si erano costituite per i diritti di Trotskij come "esule" erano ormai organizzazioni cooptate da Trotskij solo e soltanto per promuovere la sua narrativa unidimensionale e unidirezionale. Ciò che è più interessante in merito alla pubblicazione di questo documento è che ha ispirato altri giornalisti, trattasi di Carleton Beals, Lewis Gannett e Freda Kirchwey.

2) Gli imputati hanno subito tortura e/o minacce

Un'altra "argomentazione" comunemente ripetuta dalla propaganda anticomunista è quella secondo cui gli imputati dei processi avrebbero subito tortura. Tale ipotesi, già ritenuta da molti all'epoca dei fatti, a processi avvenuti, una falsità, e nelle fonti riportate è già stato riportato il principale argomento contro tale ipotesi, per di più da tre punti di vista differenti (socialdemocratico, comunista e liberale rispettivamente), tende ad essere spesso ripetuta, ignorando queste ed altre argomentazioni del tempo, perlopiù provenienti soprattutto da gente totalmente estranea e in parte anche critica del governo di Stalin. Ma in merito a tale specifica accusa rispetto alla validità dei processi, una fonte e testimonianza importante a dimostrazione che non vi furono torture sugli imputati è quella del romanziere e drammaturgo tedesco Lion Feuchtwanger, tra le tante cose anche amico intimo di Berthold Brecht, che ebbe da scrivere nel suo diario personale della sua visita a Mosca durante il processo a Piatakov e Radek:

«La condotta dei processi viene attaccata non meno ferocemente dell'accusa. Se avevano documenti e testimoni, chiedono gli scettici, perché hanno tenuto i documenti nel cassetto e i testimoni dietro le quinte, accontentandosi di confessioni incredibili? È vero, risponde il popolo sovietico, che nel procedimento principale abbiamo in una certa misura mostrato solo il distillato, il risultato preparato dell'inchiesta preliminare. Abbiamo esaminato le prove in anticipo e le abbiamo confrontate con gli imputati. Nel procedimento principale ci siamo accontentati delle loro confessioni. [...] Pertanto abbiamo fatto tutto nel modo più semplice e trasparente possibile. I dettagli delle prove indiziarie, dei documenti e delle deposizioni possono interessare giuristi, criminalisti e storici, ma avremmo solo confuso i nostri cittadini sovietici se avessimo tirato fuori tutti i tipi di dettagli. Le semplici confessioni erano più comprensibili per loro di qualsiasi quantità di prove indiziarie ingegnosamente assemblate. Non abbiamo condotto questa azione a beneficio dei criminalisti stranieri; l'abbiamo fatto a beneficio del nostro stesso popolo. Non si può negare che la caratteristica più impressionante delle confessioni sia la loro precisione e coerenza, e così gli scettici hanno costruito ipotesi fantastiche sui metodi impiegati per ottenerle. La prima e più ragionevole supposizione è, naturalmente, che le confessioni siano state estorte ai prigionieri con la tortura e con la minaccia di torture ancora peggiori. Tuttavia questa prima congettura è stata confutata dall'evidente freschezza e vitalità dei prigionieri, dal loro intero aspetto fisico e mentale. Quindi, per spiegare le confessioni "impossibili", gli scettici hanno dovuto brancolare per trovare altre cause. Ai prigionieri, hanno proclamato, erano stati dati tutti i tipi di veleni; erano stati ipnotizzati e drogati. Se questo è vero, allora nessun altro al mondo è mai riuscito a ottenere risultati così potenti e duraturi, e lo scienziato che ci è riuscito difficilmente si accontenterebbe di agire come il misterioso tuttofare delle forze di polizia. Presumibilmente userebbe i suoi metodi al fine di aumentare il suo prestigio scientifico. Ma coloro che sollevano obiezioni sullo svolgimento del processo preferiscono aggrapparsi alle più assurde ipotesi nascoste piuttosto che credere a ciò che hanno sotto il naso, ovvero che i prigionieri siano stati condannati correttamente e che le loro confessioni siano fondate sui fatti. Quando si parla di ipotesi come queste al popolo sovietico, si limitano ad alzare le spalle e sorridere. Perché dovremmo, dicono, se volessimo falsificare i fatti, ricorrere a espedienti così difficili e pericolosi come le confessioni fasulle? Non sarebbe stato più semplice falsificare i documenti? Pensate che, invece di lasciare che Trotskij tenesse discorsi altamente traditori per bocca di Piatakov e Radek, non avremmo potuto portare molto più facilmente davanti agli occhi del mondo le sue lettere altamente traditrici e i documenti che avrebbero dimostrato la sua associazione con i fascisti molto più direttamente? Avete visto e sentito gli imputati: avete avuto l'impressione che le loro confessioni fossero state estorte? In effetti non l'ho avuta. Gli uomini che si sono presentati davanti alla corte non erano persone torturate e disperate di fronte al loro carnefice. Non c'era alcuna giustificazione di alcun tipo per immaginare che ci fosse qualcosa di costruito, artificiale o persino impressionante o emozionante in questi procedimenti[48]

Anche il giornalista John Gunther scrisse in merito ai processi:

«Nell'agosto del 1936 iniziò una serie di processi per tradimento nell'URSS, che lasciarono perplessi e anzi stupefatti il ​​mondo occidentale [...] Lasciamo da parte subito alcune delle favole. Stalin, secondo alcuni sussurratori, era mortalmente malato e stava estirpando gli ultimi resti dell'opposizione mentre era ancora in vita; secondo altri "rapporti" era improvvisamente diventato "pazzo". Si diceva che i prigionieri fossero torturati, ipnotizzati, drogati (per fargli rilasciare false confessioni) e - dettaglio di scelta - impersonati da attori del teatro d'arte di Mosca. Ma i processi si svolsero subito dopo la conclusione delle indagini preliminari e si svolsero di fronte a centinaia di testimoni, molti dei quali corrispondenti esperti, in tribunale aperto. I prigionieri testimoniarono di essere stati trattati bene durante le indagini. Radek, in effetti, dice che fu lui a torturare il pubblico ministero, rifiutandosi di confessare mese dopo mese. La pressione c'era sicuramente, come nelle indagini della polizia in tutto il mondo, ma nessuna prova di tortura. I processi, affermano i trotskisti, erano una colossale montatura. I prigionieri furono indotti a confessare, dicono, con la promessa di immunità e grazia dopo il processo, se avessero parlato liberamente, e poi tradirono e fucilarono. Ciò è difficilmente concepibile da una lettura attenta della testimonianza. Non avrebbe potuto facilmente accadere nel secondo processo, quando gli imputati devono aver saputo che il primo gruppo, nonostante le loro confessioni, era stato condannato a morte e debitamente giustiziato. D'altra parte, gli imputati probabilmente speravano che chiunque si fosse comportato meglio potesse cavarsela con una condanna leggera. Un punto importante da tenere a mente è la peculiarità della procedura legale russa. Differisce drasticamente dalla nostra [statunitense, ndr] e assomiglia in una certa misura al sistema francese, dove il vero "processo" è l'indagine preliminare; l'udienza finale del tribunale non determina tanto la colpevolezza quanto la pena da infliggere al colpevole. In Russia, un prigioniero non viene portato a quello che chiamiamo un "processo" finché non ha confessato. Entro le circoscrizioni della procedura russa i processi erano abbastanza equi. Gli imputati avevano il diritto alla difesa legale; avevano il privilegio di controinterrogare i testimoni; parlavano con la massima vivacità e libertà. L'atteggiamento della corte era severo ma non coercitivo. I discorsi conclusivi del pubblico ministero, A. Y. Vyshinsky, erano violenti, ma durante la testimonianza ha trattato gli imputati con ragionevole considerazione. Ad esempio: Vyshinsky: Imputato Pyatakov, forse sei stanco.
Pyatakov: No, posso continuare.
Il Presidente: Propongo di aggiornare alle 3 in punto.
Vyshinsky: Non ho obiezioni, ma forse è stancante per l'imputato?
Pyatakov: Quanto ancora?
Il Presidente: Cinquanta minuti.
Vyshinsky riprende quindi l'interrogatorio.
Le confessioni, sia nel primo che nel secondo processo, hanno sconcertato gli osservatori perché sembrava letteralmente inconcepibile che uomini come Sokolnikov Smimov, Radck, Serebryakov e così via potessero essere dei traditori e che fossero andati così docilmente alla condanna senza lottare. [...] Gli imputati hanno lottato. È durato per tutto l'interrogatorio preliminare che è stato prolungato. Radek ha resistito due mesi e mezzo. Muralov, un vecchio trotskista, ha resistito otto mesi. Radek dice di lui "Ero convinto che avrebbe preferito morire in prigione piuttosto che dire una sola parola"[49]

Tra i "martiri" della propaganda anticomunista che vengono elencati tra le presunte vittime di tortura spicca tra tutti Bucharin, il capo del "blocco dei destri" su cui già si è approfondito in altri paragrafi. Ma la nozione secondo cui Bucharin avrebbe subito torture mentre era imprigionato viene contraddetta dallo stesso principale biografo di Bucharin, Steven Cohen, che scrive: «Sembra che non siano state usate torture fisiche contro di lui [Bucharin] in prigione.[50] In merito alla vicenda di Bucharin, tra l'altro, pare che gran parte dell'opera di Stephen Cohen sia stata smentita dalla pubblicazione di un pamphlet di ricerca, scritto a quattro mani dagli storici Grover Furr e Vladimir Bobrov, che smentisce in gran parte la principale biografia dell'ex capo del "blocco dei destri". È fortemente consigliata la lettura dell'intero pamphlet, a cui è stato aggiunto un collegamento nella parte bibliografica di questa voce. Furr e Bobov, nello specifico, affermano nella loro introduzione, che viene qui riportata:

«In questo saggio sosteniamo che il paradigma dominante della storia politica dell'Unione Sovietica negli anni '30 è falso. I documenti degli archivi sovietici, in precedenza segreti, che dalla fine dell'URSS sono stati resi pubblici, forniscono prove più che sufficienti per confutare la visione di questo periodo che dai tempi di Chruščëv in poi ha incontrato un'accettazione quasi universale. [...] Per brevità definiamo questo paradigma storico, o versione ufficiale, il paradigma "anti-Stalin". Un termine più corretto, ancorchè rozzo, sarebbe il paradigma "Trotskij-Kruščëv-Guerra fredda-Gorbačëv-postsovietico". Dal momento dell'esilio nel gennaio 1929 fino al suo assassinio nell'agosto 1940, Leon Trotskij attribuì alla personalità di Josif Stalin la responsabilità di tutti quelli che considerava i difetti e i crimini del socialismo sovietico. Nel 1956 Nikita Chruščëv riprese lo stesso schema e, nel periodo in cui governò l'URSS, fino alla sua destituzione nellottobre 1964, gli attacchi contro Stalin furono enormemente amplificati. A cominciare dal 1987, Mikhail Gorbacev patrocinò un assalto contro Stalin, e quelli a lui associati, che surclassò perfino il periodo di Kruscev. La figura di Stalin fu praticamente "demonizzata" e un trattamento analogo venne riservato ad altri bolscevichi del suo tempo e allo stesso Kruscev. [...] Dopo la fine dell'URSS nel 1991 sono stati pubblicati moltissimi documenti originali degli archivi sovietici e, nel tentativo di rielaborare e rimaneggiare il paradigma anti-Stalin per conformarlo a parte di questa documentazione, sono stati scritti molti libri, ma nessuno si è proposto di confutare le posizioni divenute praticamente canoniche delle opere di quarant'anni fa di Conquest e Medvedev. [...] Grazie alla focalizzazione assai più ristretta sul solo Bucharin e non su tutta la storia politica dell'URSS, Cohen ha potuto presentare un quadro accademicamente documentato del periodo 1930-1938 in sole 45 pagine, in un capitolo abbastanza breve da consentire un esame dettagliato delle prove addotte, ma abbastanza ben documentato, con le sue 207 note, per poter rappresentare il "paradigma anti-Stalin" nella sua interezza. [...] Il libro di Cohen è importante anche per un altro motivo. Mikhail Gorbacev ne fece la prima opera di un sovietologo occidentale pubblicata da una casa editricee sovietica. A quanto pare Gorbacev riferì anche a Cohen di essere stato fortemente influenzato dal libro nei primi anni '80 quando lo aveva letto in traduzione russa. Alla fine del 1987 a Mosca si tenne una conferenza su Bucharin, ispirata in parte dall'opera di Cohen, e non solo Cohen fu invitato tra i relatori, ma Gorbacev tenne insieme a lui una conferenza stampa. Questo episodio e la pubblicazione, alla fine del 1988, della traduzione russa da parte della casa editrice governativa Progress inaugurò il "Boom di Bucharin", col regime di Gorbacev che promuoveva l'entusiasmo per Bucharin come "vero" erede di Lenin. [...] Se fosse stata opinione comune che Bucharin si era realmente macchiato anche solo di una delle principali imputazioni di cui si era confessato colpevole: cospirazione per rovesciare il governo sovietico e intesa con lo Stato Maggiore tedesco per aprire la strada all'esercito tedesco in caso di guerra - per non parlare della partecipazione a un piano per assassinare Lenin nel 1918, accusa di cui si dichiarò innocente ma per la quale fu condannato - non avrebbe potuto essere di alcuna utilità per Gorbacev. E poi Bucharin stesso al processo aveva ammesso che la politica che propugnava negli anni '30 comportava "la restaurazione del capitalismo" e questo Gorbacev non poteva certo ammetterlo - almeno non nel 1988. [...] Per il "Boom di Bucharin" sponsorizzato da Gorbacev emerse presto un problema, di cui però venimmo a conoscenza solo nel 2004. La commissione del Comitato Centrale, istituita per studiare e in sostanza per trovare le prove che Bucharin era stato condannato ingiustamente, non era riuscita a trovare la minima prova. I verbali della commissione pubblicati nel 2004 evidenziano la costernazione dei commissari per questo fallimento. Il risultato fu che il decreto (Postanovlenie) del Plenum della Corte Suprema Sovietica emesso il 4 febbraio 1988, in cui si dichiarava che Bucharin fu costretto a rendere una falsa confessione non è mai stato pubblicato e rimane segreto ancor oggi. Il suo testo, solo recentemente scoperto, permette di vedere che la prova chiave che vi si cita a sostegno dell'innocenza di Bucharin è in realtà una deliberata falsificazione. La confessione-dichiarazione di Mikhail Frinovsky, un documento che ha costituito una prova importante della colpevolezza di Bucharin, viene citata falsandola deliberatamente in modo da poter essere utilizzata come prova della sua innocenza. In realtà gli esperti di Gorbacev non sono riusciti a trovare nessun appiglio a sostegno della loro teoria innocentista[51]

Dato che nella loro introduzione i due autori menzionano che la "riabilitazione" (malriuscita, perché andando a scavare sono state, ironicamente, trovate ancora più prove di colpevolezza) di individui come Bucharin doveva servive come pretesto ideologico per aprire alla capitolazione definitiva del comunismo nei confronti del capitalismo, che però non poteva essere ammessa ("Almeno non nel 1988", citando Furr e Bobrov) è necessaria una piccola digressione: Gorbaciov stesso, nel 2000, in un'intervista rilasciata durante il suo soggiorno ad Ankara, in Turchia, come ospite di un seminario dell'Università Americana, e pubblicata su un giornale della Repubblica Ceca chiamato "Dialog". In tale intervista, reperibile qui oltre che nella bibliografia di questa voce e possibile fonte di una futura voce su questa wiki sulla figura di Gorbaciov, l'ex presidente sovietico si lascia a delle dichiarazioni sconcertanti: afferma che il suo scopo sin dall'inizio del suo governo è stato quello di abbattere il comunismo, ritenendo che "dal 2000 il mondo sarà un posto migliore senza il comunismo e con la democrazia", attaccando con del razzismo spicciolo e grottesco la Cina, "colpevole" di essere rimasta ancorata al comunismo, e afferma di "non aver pianto" quando Yeltsin gli ha soffiato la presidenza, perché ormai il suo scopo di "liquidare il comunismo" (sue parole usate nell'intervista) si era ormai compiuto.

Continuando invece con la vicenda di Bucharin e il suo avere o meno subito atti di tortura, lo storico Edvard Radzinsky scrive nella sua biografia su Stalin in merito:

    «Bucharin, quindi, mentre era in prigione, divenne uno dei leader di una cospirazione politico-militare. Tutto ciò che restava da fare era ottenere il suo consenso. Perché, a differenza dei soldati, che furono processati a porte chiuse, a Bucharin sarebbe stato concesso il favore di un magnifico processo pubblico. Ci sono molte leggende sulle torture che lo indussero a prendere parte a questa farsa ignominiosa. È un peccato smentire una buona leggenda, ma lasciamo che le lettere di Bucharin parlino da sole. Notte del 15 aprile 37. "Koba! ... Ho intenzione di scriverti da diverse notti ormai. Semplicemente perché voglio scriverti, non posso fare a meno di scriverti, dal momento che ora ti sento qualcuno così vicino a me (lascia che chi vuole si faccia una risata sotto i baffi)... Tutto ciò che è più sacro è stato trasformato in un gioco da me (così è stato detto al plenum). Nella mia disperazione ho giurato sull'ora della morte di Il'ič. E mi è stato detto che stavo commerciando sul suo nome, e persino che stavo mentendo quando ho detto che ero stato presente quando è morto... Riuscivo a malapena a stare in piedi e mi hanno accusato di pagliaccio e di recitare. [...] Tutti i miei sogni di recente si sono ridotti a una cosa: restare strettamente attaccato alla leadership, e a te in particolare... lavorare con tutte le mie forze, subordinandomi completamente ai tuoi consigli, istruzioni e richieste. Ho visto lo spirito di Il'ič riposare su di te. Chi altro avrebbe potuto decidere sulle nuove tattiche del Comintern? La risoluta attuazione del Secondo piano quinquennale, armamento dell'Estremo Oriente,... l'organizzazione della riforma, la nuova costituzione? Nessuno [...] Così com'è, sto morendo qui. Le regole sono molto rigide, non puoi nemmeno parlare ad alta voce nella tua cella, o giocare a dama o a scacchi, quando esci nel corridoio non ti è permesso parlare affatto, non puoi dare da mangiare ai piccioni alla tua finestra, non puoi fare assolutamente nulla. D'altra parte, le guardie, anche quelle più giovani, sono sempre educate, riservate, corrette. Siamo ben nutriti. Ma le celle sono buie. Eppure le luci sono accese giorno e notte. Strofino i pavimenti, pulisco il mio secchio della spazzatura. Niente di nuovo in questo. Ma mi spezza il cuore che questo sia in una prigione sovietica. Il mio dolore e la mia angoscia non conoscono limiti". Con la lettera c'era una richiesta che "nessuno la leggesse prima di I. V. Stalin". Ma Stalin ci scrisse sopra "circolare" e lo spedì tramite un messaggero speciale a tutti i membri del Politburo. Era come se il benevolo Capo chiedesse: "Dovremmo perdonarlo nonostante tutto?" I suoi scagnozzi non potevano sbagliarsi. Ogni giorno cadevano teste. Facevano il loro dovere, gareggiavano tra loro in spietatezza:
    "Leggilo. Secondo me è stato scritto da un truffatore" - Molotov.
    "Il discorso del truffatore" - Chubar.
    "Io non sono io e il cavallo non è mio!" - Kaganovič, Kalinin.
    "Senza dubbio la lettera di un truffatore" - Čuba.
    Ancora una volta, il Capo fu costretto a inchinarsi al collettivo.
    Il piccolo Bucharin continuò a scrivergli, quarantatré lettere, quarantatré dichiarazioni d'amore senza risposta. "Saluti, Iosif Vissarionovič! [Il familiare "Koba" era scomparso.] ... Ti ho parlato per ore in uno stato allucinatorio, ho periodi come questo. (Eri seduto sul mio letto, così vicino che potevo toccarti.) Sfortunatamente, era solo il mio delirio... Volevo dirti che sarei stato disposto a soddisfare qualsiasi tua richiesta senza la minima esitazione o riserva. Ho già scritto (oltre a un libro accademico) un grande volume di versi. Tutto sommato, è un'apoteosi dell'URSS... Byron disse che per diventare un poeta devi innamorarti o essere un mendicante. (Entrambe le cose sono vere per me.) I miei primi sforzi ora sembrano infantili (ma li sto riscrivendo, tranne per la mia "Poesia su Stalin")... Non ho visto né mia moglie né mio figlio negli ultimi sette mesi. Ho fatto diverse richieste, ma senza successo. Ho perso la vista due volte a causa di problemi ai nervi e ho avuto due o tre attacchi di allucinazioni delirio... I. V! Date loro il permesso di farmi visita! Lasciatemi vedere Anjuta e il mio piccolo! Tutto può succedere! Quindi lasciatemi vedere i miei cari... O se questo è impossibile almeno lasciate che Anjuška mi porti una fotografia di sé e del nostro bambino. So che può sembrarti ridicolo quando dico che ti amo con tutta l'anima, ma non posso farci niente. Devi pensare quello che vuoi di me." Quindi il regime carcerario era severo, ma erano perfettamente educati e il cibo era buono. No, non c'era tortura. E sembra improbabile che il delicato e isterico Bucharin avrebbe scritto così tante opere letterarie negli intervalli della tortura. Si torturava da solo, con la sua disperazione, la sua paura di essere fucilato, l'angoscia che provava per la sua famiglia. Il suo era un organismo troppo delicato per la vita in prigione. Era un poeta, non un politico. La tensione nervosa gli dava allucinazioni e gli faceva perdere la vista. Sapeva già che non avrebbe potuto resistere, che avrebbe acconsentito, come aveva fatto Kamenev, a "mentire su se stesso", anche senza essere torturato. "Volevo dirti che sarei disposto a soddisfare qualsiasi tua richiesta senza la minima esitazione o riserva." Quasi parola per parola ciò che aveva detto quell'altro sfortunato, Zinoviev. All'inizio di giugno Bucharin accettò e firmò tutte le accuse mosse contro di lui. Sua moglie, Anna Larina, era convinta, e in seguito scrisse, che in cambio il Capo gli aveva promesso la vita e poi si era rimangiato la parola data. Non sapeva che esiste una lettera in cui lo sventurato Bucharin raccontava tutta la storia da solo. È la quarantatreesima e ultima lettera di Bucharin a Stalin. "Top Secret, Personale, Si prega di non leggere senza il permesso di J. V. Stalin. 10.12.37. Sto scrivendo quella che potrebbe essere la mia ultima lettera prima di morire. Lasciatemi quindi scriverla senza formalità, soprattutto perché sto scrivendo a voi da soli... l'ultima pagina del mio dramma, e forse della mia vita fisica, sta per essere voltata. [“Forse” mostra che aveva ancora qualche speranza, ricordando che al processo precedente né Radek né Sokolnikov erano stati condannati a morte.] Sto tremando tutto per l'agitazione e per mille emozioni. Riesco a malapena a controllarmi. Ma proprio perché la fine potrebbe essere vicina voglio salutarvi prima che sia troppo tardi... Per evitare ogni malinteso lasciatemi dire subito che per amore della pace (pace sociale) (1) non ho intenzione di ritrattare nessuna delle cose che ho firmato (2) non ho intenzione di chiedervi nulla, di implorarvi nulla che potrebbe far deragliare l'intera faccenda dai binari lungo i quali sta scorrendo. Scrivo solo per tua informazione personale. Non posso lasciare questa vita senza scriverti queste ultime righe, perché sono preda di tormenti di cui dovresti essere a conoscenza. Ti do la mia parola d'onore che sono innocente dei crimini che ho riconosciuto durante l'interrogatorio." Perché allora li ha riconosciuti? Come capita, è stato il primo di tutti quegli auto-calunniatori a spiegare in dettaglio il perché. [...] "Non sono cristiano. Ma ho alcune idee strane... e una di queste è la convinzione che sto pagando per gli anni in cui ho davvero combattuto contro di te... è ciò che mi pesa di più. Quando ero con te una volta nell'estate del 1928, mi hai detto: "Sai perché sono tuo amico? È perché sei incapace di intrighi, non è vero?" Ho detto di sì. Ed è stato proprio il momento in cui stavo correndo da Kamenev. Questo fatto mi perseguita come il peccato originale perseguita un ebreo osservante. Dio, quanto ero infantile e idiota, e ora lo sto pagando con il mio onore e la mia vita. Per questo, perdonami, Koba. Piango mentre scrivo, non ho più bisogno di niente. Quando avevo le allucinazioni ti ho visto diverse volte, e in un'occasione Nadezhda Sergeevna. È venuta da me e mi ha detto: "Cosa ti hanno fatto, Nikolai Ivanovich? Ho detto a Joseph di farti pagare la cauzione". Era così reale che sono quasi saltato su per scriverti e chiederti di farmi pagare la cauzione. So che N.S. non crederebbe mai che io abbia mai voluto farti del male, e non sorprende che il mio subconscio abbia prodotto questa allucinazione". Spera contro ogni speranza che Koba lo perdonerà! Se solo avesse saputo quanto si sarebbe infuriato Koba nel vedere parole messe in bocca alla moglie morta in una lettera dal suo "assassino". [...] "Se la mia vita deve essere risparmiata, la mia richiesta è: o mandatemi in America per x anni. Argomenti a favore: potrei organizzare una campagna pubblicitaria sui processi, muovere guerra a morte a Trotskij, conquistare ampie fasce dell'intellighenzia vacillante. Sarei di fatto un anti-Trotskij e farei tutto questo con grande energia ed entusiasmo. Potreste mandare con me un cekista addestrato e, come ulteriore garanzia, lascerei mia moglie qui per sei mesi mentre mostro quanto sono bravo a criticare Trotskij. O se c'è il minimo dubbio su questo, banditemi, per 25 anni se volete, a Pechora o Kolyma, in un campo, dove potrei fondare un'università, istituti eruditi, una pinacoteca, musei zoologici e fotografici. Anche se a dire il vero ho poche speranze in questo. Joseph Vissarionovich! Avete perso in me uno dei vostri generali più abili e uno di quelli veramente devoti a voi. Ma mi sto preparando spiritualmente a lasciare questa valle di lacrime e provo, verso di voi, verso il Partito, verso la causa nel suo insieme, solo un amore grande e sconfinato. Vi abbraccio nei miei pensieri, addio per sempre, e penso bene al vostro infelice N. Bucharin." Questa lettera ci fornisce la chiave finale dei processi. Ci dice tutto. No, Stalin non aveva promesso di perdonarlo. Bucharin continuava a sperare, ma il Capo taceva. Bucharin aveva acconsentito a tutto, aveva professato all'infinito il suo amore per il suo torturatore, e il Capo era rimasto in silenzio. Così vediamo Bucharin [...] inventare volontariamente una giustificazione per i processi per conto di Stalin [...] Aver agito semplicemente per paura sarebbe stato troppo vergognoso. E così collaborò pienamente con il suo interrogatore, sebbene il Dio Stalin non promettesse nulla. Dobbiamo cercare di comprendere la mentalità di questo intellettuale russo: il bugiardo onesto, l'uomo forte indifeso, il nobile mascalzone, il codardo audace e allo stesso tempo immensamente talentuoso persino nella sua umiliazione. Incapace di dire: "Temo semplicemente l'ira di queste persone orribilmente crudeli", deve inventare un "grande idea” per giustificare il suo comportamento. Quanto bene lo capisco e—sì—lo amo. Perché anch’io sono un figlio della paura. Tutta la mia vita cosciente è stata vissuta in quella terra di paura. Abbi pietà di me. “Tu, che mi conosci così bene, capirai.” Sì, Stalin li conosceva tutti così bene. Ecco perché aveva ideato i processi[52]

Gli studi di Radzinsky in merito alla figura di Bucharin durante la sua prigonia, oltre ad illustrarci, tramite le sue lettere, la sua condizione di prigonia, certamente più "privilegiata" rispetto a quella di altri imputati comuni (può scrivere lettere, libri, poesie, mantenere una limitata corrispondenza con la moglie) e il (debole) carattere del principale oppositore del governo di Stalin (Trotskij, a dispetto di quanto egli volesse far credere, è stato in realtà, come dimostrato più volte in questa voce, semmai, l'oppositore più "rumoroso" e "lagnoso", di certo non il più potente, titolo che spetta a Bucharin, o il più pericoloso, titolo che spetta ai cospiratori militari come Tuchačevskij e Vlasov), il quale, dinanzi alla semplice prospettiva della prigonia indefinita (qualcosa a cui gli intellettuali idealisti come lui non erano abituati, a differenza del giovane Koba, cioè Stalin, che sin da quando aveva circa vent'anni veniva spedito di continuo in carceri zariste in Siberia da cui evadeva più volte) stava "crollando" e si ritrovava pronto a confessare. In ultima istanza, lungi dall'essere torturati, la gran parte dei cospiratori sovietici (con qualche eccezione, come ad esempio l'ex generale poi passato alla fazione dell'Opposizione Trotskista, Muralov, o lo stesso Kamenev che durante la sua esecuzione rimase impassibile, a differenza del suo compagno Zinoviev) erano uomini dalla tempra debole, "intellettuali" e/o intellettualoidi, poco abituati al sacrificio e a dure pene come quelle, invece, subite non solo da Stalin, ma anche da altri membri del gabinetto di governo sovietico degli anni, come Kalinin, Kaganovic e Molotov, e quindi per questo uomini per cui era facile "crollare" alla minima difficoltà e confessare i propri crimini.

Le "riabilitazioni" di Chruščëv e Gorbačëv

Aleksandr Shelepin, direttore del KGB dal 1958 al 1961, fece un pubblico elogio di Chruščëv citando da una lettera scritta da Iakir, generale golpista coinvolto nella cospirazione di Tuchačevskij, e indirizzata a Stalin, datata 9 Giugno 1937:

«Una serie di ciniche risoluzioni di Stalin, Kaganovich, Molotov, Malenkov e Voroshilov sulle lettere e le dichiarazioni fatte dai prigionieri testimoniano il trattamento crudele delle persone, dei compagni leader, che si sono trovati sotto inchiesta. Ad esempio, quando fu il suo turno, Iakir, ex comandante di una regione militare, si appellò a Stalin in una lettera in cui giurò la sua completa innocenza. Ecco cosa scrisse: "Sono un nobile guerriero, devoto al Partito, allo Stato e al popolo, come lo sono stato per molti anni. Tutta la mia vita cosciente è trascorsa in un lavoro disinteressato e onesto agli occhi del Partito e dei suoi leader... Ora sono onesto in ogni mia parola..."»
–Discorso al 22° Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Pravda, 27 ottobre 1961

In realtà Shelepin aveva di proposito citato tale lettera fuori dal suo contesto, per di più omettendo gran parte del suo contenuto, che fu pubblicato per intero solo nel 1994: «Caro, caro compagno Stalin. Oso rivolgermi a te in questo modo perché ho detto tutto, ho rinunciato a tutto, e mi sembra di essere un nobile guerriero, devoto al Partito... Poi la caduta nell'incubo, nell'orrore irreparabile del tradimento... L'indagine è completata. Sono stato formalmente accusato di tradimento verso lo Stato, ho ammesso la mia colpa, mi sono pentito completamente. Ho una fede illimitata nella giustizia e nella correttezza della decisione della corte e dello Stato... Ora sono onesto in ogni mia parola»
-La lettera di Iakir ristampata in [“Rehabilitation. How It Happened”] volume 2 (2003)

In precedenti paragrafi di questa voce si è già analizzato come i tentativi di "riabilitazione", al di fuori della mera retorica e propagandistica, non hanno prodotto alcun risultato. Il dossier della commissione Shvernik, di cui si sono già citati alcuni stralci in precedenti paragrafi, documento che in teoria avrebbe dovuto dimostrare l'"innocenza" degli imputati dei processi di Mosca e la "colpevolezza" del "dittatore Stalin", altro non hanno fatto che confermare le tesi "staliniste", per di più ritrovando negli archivi ulteriori documenti che dimostrano ancora di più la colpevolezza degli imputati e l'esistenza di "quinte colonne". Sembra che l'unico modo in cui Chruščëv e i suoi uomini siano riusciti a "riabilitare" i "compagni perseguitati" sia stato solo con omissioni, censura e letture parziali. Metodologie non proprio tipiche di un governante democratico, ma di un dittatore senza scrupoli e senza peli sulla lingua, cosa che Chruščëv era. Le riabilitazioni dell'epoca di Gorbaciov, invece, si dimostrano ancora più "menefreghiste" nei confronti dei ritrovamenti delle "commissioni" che vennero istituite. Si è già scritto di come i dossier e le dichiarazioni complete non fossero state pubblicate dal governo di Gorbaciov, in quanto non solo incapaci di dimostrare l'"innocenza" degli imputati presi arbitrariamente come "santini", ma ancor più dei dossier di epoca kruscioviana documenti che fanno riaffiorare ulteriori prove della colpevolezza dei condannati dei processi di Mosca degli anni 1930. Il dittatore Chruščëv, e ancora di più il dittatore Gorbaciov, tutt'altro che interessati alla verità storica, ma piuttosto alla validazione delle loro narrative politiche, hanno rilasciato dichiarazioni che sembrano un copia e incolla di un qualsiasi pamphlet anticomunista, e si è giunti alla situazione paradossale in cui uno storico occidentale, liberale e leggermente influenzato da pregiudizi anticomunisti come Arch Getty[5], nella sua onestà intellettuale, sia stato nei fatti più "comunista" dei "comunisti" del governo di Gorbaciov, che nel 1989 attraverso la "commissione di riabilitazione" del Politburo rilasciarono questa dichiarazione congiunta, fregandosene altamente dei ritrovamenti storici dell'archivio di Harvard avvenuti solo 9 anni prima, di cui sia Getty che Broué avevano all'epoca scritto e approfondito, rivelando al mondo che esisteva effettivamente una cospirazione:

«È stato quindi accertato che dopo il 1927 gli ex trotskisti e zinovievisti non hanno condotto alcuna lotta organizzata contro il partito, non si sono uniti tra loro né su base terroristica né su altre basi, e che il caso del “Centro terroristico unito trotskista-zinovievita” è stato inventato dagli organi del NKVD su ordine diretto e con la partecipazione diretta di J. V. Stalin.»

È necessario ribadire di nuovo che, due anni prima di questa dichiarazione, nel 1987, Arch Getty pubblicò il suo libro in cui, spiegando i suoi studi dell'Archivio di Harvard di Trotskij, dimostrò come in realtà fosse vero l'ESATTO CONTRARIO, e come quindi già per quell'epoca tale dichiarazione fosse menzognera e in malafede.[5] Questo però non dovrebbe stupire affatto, visto che Gorbaciov già in quegli anni si riteneva anticomunista e riteneva il suo scopo quello di "distruggere il comunismo", come ha rivelato nella già citata intervista.[55]

A tal proposito si espresse anche Molotov, amico intimo di Stalin, suo collaboratore, nonché ministro degli esteri sovietico dal 1939 al 1949, in una raccolta di interviste pubblicata postuma nel 1993, nello specifico in un dialogo con il biografo Felix Chuev avvenuto il 22 luglio del 1982, quando ormai era escluso da tempo dalla politica sovietica, a causa di Chruščëv, e non era certo nel suo interesse rilasciare certe dichiarazioni:

«Sono stato oggi alla commissione di controllo del partito. Sulla questione della reintegrazione nel partito. Questa è stata la mia seconda visita. La decisione precedente è rimasta ancora una volta invariata. Il 15 luglio sono stato convocato alla commissione in relazione alla richiesta che ho indirizzato al congresso [...] L'accusa contro di me è la stessa: abuso di potere. Il rapporto scritto da quel membro della commissione (non ricordo il suo nome, era russo ma suonava strano) dice che negli anni '30 furono effettuati 1.370.000 arresti. Sono troppi. Ho risposto che le cifre dovevano essere riviste a fondo e che si verificarono arresti ingiustificati, ma che non saremmo potuti sopravvivere senza ricorrere a misure severe. Prendiamo Tukhachevsky, per esempio. In base a quali basi fu riabilitato? Hai letto i verbali del processo al blocco di destra e trotskista nel 1938? Bucharin, Krestinsky, Rozengolts e altri erano sotto processo allora. Hanno dichiarato senza mezzi termini che nel giugno del 1937 Tukhachevsky aveva premuto per un colpo di stato. Le persone che non hanno letto il verbale continuano dicendo che la testimonianza è stata resa sotto costrizione dai cekisti. Ma io dico che se non avessimo fatto quegli arresti a tappeto negli anni '30, avremmo subito perdite ancora maggiori nella guerra[56]

La Commissione Dewey (1937)

Per approfondire meglio: Commissione Dewey

La Commissione Dewey è stata creata nel 1937 per indagare sulle accuse mosse contro Trotskij nei Processi di Mosca. Tuttavia, la commissione è stata in realtà uno strumento di propaganda trotskista che promosse disinformazione contro l'Unione Sovietica e il governo di Stalin.

Uno dei punti centrali riguarda la questione dell'Hotel Bristol di Copenaghen, luogo in cui Trotskij avrebbe avuto un incontro segreto con il collaboratore Eduard Gol'tsman. La Commissione Dewey cercò di dimostrare che l'hotel non esistesse, basandosi sull'idea che Gol'tsman avesse inventato la storia. Tuttavia, diverse indagini storiche, incluso uno studio di Sven-Eric Holmström[57], dimostrarono che effettivamente esisteva un caffè chiamato Bristol, vicino al Grand Hotel di Copenaghen, confermando indirettamente la veridicità della testimonianza di Gol'tsman.

La Commissione Dewey è stata guidata da pregiudizi ideologici, finalizzati a scagionare Trotskij a priori. La commissione non cercava realmente di investigare le accuse in modo imparziale, ma piuttosto di legittimare la figura di Trotskij. Inoltre, alcuni membri della commissione, come il giornalista Carleton Beals, abbandonarono il progetto per l'eccessiva devozione verso Trotskij e la mancanza di un'indagine genuina[58]. La Commissione Dewey dimostra di non essere un serio tentativo di ricerca storica, bensì avviò un preludio alle future commissioni maccartiste e anticomuniste, il cui obiettivo era screditare il regime sovietico.

L'Ežovščina

Per approfondire meglio: Ežovščina

L'Ežovščina, conosciuta come "grandi purghe", fu un periodo di agitazione politica nell'Unione Sovietica tra il 1937 e il 1938, orchestrato principalmente da Nikolaj Ežov, capo dell'NKVD. Questo periodo vide arresti ed esecuzioni.

La repressione colpì diversi strati della società sovietica: membri del Partito Comunista, ufficiali militari e, in misura minore, la popolazione comune. L'NKVD, sotto Ežov, si concentrò nel cercare presunti traditori, collaboratori nazisti, trotskisti e opportunisti. Tuttavia, il numero delle vittime, in particolare nell'esercito, è stato spesso esagerato dalla propaganda anticomunista. Come riportato dagli studi dello storico J. Arch Getty, il numero di militari "purgati" fu molto inferiore a quanto si credeva, e la forza dell'esercito sovietico continuò a crescere nel periodo delle purghe[59].

Le purghe furono caratterizzate da una vera e propria "isteria collettiva", ma non del tutto controllata dall'alto. Nonostante la percezione diffusa che Stalin fosse direttamente responsabile di tutte le purghe, le dinamiche di potere all'interno dell'URSS furono più complesse. L'Ežovščina fu alimentata anche da sentimenti antiburocratici e da movimenti populisti che cercavano di eliminare i carrieristi corrotti all'interno dello Stato. In questo contesto, l'azione di Ežov contribuì a creare un clima di terrore generalizzato che gli permise di arrestare anche persone innocenti per consolidare il proprio potere, spesso proteggendo veri cospiratori.

Alla fine, Ežov fu destituito e giustiziato nel 1938, dopo che Stalin e il Politburo cominciarono a sospettare del suo operato. Ežov fu un traditore che sfruttò la psicosi collettiva per ottenere il controllo dell'NKVD, falsificando prove e gonfiando il numero di arresti. Dopo la sua caduta, il controllo dell'NKVD passò a Berija, che avviò un processo di ridimensionamento delle purghe e la reintegrazione di alcune vittime[60].

I motivi dei processi e delle "Purghe"

Ma quindi perché la necessità di rendere i processi pubblici e di arrestare, a costo di prendere poveri innocenti malcapitati, tutti quegli individui? Perché il governo sovietico non è riuscito a rendere i processi più "ridotti" nella loro mole? E perché lo stato sovietico, quindi, era così pieno di nemici e quinte colonne? Sui perché della necessità di sbarazzarsi delle quinte colonne, è poc'anzi riportata una dichiarazione del già menzionato ambasciatore USA in URSS Davies:

«La marcia di Hitler su Praga nel 1939 fu accompagnata dal supporto militare attivo delle organizzazioni di Henlein in Cecoslovacchia. Lo stesso valeva per la sua invasione della Norvegia. Non c'erano Henlein dei Sudeti, né Tisos slovacchi, né De Grelle belgi, né Quisling norvegesi nel quadro russo... La storia era stata raccontata nei cosiddetti processi per tradimento o purga del 1937 e del 1938 a cui ho assistito e ascoltato. Nel riesaminare la documentazione di questi compiti e anche ciò che avevo scritto all'epoca... ho scoperto che praticamente ogni espediente dell'attività della Quinta Colonna tedesca, come la conosciamo oggi, è stato svelato e messo a nudo dalle confessioni e dalle testimonianze suscitate in questi processi di "Quisling" autoconfessati in Russia... Tutti questi processi, epurazioni e liquidazioni, che all'epoca sembravano così violenti e sconvolsero il mondo, sono ora chiaramente parte di uno sforzo vigoroso e determinato del governo di Stalin per proteggersi non solo dalla rivoluzione dall'interno ma anche dagli attacchi dall'esterno. Si sono messi al lavoro a fondo per ripulire e spazzare via tutti gli elementi traditori all'interno del paese. Tutti i dubbi sono stati risolti a favore del governo. Non c'erano Quinte Colonne in Russia nel 1941: li avevano fucilati. L'epurazione aveva ripulito il paese e lo aveva liberato dal tradimento.»
-Joseph E. Davies

Conclusioni

L'idea che le purghe fossero l'azione di una macchina statale onnipotente per reprimere il dissenso si è rivelata errata. La purga aveva come obiettivo soprattutto la burocrazia stessa e non tanto il pubblico in generale. Anche l'idea che tutti gli accusati di tradimento fossero vittime innocenti di incastri si è rivelata falsa. La quinta colonna dell'asse nella Russia sovietica fu distrutta, ma singoli membri sopravvissero comunque per fuggire in Occidente e raccontare il loro tradimento. Tuttavia, questi individui vengono ignorati dai propagandisti anticomunisti. Non si adattano alla narrazione. La purga fu una reazione un po' isterica e paranoica, ma a minacce e nemici molto reali. Ci sono buone prove per credere che la maggior parte di coloro che furono puniti fossero realmente colpevoli. Il numero delle vittime è ingigantito da ogni proporzione da propagandisti della guerra fredda come Robert Conquest, Solzhenitsyn e i loro seguaci moderni. Il fatto che le prove d'archivio e altri tipi di prove affidabili non fossero disponibili ai ricercatori occidentali durante la guerra fredda, ha permesso loro di fare ipotesi selvagge e inventare cifre folli di vittime come 10 milioni, 20 milioni o persino 60 milioni. Quando l'Unione Sovietica crollò, i propagandisti anticomunisti si rifiutarono di credere che la popolazione sovietica fosse così alta, avrebbe dovuto essere la metà, se avessimo dovuto credere che decine di milioni di persone fossero state uccise e altri 27 milioni fossero morti nella seconda guerra mondiale. Molti ricercatori occidentali moderni danno il numero reale di morti a circa 700.000 (meno dello 0,5% della popolazione) e questo include coloro che sono stati uccisi ingiustamente da Ezhov, il che non può essere attribuito al Partito comunista sovietico, mentre c'è chi propone cifre ancora più basse. Le purghe furono un'espressione di una feroce lotta di classe e delle conseguenze della Rivoluzione e della guerra civile.

Il fenomeno delle "Purghe" sovietiche, per altro, non è stato un fenomeno isolato alla sola esperienza russa; altre rivoluzioni, come quelle dei paesi dell'Europa Orientale nell'immediato dopoguerra con la sconfitta dell'occupante nazifascista, o la rivoluzione Cinese di Mao Tse Tung contro i signori della guerra, o la rivoluzione Cubana di Fidel Castro contro la mafia di Miami e gli oligarchi locali filo-USA a libro paga della CIA, o la rivoluzione sandinista di Ortega in Nicaragua contro la "dinastia" oligarchica, latifondista, neo-coloniale e filo-americana di Somoza, o la rivoluzione Iraniana di Khomeini contro lo scià pupazzo dell'Occidente e dei sionisti e le oligarchie mafiose petrolifere hanno tutte avuto, dopo una fase iniziale di "affermazione" della rivoluzione, una fase di "consolidamento" con processi ai nemici, manifestazione di quinte colonne, "purghe" militari e degli apparati di polizia e delle istituzioni; si potrebbe dire che la prima "purga" rivoluzionaria si ebbe con Robespierre e la Rivoluzione Francese! Tutto ciò avviene perché la rivoluzione non è mai un fenomeno sociale e politico "puro", ma è sempre l'unione di malcontento popolare, un'avanguardia rivoluzionaria e una discreta quantità di individui e terzi che opportunisticamente "cavalcano l'onda" del cambiamento a loro vantaggio, e sono questi terzi, alla lunga, a manifestare un problema, potenziale ed effettivo, per il progresso sociale e politico dei paesi in cui avvengono le rivoluzioni. La rivoluzione in URSS e in Est Europa è stata forte solo quando si è appoggiata al suo principale fondamento ideologico: il consenso popolare. Una volta che questo è venuto meno, dagli anni 50 in poi, hanno subito un lento declino e poi un "suicidio", come lo definì Fidel Castro nel 1992, proprio perché le avanguardie rivoluzionarie hanno cessato effettivamente di esistere, in mancanza di educazione pratica, ideologica, e soprattutto di "vigilanza" interna. Paesi come la Cina Popolare, Cuba, la Corea Democratica o l'Iran, invece, mantengono ancora viva la fiamma delle loro rivoluzioni, socialiste e non, perché la loro forza l'hanno nel consenso popolare, e non di una elites di opportunisti, tecnocrati e carrieristi pronti a collaborare col nemico pur di stare al governo.

Voci Correlate

Bibliografia

Note

    1. De Gasperi, 1944.
    2. Furr, 2013, p. 10
    3. Lenin, 1921
    4. Broué, 1980
    5. Getty, 1987, p.119-121
    6. Broué, 1990, p.16
    7. Broué, 1980
    8. Getty, 2000, n.1
    9. Furr, 2013, p.4-5
    10. Getty, 1987, p.122
    11. Getty, 2000, n.2
    12. Zinoviev, 1999
    13. Getty, 1987, p.129
    14. Humbert-Droz, 1971, p.379-380
    15. Tokaev, 1956, p.43, citato in Finnish Bolshevik
    16. Tokaev, 1955, p.23
    17. Ibidem, p.241-242
    18. Sedov, 1936, cap.9
    19. Broué, 1980
    20. Carr, Davies, 1969, p.65
    21. Ibidem, p.66
    22. Interrogatorio a Bucharin, sessione serale, 5 marzo 1938
    23. Yemelianov, 2007
    24. Furr, 1986
    25. Shvernik Commission, 1961-63, p.83
    26. Strong, 1941, p.77-85
    27. Krupskaya, 1936
    28. Rothstein, 1950, p.245-246
    29. Stalin, 1937, citato da Partito Marxista Leninista Italiano
    30. Burgio, Leoni, Sidoli, 2017, p.11-14
    31. Ibidem, p.107
    32. Ibidem, p.273-288
    33. Ibidem, p.329-330
    34. Burgio, Leoni, Sidoli, 2018
    35. Burgio, Leoni, Sidoli, 2019
    36. Burgio, Leoni, Sidoli, 2017, p.447
    37. Ibidem, p.448-451
    38. Isaac Deutscher, "Il Profeta Esiliato", p.281-282, citato in Burgio, Leoni, Sidoli, 2017, p.421-422
    39. Trotsky, 1932, citato in Broué, Appendix, 1980
    40. Littlepage, 1937, p.104,114,198-200,203-204
    41. Scott, 1942, p.135-136
    42. De Gasperi, 1944
    43. Davies, 1945, p.30-31
    44. The Observer, 23 agosto 1937, citato in CPGB, 1937, e in Finnish Bolshevik
    45. D.N. Pritt, citato in CPGB, 1937
    46. Pat Sloan, ibidem
    47. Hallgreen, 1937,p.3-14
    48. Feuchtwanger, 1937, p.141-144
    49. Gunther, 1940, p.552-553
    50. Cohen, Bukharin na Lubianke, Svobodnaia Mysl’ 21, No. 3 (2003), p. 60-61, citato in Finnish Bolshevik
    51. Furr, Bobrov, 2010, introduzione
    52. Radzinsky, 1997, p.433-440
    53. Ibidem, p.432
    54. Reabilitatsia. Kak Eto Bylo [“Rehabilitation. How It Happened”] vol. 2 (2003), p. 688., citato in Furr (2019), Finnish Bolshevik
    55. Gorbaciov, 2000
    56. Chuev, Molotov, 1993, p.285
    57. Holmström, 2008, pp.7-9, 11-28
    58. New York Times, 19 Aprile 1937, p.6, citato in Finnish Bolshevik
    59. Getty, 1987, p.155,170-171,206
    60. Nouvelles de Moscou p. 15, citato in Finnish Bolshevik