Brigate Rosse: differenze tra le versioni

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== La vicenda di "Frate Mitra" e l'arresto di parte del nucleo terroristico ==
== La vicenda di "Frate Mitra" e l'arresto di parte del nucleo terroristico ==
[[File:NecrologioRobertoDotti.png|miniatura|200px|Necrologio di Roberto Dotti, collaboratore di Sogno ed ex "comunista", pubblicato sul "Corriere della Sera" il 31 Ottobre 1971, uno dei documenti trovati dai brigatisti nel loro assalto alla sede di Milano dei Comitati di Resistenza Democratica di Sogno nel 1974]]
[[File:NecrologioRobertoDotti.png|miniatura|200px|Necrologio di Roberto Dotti, collaboratore di Sogno ed ex "comunista", pubblicato sul "Corriere della Sera" il 31 Ottobre 1971, uno dei documenti trovati dai brigatisti nel loro assalto alla sede di Milano dei Comitati di Resistenza Democratica di Sogno nel 1974]]
Nel Giugno del 1974 i brigatisti scoprono di essere stati "accidentalmente" in contatto con il già menzionato Dotti, uomo di Sogno, per tramite di Simioni, tramite dei documenti "sottratti" durante un raid ad una sede di Milano dell'organizzazione di Sogno avvenuto in contemporanea al sequestro di Sossi. In questo periodo avvengono delle curiose "convergenze" da ambo i lati: Sogno, paranoico, bruciato, eccessivamente estremista e fin troppo esposto, nonostante continui a pianificare il suo "golpe bianco", non serve più, ed è facilmente liquidato insieme al suo collaboratore Luigi Cavallo, a seguito di pubblicazioni fin troppo esplicite di inviti alle forze armate per "prendere in mano la situazione". In contemporanea nel "disaccordo" interno alle Brigate Rosse tra i "pacifisti" e i "militaristi" di Moretti inizia a prevalere la sua linea, e a dimostrarlo è l'esecuzione sempre più violenta delle loro operazioni, in "risposta" ad una strage di matrice terrorista nera, avviene una "contro-strage" da parte del terrorismo "rosso": viene assaltata una sede dell'MSI di Padova e vengono ammanettati e uccisi con un colpo di postola dietro alla nuca due membri presenti nella sede. Lungi dall'essere una divisione tra "autentici rivoluzionari" e presunti "traditori" infiltrati, essendo tutti i dirigenti terroristi, chi più chi meno, degli infiltrati ed estremisti neofascisti (o comunque di estrazione borghese) in origine, questo è dimostrato dal fatto che sia Curcio che Moretti pare si siano trovati "d'accordo" nel definire tale operazione come un "incidente sul lavoro". Il delitto, che viene anche interpretato dalla stampa del tempo come un "regolamento di conti interno" ai neofascisti, visto che i due uomini morti pare fossero collaboratori di un ex ufficiale collaborazionista repubblichino, poi collaboratore dei servizi atlantisti (ipotesi plausibile), è l'inizio della trasformazione definitiva delle Brigate Rosse da un organismo terroristico "dimostrativo" e "performativo", utile ai reazionari e al capitalismo per cercare di spostare l'opinione pubblica verso la DC e i "moderati" allontanandoli da un PCI altrettanto "moderato", ma con cui non erano ancora pronti a governare, ad un'organizzazione di killer da utilizzare per liquidare fisicamente gli individui "scomodi" e le pontenziali "schegge impazzite" insite nelle contraddizioni interne alle istituzioni e alla politica primorepubblicana italiana. Tale "trasformazione" è stata inavvertitamente facilitata dall'operazione effettuata dal generale Dalla Chiesa con l'aiuto di "Frate Mitra", ossia Silvano Girotto, un ex missionario in America Latina, poi guerrigliero in Bolivia e in Cile contro il regime di Pinochet, per arrestare i "capi" brigatisti. Girotto, in quanto veterano della guerriglia vera e propria, riconosce che
Nel Giugno del 1974 i brigatisti scoprono di essere stati "accidentalmente" in contatto con il già menzionato Dotti, uomo di Sogno, per tramite di Simioni, tramite dei documenti "sottratti" durante un raid ad una sede di Milano dell'organizzazione di Sogno avvenuto in contemporanea al sequestro di Sossi. In questo periodo avvengono delle curiose "convergenze" da ambo i lati: Sogno, paranoico, bruciato, eccessivamente estremista e fin troppo esposto, nonostante continui a pianificare il suo "golpe bianco", non serve più, ed è facilmente liquidato insieme al suo collaboratore Luigi Cavallo, a seguito di pubblicazioni fin troppo esplicite di inviti alle forze armate per "prendere in mano la situazione". In contemporanea nel "disaccordo" interno alle Brigate Rosse tra i "pacifisti" e i "militaristi" di Moretti inizia a prevalere la sua linea, e a dimostrarlo è l'esecuzione sempre più violenta delle loro operazioni, in "risposta" ad una strage di matrice terrorista nera, avviene una "contro-strage" da parte del terrorismo "rosso": viene assaltata una sede dell'MSI di Padova e vengono ammanettati e uccisi con un colpo di postola dietro alla nuca due membri presenti nella sede. Lungi dall'essere una divisione tra "autentici rivoluzionari" e presunti "traditori" infiltrati, essendo tutti i dirigenti terroristi, chi più chi meno, degli infiltrati ed estremisti neofascisti (o comunque di estrazione borghese) in origine, questo è dimostrato dal fatto che sia Curcio che Moretti pare si siano trovati "d'accordo" nel definire tale operazione come un "incidente sul lavoro". Il delitto, che viene anche interpretato dalla stampa del tempo come un "regolamento di conti interno" ai neofascisti, visto che i due uomini morti pare fossero collaboratori di un ex ufficiale collaborazionista repubblichino, poi collaboratore dei servizi atlantisti (ipotesi plausibile), è l'inizio della trasformazione definitiva delle Brigate Rosse da un organismo terroristico "dimostrativo" e "performativo", utile ai reazionari e al capitalismo per cercare di spostare l'opinione pubblica verso la DC e i "moderati" allontanandoli da un PCI altrettanto "moderato", ma con cui non erano ancora pronti a governare, ad un'organizzazione di killer da utilizzare per liquidare fisicamente gli individui "scomodi" e le pontenziali "schegge impazzite" insite nelle contraddizioni interne alle istituzioni e alla politica primorepubblicana italiana. Tale "trasformazione" è stata inavvertitamente facilitata dall'operazione effettuata dal generale Dalla Chiesa con l'aiuto di "Frate Mitra", ossia Silvano Girotto, un ex missionario in America Latina, poi guerrigliero in Bolivia e in Cile contro il regime di Pinochet, per arrestare i "capi" brigatisti. Girotto, in quanto veterano della guerriglia vera e propria, riconosce che le azioni delle cosiddette "Brigate Rosse" sono tutt'altro che azioni di "guerriglia sullo stile dei Tupamaros", e comprende che i commando dei terroristi con le loro azioni giovano al capitalismo e alla repressione poliziesca in atto in Italia. I primi contatti di Girotto con Curcio avvengono nel Luglio del 1974, immediatamente dopo il "successo" del sequestro di Sossi, presso la stazione di Pinerolo: segretamente, gli incontri sono pedinati e fotografati dai carabinieri del generale Dalla Chiesa. Dopo un altro incontro nell'Agosto del 1974, l'8 Settembre dovrebbe avvenire l'ultimo incontro, un'opera di "cattura" definitiva dei capi brigatisti; ma prima dell'incontro arriva una telefonata anonima, una soffiata che però perviene soltanto a Moretti. Curcio, in delle testimonianze tardive, "giustifica" Moretti, definendolo uno "smemorato", mentre invece Franceschini ammette la sua ostilità nei suoi confronti e gli attribuisce implicitamente la "colpa" del suo arresto. Secondo lo stesso Franceschini tale soffiata arrivò da parte del Mossad, invece secondo il magistrato Luigi Moschella invece la soffiata fu "autoctona" e arrivò da ambienti interni al Viminale che avevano interesse affinché le Brigate Rosse continuassero la loro opera in virtù delle operazioni psicologiche per distruggere definitivamente la reputazione del comunismo, oltre che "liquidare" personaggi scomodi. Fatto sta che l'8 Settembre Girotto, con un pretesto, si allontana dai due capi BR Renato Curcio e Alberto Franceschini, e questi due vengono prontamente arrestati dai Carabinieri<small>[[Brigate Rosse#Note|[51]]]</small>, i quali, pur tentando inizialmente di "coprire" Girotto, evidentemente non riescono nell'intento, e questi viene "attaccato" in un risibile comunicato dell'organizzazione terroristica, che lo accusa di essere un "agente al soldo dei servizi imperialisti e di anti-guerriglia". Le fonti a disposizione dimostrano quanto questa accusa sia ridicola, ancor di più visto che proviene dalla bocca di Mara Cagol, moglie di Renato Curcio e "capa" brigatista, che tramite Simioni fu in contatto con l'agente anticomunista Dotti, come già dimostrato nei precedenti paragrafi. Il "Frate Mitra" rispose a tali "accuse" in questo modo:
 
''«E così, signori, mentre strombazzavate ai quattro venti il vostro folle proclama di “attacco al cuore dello Stato”, al cuore siete stati colpiti voi. È vero: i carabinieri hanno agito con la mia attiva collaborazione. Non ho mai inteso negarlo, e non ho risposto prima al vostro ameno volantino solo perché impegnato a preparare per voi ulteriori legnate (lasciamo perdere termini come “imboscate”, siamo seri). Di legnate, dunque, ne avete avute e ne avrete ancora finché non la smetterete di provocare le masse lavoratrici con le vostre assurde imprese di piccoloborghesi frustrati e megalomani. La realtà è molto più semplice, e occorre solo un po’ di buon senso per vederla: vi hanno colpito i carabinieri. Quelli che da sempre mettono le manette a ladri e assassini. Con loro ha collaborato il sottoscritto, spinto da un preciso imperativo morale, sulla base di una netta presa di posizione politica. Per le masse lavoratrici del nostro Paese, impegnate in una lotta sempre più difficile e serrata, eravate dei nemici pericolosi. Con folle irresponsabilità stavate agevolando l’avanzare della melma fascista. Ciò che già avevate fatto era grave. Ciò che stavate per fare lo era ancora di più. Chiusi nel vostro castello di illusioni, febbricitanti di sacro furore contro tutto e tutti, non avevate saputo interpretare correttamente neppure il ripudio espresso con chiarezza estrema da quegli stessi di cui vi siete autonominati avanguardia: la classe operaia. La presenza intempestiva di organizzazioni come la vostra nella dinamica complessa dello scontro di classe ha sempre avuto effetti deleteri. Basti citare, a modo di esempio, la creazione di nuovi e perfezionati strumenti repressivi che, dopo la vostra inevitabile sparizione, saranno rivolti dalla borghesia contro i lavoratori, le loro vere avanguardie e le loro organizzazioni di lotta. Ho assistito di persona allo svilupparsi di fenomeni analoghi. Ne ho visto e sperimentato le durissime conseguenze. Non voglio rivedere nel mio Paese sangue operaio sulle bandiere della piccola borghesia anarcoide della quale voi siete un tipico esempio<small>[[Brigate Rosse#Note|[52]]]</small>.»''
 
A dispetto delle giuste e condivisibili idee e propositi di Girotto, in realtà il sangue operaio continuò, purtroppo, a scorrere sulle bandiere di quella che lui ha definito "piccola borghesia anarcoide": nonostante i carabinieri avessero fotografato tutti e tre gli incontri, incluso quindi quello in cui era presente Moretti, identificato da uno dei carabinieri della squadra, la fotografia con Moretti presente era "sparita" misteriosamente dagli archivi delle forze dell'ordine, per riemergere solo anni dopo, per di più con degli evidenti tagli e possibili montaggi, come dimostrato dai negativi delle fotografie. L'operazione stessa è stata attuata in modo molto frettoloso e sospetto, e lo stesso Girotto ebbe da dichiarare anni dopo:
 
''«Dopo il secondo incontro [con Curcio e Moretti, a Pinerolo, il 31 agosto 1974], mi sentii con il mio contatto [il capitano dei carabinieri Gustavo Pignero, ndr], uomo del generale Dalla Chiesa. Gli esposi le mie convinzioni e il fatto che, semplicemente fingendo di entrare in clandestinità con loro, un reato da nulla, avrei potuto farli prendere tutti. Compreso Moretti. [Ma l’ordine di Dalla Chiesa è stato di procedere all’arresto, l’8 settembre, di Curcio e Franceschini]. La cosa mi lasciò assai perplesso: possibile che qualcuno volesse salvare i terroristi? Roba da non crederci. Se solo avessero voluto, Moretti non sarebbe mai diventato né una primula rossa, né l’artefice del sequestro Moro e della strage di via Fani<small>[[Brigate Rosse#Note|[53]]]</small>.»''
 
Secondo la ricostruzione di Flamigni:
 
''«Non verrà mai accertato se si sia trattato di “un errore” di Dalla Chiesa, o se invece il generale abbia dovuto eseguire ordini superiori: del comandante della divisione Pastrengo generale Giovanbattista Palumbo, o del comandante generale dell’Arma Enrico Mino (entrambi risulteranno poi affiliati alla Loggia massonica segreta P2), o per disposizione del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani. Così Girotto, davanti alla Commissione stragi, dirà: "Mi è rimasto un dubbio di fondo e la rabbia di non avere capito bene cosa era successo e come mai. Quella sensazione che non mi avessero detto tutto e che qualcosa si fosse giocato sulla mia testa è rimasta tale". Come è già accaduto a Milano nel maggio 1972, quando attraverso l’informatore Pisetta sarebbe stato possibile arrestare tutto lo stato maggiore delle Br, così a Pinerolo nel settembre 1974 attraverso l’infiltrato Girotto sarebbe stato possibile sgominare l ’organizzazione terrorista. Ma a Milano tutto il vertice brigatista è stato messo in grado di sfuggire alla cattura, e a Pinerolo nella rete sono finiti solo 1 due capi storici Curcio e Franceschini, lasciando intatta la struttura delle Br e lasciando il latitante Moretti libero - libero di assumere il controllo delle Br<small>[[Brigate Rosse#Note|[54]]]</small>.»''
 
Nell'estate del 1974 fatti cruciali avvengono anche per i piani di Sogno. Il suo piano di "golpe bianco" viene rimandato all'autunno a causa di alcuni imprevisti, inclusa la strage dell'Italicus, che non viene rivendicata da nessuna organizzazione terroristica, e lo scandalo Watergate che pone fine alla presidenza di Nixon (che era a supporto dei piani di Sogno). Sogno viene incriminato, e vengono trovati documenti che parlano apertamente di sovversione del sistema repubblicano italiano in favore di una repubblica di tipo gollista. Queste azioni sono dovute anche ad un vero e proprio scontro frontale tra il Conte Sogno e il ministro dell'interno Taviani, ostile al "golpe bianco". Intanto le Brigate Rosse, in quel momento guidate da Cagol e Moretti, sono divise sull'organizzare o meno un "blitz" per liberare i due capi terroristi arrestati. Moretti è contrario, ma l'operazione avviene lo stesso, facilitata anche dalla "coincidenza" del trasferimento di Curcio, dal carcere di massima sicurezza di Novara, ad un carcere più ristretto di Casale Monferrato, e del commando fa parte anche Moretti. Il commando con il capo brigatista evaso pubblica un nuovo comunicato, in cui, oltre ai soliti discorsi astratti, ripetitivi e lontani della realtà, degni della definizione di "piccola borghesia anarcoide" del "Frate Mitra", appare uno dei primi attacchi al PCI di Berlinguer, a cui fa seguito una minaccia "velata" di Sogno di golpe e di rappresaglia, in cui attribuisce, tra l'altro, la paterinità delle BR al PCI di Berlinguer, in un palese atto di disinformazione. A dispetto della strategia della "tensione" o degli "opposti estremismi", in cui i commando terroristi delle Brigate Rosse continuano coi rapimenti e coi loro primi atti di "gambizzazione", consistenti nello sparare alle gambe delle loro vittime, elettoralmente l'avanzata del PCI di Berlinguer sembra inarrestabile, nelle elezioni del 1975, sebbene siano solo elezioni locali e amministrative. Il 5 Giugno 1975, a seguito di un sequestro andato male, un blitz dei carabinieri nella cascina di Spiotta di Arzello assalta un commando delle Brigate Rosse di cui faceva parte anche la moglie di Renato Curcio, Mara Cagol, che muore colpita dalle pallottole delle forze dell'ordine mentre cerca di fuggire a bordo di un'auto. La latitanza di Curcio è precaria, mentre quella di Moretti è praticamente indisturbata. Verso la fine di Dicembre 1975 Moretti prende casa a Via Gradoli 96, la sua "base operativa" a Roma, mentre Curcio viene arrestato, per la seconda e ultima volta, il 18 Gennaio 1976. Secondo la testimonianza di Franceschini (individuo da reputarsi per diversi motivi molto inattendibile e dubbio, primo tra tutti la sua incoerenza nelle testimonianze e il suo continuo e repentino cambio di versioni negli anni, oltre che la sua "disponibilità" a parlare), una volta reincontratosi in carcere con Curcio, questi gli avrebbe rivelato che Moretti era una spia. Questa testimonianza, oltre che in contraddizione con il futuro "pacificamento" di Curcio con Moretti in carcere 10 anni dopo, dovrebbe implicare la "pulizia" di Curcio e di Franceschini, cosa che, come già dimostrato più volte in questa voce, è da non considerarsi come valida, in quanto anche loro furono degli infiltrati. Un altro aiuto "provvidenziale" per Moretti è il fatto che la stampa, in quel momento e fino al rapimento Moro, indicherà un certo Corrado Alunni come "nuovo capo" delle Brigate Rosse<small>[[Brigate Rosse#Note|[55]]]</small>.
 
== Le BR a guida Moretti dalla strage di Genova al rapimento Moro ==
Moretti, che nella sua versione "ufficiale" post-datò l'affitto dell'appartamento in Via Gradoli a Roma al 1977, lo ha in realtà affittato nel 1975, come testimoniato da Valerio Morucci. Moretti si presenta ai padroni del locale come "Mario Borghi", e la vicenda dell'affitto del locale in sé è piena di enigmi: i due coniugi che gli fittarono la casa, Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, affermarono di averla acquistata nel 1974, ma non ci è dato sapere se dal 1974 fino al 1975 l'appartamento fu affittato ad altri o meno, e non sono presenti ricevute di pagamento eventuali da parte di "Mario Borghi" degli affitti del locale, o ancora se l'affitto dell'appartamento sia mai stato pagato. Luciana Bozzi pare sia stata in contatto con una certa Giuliana Conforto, figlia di un "sospetto agente del KGB", tale Giorgio Conforto, ma non sono presenti verbali di interrogatori della Bozzi negli atti processuali del caso Moro. Giancarlo Ferrero, in quel momento ingegnere dell'IBM, negli anni 80 e 90 risulterà ricoprire importanti figure manageriali nel suo campo, essendo dotato del "Nos", nullaosta di sicurezza da parte delle autorità NATO e dei servizi segreti italiani, e pare abbia avuto nello stesso periodo contatti con un'importante multinazionale fornitrice anche di armamenti per la NATO, tale Bell Atlantic International<small>[[Brigate Rosse#Note|[56]]]</small>. Flamigni descrive ulteriormente Via Gradoli in questo modo:
 
''«Via Gradoli è una stradina stretta e circolare, lunga 600 metri, con un solo accesso-uscita (da e per la via Cassia) dal quale è facile avere il controllo dell’andirivieni nella via. La decisione di collocare in un posto simile la prima e principale base delle Br a Roma è l’esatta negazione delle normali cautele adottate dai brigatisti, sempre attenti a collocare le loro basi in zone che garantiscano varie possibilità di fuga stradale, e che siano difficilmente “controllabili” dall’esterno. Via Gradoli è in assoluto uno dei posti meno adatti per collocarvi una base brigatista. Ci abitano molti “clandestini”, ma anche il sottufficiale di Pubblica sicurezza Luigi Di Maio (in una posizione da dove è possibile controllare tutto il traffico della strada); è frequentata da immigrati, ma anche da alcuni latitanti, da falsari e ricettatori; ci sono già almeno due covi di tipo eversivo, uno di estrema sinistra (ex di Potere operaio passati alla lotta armata) e uno di estrema destra. Al n° 96 della via, in un appartamento attiguo a quello affittato da Borghi-Moretti, abita una studentessa egiziana, Lucia Mokbel, che è un’informatrice della polizia. Logico che gli apparati di sicurezza tengano sotto controllo quella strada, anzi in via Gradoli i
servizi segreti hanno un loro ufficio coperto. Di più: al n° 89 - proprio di fronte al civico 96 dove Moretti colloca la base romana delle Br - ci abita un sottufficiale dei carabinieri, anche lui originario di Porto San Giorgio, Arcangelo Montani, in forza al Sismi (il servizio segreto militare) non appena verrà costituito, all’inizio del 1978. Le stranezze non sono finite. Il civico 96 di via Gradoli è formato da due palazzine di 4 piani, ciascuna con due scale (A e B). Privi di portineria, i due edifici sono denominati in base alla società costruttrice: uno Imico (Immobiliare italiana costruzioni), l’altro Socoap (Società
costruzioni appartamenti). L’appartamento affittato dai coniugi Ferrero-Bozzi a Borghi-Moretti è situato al 2° piano della palazzina Imico, palazzina formata da 32 appartamenti dei quali ben 24 sono proprietà delle immobiliari Monte Valle Verde srl, Caseroma srl e Gradoli spa, società fra i cui amministratori ci sono vari fiduciari dei servizi segreti. Dal commercialista Aldo Bottai (amministratore unico della Monte Valle Verde srl, ma anche socio fondatore della Nagrafin spa, società di copertura del Sisde), a Gianfranco Bonori (sindaco revisore della Gradoli spa, poi segretario della Gattel srl del Sisde, quindi commercialista di fiducia del servizio segreto civile), a Domenico Catracchia (amministratore unico di Caseroma srl prima e della Gradoli spa poi, quindi fiduciario del capo della Polizia Vincenzo Parisi). In pratica, la base romana delle Br collocata da Moretti in via Gradoli è circondata da appartamenti intestati a società immobiliari nei cui organismi societari ci sono fiduciari del servizio segreto del Viminale. Buona parte delle operazioni immobiliari di via Gradoli 96 sono
accomunate dallo studio notarile dei fratelli Fabrizio e Francesco Fenoaltea: dal rogito dell’appartamento scala A interno 11 acquistato dai coniugi Bozzi-Ferrero e poi affittato a Moretti, agli atti costitutivi della immobiliare Caseroma srl e della sua successiva liquidazione, fino alla nomina di Domenico Catracchia alla carica di amministratore unico della immobiliare Gradoli spa. Per la cronaca, i notai Fenoaltea sono cugini di primo grado del defunto ex ambasciatore italiano a Washington Sergio Fenoaltea, maestro e amico di Edgardo Sogno. Certo è che via Gradoli ha una caratteristica ben precisa: è a poca distanza dall’abitazione privata del leader De Aldo Moro, in via del Forte Trionfale, e ugualmente a poca distanza da via Mario Fani (il luogo dove, il 16 marzo 1978, avverrà la strage con il sequestro). E quella scelta costituisce la prova provata che quando Moretti, nel dicembre 1975, colloca la base operativa delle Br romane in via Gradoli, ha già l’obiettivo di colpire Moro (consapevoli o meno gli altri brigatisti, alcuni o tutti)<small>[[Brigate Rosse#Note|[57]]]</small>.»''
 
In merito alla scelta di rapire proprio Moro:
 
''«Perché prendere di mira proprio Moro, cioè il leader democristiano più vicino alla sinistra, più aperto alle istanze sociali progressiste, in politica estera filo-palestinese e perciò inviso all’Amministrazione Usa, agli ambienti atlantici e al Mossad? Perché colpire il “progressista” Moro, e non invece - per esempio - l’altrettanto potente leader De Giulio Andreotti, capo della destra anticomunista del partito [...]? Perché il “laico” Moro, e non - per esempio - lo storico leader cattolico-integralista Amintore Fanfani? Perché il Moro dei governi di centro-sinistra (1964-66), e non l ’Andreotti del governo di centro-destra (1972)? [...] È un fatto che fin dagli anni Sessanta, con la sua politica “laica” di centro-sinistra (la DC come partito di centro "che guarda a sinistra"), più europeista che filoamericana, dialogica col PCI e filoaraba, Moro si è procurato molti e potenti nemici: la destra DC, segmenti dei Servizi italiani, parte della Curia vaticana, i settori più oltranzisti dell’Alleanza atlantica, l’Amministrazione Usa e Israele. Uno dei più acerrimi avversatori di Moro, Edgardo Sogno, ricorderà: "Il suo [di Moro] antiamericanismo toccò il culmine nel 1967, quando, allo scoppio della guerra dei Sei giorni, [dichiarò] che la posizione italiana era di equidistanza tra arabi e israeliani... Scrissi rapporti di fuoco contro lui [e] Moro non se ne dimenticò mai. Fino a quando, di sua iniziativa, mi collocò a riposo nel 1975, quand’ero nel pieno della bufera giudiziaria". A metà degli anni Settanta, con l’avanzata elettorale del Pei e l’avvento della prospettiva del compromesso storico, ai tradizionali nemici di Moro si sono unite la Loggia P2, e attraverso Moretti anche le Br<small>[[Brigate Rosse#Note|[58]]]</small>.»''
 
Per evitare eventuali accuse da parte di "avvocati del diavolo", che ancora una volta potrebbero o vorrebbero farsi scudo di una presunta ostilità al revisionismo che in realtà, come è già stato dimostrato, non gli appartiene, sono qui riportate le opinioni in merito, ancora una volta, di altre fonti ideologicamente "anti-revisioniste". Riporta Hoxha:
 
''«Nel momento in cui il Partito Comunista Italiano lanciò la parola d’ordine del "compromesso storico", si ebbe l’impressione che l’Italia si stesse trasformando in un paese industriale potente. In quel periodo non solo la reazione, ma gli stessi "comunisti" italiani, consideravano il "compromesso storico" come una "strategia" a lungo termine. Ma sopravvenne la crisi e il fascismo risorto diventò più minaccioso; l’uso delle bombe, i casi di omicidio e di scomparsa di persone divennero fatti correnti. Il "compromesso storico" cominciò a divenire più attuale e a sembrare più "ragionevole" sia ad una parte della borghesia che ad una parte dei democristiani. Rappresentante di tale corrente era anche Aldo Moro, ma egli fu liquidato, poiché i democristiani non erano e non sono ancora pronti ad entrare in questo compromesso, a prescindere dalle disfatte subite alle elezioni. Nell’attuale congiuntura di crisi, i democristiani hanno escogitato alcuni modi e alcune forme di coordinamento delle loro azioni con i "comunisti" su certe questioni, sia a livello dei sindacati che a livello dei partiti, ciò nonostante essi hanno paura anche di un partito comunista italiano "à l’eau du rose"<small>[[Brigate Rosse#Note|[59]]]</small>.»''
 
Di simile avviso pare essere stato il PMLI, sia all'epoca dei fatti che a posteriori:
 
''«Ad eseguire la strage di via Fani e l'assassinio di Moro furono le "BR" di Moretti, mentre i mandanti dell'operazione furono la corrente golpista e piduista italiana, capeggiata allora dal capo di Gladio, Cossiga, che era anche ministro degli Interni e controllava proprio quei servizi segreti incaricati di ritrovare Moro, tutti diretti da ufficiali e funzionari affiliati alla P2, e la destra anticomunista americana con il suo braccio golpista della Cia, che volevano impedire ad ogni costo il disegno di Moro di integrare il PCI al governo e nelle istituzioni e creare viceversa le condizioni per una ulteriore fascistizzazione e antlantizzazione del Paese, in vista di un - allora giudicato molto probabile - scontro militare del blocco occidentale con il socialimperialismo sovietico.  Per attuare tale disegno queste forze, le stesse che dalla strage di Stato del 1969 avevano utilizzato il terrorismo nero fascista per creare la "strategia della tensione", si servirono delle "BR", infiltrate dai servizi segreti, e le manovrarono e coprirono abilmente, confondendo e depistando le indagini ogni volta che qualcuno rischiava di avvicinarsi troppo ai loro covi. Il PMLI capì immediatamente il disegno golpista e i veri mandanti che stavano dietro il rapimento di Moro e i suoi esecutori brigatisti sedicenti rossi. In un documento emesso a tambur battente a poche ore dalla strage di via Fani, dal titolo "Il rapimento di Moro rende più chiaro il pericolo di colpo di Stato in Italia", l'Ufficio politico del PMLI scriveva fra l'altro: "Il rapimento dell'on. Aldo Moro e il massacro della sua scorta hanno uno scopo preciso e inequivocabile: la corrente golpista borghese che si annida ai vertici della DC, del MSI e dello Stato cerca di bruciare i tempi e spingere il Paese alla guerra civile. Il colore reale dei rapitori non è rosso ma nero, fascista, sono dei killer assoldati dai servizi segreti italiani e dalla Cia per seminare panico e terrore e creare le migliori condizioni per instaurare una aperta dittatura fascista o comunque un governo e uno Stato forti"<small>[[Brigate Rosse#Note|[60]]]</small>.»''
 
Come ricostruito da Flamigni, la latitanza totalmente libera e indisturbata di Moretti gli permette di incontrarsi a cielo aperto con altri suoi "colleghi" terroristi, come Barbara Balzerani, e di muoversi in altre parti d'Italia, in particolare in Sicilia e in Calabria, visite le cui motivazioni sono sconosciute anche ai suoi colleghi terroristi, probabilmente effettuate per poter incontrare, non si può escludere anche per tramite della P2, esponenti della criminalità organizzata e delle mafie di quelle regioni. Nel mentre il vento sembra soffiare a favore del PCI di Berlinguer; il PSI guidato dal segretario De Martino decreta la chiusura della collaborazione con la DC nel nome del "centro-sinistra" e ripropone le teorie del "social-comunismo" e dei "fronti popolari" che non aveva attuato insieme al PCI dalle elezioni degli anni 40 e 50. Al contempo nella DC prevale la corrente "morotea", cioè guidata da Aldo Moro, anch'egli favorevole ad un dialogo col PCI. Come è stato già dimostrato, le destre italiana e americana avevano paura anche di un "partito comunista" come quello di Berlinguer, o comunque non erano ancora pronte ad ammettere un governo più "autonomo" e "indipendente" in un clima di possibile confronto tra la NATO imperialista da un lato e l'URSS revisionista dall'altro. Questo è dimostrato da diverse testimonianze riportate da Flamigni:
 
 
 
«L’ex direttore della Cia William Colby ha dichiarato: "Si deve credere ai leader del PCI quando affermano che rispetterebbero le regole democratiche qualora entrassero nel governo? Certo, il PCI è diventato meno dottrinario nelle questioni ideologiche, tuttavia ritiene di dover ancora mantenere legami con il centro rivoluzionario, cioè con Mosca, dal quale potrebbe ottenere appoggi nel caso la situazione diventasse difficile... Conviene trovare qualche tecnica sottile... in particolare una serie di passi intermedi potrebbero essere compiuti prima che si arrivi a un controllo comunista in Italia." L ’ammiraglio Horacio Rivero, ex ambasciatore americano in Spagna e già comandante, in Italia, di Afsouth, ha affermato: "Chi controlla l’Italia controlla il Mediterraneo... La marina e Paeronautica italiane, così come le basi Usa in quel Paese, sono necessarie per la difesa del Mediterraneo contro le attuali minacce. L’accesso del PCI al potere porterebbe l’Italia al neutralismo, con l’uscita dalla Nato e l’eliminazione della più importante struttura logistica, informativa e per le comunicazioni della Sesta flotta americana. L’immediato collasso dello schieramento meridionale Nato diventerebbe inevitabile. Diventerebbe inoltre estremamente difficile per gli Stati Uniti provvedere all’assistenza di Israele". Claire Boothe Luce, ex ambasciatrice americana a Roma e vecchia amica di Edgardo Sogno, ha detto allarmata: "La Nato è in uno stato di grave disordine, l’Italia è sull’orlo del compromesso storico". Wynfred Joshua, per conto della Dia (Defence intelligence agency, il servizio segreto militare Usa), ha affermato: "Probabilmente in nessun altro luogo la minaccia all’Alleanza atlantica è più chiara che nel suo schieramento meridionale, dove le tendenze militari e politiche contribuiscono a rappresentare una sfida profonda alle difese dell’Occidente... Il problema
dell’Italia è complicato: consiste nella debolezza delle istituzioni economiche e politiche. Questo si riflette nella rivalità tra un sempre più vecchio par-
tito di maggioranza democristiano, solcato da scandali e divisioni, e da un partito comunista disciplinato e in crescita che cerca di trasmettere un’im-
magine di integrità e di indipendenza nazionale... Sembra opportuno rivedere il ruolo dello schieramento meridionale della Nato alLinterno dell’intera
difesa occidentale e il significato dell’instabilità politica italiana all’interno del contesto strategico globale<small>[[Brigate Rosse#Note|[61]]]</small>".»
 
Il fatto che la priorità per i reazionari fosse di liquidare al più presto possibile la sola possibilità del PCI al governo dell'Italia, da solo o in coalizione, piuttosto che preoccuparsi dei "pericolosissimi e minacciosi lottatori armati" delle terroriste Brigate Rosse non è solo l'ennesima dimostrazione che queste ultime erano un subprodotto dei comandi NATO per mantenere la loro egemonia in Italia, ma anche la dimostrazione dell'ingenuità e idealismo delle proposte "moderate" del PCI a guida Berlinguer: un "partito comunista" non salirà mai al potere "pacificamente" o tramite la "democrazia" liberal-borghese, e la sua ascesa e il suo consenso popolare saranno sempre osteggiati dai reazionari e dai capitalisti. Riporta ancora Flamigni:
 
''«La campagna elettorale è incandescente, con le destre politica e imprenditoriale mobilitate per scongiurare il “sorpasso comunista”, cioè il fatto che il PCI superi elettoralmente la DC. In questo clima tesissimo, le nuove Br capeggiate da Moretti fanno il loro esordio di sangue. L’8 giugno - dodici giorni prima del voto - a Genova, in salita Santa Brigida-via Balbi (zona centrale della città), un commando tende un agguato al procuratore generale Francesco Coco: alle ore
13.38 il magistrato viene assassinato da due brigatisti a volto scoperto insieme all'agente della scorta, il brigadiere di pubblica sicurezza Giuseppe Saponara, mentre a poca distanza, contemporaneamente, altri due brigatisti uccidono l’autista del giudice, l’appuntato dei carabinieri Antioco Dejana. [...] Di fatto, la feroce uccisione di un magistrato, di un poliziotto e di un carabiniere sembra avere un solo obiettivo pratico: insanguinare la campagna elettorale con un delitto “rosso” e “comunista” . Più in generale, la strage è l’adesione pratica delle Br morettiane alla proposta del Mossad di assumere un ruolo nell’ambito del terrorismo internazionale, proposta che le vecchie Br avevano invece rifiutato. [...] Certo è che il triplice omicidio di Genova, rivendicato dalle Br morettiane in nome del “comuniSmo” e della “lotta di classe”, è un oggettivo contributo alla strategia della tensione, e provoca un profondo turbamento nell’elettorato italiano che si appresta a votare. Le destre gridano al “pericolo comunista”, sanguinoso e incombente, influenzando il voto moderato in favore della DC. [...] Alle elezioni del 20 giugno 1976 non c’è il temuto “sorpasso” comunista, ma il risultato accentua tutti gli allarmi delle destre e le apprensioni di carattere internazionale. [...] In pratica, la DC non è in grado di formare alcuna maggioranza parlamentare senza un qualche coinvolgimento del PCI, dato che il PSI di De Martino conferma di ritenere esaurita la formula del centro-sinistra. Lo sbocco provvisorio della difficile crisi politica è il III governo Andreotti, un monocolore De sostenuto dall’astensione parlamentare di PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, chiamato appunto “governo della non sfiducia” in quanto si regge sui voti di astensione. È un esecutivo interlocutorio, in attesa che Moro persuada la destra democristiana della necessità di una qualche apertura al Pei, la sola strada capace di evitare una pericolosa paralisi istituzionale e di scongiurare tentazioni di forzature costituzionali. Ma le forze interne e internazionali che si oppongono alla prospettiva del “compromesso storico” sono in azione: la strategia della tensione ha solo rallentato uno sbocco politico
che si fa sempre più vicino, dunque non basta più. L’ago della bilancia è ancora il PSI, che il segretario De Martino ha schierato sulla linea del governo di “solidarietà nazionale” col PCI. Ma alla metà di luglio, durante il comitato centrale socialista, una manovra di potere dei “colonnelli” del partito costringe De Martino alle dimissioni, e elegge alla segreteria Bettino Craxi, esponente della minoritaria corrente anticomunista - autonomisti nenniani - nella quale avevano militato anche Corrado Simioni (anni Cinquanta) e Luigi Cavallo (anni Sessanta). La trasformazione del PSI in una forza anticomunista conflittuale col PCI fa parte della tattica codificata nei piani della P2 di Licio Gelli. Ex ufficiale della Repubblica sociale, poi collaboratore dell’OSS (il servizio di controspionaggio militare americano guidato da James Angleton), quindi in contatto col Sifar, l’aretino Gelli è il venerabile maestro della P2: una carica perlopiù organizzativa - il vero vertice della Loggia segreta non verrà mai scoperto<small>[[Brigate Rosse#Note|[62]]]</small>.»''
 
Di Gelli e del suo ruolo nel sovvenzionare il terrorismo nero e il terrorismo "rosso", oltre che il terrorismo camorristico-mafioso, si è già discusso in altre voci di questa pagina.
 
=== Il ruolo della "scuola di lingue" (di fatto centrale dell'intelligence) Hyperion ===
 
''«Mentre nella capitale prende corpo la colonna brigatista, gli ex del Superclan - Simioni, Berio, Salvoni, Troiano, Tuscher, ecc. - lasciano l’Italia e si trasferiscono a Parigi. Nella capitale francese organizzano una ambigua “scuola di lingue” chiamata prima “Agorà” e poi “Hyperion”. Benché alcuni di loro siano indiziati dalla magistratura italiana di "appartenenza a un gruppo clandestino volto a sovvertire, mediante la lotta armata, gli ordinamenti dello Stato", il servizio segreto francese autorizza l’apertura e l’attività della Agorà-Hyperion. Del resto, a Simioni e sodali non mancano protettori eccellenti neppure in Francia: come il potente prelato cattolico Abbé Pierre (Henri Antoine Groués, ex eroe della Resistenza francese, ex parlamentare e membro della Commissione Difesa); o come il padre domenicano Félix Andrew Morlion, fondatore del servizio segreto vaticano Pro Deo e agente dell’intelligence Usa. "L’Hyperion (già Agorà) ha sede a Parigi, in quai de la Tournelle 27, dispone di locali di un certo tono, per la cui locazione viene corrisposto un canone di notevole importo che, aggiunto alle spese di gestione, comporta un impegno costante di spesa". All’inizio del 1978 l’Hyperion aprirà una filiale a Roma, in via Nicotera 26 (nello stesso edificio dove sono domiciliate alcune società di copertura del Sismi), e una seconda a Milano; entrambe chiuse poco dopo la conclusione del sequestro Moro, a ottobre. [...] L’attività dell’ambiguo “istituto linguistico” parigino allestito da Simioni e compagnia incomincia nell’autunno 1976. [...] L’attività è accompagnata da voci che l’Hyperion sia la copertura di una centrale dell'intelligence atlantica. Una informativa dell’Ucigos riferirà il sospetto che "l’istituto di lingue Hyperion sia il più importante ufficio di rappresentanza della Cia in Europa". [...] Catturati tutti i principali militanti delle “vecchie” Br, nessuno sembra più contrastare le “nuove” Br morettiane, anzi c’è chi le agevola. Infatti il 2 gennaio 1977 il brigatista Prospero Gallinari evade con facilità dal carcere di Treviso dove era detenuto. [...] Molti anni dopo l’ex ministro Taviani farà in proposito una gravissima rivelazione: "Il generale Dalla Chiesa mi disse che la fuga di Gallinari dal carcere venne favorita con lo scopo di scovare Moretti". In effetti il brigatista ex del Superclan, appena evaso, raggiunge Moretti a Genova, dove si sta organizzando il sequestro Costa, ma nessuno “scova” il capo delle Br. E Gallinari potrà partecipare prima al sequestro Costa, poi alla strage di via Fani, svolgendo un importante molo durante il sequestro Moro. La sera del 12 gennaio, a Genova, Moretti capeggia il commando terrorista che sequestra l’armatore genovese Piero Costa. Aggredito mentre sta rientrando a casa, caricato su un furgone, narcotizzato e rinchiuso in una cassa di legno, l ’industriale viene trasportato in un appartamento-prigione in via Pomposa (affittato in precedenza dalla brigatista genovese Fulvia Miglietta), dove rimarrà segregato per ben 81 giorni. All’operazione partecipano terroristi di diverse colonne delle Br, compresa quella romana in formazione, e compreso il neo-evaso Prospero Gallinari. I brigatisti del commando hanno agito a viso scoperto, e il sequestro verrà rivendicato dalle Br solo al momento del rilascio dell’ostaggio. Ciononostante, la stampa lo definisce subito un “sequestro politico” attribuendolo alle Br. Il questore di Genova, Pietro De Longis, rassicura la pubblica opinione circa l ’immediata mobilitazione delle forze dell’ordine - per la cronaca, De Longis risulterà nell’elenco degli affiliati alla P2. Il rapimento è a scopo di riscatto. Il sequestrato è uno dei nipoti dell’armatore Angelo Costa, capostipite di una delle più facoltose famiglie dell’imprenditoria italiana. Presidente della Confindustria nel primo dopoguerra, Angelo Costa aveva organizzato, con altri industriali, una campagna contro il PCI, comprensiva di finanziamenti per "armare gruppi anticomunisti"; il denaro dell’industriale genovese aveva poi finanziato l’attività anticomunista di Edgardo Sogno. Il sequestro di Piero Costa è stato concepito e organizzato da Moretti, il quale ne cura personalmente la gestione concordando col prigioniero i messaggi ai familiari per il riscatto, stabilito nell’ingente somma di un miliardo e mezzo di lire (equivalente a circa 5 milioni di euro odierni). [...] L’ingente riscatto viene pagato a Roma alla fine di marzo, da uno dei fratelli (residente a Genova) e da una sorella dell’ostaggio (suora presso l’istituto religioso romano Gesù di Nazareth), senza alcun intervento da parte delle forze dell’ordine. Piero Costa viene liberato il 3 aprile, con in tasca il comunicato col quale le Br morettiane rivendicano il sequestro. [...] L’ingente somma di denaro ottenuta col sequestro Costa permette a Moretti di consolidarsi come capo-padrone delle Br, e di dotare l’organizzazione di una disponibilità finanziaria quale mai ha avuto prima. Denaro che verrà utilizzato per comprare armi, appartamenti, per stipendiare vecchi e nuovi arruolati, e per preparare la “operazione Moro”. In pratica i Costa, trent’anni dopo avere volontariamente finanziato l’attività anticomunista di Edgardo Sogno, sono stati costretti a finanziare il terrorismo “comunista” delle Br. Due giorni dopo la liberazione di Costa, il 5 aprile, a Napoli viene rapito Guido De Martino, figlio dell’ex segretario socialista Francesco De Martino. Il sequestro è misterioso: la famiglia De Martino non è facoltosa, e si susseguono inattendibili rivendicazioni “politiche” firmate Br e Nap. Il 9 aprile, con un apposito comunicato, le Br
si chiamano fuori. [...] Guido De Martino viene liberato il 15 maggio, dopo il pagamento a alcuni criminali comuni di un riscatto di circa un miliardo. Denaro di non chiara origine, comprensivo di banconote provenienti dal riscatto pagato alle Br dalla famiglia Costa. L’oscura vicenda avrà un solo dato certo: comprometterà definitivamente la carriera politica all’interno del PSI di Francesco De Martino (uno dei leader socialisti più aperti al PCI)<small>[[Brigate Rosse#Note|[63]]]</small>.»''
 
In pratica, i piani delle Brigate Rosse guidate da Moretti e di fatto indirizzate dalla P2 (chi altri avrebbe potuto indicare loro Costa come "ostaggio" prediletto per i loro finanziamenti?) sono indirizzati sin da subito al rapimento di Moro e alla distruzione del "compromesso storico" e del "governo di unità nazionale". Moretti continua a muoversi e ad agire protetto e indisturbato nella sua latitanza, nonostante sia ricercato dal 1972, sia stato fotografato dai carabinieri nel 1974 e dal 1975 si sia stabilito in una strada dove informatori della polizia e centrali di intelligence sono ovunque. Mentre è in corso il sequestro di Costa, nel Marzo del 1977 Moretti apre addirittura una tipografia a Roma, in via Pio Foà, dotata di un modello Ab-Dik 360 di macchina da stampa, proveniente dal RUS, Raggruppamento Unità Speciali del SID (Servizio Informazioni Difesa) e una fotocopiatrice proveniente dal Ministero dei Trasporti. Ciò, per quanto negato in modo poco credibile e platealmente menzognero da Moretti, è confermato dalla testimonianza di un tale Enrico Triaca, il brigatista predisposto alla tipografia:
 
''«Nell’estate del 1976 [nel corso di una delle assemblee del movimento studentesco di Roma che si tenevano presso l’Università] ebbi modo di conoscere un giovane di circa trent’anni che si presentò come Maurizio [Mario Moretti, ndr]. Da quell’epoca, io e Maurizio cominciammo a frequentarci con una certa assiduità incontrandoci sia all’Università, più spesso a piazza Navona e a piazza Venezia, e comunque nella zona del centro [di Roma, ndr]... Verso la fine del 1976 il Maurizio mi disse che faceva parte delle Brigate Rosse. Mi invitò a fare parte della organizzazione, spiegandomi che avrei dovuto avere contatti soltanto con lui ed eventualmente col nucleo che egli avrebbe costituito. Il Maurizio mi propose di aprire una tipografia a Roma in un luogo che avrei dovuto scegliere io stesso; egli avrebbe finanziato l’acquisto di tutta la attrezzatura necessaria, mi avrebbe dato tutto il denaro occorrente per svolgere la nostra attività; mi disse, anche, che la tipografia avrebbe svolto attività apparentemente regolare, mentre in realtà doveva servire a stampare materiale per conto delle Br. Per circa un mese cercai un locale adatto alla tipografia, e finalmente, nel marzo 1977, trovai il locale in via Pio Foà 31. Presi contatti con il proprietario, tale Carpi Pierluigi, con il quale fu convenuto un canone mensile di 150 mila lire; versai tre mensilità anticipate in denaro contante che mi era stato dato dal Maurizio. Diedi incarico a una ditta di eseguire lavori di ristrutturazione del locale, e pagai 600 mila lire; anche questa somma mi venne data dal Maurizio. Siccome io ero inesperto in tipografia, chiesi al Maurizio di indicarmi il materiale che dovevo acquistare: egli mi suggerì di acquistare una macchina “Rotaprint” e mi consegnò lire 5 milioni in contanti che io versai alla ditta venditrice... Il prezzo complessivo era di lire 14 milioni: firmai cambiali per la rimanente parte... con scadenze bimestrali. Tutte le cambiali sono state pagate regolarmente alla scadenza con denaro datomi dal Maurizio. Fu lo stesso tecnico
della “Rotaprint” a insegnarmi l’uso delle macchine. Il Maurizio portò nella tipografia due macchine Ab-Dik di cui una serviva per le fotocopie e l’altra per la stampa. Il Maurizio portò le due macchine con un furgone bianco da lui stesso condotto. Fu quella l’unica volta che vidi il Maurizio con una macchina. Con lo stesso furgone il Maurizio portò anche un bromografo per lo sviluppo delle matrici e un ingranditore per lo sviluppo delle fotografie<small>[[Brigate Rosse#Note|[64]]]</small>.»''
 
Diversi capi dei servizi si troveranno curiosamente d'accordo con il "terribile lottatore armato" capo brigatista nel confermare la sua fallace ricostruzione "ufficiale", tale Giuseppe Santovito, capo del SISMI, affermava che la macchina da stampa Ab-Dik 360 era in realtà un "rottame" venduto come tale, ma la macchina aveva una durata di utilizzo di 10 anni, ed era insensato che fosse stata rivenduta a terzi e questi terzi le avrebbero poi rivendute ai terroristi. Per altro, la tipografia brigatista ottenne l'Ab-Dik 360 nel Marzo 1977, mentre tale modello era stato ufficialmente "decommissionato" solo in Ottobre del 1977. Ciò che è certo è che l'Ab-Dik 360 divenne proprietà dei brigatisti nel Marzo del 1977, e soprattutto che i RUS erano parte dell'intricata rete di intelligence atlantiste, come ha dichiarato alla commissione parlamentare stragi il generale Serravalle, già capo di Gladio<small>[[Brigate Rosse#Note|[65]]]</small>.
 
=== Il Conto alla Rovescia ===
 
''«Nel corso del 1977 in Italia si registrano significativi mutamenti sociopolitici. Con il PCI sempre più vicino all’area governativa in nome della “solidarietà nazionale” (formula politica del “compromesso storico” berlingueriano), si registra la progressiva disgregazione dei gruppuscoli della sinistra extraparlamentare e la nascita della nebulosa che verrà chiamata “movimento del Settantasette”. È un processo che radicalizza l’estremismo di consistenti settori del movimento giovanile e studentesco, i quali vedono nel PCI filogovernativo il loro principale antagonista. Una ininterrotta sequela di azioni terroristiche di estrema destra, e soprattutto dell’ultrasinistra, continua a alimentare la strategia della tensione con un bilancio pesantissimo: nel corso dell’anno circa duemila attentati bersagliano forze dell’ordine, magistrati, politici, imprenditori e giornalisti, provocando 11 morti e centinaia di feriti. Nella sostanziale inerzia del governo Andreotti e degli apparati preposti all’ordine pubblico, va formandosi il “partito armato”: si appaia alle BR la nuova organizzazione terroristica Prima Linea, e nasce una costellazione di microcellule eversive che vanno dalle frange più estreme della cosiddetta Autonomia operaia ai NAP (Nuclei Armati Proletari), da Azione Rivoluzionaria, alle Unità Comuniste Combattenti, a Operai Armati per il Comunismo. All’inizio di giugno, a Washington, l’ex segretario di Stato Henry Kissinger afferma che se un partito comunista dovesse entrare a far parte di un governo dell’Europa occidentale "l’effetto sulla coesione dell’Alleanza atlantica sarebbe disastroso" in quanto "si altererebbe la prospettiva di sicurezza e di progresso per tutte le nazioni libere". Intanto, a Roma, i partiti della “non sfiducia” e la DC raggiungono un’intesa programmatica di governo che il segretario del PCI Berlinguer definisce "un fatto nuovo nella politica italiana". [...] Il 5 settembre 1977 il terrorismo “rosso” scuote la Germania federale. Un commando della Raf rapisce nel centro di Colonia il presidente degli industriali tedeschi Hans-Martin Schleyer dopo averne ucciso l’autista e i tre poliziotti della scorta. I terroristi chiedono, in cambio della liberazione dell’ostaggio, la scarcerazione di 11 detenuti “politici” e un aereo per riparare all’estero. Fra tensioni e polemiche, la trattativa del governo di Berlino con i sequestratori si protrae fino al 13 ottobre, quando quattro terroristi arabi dirottano un aereo di linea della Lufthansa, e dopo una lunga peregrinazione fanno atterrare il velivolo all’aeroporto somalo di Mogadiscio. Il dirottamento è collegato al sequestro Schleyer: infatti i dirottatori chiedono al governo di Berlino, in cambio del rilascio degli 86 passeggeri, la scarcerazione degli 11 detenuti “politici”. La notte del 17 ottobre un’unità speciale tedesca assalta l ’aereo, uccide tre dirottatori e libera gli ostaggi. L’indomani, nel carcere tedesco di Stammheim, tre degli 11 detenuti di cui i terroristi chiedevano la liberazione, i capi storici della Raf Andreas Baader, Jan-Carl Raspe e Gudrun Ensslin, risultano “suicidati” nelle loro celle, mentre il cadavere di Schleyer viene fatto trovare nel bagagliaio di un’auto. Verranno accertati dalla magistratura italiana i rapporti delle Br morettiane con la Raf, e lo stesso sequestro Moro, pochi mesi dopo, avrà svariate analogie operative col sequestro Schleyer. [...] L’ingente quantità di danaro di cui Moretti può disporre dopo il sequestro Costa ne consacra il potere assoluto all'interno dell’organizzazione, e agevola la costruzione della colonna romana che gestirà la “operazione Moro”. Quell’operazione che Moretti ha avviato fin dal dicembre 1975, e che con notevole abilità farà passare all’interno dell’organizzazione come una casuale decisione collettiva maturata nel corso del 1977. Dopo il sequestro Costa, le file brigatiste si vanno infoltendo. La grande disponibilità di denaro permette l’aumento del numero dei clandestini regolari, terroristi a tempo pieno stipendiati dall’organizzazione, che assommano a varie decine. A Roma, Moretti ha istituito e capeggia un comitato direttivo di colonna del quale fanno parte Prospero Gallinari, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Adriana Faranda, e successivamente Barbara Balzerani e Bruno Seghetti. [...] A fine ottobre arriva a Roma Henry Kissinger. Dopo colloqui con Andreotti, Forlani, Leone e Fanfani, l’ex segretario di Stato americano ribadisce l’assoluta contrarietà statunitense all’inclusione del PCI nella maggioranza governativa affermando: "Nessun partito comunista è mai stato organizzato democraticamente, nessuna organizzazione comunista è mai stata in contrasto con l’Urss in politica estera, nessun partito comunista ha mai diviso nella pratica il potere con altri partiti. Questa è la storia". [...] Il 7 dicembre il pubblico ministero di Roma Alberto Dell’Orco chiede al giudice istruttore il proscioglimento degli imputati per il progettato “golpe bianco” dell’estate 1974: nel caso di Sogno e Cavallo, con la formula dell’insufficienza di prove. Al momento, Cavallo è impegnato nella guerra al banchiere piduista Roberto Calvi, per conto del bancarottiere piduista Michele Sindona. Quanto a Sogno, l’ex ambasciatore piduista sembra essersi ritirato a vita privata. All’inizio del 1978 maturano le condizioni per la svolta politica, il cui principale tessitore è il presidente della DC Aldo Moro. A metà gennaio il governo Andreotti si dimette. Da Washington, la Casa Bianca con un comunicato ufficiale invia a Roma un chiaro monito: "I recenti avvenimenti in Italia hanno accresciuto la nostra preoccupazione... Gli Stati Uniti e l’Italia hanno in comune profondi valori e interessi democratici e noi non riteniamo che i comunisti condividano tali valori e interessi". Il 19 gennaio il leader della destra De Andreotti riottiene l’incarico, col mandato di formare un nuovo governo col PCI nella maggioranza. Da Washington il Dipartimento di Stato Usa manda a Roma un nuovo ammonimento: "L’atteggiamento dell’Amministrazione statunitense nei confronti dei partiti comunisti dell’Europa occidentale, compreso quello italiano, non è mutato... I leader democratici devono dimostrare fermezza nel resistere alla tentazione di trovare soluzioni tra le forze non democratiche". Il 28 febbraio il presidente della De Aldo Moro riesce a convincere i gruppi parlamentari democristiani della necessità di costituire una maggioranza programmatica comprendente il PCI; il “via libera” dei parlamentari De alla nuova maggioranza di fatto rafforza la candidatura di Moro al Quirinale. L’ 11 marzo Andreotti forma il suo IV governo, un monocolore DC sostenuto da PCI, PSI, PSDI e PRI. Le dichiarazioni programmatiche e il voto sono fissate alla Camera per il giorno 16 marzo. Proprio la mattina di quel giorno, alle ore 9, mentre si sta recando alla Camera, Aldo Moro viene rapito dalle Br. [...] Spacciando per “casuali” sia l’obiettivo-Moro, sia la data del 16 marzo, Moretti tenterà di nascondere una verità palmare: il delitto Moro è stato concepito e viene attuato non per “colpire la DC”, ma per eliminare il leader democristiano aperto al PCI e candidato al Quirinale; non per “processare la DC” (infatti gli interrogatori e gli scritti morotei non verranno divulgati), ma per stroncare la politica della “solidarietà nazionale”. Consapevoli o meno gli altri brigatisti (tutti, o alcuni), l’obiettivo politico-militare di Moretti, fin dal dicembre 1975, coincide con precisi interessi politici internazionali e con altrettanto precise volontà nazionali. [...] Il sequestro Moro non si propone la pura e semplice uccisione del presidente DC: in via Fani dovrà essere sterminata la scorta (5 agenti), ma lasciando Moro incolume, e l’ostaggio dovrà essere portato al sicuro in una Roma percorsa dal traffico di punta mattutino; Moro dovrà essere oggetto di un lungo sequestro, la cui gestione dovrà determinare l’irreversibile logoramento del quadro politico della solidarietà nazionale - solo dopo verrà assassinato. Una complessa e sofisticata operazione politico-militare, che non può certo essere stata preparata, né potrà essere attuata e gestita, da un manipolo di scombinati e fanatici terroristi poco più che ventenni quali risulteranno essere i vari Azzolini, Bonisoli, Braghetti, Morucci, Maccari, ecc. Il sequestro Moro è un’ardita impresa terroristica da intelligence, da guerra psicologica, operativamente possibile solo con una regia “superiore”, solo potendosi avvalere di precise complicità e connivenze all’interno degli apparati dello Stato - quella stessa regia e quelle stesse connivenze che proteggono la latitanza di Moretti da ben 6 anni<small>[[Brigate Rosse#Note|[66]]]</small>.»''


== Bibliografia ==
== Bibliografia ==
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* [https://www.pmli.it/brprovocatoriacontrorivoluzionariastrategia.htm Analisi del documento che rivendica l'omicidio di Biagi - PMLI (2002)]
* [https://www.pmli.it/brprovocatoriacontrorivoluzionariastrategia.htm Analisi del documento che rivendica l'omicidio di Biagi - PMLI (2002)]
* [http://files.spazioweb.it/aruba27963/file/pietro_secchia_il_sinistrismo_maschera_della_gestapo_1943.pdf Il "Sinistrismo" Maschera della Gestapo - Pietro Secchia (1943)]
* [http://files.spazioweb.it/aruba27963/file/pietro_secchia_il_sinistrismo_maschera_della_gestapo_1943.pdf Il "Sinistrismo" Maschera della Gestapo - Pietro Secchia (1943)]
 
* [https://www.pmli.it/articoli/2018/20180328_12L_Moro40corr.html Quaranta anni fa, il 9 maggio 1978, a Roma, Moro fu ucciso dalla destra italiana e americana. Le “Brigate rosse” di Moretti furono i killer, coperti dai servizi segreti. Ingannati, strumentalizzati e bruciati migliaia di sinceri rivoluzionari. Balzerani, dal terrorismo al riformismo. Il terrorismo è la negazione della rivoluzione proletaria - PMLI (2018)]
== Note ==
== Note ==
<ol>1. Secchia,1943<br>
<ol>1. Secchia,1943<br>
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49. Ibidem, p.123<br>
49. Ibidem, p.123<br>
50. Ibidem, p.124-125<br>
50. Ibidem, p.124-125<br>
51. Ibidem, p.127-
51. Ibidem, p.127-141<br>
52. Ibidem, p.142<br>
53. Ibidem. p.144<br>
54. Ibidem, p.145<br>
55. Ibidem, p.152-163<br>
56. Ibidem, p.169-172<br>
57. Ibidem, p.172-175<br>
58. Ibidem, p.175-176<br>
59. Hoxha, 1980, p.212<br>
60. PMLI, 2018<br>
61. Flamigni, 2004, p.177-178<br>
62. Ibidem, p.180,181,182-183<br>
63. Ibidem, p.184-186,187-189,190<br>
64. Ibidem, p.191-192<br>
65. Ibidem, p.193-194<br>
66. Ibidem, p.194-195,196-197,199-200<br>

Versione delle 00:58, 23 set 2024

Le Brigate Rosse furono un'organizzazione armata di tipo terroristico, attiva in Italia dal 1970 al 1988, e poi dal 1999 al 2003, autoproclamatasi "marxista-leninista" e "comunista", ma che, nei nomi, nelle azioni e nella retorica, è stata tutt'altro. Lo scopo di questa voce, forte delle fonti a disposizione, è di dimostrare, in barba anche a quei sedicenti "compagni", come i militanti del Partito dei CARC o i molti larpers e bimbiminchia trotskoidi, che tale organizzazione, tutt'altro che un organismo dedito alla "lotta armata", o ancora una "risposta" al "terrorismo nero" di organizzazioni come Ordine Nuovo, altro non è stata che un'operazione psicologica, principalmente, il cui intento era di screditare e sfavorire non solo il PCI revisionista e impedire un "governo di unità nazionale", ma anche il comunismo tutto nel nostro paese, intento in cui i suoi "militanti" (in buona parte) riuscirono.

Premessa: infiltrazione dell'estrema destra "a sinistra" ai tempi della Resistenza

Per poter comprendere la genesi dell'ultrasinistra extraparlamentare degli anni 60 e 70 è necessario fare un passo indietro e analizzare le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza in Italia. Mentre il PCI, non ancora degenerato e divenuto revisionista, lottava e guidava i partigiani contro i collaborazionisti fascisti e le forze militari tedesche, diverse formazioni "di sinistra" spuntarono come funghi, pubblicando diversi opuscoletti di critica e di forte attacco alla guerra partigiana e al PCI. Già nel dicembre del 1943 il PCI, per tramite di Pietro Secchia in un comunicato sul giornale clandestino del partito, La Nostra Lotta, in cui avvisava i partigiani, gli operai e i militanti del PCI della vera natura di questi opuscoli di ispirazione trotskista e della "sinistra comunista" bordighiana:

«Gli uomini di Hitler e di Goebbels non potevano certo illudersi di riuscire a fare presa sulle masse operaie italiane con la propaganda nazionalsocialista, antisovietica e antibolscevica, servendosi di strumenti fuori uso quali Mussolini, Pavolini, Farinacci e soci. Come frenare, ostacolare, limitare l’eroica lotta che il proletariato, guidato dal Partito Comunista conduce per la cacciata dei tedeschi dall’Italia e l’annientamento dei rigurgiti del fascismo? Ecco allora saltar fuori i nemici dell’Unione Sovietica e parlare a nome dell’Unione Sovietica, ecco gli autori del Patto antibolscevico parlare a nome del bolscevismo, ecco gli autori del patto anticomintern in combutta col «sinistrismo» denigratore del Comintern parlare a nome dell’Internazionale e protestare per lo scioglimento dell’Internazionale, invocare il nome di Marx e di Lenin, richiamarsi ai principi comunisti per gridare contro la degenerazione, contro l’opportunismo, contro il centrismo dei comunisti. Ma sotto la maschera del "sinistrismo" è facile scorgervi il bieco sanguinario volto del nazi-fascismo. Strappiamo questa maschera, laceriamo il velo e vi scorgeremo il grugno di Hitler. Ogni operaio al quale sia capitato per le mani qualcuno di questi luridi fogli dai titoli altisonanti e dall’etichetta "rivoluzionaria" si sarà certamente reso conto della vera natura del loro contenuto. Bastano a ciò poche riflessioni. I nazisti che oggi occupano i due terzi dell’Italia, sono coloro che da dieci anni opprimono sotto la più feroce dittatura il proletariato tedesco, sono coloro che sono intervenuti per schiacciare la Repubblica popolare Spagnola, sono coloro che hanno scatenato l’attuale guerra mondiale, sono coloro che hanno invaso, saccheggiato, private della loro indipendenza e libertà tutta una serie di paesi d’Europa, sono coloro infine che hanno aggredito, mosso la guerra e invaso l’Unione Sovietica, il paese del Socialismo. Ebbene, questi fogli, "Stella Rossa" e "Prometeo", non dicono una sola parola contro i tedeschi, contro i nazisti, non incitano alla lotta ed alla lotta immediata contro i nazisti tedeschi, al contrario questi luridi fogli attaccano il Partito Comunista perché con tutte le sue forze è sceso in lotta per la cacciata dei tedeschi dall’Italia, perché chiama le masse popolari italiane a lottare con tutti i mezzi, ad insorgere contro i tedeschi ed i fascisti. [...] I tedeschi hanno aggredito e messo a ferro e fuoco vasti territori dell’Unione Sovietica e i "sinistri", uomini di "Prometeo" e di "Stella Rossa", hanno la spudoratezza di proclamare che non bisogna lottare contro i tedeschi, hanno la spudoratezza di predicare l’astensionismo; hanno la spudoratezza di invitare gli operai a non andare nelle formazioni partigiane, hanno la spudoratezza di dire che tra i due contendenti che si battono sul nostro suolo, non vi è possibilità di scelta. Vi è un solo operaio che può avere il minimo dubbio sulla marca di fabbrica di quella "sinistra" propaganda? La marca di fabbrica è quella tedesca: Made in Germany. Come, non vi è possibilità di scelta fra i due contendenti? Ma gli anglo-americani sono oggi gli alleati dell’Unione Sovietica. I tedeschi invece sono gli aggressori, i saccheggiatori dell’Unione Sovietica. Gli anglo-americani sono coloro che assieme all’Unione Sovietica hanno posto come condizione di pace l’annientamento del fascismo e del nazismo, l’abbattimento dei regimi di Hitler, di Mussolini e dei loro satelliti; i tedeschi invece sono coloro che hanno tolta l’indipendenza ai popoli, sono coloro che, occupata l’Italia, hanno subito ricostituito un governo con i Mussolini, i Pavolini e gli altri traditori fascisti. I redattori di "Prometeo" e di "Stella Rossa" accusano il P[artito] C[omunista] di tradire il proletariato italiano perché si è fatto propugnatore del C[omitato] d[i] L[iberazione] N[azionale], perché si è alleato con i Partiti borghesi. Costoro strillano che bisogna farla finita con la democrazia, che la democrazia è la stessa cosa del fascismo. Costoro dicono che bisogna fare la rivoluzione proletaria, che ci vuole la dittatura del proletariato. [...] Tutti i nemici del nazismo e del fascismo si sono nel corso di questa guerra coalizzati. Hitler, sempre più stretto alla gola da questo potente blocco di forze strilla e grida al bolscevismo: "Si vuole instaurare il bolscevismo in Europa." Alle sue grida fanno eco "Prometeo" e "Stella Rossa" ed altri fogli di tale risma che scrivono: "Oggi noi non dobbiamo lottare contro i tedeschi, ma contro la democrazia, per la dittatura, per il bolscevismo." Sciocchi servitorelli di Hitler! Questo brigante ha bisogno oggi per creare timori, incertezze, esitazioni tra i popoli, per incrinare la compagine delle Nazioni Unite e dei Fronti Nazionali di sbandierare lo spettro del bolscevismo, ed ecco subito trovati i servi ben disposti ‒ coscienti o no ‒ di "Stella Rossa" e di "Prometeo". Ecco queste losche figure levare alte grida al cielo: "Sì, vogliamo il bolscevismo" e lanciare contumelie contro il P[artito] C[omunista] perché avrebbe rinnegato il suo programma. Ogni operaio sa che il nostro Partito, il Partito Comunista, non ha per nulla rinunciato al suo programma e ai suoi obiettivi fondamentali. Ogni operaio sa che gli obiettivi dell’imperialismo anglo-americano non sono gli stessi dell’Unione Sovietica, non sono gli stessi obiettivi delle larghe masse popolari di tutti i paesi, ma ogni operaio sa anche che in questo momento l’Inghilterra e l’America hanno in comune con l’Unione Sovietica e con le masse popolari di tutti i paesi l’obiettivo della sconfitta della Germania, dell’annientamento del nazismo, della restituzione dell’indipendenza e della libertà ai popoli. Ogni operaio sa che il raggiungimento di questi obiettivi è oggi l’interesse fondamentale e preminente della classe operaia di tutti i paesi. Ogni operaio sa che il raggiungimento di tali obiettivi è la premessa essenziale per l’ulteriore avanzata della classe operaia sulla strada della rivoluzione. Oggi nei diversi paesi, ed anche in Italia, si è realizzato un blocco di forze, un blocco di partiti che sono d’accordo di lottare assieme per la cacciata dei tedeschi, per l’annientamento del fascismo, che sono d’accordo di lottare assieme per la realizzazione di un governo di democrazia popolare. I tentativi di Hitler, di Goebbels e dei loro servi, i "sinistri" italiani, per incrinare questo blocco sono ridicoli. [...] Oggi il tradimento più infame è perpetrato da coloro che sotto la maschera di un frasario pseudo-rivoluzionario, massimalista, estremista, predicano la passività, invitano gli operai a starsene neutrali, a non partecipare alla lotta partigiana, aiutando così i tedeschi ad opprimere il popolo italiano. Costoro cercano di indebolire l’azione che il nostro Partito conduce contro i tedeschi ed i fascisti, tentando di diminuire la sua autorità, predicando l’assenteismo e la passività, tentando di incrinare il blocco delle forze antifasciste, sono dei traditori della Guerra di L[iberazione] N[azionale], si rivelano per degli alleati diretti di Hitler e di Mussolini, costoro, lo sappiano o no, sono dei volgari agenti della Gestapo[1]

Come è già stato approfondito in altre voci di questa enciclopedia, le opposizioni "a sinistra" della linea del PCUS, dell'Unione Sovietica e del Comintern nell'epoca immediatamente precedente alla Seconda Guerra Mondiale, e in taluni casi anche durante essa, hanno cooperato, "tatticamente" o meno, con le forze nazi-fasciste pur di andare contro l'Unione Sovietica e il socialismo "degenerato" perché pragmatico anziché perfettamente corrispondente alle infantili utopie dei trotskisti e della "sinistra" di Bordiga. Quest'ultimo, come ammesso anche dai media mainstream borghesi e capitalisti, pur non "collaborando" tatticamente è rispauto che si augurasse. tuttavia, la vittoria della Germania e dei suoi alleati nella guerra[2]. Ma cosa ha questo a che vedere con l'ultrasinistra degli anni 70 e con le Brigate Rosse? L'organizzazione "Stella Rossa", definita da Pietro Secchia una quinta colonna trotskista, e i cui pamphlet ci sono oggi reminiscenti delle miriadi di analoghi pamphlet delle miriadi di "collettivi" sedicenti "comunisti", di ispiazione anarcoide e trotskista, contro il "campismo" e il progresso storico dell'alternativa multipolare, aveva a capo un uomo, tale Luigi Cavallo (di cui, curiosamente, non esistono fotografie e non sono reperibili da nessuna parte). Come riporta Sergio Flamigni, giornalista ed ex parlamentare nelle commissioni d'inchiesta sulla P2, sulla mafia e sul terrorismo per il PCI:

«Fin dalla metà degli anni Cinquanta, il colonnello Rocca per la sua segreta “guerra psicologica” in funzione anticomunista si era avvalso di un prezioso collaboratore: l’ex comunista Luigi Cavallo. Attivo a Torino nell’ambito sindacale come provocatore al soldo della Fiat, Cavallo utilizza per la sua torbida attività una base milanese, un appartamento situato in via Gallarate 131, dove il colonnello Rocca talvolta si recava: "Conobbi il colonnello Rocca nella casa [milanese] di Cavallo in via Gallarate 131", testimonierà Cesare Carnevale, collaboratore di Cavallo. [...] Un’attività di rilievo, perché il personaggio è di notevole spessore. Nato a Torino nel 1920, nel 1938 Cavallo "per intercessione del segretario federale fascista di Torino" aveva vinto una borsa di studio e si era trasferito nella Germania nazista, a Berlino e Tubinga, dove si era laureato in Filosofia. Sposata la figlia di un dirigente dei servizi segreti del Reich hitleriano, nel 1942 era tornato insieme a lei a Torino, e aveva cominciato a lavorare per il comando del Genio ferrovieri della Wermacht (senza trascurare gli studi: seconda laurea, in Scienze politiche). Nel 1943 era stato tra i fondatori di Stella Rossa, gruppo partigiano ultracomunista che propugnava la rivoluzione armata per instaurare la dittatura del proletariato; sul periodico del gruppo, “Stella Rossa”, era lui che scriveva gli articoli politico-militari sulla necessità della lotta armata. Dopo la Liberazione, Cavallo era riuscito a entrare nella redazione piemontese de “LUnità”, arrivando a scrivere editoriali in prima pagina: parlava correntemente 4 lingue straniere (compreso il russo), e conosceva i classici del pensiero marxista 24. Nel maggio 1946 si era trasferito a Parigi come corrispondente de “l’Unità”, e ci era rimasto fino alla fine del 1949, quando era stato improvvisamente allontanato dal giornale e dal partito. Subito dopo, Cavallo si era trasferito - senza incontrare alcuna difficoltà - a New York, ufficialmente con rincarico di inviato della “Gazzetta del popolo”, e ci era rimasto per quattro anni: smessi gli abiti di colto comunista ortodosso, dagli Usa mandava corrispondenze di plauso per il neocapitalismo americano. "Due cose affascinavano Cavallo: la politica keynesiana dei magnati dell’industria statunitense, e il potere esercitato sulle masse dagli strumenti di informazione". Il suo soggiorno americano non era stato privo di ambigui “incidenti”, che lui stesso descriverà così: "Venni segnalato all’Fbi come un pericoloso agente del comuniSmo internazionale. Sono stato arrestato nel 1950 a New York come 'agente sovietico'". All’inizio del 1954 l’ex comunista Cavallo era riapparso in Italia, a Milano, a fianco di Edgardo Sogno nell’organizzazione anticomunista Pace e Libertà, e per un certo periodo i due avevano fatto diversi viaggi a Parigi. L’anno dopo Cavallo si era trasferito a Torino (secondo alcune fonti, dopo avere rotto il sodalizio con Sogno per contrasti politici; secondo altre, per una "nuova destinazione"), dove aveva cominciato a svolgere segretamente una torbida attività antisindacale di provocatore al soldo della Fiat; in quello stesso periodo aveva avviato un’intensa collaborazione con il colonnello del Sifar Renzo Rocca, collocandosi "al centro di una trama in cui [convergevano] gli interessi e l’azione della Fiat, dell’Ambasciata americana, dei servizi segreti, del MSI". Nel 1966 Cavallo si era iscritto al Psi milanese, allacciando rapporti con la destra anticomunista del partito (gli autonomisti del giovane leader Bettino Craxi). L’attività antisindacale e anticomunista di Cavallo alla Fiat negli anni Cinquanta era stata eccezionalmente sofisticata. Attacchi al PCI e alla CGIL “da sinistra”, attraverso lettere, volantini, manifesti, giornali, opuscoli, caratterizzati da una tecnica che «sfruttava due elementi: un linguaggio para-comunista, con una collocazione da sinistra, nel senso che Cavallo [parla] a nome della classe operaia, anzi egli "è, di volta in volta, il lavoratore, l’immigrato, il sindacalista, il compagno; l’attacco diretto e personale a dirigenti di partito e di sindacato, la diffamazione, la calunnia". L’ex cronista de “l’Unità” Manfredo Liprandi, dopo un casuale incontro con Cavallo a Torino nella primavera del 1957, racconterà: "Mi dice che ha fatto carriera... Mi dice che possiede una tipografia e stampa giornali a colori. E poi: l’aereo personale. 'Sono appena stato a Berlino', mi dice, 'nel settore russo, con una missione alleata”. Mi invita nel suo ufficio... C’è uno schedario rotante, uno dei primi che si vedevano; Cavallo lo fa girare piano, come accarezzandolo, e intanto mi dice: 'Qui dentro ci sono i nomi, i recapiti, gli indirizzi di tutti gli iscritti al PCI di Torino'". L’attività anticomunista di Cavallo era soprattutto in ambito sindacale, contro Cgil e Fiom, per alimentare le spinte antiunitarie favorendo la scissione del sindacato. Secondo il senatore comunista Ugo Pecchioli (segretario della Federazione del Pei di Torino dal 1956 al 1966), anche nei disordini di piazza Statuto del 7 e 9 luglio 1962 - scioperi di massa degli operai Fiat, degenerati in gravi incidenti, con oltre mille fermi e 53 arresti - c’era stato lo zampino di Cavallo: "In piazza Statuto c’era di tutto... C’erano gli uomini di Luigi Cavallo, gli ex attivisti e provocatori di Pace e libertà. I fatti di piazza Statuto, nella loro componente di provocazione, sono stati la prima grande e preordinata prova di quella strategia della tensione che il padronato più reazionario e settori dell’apparato dello Stato, servendosi di gente come Cavallo, mettono in atto ogni qualvolta si trovano in presenza di grandi, unitari, vittoriosi movimenti di classe e democratici"[3]

Quindi la nascita della cosiddetta "sinistra extraparlamentare italiana" è da considerarsi avvenuta non negli anni 60, ma nei primi anni 40, durante la Resistenza. Di questo pare ne fosse convinto anche il Generale dei Carabinieri, nonché ex combattente anch'egli al fianco dei partigiani, Carlo Alberto Dalla Chiesa:

«Il generale Dalla Chiesa sospetta da tempo che la strategia della tensione affondi alcune delle sue radici nel periodo della Resistenza, e che il terrorismo brigatista presenti aspetti di forte ambiguità. Lo testimonierà Tallora colonnello dei carabinieri Nicolò Bozzo (braccio destro di Dalla Chiesa dal 1° settembre 1978), secondo il quale i sospetti del generale si appuntano in particolare sull’organizzazione Franchi di Edgardo Sogno: "Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a Savona del 1974-75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalità comune organizzata, massoneria e settori dei Servizi deviati. Successivamente al 1° settembre 1978 il generale mi invitò, in più occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo parere, si fondava sull’esistenza di una struttura segreta paramilitare, con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro interno. A suo parere, questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza, attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza."[4]»

Nascita dell'organizzazione e brevi cenni biografici sui suoi principali componenti

Mario Moretti, "capo" delle Brigate Rosse e rapitore-esecutore di Aldo Moro
Renato Curcio, uno dei principali fondatori delle Brigate Rosse
Corrado Simioni (primo da sinistra) insieme all'Abbé Pierre (al centro) mentre incontra il papa Wojtyła, nell'unica foto reperibile di lui

Per comprendere da dove sia nata l'organizzazione terroristica "Brigate Rosse", è importante prima fare luce sui suoi membri e "dirigenti" principali. Uno dei membri più "duraturi" e l'uomo definito indubbiamente, anche da una parte dei difensori della "validità" dei terroristi, come un palese infiltrato, è l'uomo che avrebbe poi diretto nel 1978 il rapimento di Aldo Moro, ossia Mario Moretti. In merito si esprime, ancora, Flamigni:

«Dal carcere, a posteriori, Mario Moretti cercherà di attribuire alla propria adolescenza una connotazione proletaria, operaia e comunista: "I miei erano poveri, a casa si mangiava soprattutto pane e mortadella... Mio padre votava comunista, come gli amici che da bambino vedevo per casa, ma in quel periodo e da quelle parti la gente si sentiva soprattutto antifascista... Quasi tutti i miei amici erano operai che lavoravano sui pescherecci, nelle fabbriche di calzoleria o di meccanica". Ma sono mistificazioni, falsificazioni della realtà. Infatti, stando ai documenti, la famiglia Moretti - padre mediatore nel commercio di bestiame, madre insegnante di musica, quattro figli (due maschi e due femmine) - non è di estrazione proletaria bensì piccolo-borghese, e non è di matrice comunista ma ultracattolica e destrorsa. È una famiglia "di discreta estrazione sociale", e non ha mai avuto niente a che fare col comunismo, bensì col suo esatto contrario: nel parentado ci sono due zii fascisti, e uno zio materno, Mario Romagnoli, è corrispondente del quotidiano di destra “Il Resto del Carlino”. Inoltre, la famiglia Moretti ha un qualche rapporto con il nobile casato dei marchesi Casati Stampa di Soncino (legati alla destra liberale lombarda e attigui all’aristocrazia “nera” romana), e in casa c’è l’impronta materna di una religiosità intensa fino al bigottismo. Nato a Porto San Giorgio (Ascoli Piceno) il 26 gennaio 1946, Mario Moretti frequenta la locale scuola elementare statale e l’oratorio parrocchiale. Le medie, invece, le fa a Macerata, nel collegio dei Salesiani. A ottobre del 1961 comincia a frequentare, da interno, il convitto “Girolamo Montani”, istituto tecnico di Fermo che all’epoca ha una forte caratterizzazione religiosa. Il 31 marzo 1962 muore prematuramente il capofamiglia. [...] Effettivamente la retta (di importo consistente) del convitto “Montani” dove dal 1961 al 1966 studia e vive il futuro capo delle Br viene pagata [...] dall’amministrazione milanese dei marchesi Casati Stampa di Soncino mediante un rapporto diretto con la direzione dell’istituto tecnico. Una circostanza singolare e enigmatica: non risulta che i Casati Stampa fossero dediti a opere di beneficenza. La "signora generosa", benefattrice del futuro capo brigatista, è Anna Fallarino. Nata nel 1929 in provincia di Benevento, di umili origini, ex aspirante attrice (una piccola apparizione nel film Totò Tarzarn), donna procace e disinibita, la Fallarino è diventata marchesa nel giugno 1961 sposando in seconde nozze il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, discendente dell’omonimo casato lombardo. Benché le vastissime proprietà terriere e immobiliari del casato siano essenzialmente in Lombardia (con residenza ufficiale nella Villa San Martino di Arcore, e amministrazione dei beni situata nel palazzo Soncino di via Soncino-angolo via Torino a Milano), Camillo Casati e la neo-marchesa abitano stabilmente a Roma, in un superattico in via Puccini con terrazzi pensili affacciati su Villa Borghese, insieme alla figlia di primo letto del nobiluomo, la marchesina Annamaria (che vi è nata nel 1951). Nella capitale, i Casati Stampa frequentano la “nobiltà nera” romana, ma storicamente il casato è legato alla destra liberale lombarda. Uno zio del marchese Camillo, il liberale milanese Alessandro Casati, nel 1924 era stato ministro dellTndustria nel governo Mussolini, rappresentante del PLI nel CLN (1943), nonché ministro della Guerra nel primo e secondo governo Bonomi (1944)[5]

Lungi dall'essere uno studente "ribelle" o da un forte carattere tipicamente "rivoluzionario" e da "lottatore armato", Moretti è invece ricordato in questo modo dai suoi insegnanti e compagni di classe:

«L’ex rettore del convitto, Ottorino Prosperi, ne ricorda l’irrequietezza e la frustrazione per il fatto che, pur essendo di Porto San Giorgio (a soli 7 chilometri da Fermo), dovesse pernottare nel convitto. Secondo l’ex rettore, era "un ragazzo scontroso" ma in fondo remissivo perché privo di un vero carattere. Secondo Maria Marcozzi, allora professoressa di Lettere e Storia, Moretti "era uno studente anonimo, dal carattere chiuso e introverso. Non parlava mai di sé, né manifestava particolari inclinazioni. Dagli altri studenti capitava di ricevere confidenze, richieste di ascolto o di aiuto, ma da lui non usciva niente". Univoco anche il ricordo “politico” che ne hanno alcuni suoi compagni di scuola dell’epoca: da studente Mario Moretti professava idee fasciste. Secondo Adriana Pende,"per lui tutto quello che aveva fatto Mussolini era perfetto... Moretti aveva uno zio ex camicia nera, che probabilmente era per lui un modello, un punto di riferimento. Mi ricordo le nostre discussioni, specialmente dopo le lezioni di Storia: lui difendeva sempre il regime fascista e l’operato di Mussolini. Io ho frequentato il “Montani”, per tre anni sono stata nella stessa classe di Moretti, e posso dire che Mario era un esaltato". Nadia Piergentili, sua compagna di classe dal terzo anno fino al conseguimento del diploma in Telecomunicazioni, conferma: "Moretti era nettamente di destra, ma non la destra liberale, la destra fascista, quella del Movimento sociale di allora, forse perché anche la sua famiglia aveva quell’orientamento... Mi ricordo che lui a un certo punto si era fatto fare il basco nero con il pon-pon che portavano i giovani fascisti alle manifestazioni". [...] L’orientamento di destra dello studente Moretti è confermato da Ivan Cicconi, suo coetaneo e anche lui studente del “Montani”. Secondo Cicconi, il futuro capo delle Br all’epoca militava addirittura nella Asan-Giovane Italia, l’associazione studentesca neofascista[6]

Conseguito il diploma, Moretti si trasferisce a Milano, e la sua "protezione" presso i Casati Stampa continua anche in questo frangente della sua vita:

«A luglio del 1966 Moretti si diploma perito industriale con specializzazione in Telecomunicazioni, e si congeda dal collegio “Montani” di Fermo. Ottiene l’esonero dal servizio militare in quanto, orfano di padre, viene considerato capofamiglia. Dopo l’estate si trasferisce a Milano, presso gli zii che abitano nel palazzo Soncino dei Casati Stampa. Il ventenne Moretti che nel settembre 1966 arriva a Milano fresco di diploma non ha niente di sinistra, e men che meno di estrema sinistra. Al contrario: è vicinissimo alla destra neofascista, è cattolico e anticomunista. Del tutto estraneo alla classe operaia e al proletariato, è invece legato al nobile casato dei Casati Stampa, sia pure nel particolare ruolo di beneficiario di privilegi. Infatti Tombrello protettivo dei marchesi non si è chiuso con il conseguimento del diploma, né con l’ospitalità nel palazzo Soncino. Il 27 settembre Moretti compila una richiesta di assunzione alla Sit-Siemens "raccomandato dalla marchesa Anna Casati Stampa di Soncino" 14, seguita il 14 ottobre da una dettagliata domanda d’impiego nella quale Moretti indica come proprio domicilio il palazzo Soncino dei Casati Stampa in "Via Soncino 2", come referenze "marchesa Anna Casati Stampa di Soncino, villa San Martino, Arcore (Milano)", e precisa di essere "temporaneamente assunto dalla Ceiet [società di impianti telefonici, ndr] in qualità di operaio in attesa di occupazione inerente alla mia specializzazione". Il lavoro alla Ceiet dura solo pochi mesi 15, perché il 16 gennaio 1967 viene assunto alla Sit-Siemens come tecnico-impiegato, e assegnato ai collaudi ponti radio con la mansione di collaudatore di apparecchiature a alta frequenza. [...] Effettivamente Moretti sembra proprio un ventenne piccoloborghese dai sani princìpi. Tanto è vero che dopo aver ottenuto il bell’impiego alla Sit-Siemens, decide di proseguire gli studi, e sceglie l’Università cattolica del Sacro cuore di Milano. Per accedere all’ateneo cattolico è indispensabile un certificato di “buona condotta” religiosa e politica, così il 9 settembre 1967 il viceparroco di Porto San Giorgio, don Luigi Campanelli, indirizza al "Rettore Magnifico" della Cattolica una dichiarazione, avallata dalla Curia arcivescovile di Fermo, con la quale certifica che "il giovane Mario Moretti ha tenuto sempre una condotta buona, e professa sane idee religiose e politiche". Un settimanale ["Panorama" del 14 Aprile 1980, ndr], anni dopo, scriverà che "a spianargli la strada della Cattolica, però, più dell’affettuoso interessamento di don Campanelli, fu la raccomandazione autorevole di una nobile e potente famiglia, quella dei Casati Stampa di Soncino... La marchesa Anna già gli aveva pagato le rette del collegio di Fermo, e gli aveva trovato un posto come tecnico dei ponti radio alla Sit-Siemens". Fatto sta che il 24 ottobre 1967 Moretti viene ammesso alla Cattolica, facoltà di Economia e commercio, e propone come primo piano di studi 7 materie, la prima delle quali è “Esposizione della dottrina e della morale cattolica”. L’ateneo del Sacro Cuore è in subbuglio, nella notte fra il 17 e il 18 novembre viene occupato dalle avanguardie del Movimento studentesco (il rettore fa intervenire la polizia e chiude l’Università); ma la matricola Moretti rimane completamente estranea alla rivolta sociopolitica di molti suoi coetanei, tanto più che - da piccoloborghese reazionario quale egli è - la avversa[7]

Il turbolento periodo dei tardi anni 60 in Italia è caratterizzato dalle prime avvisaglie dei governi del Centrosinistra "Organico" DC-PSI, e in contemporanea il già menzionato Colonnello del SIFAR Rocca viene trovato morto con una pallottola in testa: la sua morte viene archiviata come suicidio, ma le prove indiziare dimostrano che la sua morte fu probabilmente un "regolamento di conti" interno ai Servizi Segreti "deviati". Rocca era uno stretto collaboratore dei servizi statunitensi, in particolare della CIA, con cui ha cooperato nella formazione di gruppi di infiltrati "a sinistra", come Luigi Cavallo, in ambito sindacale e partitico, nell'ambito dell'Operazione Gladio[8]. Nel già citato edificio di Via Gallarate 131 in cui era operativa la base di Cavallo pare si fosse accasato anche Moretti: «Durante l’estate del cruciale 1968 lo studente-lavoratore Moretti si conferma un ventiduenne piccoloborghese senza grilli per la testa. In agosto, durante le ferie a Porto San Giorgio, conosce una impiegata milanese sua coetanea, Amelia C. Dopo le ferie i due si rivedono a Milano e si fidanzano. [...] Per combinazione, il “fidanzamento ufficiale” di Moretti avviene in un posto molto particolare: infatti Amelia C. abita con i genitori in via Gallarate 131, cioè nello stesso palazzo dove Luigi Cavallo ha collocato la centrale milanese della sua attività di provocatore[9]

È in questo periodo della sua vita che, stando a quanto riporta Flamigni, Moretti pare abbia avuto un episodio di "conversione" politica simile a quello di San Paolo:

«Il fidanzamento con Amelia C. non distrae Moretti dagli studi universitari, specialmente da quelli a carattere religioso, i soli nei quali eccelle: il 10 ottobre 1968 supera l’esame di Esposizione della dottrina e della morale cattolica ottenendo la massima votazione, 30/30. Un riconoscimento tanto più brillante se si considera che il docente che glielo attribuisce è don Luigi Giussani, il carismatico teologo che sta trasformando la “Gioventù studentesca” nell’organizzazione cattolico-integralista di “Comunione e liberazione”. Una prodezza intellettuale tanto più significativa, se si considera che avviene mentre le università italiane sono a soqquadro - con scioperi, assemblee, occupazioni - per le lotte del Movimento studentesco, lotte alle quali il futuro capo brigatista continua a rimanere del tutto estraneo, e che anzi avversa. [...] Alla coincidenza di via Gallarate 131, dove il superesperto di “sindacalismo” Luigi Cavallo, coinquilino della fidanzata di Moretti, sta preparando una nuova tappa della sua attività di provocatore al soldo della Fiat (“Iniziativa sindacale”), segue un altro incidentale colpo del Destino. Sul posto di lavoro alla Sit-Siemens, nel corso del 1968, Moretti alFimprovviso, come folgorato sulla via di Damasco, prende miracolosamente coscienza, in chiave sindacale, della sua dimensione tecnico-impiegatizia. E per combinazione si tratta di una concezione sindacale antiunitaria e anticomunista, “a sinistra” della Cgil. [...] Insomma, all’impiegato-tecnico Moretti un imprecisato giorno del 1968, grazie a un gruppo di scalmanati operai-operai, sarebbe scattata nella testa "una molla" capace di renderlo consapevole di essere "una parcella del ciclo". Un vero sortilegio, dal momento che fino ad allora nella testa del futuro capo brigatista c ’erano “molle compresse” di tipo clericale e reazionario. Il fatto certo è che Moretti prende la tessera della Fim-Cisl (il sindacato cattolico), e si mette a fare "il primo lavoro politico fra i tecnici". [...] In effetti nella primavera 1968 alla Sit-Siemens nasce il Gruppo di studio impiegati (Gsi), originato dalla necessità, per impiegati e tecnici, di migliorare le proprie condizioni (dopo il declassamento patito in conseguenza dell’evoluzione tecnologica), e di superare la frustrazione professionale in un periodo di crescita tumultuosa dell’azienda, specializzata in un settore in forte espansione. Nell’autunno del 1968 l’assemblea impiegati-tecnici elabora alcune rivendicazioni e apre una vertenza sindacale, che il Gruppo di studio gestisce con il supporto ufficioso dei sindacati: FIOM, FIM e UILM riconoscono la specificità e la autonomia del nuovo organismo in quanto formato anche da lavoratori non iscritti, o diffidenti, o addirittura ostili alle organizzazioni sindacali. [...] La direzione della Sit-Siemens a tutta prima rifiuta di prendere in considerazione qualsiasi rivendicazione dei “colletti bianchi”, e ciò provoca un primo sciopero (cui aderisce il 90 per cento degli impiegati e tecnici); seguono altri scioperi, fino alla primavera del 1969, con punte di partecipazione del 98 per cento, per cui la controparte è costretta a trattare. Un altro tecnico del Gsi, Rossano Gelosini, oggi ricorda: "Quando finalmente la direzione dell’azienda accettò di discutere le nostre rivendicazioni e si fissò rincontro, Moretti si preoccupò di correre a casa per mettersi la giacca e la cravatta, in modo da presentarsi davanti ai rappresentanti padronali con elegante deferenza". Nella fase finale della vertenza tecnico-impiegatizia maturano una serie di rivendicazioni che riguardano le maestranze operaie. È l’occasione per unificare le due lotte, e a questo scopo viene indetta un’assemblea comune al Palalido; ma mentre la FIOM-CGIL sostiene l’unificazione, la FIM-CISL è contraria. Moretti e gli altri sindacalisti cislini del Gruppo di studio si impegnano a contrastare l’unificazione delle due vertenze, alimentando la tradizionale divisione fra impiegati e operai, e rinfocolando le contrapposte tendenze corporative. Ricorda Alfredo Novarini [membro del "Gruppo di Studio" di Moretti, ndr[10]]: "Moretti, che da anticomunista non perdeva mai l’occasione di manifestare la sua ostilità verso la CGIL, si adoperava per dividere il sindacato, per fomentare contrasti tra la CISL e la CGIL". La direzione aziendale approfitta delle divisioni avanzando offerte separate a impiegati-tecnici e operai, in modo da favorire la divaricazione. Così la proposta dell’unificazione naufraga, e le due vertenze si concludono separatamente. Finita la lotta ri vendicativa dei tenici-impiegati, il Gsi si scioglie. Il suo ultimo atto è la presentazione unitaria dei candidati impiegati-tecnici alla elezione della Commissione interna, che si svolge nella tarda primavera del 1969. Moretti, candidato nelle liste della FIM-CISL, non viene eletto; vengono invece eletti i due leader cislini Ivano Prati e Gaio Di Silvestro. Novarini, eletto delegato nella lista della Fiom-Cgil, oggi ricorda: "Moretti era finito nella CISL perché nella FIOM-CGIL c’erano i comunisti che lui odiava, e non venne eletto nella Commissione interna semplicemente perché era il meno brillante dei tre della CISL - non aveva certo la stoffa del leader"[11]

Tale Novarini, del periodo da "sindacalista" di Moretti, ha riportato a Flamigni questa testimonianza:

«Il Gsi convocava le assemblee degli impiegati e tecnici e ne elaborava le rivendicazioni; inoltre teneva i rapporti con gli altri gruppi di studio che stavano formandosi in altre aziende milanesi. Quel Gruppo di studio impiegati lo si potrebbe più correttamente definire un organismo “pre-sindacale”. Al suo interno, io e altri compagni rappresentavamo la FIOM-CGIL; Mario Moretti, Gaio Di Silvestro e Ivano Prati la FIM-CISL. Il Moretti, al pari degli altri, era molto impegnato in questa vertenza e partecipava attivamente alle assemblee dei lavoratori. Quelle assemblee non si svolgevano mai nelle sedi sindacali, perché - insistevano i tre della FIM-CISL - non bisognava dare l’impressione di essere troppo legati ai sindacati. All’interno del Gsi già emergevano due orientamenti: il primo intendeva collegare la vertenza alle più generali problematiche degli operai e del sindacato; la seconda, al contrario, voleva isolarla, sganciarla completamente da qualunque contesto sindacale-operaio. Moretti, che era schierato con questa seconda posizione, durante le assemblee non parlava molto, ma quando interveniva gli piaceva dire e ripetere frasi roboanti del tipo: “Rendiamoci conto che in Italia siamo ancora in una fase di paleonto-capitalismo”... Erano paroioni che sembravano frasi fatte, e a volte avevo l’impressione che Moretti le ripetesse come recitando una parte. Nel terzetto FIM-CISL Moretti non era certo il leader[12]

Da queste prove si evince quindi che il futuro "proletario" rapitore di Moro aveva appreso ben benino le sue tecniche di infiltrazione e di larping ante litteram quasi sicuramente dal suo co-inquilino Cavallo, in questo "veterano" in quanto ex provocatore trotskista per la Gestapo, ex infiltrato CIA nel PCI e poi provocatore "sindacale" per la FIAT. Questo dimostra, però, la sola "invalidità" di Moretti. Per quanto riguarda gli altri brigatisti, invece? Riporta ancora Flamigni, in merito ai contatti di Moretti con i suoi futuri colleghi terroristi:

«Una seconda scissione all'interno del Gruppo di studio operai-impiegati si consuma in autunno, quando il terzetto Di Silvestro-Prati-Moretti aderisce al raggruppamento extrasindacale Collettivo Politico Metropolitano [organizzazione "embrione" delle Brigate Rosse, ndr]; altri attivisti del Gso-i, in dissenso, confluiscono nell’organizzazione extraparlamentare Avanguardia Operaia [anch'essa, come si vede più avanti, organizzazione infiltrata e frutto indiretto di GLADIO, ndr]. Subito dopo le lotte e il rinnovo contrattuale dell’autunno 1969, la maggioranza del Gruppo di studio approva il nuovo contratto che chiude la vertenza, respingendo la tesi estremistica ("accordo bidone sulla pelle dei lavoratori") sostenuta da Moretti e dalla componente del CPM. I contrasti seguiti alla ratifica del contratto riducono ulteriormente il Gruppo: «E una costante della sua breve storia: più venivano scomparendo le ragioni originarie della sua esistenza e si restringeva la sua base di massa, più si dilatavano le tendenze avanguardistiche. Una contraddizione che, in breve, decreterà la sua fine: dopo qualche mese infatti il Gruppo si scioglie". Tra i capetti del Gso-i, oltre alla triade cislina Di Silvestro-Prati-Moretti, ci sono Corrado Alunni, Pierluigi Zuffada, Umberto Farioli: in tempi diversi, aderiranno poi tutti alle Br. [...] Moretti racconterà che "all’inizio il CPM non si presenta neanche come un gruppo - non ha una linea precisa - ma come un luogo di ricerca d’una piattaforma capace di mettere insieme soggetti diversi come gli operai della Pirelli, i tecnici della Ibm e della Siemens, e chi stava nei collettivi lavoratori-studenti. Gli animatori del Cpm sono Simioni e Curcio". Gli “animatori” del Cpm sono due personaggi del tutto estranei alla realtà della fabbrica, e guidano il Cpm in aperta e dichiarata contrapposizione alle organizzazioni sindacali della classe operaia, a tutta prima per tentare di egemonizzare e pilotare le lotte autonome di base alTinterno delle fabbriche. Ma chi sono, Corrado Simioni e Renato Curcio? Del veneto Simioni si sa poco. Nato a Dolo (Venezia) nel 1934, di famiglia borghese, personaggio colto e carismatico, a metà degli anni Cinquanta si era iscritto alla Federazione milanese del PSI, e aveva aderito alla corrente anticomunista (autonomista) del partito diventando amico del giovane dirigente Bettino Craxi. All’inizio degli anni Sessanta aveva sperimentato la vita comunitaria, e nel 1964 era stato espulso dal Psi per “indegnità morale”: "Ufficialmente l’allontanamento fu motivato dalla sua vita irregolare nelle 'comuni', da storie di donne; in realtà Simioni si bruciò con le sue manovre, con le provocazioni nelle assemblee, con le lettere che contenevano piani per rovesciare gli equilibri di allora". Cacciato dal Psi, Simioni per un certo periodo aveva lavorato per l ’Usis (United States Infor mation Service)[13], poi aveva trascorso un biennio a Monaco di Baviera dedicandosi fra l’altro a studi di Teologia, quindi era tornato a Milano facendo il consulente per la Mondadori. Alla vigilia del Sessantotto aveva fondato e diretto un non meglio definito Cip-Centro informazione politica (con sede in corso Italia, a Milano), al quale avevano poi aderito anche Renato Curcio, Duccio Berio, Franco Troiano, Sandro D’Alessandro e altri. Il Cip era strutturato su un doppio livello, uno ufficiale e uno riservato: una doppiezza adottata poi anche nel Cpm. Nel 1969-70 Simioni è il capo del Cpm, e vi svolge un’attività riservata, mentre il leader “pubblico” è il numero due Curcio. Secondo la Commissione controinformazione di Avanguardia operaia, Simioni ha collegamenti con l'intelligence statunitense, e sarebbe stato addestrato dalla Cia in Francia; secondo Lotta continua, sarebbe un informatore della Polizia. Una lista di presunti agenti della Cia attivi in Italia, comprendente il nome di “Simioni Corrado”, perverrà in forma anonima alla redazione del quotidiano “Lotta continua”. Nato in provincia di Roma nel 1941, figlio di una ragazza-madre, Renato Curcio ha avuto una gioventù avventurosa: "Ho vissuto per un anno e mezzo nei bassifondi [di Genova], con i ladri, le puttane, i truffatori. All’inizio dormivo sulle panchine o alla stazione Principe. Poi mi sono legato di amicizia con un ragazzo alcolizzato [...] e vivevo con lui: dormendo di giorno e sveglio di notte, e facendo lavori sull’orlo della legge... Mi sono spinto anche su altri bordi: l’alcolismo, gli psicofarmaci". Ha studiato a Albenga (Savona) diplomandosi perito chimico, e ha militato dapprima in “Giovane nazione”, quindi in “Giovane Europa”, due minuscole organizzazioni di estrema destra[14]. Nel 1962 si è trasferito a Trento, e presso la facoltà di Sociologia ha formato il gruppo della “Università negativa” (con Mauro Rostagno, Marco Boato, Duccio Berio, Mara Cagol, Vanni Mulinaris e altri). Nell’estate del 1967, a Verona, ha fatto parte del comitato di redazione della rivista “Lavoro politico”, quindi - come la maggior parte dei militanti di Giovane Europa - ha aderito al Partito comunista d’Italia marxista leninista (linea rossa), di orientamento maoista, ma alla fine del 1968 ne è stato espulso. Nel 1969 Curcio si è trasferito a Milano, e insieme all’amico Simioni (che ha conosciuto non si sa dove né quando) ha fondato il Cpm, nel cui ambito svolge l’attività “pubblica”, speculare a quella occulta svolta da Simioni[15][16]

Il "Collettivo Politico Metropolitano" che va sviluppandosi acquista via via le caratteristiche di una setta, più che di un comune gruppo di studi socialista o comunista:

«I militanti devono perdere la brutta abitudine, contratta nei partiti revisionisti, del “fare politica”, e cominciare a pensare e agire nei termini di “rivoluzione”. E questo vuol dire che vita privata e vita pubblica, dimensione interiore e dimensione esteriore del proprio essere sociale, devono essere ricuciti e riarmonizzati. La rivoluzione non si può fare a part-time, e per i militanti non c’è neppure la settimana corta. E vuol dire ancora che il militante si responsabilizza in prima persona rispetto ai suoi atteggiamenti e ai suoi comportamenti, e rende conto al Cpm delle scelte che ha ritenuto più opportune[17]

Nell'estate del 1969 i membri del CPM si prefiggono l'obiettivo di iniziare la loro opera a partire dalla costruzione di "comuni dell'amore libero", in piena conformità con l'"anticonformismo" conformista dei figli dei fiori e degli "scamiciati" piccolo-borghesi figli di COINTELPRO e del festival liberal-borghese del 1968. La "comune" ideata da Moretti però è molto sui generis: egli ha sposato in sede civile la sua fidanzata di allora, la già citata Amelia C., e ogni domenica viene celebrata la messa da un prete. Lo stesso Moretti è consapevole di questa natura molto poco "seria" della "comune" (non che le comuni sessuali, di allora e di oggi, abbiano tutta questa "serietà"), come dichiara in un'intervista anonima a Walter Tobagi in quei tempi:

«La famiglia che vive nell’immenso condominio è sperduta, isolata, impaurita. In noi, c’è il rimpianto dell’antica famiglia patriarcale, con tutti i fratelli che abitano un’enorme casa. Ecco: le nostre comuni rispondono a quella stessa esigenza, ricreano una vita d’insieme, salvano la singola persona dall’alienazione individuale. Anche perché noi che viviamo nelle comuni non siamo come i prozìi che stavano nelle cascine di campagna. Sappiamo cosa vogliamo, e abbiamo superato tanti tabù, a cominciare da quello sessuale[18]

Durante l'amministrazione della comune, situata in un palazzo in piazza Stuparich a Milano, Moretti viene ricordato da Amelia C. come un "moralista", contrario soprattutto all'ingresso di studenti nella comune, a differenza di Curcio, come ricordato da questa in un'intervista al periodico Panorama nel 1981[19]. All'estate del 1969 segue l'"autunno caldo" e alle proteste operaie converge la contestazione studentesca sessantottina. In questo periodo vanno formandosi i più disparati gruppi dell'ultrasinistra, tutti ugualmente anarcoidi e trotskisti, e tutti ugualmente infiltrati da criminali comuni, neofascisti o comunque agenti di GLADIO e dei servizi. Scrive in merito Flamigni:

«Quella dell’ultrasinistra è un’area tumultuosa, nella quale trovano posto anche infiltrati, provocatori, pregiudicati e perfino qualche neofascista. Come accade a Genova, dove il 22 ottobre 1969 nasce la prima banda armata di asserita matrice marxista-leninista, chiamata appunto “XXII Ottobre”: ne fanno parte anche alcuni delinquenti comuni e il neofascista Diego Vandelli; secondo verbali di polizia, Vandelli è un confidente della Questura, come lo sono altri due della banda, Alfonso Sanguineti e Gianfranco Astara. L’autunno caldo alla Fiat induce Luigi Cavallo a impegnarsi in una nuova impresa delle sue, stavolta coperta col nome di “Iniziativa sindacale”. Nuovo il nome, vecchi e collaudati i metodi: propaganda, provocazioni, spionaggio e schedature. Con un rinnovato impegno nella pratica dell’infiltrazione: "Ho organizzato a Roma un servizio informativo centrale con un nostro uomo alla Direzione del PCI e uno alla CGIL". E una particolare attenzione alla segretezza e alla doppiezza: "Il nostro centro sarà organizzato e retto in base ai princìpi della più stretta clandestinità (compartimenti stagni, ecc.) e non potrà mai, in alcun modo, coinvolgere responsabilità dirette o indirette della Ditta... Nessun collaboratore sarà a conoscenza dei legami con la Ditta, in modo da garantire il razionale funzionamento con piena sicurezza... Proporrei la costituzione di nuovi 'Comitati unitari di base', che raggrupperanno lavoratori dei vari sindacati". Le sedi di “Iniziativa sindacale” sono a Torino, a Roma, e nella milanese via Gallarate 131[20]

Nello stesso periodo avviene una specie di "congresso fondativo" delle future Brigate Rosse, nell'albergo Stella Maris di Chiavari, vicino Genova, nel mezzo di una riunione delle principali organizzazioni di ultrasinistra[21]. Di questo congresso un collega, sindacalista e membro della comune di Stuparich, tale Antonio Saporiti, ha dichiarato:

«È possibile che si sia parlato di lotta armata: il rovesciamento violento del sistema era uno dei miti che più si agitavano nelle file dell’estremismo; io però di questo non ho memoria come di uno dei dati caratterizzanti del convegno. Ricordo bene che si attaccò con estrema violenza il sindacato, questo sì, di quei giorni di dibattito mi ricordo soprattutto questo. Tutto il resto fu solo una gran babele di ricette rivoluzionarie, un fiume di parole... Mi ricordo che tornai deluso: ero andato a Chiavari per chiarirmi le idee sulle lotte contrattuali, e tornavo più confuso di prima[22]

Si dimostra quindi sin da subito la natura totalmente estranea alla classe operaia del CPM, future BR. Non è un caso che nel medesimo periodo avvenga la strage di Piazza Fontana, il 12 Dicembre 1969, evento che segnalò l'inizio della cosiddetta "strategia della tensione". La strage, oltre a destabilizzare l'atmosfera politica e favorire un clima psicologico di "terrore bianco" e repressione da parte delle forze armate e di polizia, pare abbia anche lo scopo di favorire la mobilitazione delle forze dell'ultrasinistra e la loro trasformazione in organizzazioni clandestine terroristiche e paramilitari che possano causare diverse stragi a loro volta nel nome del "comunismo", di modo da favorire la stigmatizzazione sociale dei comunisti. Questa mossa ha un "parziale" successo con la sparizione in clandestinità dell'editore di ultrasinistra Giangiacomo Feltrinelli, che fonda i GAP nel 1970, salvo poi morire sotto i colpi di una bomba "montata male" due anni dopo a Segrate, probabilmente liquidato in quanto "scheggia impazzita" sfuggita al controllo di GLADIO, come dimostra il fatto che, ad un incontro con altri membri delle organizzazioni di ultrasinistra, inclusi Curcio e Simioni, Feltrinelli continuasse a insistere sull'avvio immediato della fase di "clandestinità". Anche il CPM inizia a organizzarsi per discendere nella clandestinità e nel terrorismo[23]. Nel medesimo periodo Moretti diventa padre, e abbandona il CPM e la comune di piazza Stuparich per trasferirsi con la moglie e il figlio in Via delle Ande n15, una località più vicina all'indirizzo di Via Gallarate 151, dove, tra l'altro, abitavano il capo dell'Ufficio Politico della Questura di Milano, Antonino Allegra, al n16, e un certo Roberto Dotti, al n5, ex "comunista", anch'egli infiltrato nel PCI come Cavallo, e collaboratore insieme a lui per Pace e Libertà, l'organizzazione anticomunista del Conte Edgardo Sogno, ex ambasciatore per l'Italia in Birmania e uomo ossessionato dalla minaccia del "cattocomunismo". Come ha confessato lo stesso conte Sogno nel 2000:

«Tentavamo anche di indebolire il PCI dall’interno, con una tecnica infiltratoria: se c’era qualche eretico prossimo a rompere con il partito, eravamo pronti ad aiutarlo... [Di Dotti] me ne parlò Piero Rachetto, socialista, partigiano in Val di Susa, dirigente di Pace e Libertà a Torino. Rachetto aveva aiutato Dotti a fuggire a Praga. Al suo ritorno in Italia, me lo indicò come sostituto di Cavallo. Dotti lavorò con me fino alla chiusura di Pace e libertà, nel 1958. Poi gli trovai una sistemazione grazie al mio vecchio amico Adriano Olivetti, che avevo conosciuto anni prima negli ambienti liberali. Olivetti lo assunse a “Comunità”. Quando tornai dalla Birmania per fare politica, nel 1970, Dotti lavorava alla Martini e Rossi - era il direttore della Terrazza Martini di Milano. Si licenziò e venne da me[24]

Dotti entrò in contatto tramite Simioni con Mara Cagol, la moglie di Curcio. Di questo ce ne parla l'ex BR Franceschini:

«Simioni combinò un incontro fra Mara e Dotti alla Terrazza Martini nella primavera del 1970. Me lo raccontò Mara nel 1974, dopo la nostra irruzione nella sede dei Crd di Sogno... Simioni in quell’occasione disse a Mara: “Se c’è bisogno di soldi, di aiuto, o per qualunque problema, per qualsiasi urgente necessità, lui è un nostro importante punto di riferimento, ti devi rivolgere a lui”. Simioni le disse anche che le schede biografiche degli arruolati nella struttura clandestina (che lui chiamava “Zie rosse”), schede che Mara aveva il compito di raccogliere, le doveva consegnare a Dotti. In pratica le presentò Dotti come uomo della massima fiducia, che ci poteva aiutare nei momenti più difficili, e che custodiva l’archivio della struttura clandestina. Così Mara rivide Dotti un paio di volte, e lui le raccontò di essere un ex partigiano comunista che per un certo tempo aveva scritto su “l’Unità”, ma poi era stato costretto a fuggire a Praga perché era accusato di avere ucciso un dirigente della Fiat; rientrato in Italia, non si era più iscritto al PCI perché dissentiva dalla linea politica di Togliatti, troppo spostata a destra[25]».

La tesi degli "opposti estremismi" viene validata nell'opinione pubblica italiana da parte della CIA e dell'enorme apparato atlantista in Italia, che sia con organizzazioni di estrema destra che di estrema "sinistra" provoca una costante destabilizzazione del paese e una forte "polarizzazione" politica. È necessario notare che in questa "polarizzazione" è totalmente esclusa la classe operaia, e solo un (relativo) pugno di individui costituisce la vera e propria massa di "lottatori armati" e terroristi. Tutto ciò altro non è che l'effetto della "manovra a tenaglia" ideata e attuata dal conte Sogno: il PCI va attaccato, sia da destra, con l'eversione neofascista, che da "sinistra", con l'eversione di diversi gruppi "rivoluzionari". Del conte Sogno ne traccia una breve biografia Flamigni:

«Nato a Torino nel 1915, scuole inferiori presso i Gesuiti, maturità classica, nel 1933 Sogno era entrato volontario nella Scuola ufficiali di cavalleria. Nel 1937, conseguita la laurea in Giurisprudenza, aveva frequentato a Roma le lezioni dell’ambasciatore Sergio Fenoaltea per entrare in diplomazia, ma senza successo. Monarchico e liberale, accesamente anticomunista, nell’estate del 1938 aveva combattuto come volontario in Spagna dalla parte dei franchisti insieme ai nazifascisti. Nel 1940 aveva conseguito a Torino due lauree, in Lettere e Scienze politiche, ma un secondo tentativo di entrare in diplomazia non aveva avuto successo. Nell’agosto del 1942 aveva chiesto di essere arruolato nel Savoia cavalleria in partenza per il fronte russo, ma era stato mandato come sottotenente a Nizza nel Nizza cavalleria. All’inizio del 1943 si era schierato con gli Alleati, era stato arrestato per alto tradimento, e alla caduta del fascismo (25 luglio 1943) era tornato in libertà e aveva preso parte alla Resistenza. Nel gennaio 1944 Sogno era entrato, come rappresentante del PLI, nel CLN del Piemonte, e aveva assunto il nome di battaglia “Franchi”; conosciuto in Svizzera John McCaffery, il capo della Special force britannica per l’Europa, aveva organizzato la brigata Franchi, struttura clandestina che svolgeva un’intensa attività militare e di intelligence. Nel luglio 1944, Sogno aveva avuto contatti a Roma con il ministro della Guerra Alessandro Casati Stampa di Soncino, dopodiché aveva ripreso la sua ardita attività politico-militare e di intelligence che gli varrà la medaglia d’oro al valor militare. All’inizio di febbraio 1945 era stato catturato dai tedeschi, e aveva evitato il plotone di esecuzione solo grazie all’intercessione di Alien W. Dulles, il capo dell’Oss-Office of strategie Services americano, presso il comandante delle SS in Italia, generale Karl Wolff, che stava trattando la resa. Membro della Consulta nazionale nel settembre 1945 in rappresentanza del PLI, lo stesso anno aveva ereditato dal PWB (l’organizzazione degli Alleati per la guerra psicologica) il quotidiano della sera “Corriere Lombardo”. Schierato coi monarchici nel referendum del 2 giugno 1946, Sogno all’inizio del 1947 aveva cominciato la carriera diplomatica: segretario d’ambasciata prima a Buenos Aires, poi, nel 1950, a Parigi. Su incarico del ministro dell'Interno Mario Scelba, aveva cominciato a organizzare formazioni paramilitari anticomuniste sotto la sigla “Atlantici d’Italia” (embrione della struttura paramilitare segreta della Nato Stay Behind-Gladio), e nell’ambito di questa sua attività segreta aveva seguito un corso di difesa psicologica presso il Nato Defence College di Parigi, dopo il quale - col sostegno dei ministri della Difesa Randolfo Pacciardi e Paolo Emilio Taviani - aveva organizzato un “Comitato italiano per la difesa psicologica” dal comunismo. Rientrato in Italia, alla fine del 1953 Sogno aveva fondato a Milano, con gli ex comunisti Luigi Cavallo e Roberto Dotti, l’organizzazione anticomunista Pace e Libertà (ispirata all’analoga “Paix et liberté” organizzata a Parigi dall’ex funzionario Nato Jean Paul David), la cui attività era finanziata dalla FIAT di Vittorio Vailetta, dal ministero dell'Interno, dalla Confindustria, dall’Usis-United States Information Service, e soprattutto dal capo della CIA Alien Dulles. Nel 1955, poiché la sigla Pace e libertà "si era logorata", Sogno aveva dato vita a un nuovo organismo anticomunista paramilitare e di intelligence, il “Comitato di difesa nazionale” comprensivo di un “Ufficio operazioni speciali”, "tutti nomi di copertura dati all’azione anticomunista, prima sostenuta dallo Stato, poi da Washington". All’attività del nuovo organismo collaborava l’ufficiale del Sifar Renzo Rocca, che alla fine del 1956 aveva accompagnato Sogno in missione nell’Ungheria invasa dalle truppe sovietiche. Alla fine del 1958, Sogno aveva ripreso la carriera diplomatica: prima console generale a Filadelfia, poi, dalla fine del 1959 al 1966, ministro-consigliere a Washington dei due amici-ambasciatori Manlio Brosio e Sergio Fenoaltea. Nel 1966 era stato nominato ambasciatore in Birmania, ma a partire dall’estate dell’anno dopo aveva avuto forti contrasti col presidente del Consiglio Aldo Moro e col ministro degli Esteri Amintore Fanfani per la loro politica filo-araba e per la freddezza del governo italiano di centro-sinistra verso l’intervento americano in Vietnam. Alla fine del 1969, postosi in aspettativa, Sogno era ritornato in Italia, preoccupato della situazione politica “minacciata” dalla crescente forza elettorale del Partito Comunista e da una DC ritenuta debole, imbelle e soprattutto troppo orientata a sinistra[26]

Secondo l'intuizione del Conte Sogno, la strategia più efficace per il suo anticomunismo (e quindi, visto il suo "curriculum", nazifascismo) più sfegatato era quella di un attacco da destra e "da sinistra", infiltrando le organizzazioni sindacali e i partiti, favorendo scissioni o inserendosi in nuove scissioni per favorire quelle tesi idealiste, astratte e di matrice anarco-trotskista che, se negli anni 30 avevano formato gruppi cospiratori e terroristi antisovietici in URSS, negli anni 60 e 70 dovevano formare gruppi anticomunisti, ostili all'Unione Sovietica e non solo, anche al PCI revisionista ormai su posizioni sempre più passivamente atlantiste:

«Cavallo custodiva un archivio formidabile. Teneva in pugno carte, segreti, punti deboli dei capi del PCI. E aveva una teoria: occorreva parlare ai comunisti facendo leva sulle contraddizioni e i lati oscuri del loro partito. Era inutile accusare il PCI di essere antipatriottico: quell’argomento poteva funzionare con i borghesi, che erano già persuasi; non con gli operai, che del patriottismo se ne fregavano. Si trattava invece di insinuare nel loro animo il dubbio che [la dirigenza del PCI fosse] la palla al piede del movimento operaio... Non era difficile vedere che l ’azione contro il PCI era tanto più efficace quanto più veniva svolta da sinistra[27]»

La fondazione dell'organizzazione terroristica

Nell'Agosto del 1970 avviene la riunione fondativa delle Brigate Rosse, il grosso del CPM si discioglie, e i membri "scelti" da Curcio e Simioni, incluso Moretti, entrano a far parte della nuova entità. Franceschini, di quel momento storico, ha poi ricordato che Simioni gli presentò una certa Sabina Longhi, stretta collaboratrice del segretario generale della NATO in quel momento, Manlio Brosio. Franceschini affermò che Simioni glielo fece presente quasi come a fargli notare che anche loro avevano i loro "infiltrati", ma i rapporti di forza chiaramente evidenti (le nascenti BR erano e sono sempre state quantitativamente un pugno di mosche), e la storia di Simioni, dimostrano quanto questo fosse in realtà il contrario, e quanto, quindi, le Brigate Rosse si fossero formate sin da subito all'ombra della NATO e del conte Sogno, collaboratore di Brosio. Nel medesimo momento il conte Sogno prepara il suo "golpe bianco", e avviene la strage dei Casati Stampa, un omicidio-suicidio della già citata marchesa da parte del marito in un raptus di gelosia, che determinerà il passaggio della villa di Arcore a Silvio Berlusconi per tramite di Cesare Previti[28]. Dopo il "congresso fondativo", a cui era assente, paradossalmente, solo Moretti, le BR iniziano ad essere operative, e, dopo una campagna inizialmente fallimentare da emuli dei gruppi di guerriglieri latinoamericani, in particolare dei Tupamaros Uruguayani (ritorna la natura da larper tipica dell'ultrasinistra), il cui unico "successo", a eccezion fatta di qualche rapina a tinte eroiche tipica più da personaggi dei fotoromanzi che non da rivoluzionari, è stato un raid ad una "base operativa" di Sogno in cui sono stati resi pubblici i documenti del tentato golpe bianco. Il 2 Maggio 1972 la polizia di Milano ha l'occasione di arrestare diversi membri dell'organizzazione terroristica, ma non il nucleo dirigente, composto da Moretti, Franceschini, Curcio e Cagol. La "fuga miracolosa", avvenuta in coincidenza con il possibile assassinio di Feltrinelli, è avvenuta secondo il già citato capo della polizia di Milano, Antonino Allegra, nel pomeriggio, lasciando quindi intendere che Moretti e il resto del nucleo delle Brigate Rosse, tutt'altro che "fortunati", scamparono perché informati da parti "deviate" dei servizi di polizia e dello stato; anche se lo stesso Allegra confessò che fu in parte a causa della "copertura mediatica" dell'operazione. In quel momento l'intero gruppo "dirigente" della banda armata terroristica era noto alle autorità, eppure sono riusciti a fuggire e a continuare ad agire per diversi anni, nel caso di Moretti, un decennio[29]. Uno dei catturati, tale Pisetta, ex "GAPino" seguace di Feltrinelli, viene liberato poco dopo e fatto espatriare, a dimostrazione della natura "permeabile" delle BR, eccessivamente esposte ad infiltrazioni da parte della polizia[30], ma ciononostante "irriducibili" almeno fino agli anni 80. A ulteriore dimostrazione della natura di utili idioti/collaboratori delle BR e dell'ultrasinistra tutta, il 17 maggio 1972 viene assassinato a Milano il commissario Luigi Calabresi, stretto collaboratore del capo dell’Ufficio politico della Questura Allegra, accusato da buona parte dell'ultrasinistra di essere responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, indiziato durante le indagini per Piazza Fontana e morto dopo essere precipitato dalla finestra della Questura di Milano durante gli interrogatori. Per quanto in quel momento la morte non sia stata rivendicata da nessuno, ulteriori indagini hanno dimostrato la colpevolezza dell'allora capo di Lotta Continua Adriano Sofri (che, tra le tante cose, faceva uso della stessa tipografia, a Roma, usata anche dal fascista e sionista Giano Accame) come "mandante", e la morte fu presto cavalcata come utile pretesto dal Conte Sogno e dagli anticomunisti più accaniti[31]. Nello stesso periodo il "Superclan", l'agenzia terroristica parallela alle Brigate Rosse, guidata da Corrado Simioni, ha il suo apice di attività, e le altre organizzazioni "rivali" delle Brigate Rosse, come Potere Operaio e la già citata Lotta Continua, iniziano a discutere la possibilità di darsi anche loro alla clandestinità (e quindi al terrorismo)[32]. Il già menzionato Pisetta, da Monaco di Baviera, fa i nomi dell'intero nucleo "dirigente" dell'organizzazione terroristica Brigate Rosse, nominando persino Simioni e il suo collaboratore Mulinaris, oltre che quanti più nomi possibili di tutte le altre principali organizzazioni dell'ultrasinistra, tra cui Lotta Continua, Potere Operaio ed ex-GAP di Feltrinelli, ciononostante, tutte queste organizzazioni (in quanto intrinsecamente borghesi e legate al capitalismo, oltre che utili agli atlantisti e all'anticomunismo) hanno continuato ad agire relativamente indisturbate per il decennio a venire[33].

Episodio della "Stella di David", eterodirezioni e possibili connessioni con il Mossad

Foto del comunicato delle Brigate Rosse in merito al rapimento del dirigente Alfa Romeo Mincuzzi, con la stella "sbagliata" a decorazione del comunicato

«All’inizio del 1973 nelle Br si forma e si riunisce la Direzione strategica, una specie di “parlamentino” dell’organizzazione che nomina un Comitato esecutivo formato da Curcio, Franceschini, Cagol e Moretti - in pratica, il “governo” delle Br. Il 15 gennaio un gruppo di brigatisti armati e mascherati - fra i quali c’è l’informatore della polizia Francesco Marra - fa irruzione nella sede dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti, legata alla destra DC), nel centro di Milano. [...] Benché incruenta, l ’irruzione brigatista all’Ucid suscita scalpore. [...] Il 19 gennaio 1973 si svolge a Colonia (Germania) una riunione riservatissima fra i rappresentanti dei servizi segreti civili dei vari Paesi della Nato. Oggetto del vertice, la prassi dell’infiltrazione nei gruppi eversivi Br e Raf e nei gruppi extraparlamentari dell’estrema sinistra, attuata dagli apparati di sicurezza. Il rappresentante italiano è Francesco D’Agostino, dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno [...] D’Agostino afferma che il settore di estrema sinistra è meno permeabile di quello dell’estrema destra, perché meno sensibile alla lusinga del denaro in quanto formato "quasi sempre di giovani fanatizzati e facoltosi" [tutt'altro che "proletari armati", ndr], e più difficile da penetrare a livello dirigenziale. [...] L’attenzione dei servizi segreti civili - in aperta polemica con quelli militari - per la conoscenza dell’articolazione e delle specificità dell’estremismo di sinistra, è funzionale alla infiltrazione e alla strumentalizzazione delle singole formazioni sovversive. Le varie misure dibattute dal coordinamento dei servizi segreti europei a Colonia all’inizio del 1973 (dal ricorso alle “agenzie stampa”, all’utilizzo di agenti stranieri, alla formazione di "collaboratori di nuovo tipo" addestrati alla pratica terroristica) rispondono a esigenze ben diverse dalla semplice attività informativa: prefigurano un programma di infiltrazione nei vertici dei gruppi dell’estrema sinistra per determinarne l’eterodirezione. In Italia le Br al momento sono una minuscola ciste nel corpo sociopolitico dell’estrema sinistra. Anziché provvedere a rimuoverla, apparati nazionali e esteri sono in azione per trasformare la ciste in un cancro devastante per l’intero corpo politico della nazione[34]

L'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse, lungi dall'essere "genuina" sin da subito, come è stato dimostrato più volte dalle fonti d'archivio, giornalistiche, di interviste e indagini, tra cui anche di commissioni parlamentari, tutte riportate da Flamigni, era quindi vista come un'"opportunità", da parte dei vertici atlantisti, per favorire i loro scopi e destabilizzare il paese Italia nello specifico. Nel medesimo periodo le autorità italiane confermano le informaizoni già menzionate dal Pisetta in merito ai "dirigenti" brigatisti, ma queste informazioni restano comodamente ignorate, di modo da permettere il continuato funzionamento dei terroristi e dei loro piani. Intanto la strategia della tensione prosegue, con la strage della questura di Milano, del 17 Maggio 1973, quando tale Gianfranco Bertoli, autoproclamato anarchico individualista, con provati legami con l'eversione neofascista e con l'entità sionista, in cui pare abbia soggiornato a lungo (ma ciononostante è ancora osannato da buona parte della comunità anarchica). Il XII Congresso della DC del 10 Giugno riapre i democristiani al centro-sinistra, e il 17 Giugno il conte Sogno a Firenze tiene un congresso in cui denuncia i suoi deliri in merito alla minaccia "cattocomunista" di una DC "troppo piegata a sinistra". Il 28 Giugno avviene il rapimento, da parte di un commando delle Brigate Rosse guidato da Mario Moretti, di un dirigente tecnico Alfa Romeo iscritto all'UCID, tale Ingegner Michele Mincuzzi. Viene fatta una fotografia con un cartello con i soliti slogan grotteschi, insieme all'individuo sequestrato, ma il simbolo ha una Stella di David al posto della stella a cinque punte simbolo dell'organizzazione terroristica[35]. Moretti ha affermato di aver usato un "pizzico di fantasia" nel suo disegno, ma secondo Franceschini in realtà tale simbolo poteva essere un "messaggio" per qualcuno. Secondo la sua testimonianza, nello stesso periodo, le BR avrebbero preso contatti con il Mossad, che aveva interesse alla continuata destabilizzazione della penisola per via delle politiche "filo-arabe" del governo italiano in quel momento. Affermò poi il brigatista pentito Alfredo Bonavita:

«Alcuni emissari dei servizi segreti israeliani proposero di offrire alle Br armi, finanziamenti e coperture di vario genere, anche all’interno di alcuni settori degli apparati statali, nonché addestramento militare, richiedendo in cambio un più accentuato impegno diretto alla destabilizzazione della situazione politica italiana. Questo programma doveva essere attuato, ovviamente, attraverso più eclatanti azioni politico-militari delle Br. 1 servizi segreti israeliani spiegarono la loro iniziativa in base alle seguenti considerazioni. All’epoca la situazione internazionale era caratterizzata da una “tiepidezza” degli americani nei confronti di Israele in contrapposizione a un maggiore sostegno politico-militare in favore dell'Italia, considerata essenziale per il mantenimento delle proprie posizioni nell’area del Mediterraneo. Orbene, gli obiettivi dei servizi segreti di Israele erano volti a ribaltare questo stato di cose, attraverso la destabilizzazione dell’Italia, di modo che gli Usa fossero costretti a far riferimento a Israele per il mantenimento delle loro posizioni nell’area del Mediterraneo. La proposta fu fatta dai servizi segreti di Israele tramite un professionista appartenente al Psi e comunque dell’area socialista di Milano. I servizi segreti israeliani, pur di fronte al rifiuto di collaborazione da parte delle Br, assicurarono che avrebbero comunque sostenuto la lotta armata in Italia[36]».

Per quanto la "testimonianza" di Franceschini vada presa molto con le molle (lo stesso si è contraddetto più volte, ritenendo ora Moretti un "infiltrato", ora un genuino "esaltato che si credeva Lenin"), essendo anch'egli un ex-terrorista che ha come primo interesse disinformare e portare acqua al proprio mulino, l'idea che le Brigate Rosse abbiano iniziato dei contatti con il Mossad in questo periodo, poi continuati nello "zenith" della sua massima attività, ossia i tardi anni 70 e primi anni 80, permetterebbe di comprendere meglio il funzionamento dell'organizzazione terroristica stessa e delle sue principali "concorrenti", come la già citata Lotta Continua o Prima Linea.

Il primo sequestro da parte delle Brigate Rosse

L'11 Settembre 1973 avviene il golpe di Pinochet in Cile, sovvenzionato dalla CIA e aiutato dal sabotaggio del governo socialista cileno da parte della stessa maggioranza di governo che aveva sostenuto Allende, in particolare i democristiani cileni. Ciononostante, il PCI di Berlinguer inizia ad adottare la linea del "compromesso storico" con l'illusione di poter entrare a far parte di un governo insieme alla DC. Questa vana illusione altro non farà che esacerbare le manovre "a tenaglia" contro il PCI; la destra missina e il gruppo di Sogno sono gli unici ad applaudire al golpe, mentre l'ultrasinistra (accertata nei precedenti paragrafi come costituita di infiltrati, e accertato che i fondatori delle BR stesse, come Curcio, Simioni e Moretti, sono stati sin da subito degli "infiltrati" da destra) approfitta dell'ulteriore "concessione" del PCI revisionista per incrementare la propria attività. Nonostante la linea moderata e sostanzialmente innocua per il "capitalismo di stato" della Prima Repubblica Italiana del PCI di Berlinguer, un partito "comunista" molto all'acqua di rose, i fanatici anticomunisti come Sogno diventano ancora più accaniti, in quanto ostili all'idea stessa di un partito comunista, seppure solo nominalmente, al governo[38]. A condividere l'idea di Sogno è anche Licio Gelli, gran maestro ("capo" ufficiale) della loggia massonica Propaganda 2, i cui veri capi (i servizi atlantisti, sionisti e imperialisti) non verranno mai scoperti, non nelle singole identità anagrafiche, perlomeno. Gelli, che aveva attuato un piano più "subdolo" rispetto a quello del suo ex commilitone Sogno (anche Gelli fu volontario in Spagna per i fascisti di Franco) per la trasformazione della "statica" Prima Repubblica Italiana tramite infiltrazione di giornali, partiti politici, forze dell'ordine, magistratura e istituzioni, afferma, in particolare, nei documenti del cosiddetto "Schema R", documento organizzativo del suo "piano di rinascita democratica" della P2, come viene riportato da Flamigni:

«In un documento chiamato 'Schema R', la P2, con allarmato riferimento alle elezioni del 15 giugno 1975 e all’avanzata elettorale del PCI, aveva preconizzato un «aumento dell’attivismo “rivoluzionario” nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole, dai gruppi della sinistra extraparlamentare», nonché un "inasprimento della ìlotta rivoluzionaria' di gruppi del terrorismo del tipo dei Nap e delle Br" [...] In pratica, si tratta di una strategia parallela alla strategia della tensione, con l’univoco fine di fermare l’avanzata elettorale del PCI, partito che secondo la P2 "nasconde il suo vero volto ungherese e cecoslovacco con una maschera di perbenismo e neoilluminismo liberale molto simile alla Nep di leniniana memoria" ma che in realtà si propone di instaurare in Italia "un regime comunista"[39]

Lungi dall'essere una difesa a spada tratta del PCI, che anzi si dimostra ancora di più essere un partito con una dirigenza inetta e incapace di comprendere la realtà oggettiva, ossia l'impossibilità di un partito "comunista", seppur "moderato", di entrare al governo tramite "elezioni democratiche", la linea del "compromesso storico", la cui ostilità espressa dai brigatisti con comunicati sempre più estremisti e grotteschi, durante il rapimento nel Dicembre del 1973, a Torino, di un dirigente FIAT, tale Ettore Amelio, fa alzare il sopracciglio alle principali organizzazioni e partiti della sinistra italiana, dai più "moderati" PCI e PSI, passando per le organizzazioni sindacali come CGIL, CISL e UIL e per il giornale "comunista" vicino all'ultrasinistra anarco-trotskista del Manifesto (che invece, anni dopo, da miglior organo della borghesia quale è sempre stato e quale è tutt'oggi, ha proceduto a difendere la presunta "purezza rivoluzionaria" e "genuinità" dei terroristi). Riporta Flamigni:

«Il sequestro Amerio, protrattosi per ben otto giorni, impone le BR alla ribalta della politica nazionale. Le azioni brigatiste, che si susseguono indisturbate e che oggettivamente alimentano la strategia della tensione come benzina sul fuoco, suscitano forti dubbi sulla natura stessa dell’organizzazione, soprattutto nella sinistra. Il quotidiano socialista “Avanti!” definisce le Br "una organizzazione di estrema destra", "elementi neofascisti il cui obiettivo principale sarebbe proprio quello della provocazione". Il quotidiano del PCI “l ’Unità” scrive: "Chi li paga?... È più che evidente che alle spalle di questa banda esiste una organizzazione interessata a certe operazioni squisitamente politiche". Il quotidiano di estrema sinistra “il manifesto” non fa eccezione ed è categorico: "Per nessuno ora può esserci margine di incertezza: sotto la denominazione di 'Brigate Rosse' si nasconde una delle tante bande di fascisti che da anni sono impegnate nella provocazione ai danni della classe operaia, nella strategia della tensione"; il quotidiano comunista [filo-trotskista, ndr] definisce Renato Curcio ("trasferitosi all’università di Trento insieme a Marco Pisetta") uno "specialista della tecnica dell’infiltrazione"[40]

Se eventuali difensori dei brigatisti/terroristi asseriscono che la maggior parte di questi attacchi provengono da fonti con pregiudiziali revisioniste, e quindi da scartare "a priori", in quanto le "Brigate Rosse" e altri gruppi affini sarebbero "nati come opposizione della classe operaia ['classe operaia' vistosamente facoltosa e di provenienza illustre, come è stato dimostrato, ndr] al revisionismo della sinistra italiana". Tali obiezioni si sciolgono come neve al sole se si considera che nel medesimo periodo, sia in Italia che all'estero, anche in ambito marxista-leninista le Brigate Rosse sono state etichettate come organizzazione "neofascista" e "terrorista". Riporta, ad esempio, Enver Hoxha, leader dell'Albania Socialista, forte critico del revisionismo sovietico kruscioviano e dell'eurocomunismo berlingueriano:

«La Costituzione garantisce una serie di diritti democratici, ma ciò non impedisce né allo Stato italiano, né all’arma dei carabinieri, né alla polizia di agire quasi apertamente, basandosi sui diritti concessi loro dalla Costituzione, per la messa a punto di quel meccanismo che è pronto ad instaurare un regime fascista. I vari comandi fascisti, da quelli dell’estrema destra a quelli denominati "brigate rosse" nonché i terroristi di Piazza Fontana trovano anch’essi la loro giustificazione nella Costituzione italiana. [...] Inoltre, essi [gli autentici rivoluzionari, ndr] spiegano che l’anarchismo, il terrorismo e il banditismo, che stanno assumendo vaste proporzioni nei paesi capitalisti e revisionisti, non hanno nulla in comune con la rivoluzione. I fatti di ogni giorno provano che i gruppi anarchici, terroristici e di banditismo vengono strumentalizzati dalla reazione come una giustificazione e come un’arma di lotta volta a preparare e a instaurare la dittatura fascista, ad impaurire la piccola borghesia per farne uno strumento e un letto caldo per il fascismo, a reprimere la classe operaia e tenerla legata con le catene del capitalismo, sotto la minaccia di perdere anche quelle poche briciole "datele" dalla borghesia. Tutte queste correnti e questi gruppi si ma scherano sotto nomi allettanti, come "proletari", "comunisti", "brigate rosse" ed altre denominazioni che creano una confusione vera e propria. [Ma] Le azioni di questi gruppi non hanno nulla a che vedere con il marxismo-leninismo, con il comunismo[41]

Anche il PMLI, piccolo partito politico italiano per molti versi contradditorio e controverso, ma non senza i suoi meriti, oltre che i suoi de-meriti, come più volte concluso in altre voci di questa enciclopedia, si espresse in modo contrario e risoluto contro le "Brigate Rosse", e il PMLI, in tutte le sue diverse contraddizioni, per certi versi "schizofreniche", ha sempre mantenuto come uno dei suoi pochi (meritevoli) tratti coerenti una forte opposizione, ideologica e pratica, al revisionismo e all'estremismo "sinistrista", che altro non sono che due facce della medesima medaglia:

«La violenza rivoluzionaria è parte integrante della linea politica del PMLI. Per comprenderne la giustezza, occorre leggere e studiare anzitutto il Programma del Partito. Nel V capitolo viene chiarito che per i marxisti-leninisti "La violenza rivoluzionaria è inevitabile per prevenire o stroncare il golpe fascista, comunque è indispensabile per la presa del potere politico da parte della classe operaia. Il grande passaggio storico dal capitalismo al socialismo può avvenire solo attraverso la rivoluzione violenta; solo con la forza del fucile la classe operaia e le masse lavoratrici possono sconfiggere l'esercito armato della borghesia, trasformare la vecchia società, abolire la proprietà privata capitalistica, distruggere lo Stato borghese e imporre il proprio potere. Nella sua lotta per la conquista del potere politico, il proletariato italiano non può non seguire nei principi e nei suoi tratti fondamentali e tattici, che la via universale della Rivoluzione d'Ottobre. [...] Il PMLI quindi ha una linea politica corretta e vincente per preparare la rivoluzione e avanzare verso la conquista dell'Italia unita, rossa e socialista, combatte il pacifismo e il riformismo che gli sono ideologicamente estranei, ma combatte anche il ribellismo piccolo borghese, anarchico e avventurista che non porta forze al mulino della rivoluzione ma brucia inutilmente le preziose energie dei giovani rivoluzionari, gettati allo sbaraglio dagli imbroglioni politici che li dirigono e ai quali va fatto comprendere che per infliggere colpi incisivi e devastanti al nemico di classe occorre che le lotte abbiano un carattere di massa e coinvolgano la classe operaia, che le manifestazioni e i cortei siano unitari, che si lavori attivamente per l'unità politica e organizzativa dei movimenti di lotta sulla base di una corretta linea antimperialista e anticapitalista e che solo con la direzione del proletariato rivoluzionario sarà possibile mobilitare le masse su vasta scala, allargare le alleanze e utilizzando giusti metodi di lotta sempre più violenti man mano che diviene più violento a livello di massa lo scontro col nemico di classe, si potranno registrare importanti vittorie sulla via della conquista del potere politico da parte del proletariato fino a quella finale. Evitare lo scontro per lo scontro, fine a se stesso, con le "forze dell'ordine non significa affatto rinunciare, ad esempio, all'antifascismo militante quanto invece evitare di cadere nello spontaneismo e nell'avventurismo, non anticipare i tempi di uno scontro certamente inevitabile che deve però avvenire nel momento in cui le masse sono decise all'azione e si pongono coscientemente l'obiettivo di conseguire traguardi concreti nel quadro della lotta di classe. [...] La concezione marxista-leninista della violenza rivoluzionaria e della lotta armata non ha nulla a che vedere col terrorismo delle sedicenti "Brigate Rosse. Su quest'ultime un coerente e conseguente marxista-leninista deve avere una posizione chiara, netta e risoluta. Non si possono giustificarle in alcun modo. [...] Per comprendere meglio come il PMLI abbia tratto dagli insegnamenti e dall'esperienza dei maestri gli elementi fondamentali della sua linea politica riguardo al terrorismo, oltreché alla violenza rivoluzionaria, occorre riflettere sugli importanti concetti che Lenin espone nella sua celebre opera "Che fare?": "Gli economisti e i terroristi della nostra epoca hanno una radice comune: la sottomissione alla spontaneità (...). A prima vista, la nostra affermazione può sembrare paradossale, tanto grande sembra la differenza tra coloro che antepongono a tutto la `grigia lotta quotidiana' e coloro che propugnano la lotta che esige la massima abnegazione: la lotta di individui isolati. Ma non si tratta per niente di un paradosso, 'economisti' e terroristi si prosternano davanti a due poli opposti della tendenza della spontaneità: gli 'economisti' dinanzi alla spontaneità del 'movimento operaio puro', i terroristi dinanzi alla spontaneità e allo sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità. è infatti difficile, per chi non ha più fiducia in tale possibilità o non vi ha mai creduto, trovare al proprio sdegno e alla propria energia rivoluzionaria uno sbocco diverso dal terrorismo"[42]

Con queste due fonti abbastanza autorevoli in fatto di cosa possa definire o meno un marxista-leninista, vero, sedicente o presunto (al punto che viene anche citato Lenin stesso nella sua posizione in merito al terrorismo e all'individualismo), è già in buona parte dimostrata la totale estraneità dell'organizzazione terroristica delle sedicenti "Brigate Rosse" con il comunismo e con la "classe operaia" che coi suoi comunicati da bohemienne piccolo-borghesi, totalmente estranei ad essi, ha dichiarato più volte, falsamente e ipocritamente, di "sostenere" o addirittura di "difendere". Una "difesa" di (autoproclamati) "comunisti" che, come degli esaltati, hanno più volte, poi, attaccato sedi sindacali, sindacalisti e operai, contribuendo alla distruzione presso di essi della buona reputazione del comunismo. Il primo "sequestro" vero e proprio delle Brigate Rosse, dopo il "banco di prova" della vicenda di Amelio (che definirà l'esperienza, poco più di una settimana di cattura, come relativamente breve e indolore), avviene nell'anno 1974, ai danni del magistrato Mario Sossi, a Genova, giudice fortemente anticomunista nonché responsabile della condanna di molti membri dell'organizzazione XXII Ottobre, la già citata cricca infiltrata da elementi camorristi e neo-fascisti. Il clima dell'anno 1974 in Italia è molto teso: ennesimo rimpasto di governo del centrosinistra a guida democristiana, segue un altro governo ad egemonia democristiana insieme ai socialisti, il referendum per il divorzio è in corso, con i partiti di sinistra da un lato favorevoli al mantenimento della legge e i democristiani e la destra "conservatrice" contrari e per l'abrogazione della legge. In questo contesto, il rapimento di Sossi è chiaramente volto a portare la psiche della classe operaia italiana in particolare, e dell'opinione pubblica in genereale, a dei livelli ancora più estremi e tesi, di modo da avvicinarla sempre più ai partiti "centristi" o "moderati", come è stato già analizzato nelle fonti consultate poc'anzi. L'operazione è gestita dal "primo" nucleo dell'organizzazione, in particolare da Franceschini, Cagol e Curcio. Il 18 Aprile 1974 Sossi viene catturato mentre rincasa nella sua abitazione, portato su un furgone e chiuso in un sacco, e poi portato in una villa acquistata da Franceschini stesso (località molto "proletaria" dove allestire una "prigione del popolo") nella periferia di Tortona, nella provincia di Alessandria, in Piemonte. L'operazione avviene nella sera inoltrata, e i sequestratori riescono ad agire inspiegabilmente in modo indisturbato, nonostante il loro bersaglio sia un magistrato inviso ad un pubblico di esaltati, rapitori e pistolettatori particolarmente crudi e attivi[43]. Il gruppo terrorista rilascia poi il seguente comunicato:

«Mario Sossi era la pedina fondamentale dello scacchiere della controrivoluzione, un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare. Sossi verrà processato da un tribunale rivoluzionario. Sin da giovane, Sossi si è messo “a disposizione” dei fascisti presentandosi per ben due volte nella lista del Fuan [l’organizzazione degli studenti universitari neofascisti, ndr]. Divenuto magistrato, si schiera immediatamente con la corrente di estrema destra della magistratura. Compagni, entriamo in una fase nuova della guerra di classe, fase in cui il compito principale delle forze rivoluzionarie è quello di rompere l’accerchiamento delle lotte operaie estendendo la resistenza e l’iniziativa armata ai centri vitali dello stato. La classe operaia conquisterà il potere solo con la lotta armata! Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello stato! Trasformare la crisi di regime in lotta armata per il comunismo! Organizzare il potere proletario! Avvertiamo poliziotti, carabinieri e sbirri vari che il loro comportamento può aggravare la posizione del prigioniero[44]..»

Il "comunicato" è scritto con un linguaggio astratto, per certi versi roboante e altisonante, reminiscente degli opuscoli dei gruppi "a sinistra" dei partigiani attaccati da Secchia nel già citato documento clandestino del Dicembre 1943. La menzione alla "minaccia gollista", avvenuta tra l'altro in un momento di "crisi" per lo stesso Sogno, che si ritrova nelle sue proposte "golpiste" smentito dai suoi stessi commilitoni nella sua cricca, sembra invece fornire una giustificazione ideologica molto conveniente a quest'ultimo, e ai suoi compari, per le loro azioni, in un tempo molto sospetto. Di questo avviso pare sia convinta anche la sinistra, parlamentare e non, dei tempi del sequestro, sia Lotta Continua che il Manifesto definiscono il rapimento una "provocazione", a Genova vengono rilasciati sempre più ordini di dispacci di polizia e pattuglie, con un irrigidimento del controllo poliziesco, e i già citati movimenti dei servizi segreti "deviati", che con le loro pressioni fanno si che ogni volta che vengono arrestati uomini dei commando terroristici, questi vengano poi prontamente liberati, vengono menzionati da tale Federico Umberto D'Amato, capo dell'Ufficio Stampa degli Affari Riservati del Viminale, come il principale motivo della continuata attività terroristica. La vicenda del "sequestro Sossi" sembra una specie di "prova generale" del futuro sequestro Moro: viene rilasciato un comunicato "falso" delle Brigate Rosse, seguito poi da un comunicato "vero", il sequestrato collabora "contro ogni aspettativa", come avrebbe poi detto Franceschini, e avviene una accesa discussione tra Franceschini e Curcio da una parte, che vorrebbero liberare il magistrato, in quanto era ormai inutile trattenerlo ulteriormente, e Moretti, futuro sequestratore e poi assassino di Aldo Moro, che invece è più propenso ad uccidere Sossi[45]. Queste "divergenze", lungi dal dimostrare una "purezza rivoluzionaria" delle "prime BR", altro non sono che disaccordi dal semplice punto di vista pratico, e il fatto che tutti gli ex capi brigatisti si siano ritrovati, una volta terminate le vicende della "strategia della tensione", "tutti insieme appassionatamente" fuori dal carcere e tutti d'accordo su un'unica (falsa) "ricostruzione ufficiale", lo dimostra chiaramente, come viene ampiamente dimostrato nei successivi paragrafi. In contemporanea al sequestro di Sossi le BR attaccano sedi della DC e dell'organizzazione di Sogno, dimostrando ancora una volta il loro vero scopo di provocatori atti a favorire una frammentazione politica e uno spostamento dell'opinione pubblica in senso anticomunista e reazionario per semplice "paura" del banditismo. Lungi dal chiedere il sostegno dell'opinione pubblica, della "classe operaia" di cui si sono riempiti tanto la bocca nei loro "proclami" roboanti e astratti, i sequestratori richiedono in realtà uno "scambio di prigionieri", da verificarsi con l'intermediazione dei seguenti paesi: Cuba, Corea del Nord, Algeria[46]. Nessun diplomatico dei tre paesi citati ha mai effettivamente garantito per i brigatisti, a dimostrazione, ancora una volta, dell'estraneità di questi non solo nei confronti della classe operaia italiana, ma del movimento socialista e rivoluzionario internazionale. Di questo un "improbabile" menzione viene fatta dall'allora ministro dell'interno Taviani:

«Queste Brigate Rosse, spesso accostate ai Tupamaros, sono una cosa ben diversa. Laddove agiscono, i Tupamaros hanno aliquote consistenti di opinione pubblica favorevole. Invece i delinquenti delle BR non hanno nemmeno l’un per mille del popolo italiano che li favorisca o li sostenga: sono isolati dall’opinione pubblica, da tutti i partiti, e da qualsiasi grappo sociale. Sono come dei folli appestati. Come appestati si nascondono da tutti; come folli si gonfiano di megalomanìa[47]

Intanto il 9 Maggio, dal Carcere di Alessandria, a pochi chilometri dal luogo dove è tenuto sequestrato Sossi, avviene una rivolta carceraria: i detenuti in rivolta catturano un gruppo di ostaggi, membri del personale carcerario, chiedendo la libertà in cambio del loro rilascio. La rivolta viene repressa, e l'operazione è guidata dal generale Dalla Chiesa, è nel blitz muoiono 14 persone, di cui 5 dei 7 ostaggi in mano ai rivoltosi. Questa vicenda porta il sequestrato Sossi e il brigatista a capo delle operazioni del suo sequestro, Franceschini, entrambi chiaramente spaventati dalla possibilità di morire in un raid anti-terrorismo, a collaborare concretamente. Lo stesso Sossi rilascia dichiarazioni ai suoi carcerieri, timoroso che lo stato italiano non abbia interesse a liberarlo, quanto piuttosto a "martirizzarlo" a scopi politici. Dopo alcune dichiarazioni in merito ad un traffico illecito di diamanti e armi con una nazione africana, da parte del magistrato, questi viene di nuovo proposto dai suoi carcerieri per uno scambio in cambio dei "compagni" dell'organizzazione (infiltrata e controllata da Gladio, dalla criminalità e dai neofascisti) XXII Ottobre, da liberare e condurre in un salvacondotto presso l'ambasciata di Cuba in Vaticano, ma le autorità cubane non vogliono avere a che fare con il gruppo terrorista (a ennesima dimostrazione dell'estraneità di questi "proletari" con il movimento socialista internazionale e con i paesi socialisti e rivoluzionari), e il sostituto procuratore di Genova, Francesco Coco, si rifiuta di garantire il salvacondotto per i detenuti dell gruppo terroristico XXII Ottobre. La situazione, paralizzata, dimostra il fallimento dell'operazione brigatista, e il risultato del referendum sul divorzio, favorevole al mantenimento della legge, fa si che anche un eventuale scopo "occulto" di influenza dell'opinione pubblica verso la DC è fallito, l'opinione pubblica resta sostanzialmente ferma sulle posizioni della sinistra parlamentare italiana del PSI e del PCI. Dopo un'ulteriore discussione, in cui Moretti propone di nuovo, insensatamente, l'uccisione di Sossi, viene deciso dai brigatisti di liberarlo: il magistrato viene "truccato", viene portato a Milano, gli vengono forniti documenti falsi, l'ultimo comunicato brigatista in merito alla vicenda del suo sequestro e un biglietto del treno con cui si dirige a Genova, da lì contatta un amico, si consegna poi alla Guardia di Finanza, ma viene dichiarato dal suo collega Coco come ancora "in stato di shock" per la vicenda, e gli organi di stampa fanno di tutto per evitare che venga preso in considerazione in quanto potenziale "mina vagante"[48]. Un parziale "successo" per i terroristi, ma solo perché sono riusciti a dare l'illusione di essere riusciti a "contrattare", questi vengono perà definiti dal magistrato Sossi in questo modo:

«Li rispetto come nemici di una certa lealtà. Sono però fuori dalla realtà, sono a sinistra di qualunque sinistra. Sostanzialmente sono anticomuniste, nel senso che sono contro il Partito comunista[49]

Il gruppo terrorista non aveva certo il primato di "opposizione" al PCI revisionista (si pensi al PCDI-ML dell'ex partigiano Fosco Dinucci o al già menzionato PMLI di Giovanni Scuderi, sicuramente più degni di tale definizione, e che, almeno nelle intenzioni e nei loro primi tempi, riuscirono a portare una parte, seppur esigua, della classe operaia nelle loro fila), visto che con le sue azioni altro non ha fatto altro, oltre che dimostrarsi come una setta invisa, all'opinione pubblica e soprattutto a buona parte dei suoi "omologhi" co-ideologici (per quanto questi in futuro avrebbero cercato poi di "mitizzare" e "riabilitare" i terroristi), che favorire un maggiore supporto per il PCI di Berlinguer, come viene analizzato in seguito. Tra l'altro, la vicenda Sossi mostra molti tratti comuni con la successiva vicenda di Moro. Scrive in merito Flamigni:

«Benché sia stato chiaro nella dinamica dei fatti, limpido nella gestione e conseguente nella conclusione, il sequestro Sossi successivamente farà emergere zone d’ombra e gravi ambiguità. Emergerà per esempio che il capo del Sid generale Vito Miceli, in pieno sequestro, ha organizzato una riunione con alcuni suoi stretti collaboratori illustrando un piano per intervenire, piano che presupponeva la conoscenza del luogo dove Sossi era tenuto prigioniero. Secondo la testimonianza di un ufficiale del servizio segreto militare presente a quella riunione, il generale Miceli avrebbe voluto "attivare il Sid non per contrastare l’azione dei sequestratori, ma per affiancarla e portarla a un tragico compimento". Il generale Miceli voleva attivare il Sid perché il sequestro Sossi avesse un tragico epilogo così concepito: rapire e uccidere l’avvocato Giovambattista Lazagna (ex partigiano genovese, militante dell’estrema sinistra, già implicato nell’inchiesta sui Gap di Feltrinelli); poi, il luogo dove Sossi era detenuto - "'scoperto' da qualcuno che già lo conosceva", cioè la polizia - sarebbe stato «accerchiato e si sarebbe sparato. E dentro avrebbero trovato i cadaveri dei brigatisti, il cadavere di Sossi, e il cadavere di Lazagna» 26. Il piano non era stato attuato per le forti perplessità di alcuni degli ufficiali del servizio segreto militare presenti alla riunione. Ma testimonia di come settori di apparati dello Stato fossero impegnati a alimentare il terrorismo e a “pilotarlo”, anziché combatterlo, così da accrescere l’allarme sociale e i conseguenti riflessi politici; per questo erano più opportune BR “sanguinarie”, e non solo “dimostrative” e propagandistiche. Nel 1981 il brigatista pentito Alfredo Bonavita, impegnato a raccontare ai magistrati la dinamica del sequestro Sossi, elencherà i nomi dei 18 brigatisti che avevano attivamente partecipato all’operazione, ma avrà cura di non citare “Rocco”, cioè l’informatore della polizia Francesco Marra. Invece di fare il nome di Marra (che insieme a lui aveva materialmente afferrato Sossi al momento del rapimento), Bonavita tirerà in ballo Mario Moretti (che al sequestro non ha affatto partecipato). Un espediente per tenere nascosta l’identità dell’informatore, che infatti resterà “coperto” per molti anni. Nel 1979 il giudice Mario Sossi scriverà: "Poiché sono assolutamente convinto del carattere artificioso della guerriglia rivoluzionaria nostrana, non ho il minimo dubbio nell’individuare gli strateghi di queste operazioni in agenti segreti di potenze straniere"[50]

Convinto della "artificiosità" della vicenda delle Brigate Rosse in particolare e del terrorismo "rosso" e nero in generale è un altro personaggio, di cui si parla approfonditamente nel seguente paragrafo.

La vicenda di "Frate Mitra" e l'arresto di parte del nucleo terroristico

Necrologio di Roberto Dotti, collaboratore di Sogno ed ex "comunista", pubblicato sul "Corriere della Sera" il 31 Ottobre 1971, uno dei documenti trovati dai brigatisti nel loro assalto alla sede di Milano dei Comitati di Resistenza Democratica di Sogno nel 1974

Nel Giugno del 1974 i brigatisti scoprono di essere stati "accidentalmente" in contatto con il già menzionato Dotti, uomo di Sogno, per tramite di Simioni, tramite dei documenti "sottratti" durante un raid ad una sede di Milano dell'organizzazione di Sogno avvenuto in contemporanea al sequestro di Sossi. In questo periodo avvengono delle curiose "convergenze" da ambo i lati: Sogno, paranoico, bruciato, eccessivamente estremista e fin troppo esposto, nonostante continui a pianificare il suo "golpe bianco", non serve più, ed è facilmente liquidato insieme al suo collaboratore Luigi Cavallo, a seguito di pubblicazioni fin troppo esplicite di inviti alle forze armate per "prendere in mano la situazione". In contemporanea nel "disaccordo" interno alle Brigate Rosse tra i "pacifisti" e i "militaristi" di Moretti inizia a prevalere la sua linea, e a dimostrarlo è l'esecuzione sempre più violenta delle loro operazioni, in "risposta" ad una strage di matrice terrorista nera, avviene una "contro-strage" da parte del terrorismo "rosso": viene assaltata una sede dell'MSI di Padova e vengono ammanettati e uccisi con un colpo di postola dietro alla nuca due membri presenti nella sede. Lungi dall'essere una divisione tra "autentici rivoluzionari" e presunti "traditori" infiltrati, essendo tutti i dirigenti terroristi, chi più chi meno, degli infiltrati ed estremisti neofascisti (o comunque di estrazione borghese) in origine, questo è dimostrato dal fatto che sia Curcio che Moretti pare si siano trovati "d'accordo" nel definire tale operazione come un "incidente sul lavoro". Il delitto, che viene anche interpretato dalla stampa del tempo come un "regolamento di conti interno" ai neofascisti, visto che i due uomini morti pare fossero collaboratori di un ex ufficiale collaborazionista repubblichino, poi collaboratore dei servizi atlantisti (ipotesi plausibile), è l'inizio della trasformazione definitiva delle Brigate Rosse da un organismo terroristico "dimostrativo" e "performativo", utile ai reazionari e al capitalismo per cercare di spostare l'opinione pubblica verso la DC e i "moderati" allontanandoli da un PCI altrettanto "moderato", ma con cui non erano ancora pronti a governare, ad un'organizzazione di killer da utilizzare per liquidare fisicamente gli individui "scomodi" e le pontenziali "schegge impazzite" insite nelle contraddizioni interne alle istituzioni e alla politica primorepubblicana italiana. Tale "trasformazione" è stata inavvertitamente facilitata dall'operazione effettuata dal generale Dalla Chiesa con l'aiuto di "Frate Mitra", ossia Silvano Girotto, un ex missionario in America Latina, poi guerrigliero in Bolivia e in Cile contro il regime di Pinochet, per arrestare i "capi" brigatisti. Girotto, in quanto veterano della guerriglia vera e propria, riconosce che le azioni delle cosiddette "Brigate Rosse" sono tutt'altro che azioni di "guerriglia sullo stile dei Tupamaros", e comprende che i commando dei terroristi con le loro azioni giovano al capitalismo e alla repressione poliziesca in atto in Italia. I primi contatti di Girotto con Curcio avvengono nel Luglio del 1974, immediatamente dopo il "successo" del sequestro di Sossi, presso la stazione di Pinerolo: segretamente, gli incontri sono pedinati e fotografati dai carabinieri del generale Dalla Chiesa. Dopo un altro incontro nell'Agosto del 1974, l'8 Settembre dovrebbe avvenire l'ultimo incontro, un'opera di "cattura" definitiva dei capi brigatisti; ma prima dell'incontro arriva una telefonata anonima, una soffiata che però perviene soltanto a Moretti. Curcio, in delle testimonianze tardive, "giustifica" Moretti, definendolo uno "smemorato", mentre invece Franceschini ammette la sua ostilità nei suoi confronti e gli attribuisce implicitamente la "colpa" del suo arresto. Secondo lo stesso Franceschini tale soffiata arrivò da parte del Mossad, invece secondo il magistrato Luigi Moschella invece la soffiata fu "autoctona" e arrivò da ambienti interni al Viminale che avevano interesse affinché le Brigate Rosse continuassero la loro opera in virtù delle operazioni psicologiche per distruggere definitivamente la reputazione del comunismo, oltre che "liquidare" personaggi scomodi. Fatto sta che l'8 Settembre Girotto, con un pretesto, si allontana dai due capi BR Renato Curcio e Alberto Franceschini, e questi due vengono prontamente arrestati dai Carabinieri[51], i quali, pur tentando inizialmente di "coprire" Girotto, evidentemente non riescono nell'intento, e questi viene "attaccato" in un risibile comunicato dell'organizzazione terroristica, che lo accusa di essere un "agente al soldo dei servizi imperialisti e di anti-guerriglia". Le fonti a disposizione dimostrano quanto questa accusa sia ridicola, ancor di più visto che proviene dalla bocca di Mara Cagol, moglie di Renato Curcio e "capa" brigatista, che tramite Simioni fu in contatto con l'agente anticomunista Dotti, come già dimostrato nei precedenti paragrafi. Il "Frate Mitra" rispose a tali "accuse" in questo modo:

«E così, signori, mentre strombazzavate ai quattro venti il vostro folle proclama di “attacco al cuore dello Stato”, al cuore siete stati colpiti voi. È vero: i carabinieri hanno agito con la mia attiva collaborazione. Non ho mai inteso negarlo, e non ho risposto prima al vostro ameno volantino solo perché impegnato a preparare per voi ulteriori legnate (lasciamo perdere termini come “imboscate”, siamo seri). Di legnate, dunque, ne avete avute e ne avrete ancora finché non la smetterete di provocare le masse lavoratrici con le vostre assurde imprese di piccoloborghesi frustrati e megalomani. La realtà è molto più semplice, e occorre solo un po’ di buon senso per vederla: vi hanno colpito i carabinieri. Quelli che da sempre mettono le manette a ladri e assassini. Con loro ha collaborato il sottoscritto, spinto da un preciso imperativo morale, sulla base di una netta presa di posizione politica. Per le masse lavoratrici del nostro Paese, impegnate in una lotta sempre più difficile e serrata, eravate dei nemici pericolosi. Con folle irresponsabilità stavate agevolando l’avanzare della melma fascista. Ciò che già avevate fatto era grave. Ciò che stavate per fare lo era ancora di più. Chiusi nel vostro castello di illusioni, febbricitanti di sacro furore contro tutto e tutti, non avevate saputo interpretare correttamente neppure il ripudio espresso con chiarezza estrema da quegli stessi di cui vi siete autonominati avanguardia: la classe operaia. La presenza intempestiva di organizzazioni come la vostra nella dinamica complessa dello scontro di classe ha sempre avuto effetti deleteri. Basti citare, a modo di esempio, la creazione di nuovi e perfezionati strumenti repressivi che, dopo la vostra inevitabile sparizione, saranno rivolti dalla borghesia contro i lavoratori, le loro vere avanguardie e le loro organizzazioni di lotta. Ho assistito di persona allo svilupparsi di fenomeni analoghi. Ne ho visto e sperimentato le durissime conseguenze. Non voglio rivedere nel mio Paese sangue operaio sulle bandiere della piccola borghesia anarcoide della quale voi siete un tipico esempio[52]

A dispetto delle giuste e condivisibili idee e propositi di Girotto, in realtà il sangue operaio continuò, purtroppo, a scorrere sulle bandiere di quella che lui ha definito "piccola borghesia anarcoide": nonostante i carabinieri avessero fotografato tutti e tre gli incontri, incluso quindi quello in cui era presente Moretti, identificato da uno dei carabinieri della squadra, la fotografia con Moretti presente era "sparita" misteriosamente dagli archivi delle forze dell'ordine, per riemergere solo anni dopo, per di più con degli evidenti tagli e possibili montaggi, come dimostrato dai negativi delle fotografie. L'operazione stessa è stata attuata in modo molto frettoloso e sospetto, e lo stesso Girotto ebbe da dichiarare anni dopo:

«Dopo il secondo incontro [con Curcio e Moretti, a Pinerolo, il 31 agosto 1974], mi sentii con il mio contatto [il capitano dei carabinieri Gustavo Pignero, ndr], uomo del generale Dalla Chiesa. Gli esposi le mie convinzioni e il fatto che, semplicemente fingendo di entrare in clandestinità con loro, un reato da nulla, avrei potuto farli prendere tutti. Compreso Moretti. [Ma l’ordine di Dalla Chiesa è stato di procedere all’arresto, l’8 settembre, di Curcio e Franceschini]. La cosa mi lasciò assai perplesso: possibile che qualcuno volesse salvare i terroristi? Roba da non crederci. Se solo avessero voluto, Moretti non sarebbe mai diventato né una primula rossa, né l’artefice del sequestro Moro e della strage di via Fani[53]

Secondo la ricostruzione di Flamigni:

«Non verrà mai accertato se si sia trattato di “un errore” di Dalla Chiesa, o se invece il generale abbia dovuto eseguire ordini superiori: del comandante della divisione Pastrengo generale Giovanbattista Palumbo, o del comandante generale dell’Arma Enrico Mino (entrambi risulteranno poi affiliati alla Loggia massonica segreta P2), o per disposizione del ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani. Così Girotto, davanti alla Commissione stragi, dirà: "Mi è rimasto un dubbio di fondo e la rabbia di non avere capito bene cosa era successo e come mai. Quella sensazione che non mi avessero detto tutto e che qualcosa si fosse giocato sulla mia testa è rimasta tale". Come è già accaduto a Milano nel maggio 1972, quando attraverso l’informatore Pisetta sarebbe stato possibile arrestare tutto lo stato maggiore delle Br, così a Pinerolo nel settembre 1974 attraverso l’infiltrato Girotto sarebbe stato possibile sgominare l ’organizzazione terrorista. Ma a Milano tutto il vertice brigatista è stato messo in grado di sfuggire alla cattura, e a Pinerolo nella rete sono finiti solo 1 due capi storici Curcio e Franceschini, lasciando intatta la struttura delle Br e lasciando il latitante Moretti libero - libero di assumere il controllo delle Br[54]

Nell'estate del 1974 fatti cruciali avvengono anche per i piani di Sogno. Il suo piano di "golpe bianco" viene rimandato all'autunno a causa di alcuni imprevisti, inclusa la strage dell'Italicus, che non viene rivendicata da nessuna organizzazione terroristica, e lo scandalo Watergate che pone fine alla presidenza di Nixon (che era a supporto dei piani di Sogno). Sogno viene incriminato, e vengono trovati documenti che parlano apertamente di sovversione del sistema repubblicano italiano in favore di una repubblica di tipo gollista. Queste azioni sono dovute anche ad un vero e proprio scontro frontale tra il Conte Sogno e il ministro dell'interno Taviani, ostile al "golpe bianco". Intanto le Brigate Rosse, in quel momento guidate da Cagol e Moretti, sono divise sull'organizzare o meno un "blitz" per liberare i due capi terroristi arrestati. Moretti è contrario, ma l'operazione avviene lo stesso, facilitata anche dalla "coincidenza" del trasferimento di Curcio, dal carcere di massima sicurezza di Novara, ad un carcere più ristretto di Casale Monferrato, e del commando fa parte anche Moretti. Il commando con il capo brigatista evaso pubblica un nuovo comunicato, in cui, oltre ai soliti discorsi astratti, ripetitivi e lontani della realtà, degni della definizione di "piccola borghesia anarcoide" del "Frate Mitra", appare uno dei primi attacchi al PCI di Berlinguer, a cui fa seguito una minaccia "velata" di Sogno di golpe e di rappresaglia, in cui attribuisce, tra l'altro, la paterinità delle BR al PCI di Berlinguer, in un palese atto di disinformazione. A dispetto della strategia della "tensione" o degli "opposti estremismi", in cui i commando terroristi delle Brigate Rosse continuano coi rapimenti e coi loro primi atti di "gambizzazione", consistenti nello sparare alle gambe delle loro vittime, elettoralmente l'avanzata del PCI di Berlinguer sembra inarrestabile, nelle elezioni del 1975, sebbene siano solo elezioni locali e amministrative. Il 5 Giugno 1975, a seguito di un sequestro andato male, un blitz dei carabinieri nella cascina di Spiotta di Arzello assalta un commando delle Brigate Rosse di cui faceva parte anche la moglie di Renato Curcio, Mara Cagol, che muore colpita dalle pallottole delle forze dell'ordine mentre cerca di fuggire a bordo di un'auto. La latitanza di Curcio è precaria, mentre quella di Moretti è praticamente indisturbata. Verso la fine di Dicembre 1975 Moretti prende casa a Via Gradoli 96, la sua "base operativa" a Roma, mentre Curcio viene arrestato, per la seconda e ultima volta, il 18 Gennaio 1976. Secondo la testimonianza di Franceschini (individuo da reputarsi per diversi motivi molto inattendibile e dubbio, primo tra tutti la sua incoerenza nelle testimonianze e il suo continuo e repentino cambio di versioni negli anni, oltre che la sua "disponibilità" a parlare), una volta reincontratosi in carcere con Curcio, questi gli avrebbe rivelato che Moretti era una spia. Questa testimonianza, oltre che in contraddizione con il futuro "pacificamento" di Curcio con Moretti in carcere 10 anni dopo, dovrebbe implicare la "pulizia" di Curcio e di Franceschini, cosa che, come già dimostrato più volte in questa voce, è da non considerarsi come valida, in quanto anche loro furono degli infiltrati. Un altro aiuto "provvidenziale" per Moretti è il fatto che la stampa, in quel momento e fino al rapimento Moro, indicherà un certo Corrado Alunni come "nuovo capo" delle Brigate Rosse[55].

Le BR a guida Moretti dalla strage di Genova al rapimento Moro

Moretti, che nella sua versione "ufficiale" post-datò l'affitto dell'appartamento in Via Gradoli a Roma al 1977, lo ha in realtà affittato nel 1975, come testimoniato da Valerio Morucci. Moretti si presenta ai padroni del locale come "Mario Borghi", e la vicenda dell'affitto del locale in sé è piena di enigmi: i due coniugi che gli fittarono la casa, Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, affermarono di averla acquistata nel 1974, ma non ci è dato sapere se dal 1974 fino al 1975 l'appartamento fu affittato ad altri o meno, e non sono presenti ricevute di pagamento eventuali da parte di "Mario Borghi" degli affitti del locale, o ancora se l'affitto dell'appartamento sia mai stato pagato. Luciana Bozzi pare sia stata in contatto con una certa Giuliana Conforto, figlia di un "sospetto agente del KGB", tale Giorgio Conforto, ma non sono presenti verbali di interrogatori della Bozzi negli atti processuali del caso Moro. Giancarlo Ferrero, in quel momento ingegnere dell'IBM, negli anni 80 e 90 risulterà ricoprire importanti figure manageriali nel suo campo, essendo dotato del "Nos", nullaosta di sicurezza da parte delle autorità NATO e dei servizi segreti italiani, e pare abbia avuto nello stesso periodo contatti con un'importante multinazionale fornitrice anche di armamenti per la NATO, tale Bell Atlantic International[56]. Flamigni descrive ulteriormente Via Gradoli in questo modo:

«Via Gradoli è una stradina stretta e circolare, lunga 600 metri, con un solo accesso-uscita (da e per la via Cassia) dal quale è facile avere il controllo dell’andirivieni nella via. La decisione di collocare in un posto simile la prima e principale base delle Br a Roma è l’esatta negazione delle normali cautele adottate dai brigatisti, sempre attenti a collocare le loro basi in zone che garantiscano varie possibilità di fuga stradale, e che siano difficilmente “controllabili” dall’esterno. Via Gradoli è in assoluto uno dei posti meno adatti per collocarvi una base brigatista. Ci abitano molti “clandestini”, ma anche il sottufficiale di Pubblica sicurezza Luigi Di Maio (in una posizione da dove è possibile controllare tutto il traffico della strada); è frequentata da immigrati, ma anche da alcuni latitanti, da falsari e ricettatori; ci sono già almeno due covi di tipo eversivo, uno di estrema sinistra (ex di Potere operaio passati alla lotta armata) e uno di estrema destra. Al n° 96 della via, in un appartamento attiguo a quello affittato da Borghi-Moretti, abita una studentessa egiziana, Lucia Mokbel, che è un’informatrice della polizia. Logico che gli apparati di sicurezza tengano sotto controllo quella strada, anzi in via Gradoli i servizi segreti hanno un loro ufficio coperto. Di più: al n° 89 - proprio di fronte al civico 96 dove Moretti colloca la base romana delle Br - ci abita un sottufficiale dei carabinieri, anche lui originario di Porto San Giorgio, Arcangelo Montani, in forza al Sismi (il servizio segreto militare) non appena verrà costituito, all’inizio del 1978. Le stranezze non sono finite. Il civico 96 di via Gradoli è formato da due palazzine di 4 piani, ciascuna con due scale (A e B). Privi di portineria, i due edifici sono denominati in base alla società costruttrice: uno Imico (Immobiliare italiana costruzioni), l’altro Socoap (Società costruzioni appartamenti). L’appartamento affittato dai coniugi Ferrero-Bozzi a Borghi-Moretti è situato al 2° piano della palazzina Imico, palazzina formata da 32 appartamenti dei quali ben 24 sono proprietà delle immobiliari Monte Valle Verde srl, Caseroma srl e Gradoli spa, società fra i cui amministratori ci sono vari fiduciari dei servizi segreti. Dal commercialista Aldo Bottai (amministratore unico della Monte Valle Verde srl, ma anche socio fondatore della Nagrafin spa, società di copertura del Sisde), a Gianfranco Bonori (sindaco revisore della Gradoli spa, poi segretario della Gattel srl del Sisde, quindi commercialista di fiducia del servizio segreto civile), a Domenico Catracchia (amministratore unico di Caseroma srl prima e della Gradoli spa poi, quindi fiduciario del capo della Polizia Vincenzo Parisi). In pratica, la base romana delle Br collocata da Moretti in via Gradoli è circondata da appartamenti intestati a società immobiliari nei cui organismi societari ci sono fiduciari del servizio segreto del Viminale. Buona parte delle operazioni immobiliari di via Gradoli 96 sono accomunate dallo studio notarile dei fratelli Fabrizio e Francesco Fenoaltea: dal rogito dell’appartamento scala A interno 11 acquistato dai coniugi Bozzi-Ferrero e poi affittato a Moretti, agli atti costitutivi della immobiliare Caseroma srl e della sua successiva liquidazione, fino alla nomina di Domenico Catracchia alla carica di amministratore unico della immobiliare Gradoli spa. Per la cronaca, i notai Fenoaltea sono cugini di primo grado del defunto ex ambasciatore italiano a Washington Sergio Fenoaltea, maestro e amico di Edgardo Sogno. Certo è che via Gradoli ha una caratteristica ben precisa: è a poca distanza dall’abitazione privata del leader De Aldo Moro, in via del Forte Trionfale, e ugualmente a poca distanza da via Mario Fani (il luogo dove, il 16 marzo 1978, avverrà la strage con il sequestro). E quella scelta costituisce la prova provata che quando Moretti, nel dicembre 1975, colloca la base operativa delle Br romane in via Gradoli, ha già l’obiettivo di colpire Moro (consapevoli o meno gli altri brigatisti, alcuni o tutti)[57]

In merito alla scelta di rapire proprio Moro:

«Perché prendere di mira proprio Moro, cioè il leader democristiano più vicino alla sinistra, più aperto alle istanze sociali progressiste, in politica estera filo-palestinese e perciò inviso all’Amministrazione Usa, agli ambienti atlantici e al Mossad? Perché colpire il “progressista” Moro, e non invece - per esempio - l’altrettanto potente leader De Giulio Andreotti, capo della destra anticomunista del partito [...]? Perché il “laico” Moro, e non - per esempio - lo storico leader cattolico-integralista Amintore Fanfani? Perché il Moro dei governi di centro-sinistra (1964-66), e non l ’Andreotti del governo di centro-destra (1972)? [...] È un fatto che fin dagli anni Sessanta, con la sua politica “laica” di centro-sinistra (la DC come partito di centro "che guarda a sinistra"), più europeista che filoamericana, dialogica col PCI e filoaraba, Moro si è procurato molti e potenti nemici: la destra DC, segmenti dei Servizi italiani, parte della Curia vaticana, i settori più oltranzisti dell’Alleanza atlantica, l’Amministrazione Usa e Israele. Uno dei più acerrimi avversatori di Moro, Edgardo Sogno, ricorderà: "Il suo [di Moro] antiamericanismo toccò il culmine nel 1967, quando, allo scoppio della guerra dei Sei giorni, [dichiarò] che la posizione italiana era di equidistanza tra arabi e israeliani... Scrissi rapporti di fuoco contro lui [e] Moro non se ne dimenticò mai. Fino a quando, di sua iniziativa, mi collocò a riposo nel 1975, quand’ero nel pieno della bufera giudiziaria". A metà degli anni Settanta, con l’avanzata elettorale del Pei e l’avvento della prospettiva del compromesso storico, ai tradizionali nemici di Moro si sono unite la Loggia P2, e attraverso Moretti anche le Br[58]

Per evitare eventuali accuse da parte di "avvocati del diavolo", che ancora una volta potrebbero o vorrebbero farsi scudo di una presunta ostilità al revisionismo che in realtà, come è già stato dimostrato, non gli appartiene, sono qui riportate le opinioni in merito, ancora una volta, di altre fonti ideologicamente "anti-revisioniste". Riporta Hoxha:

«Nel momento in cui il Partito Comunista Italiano lanciò la parola d’ordine del "compromesso storico", si ebbe l’impressione che l’Italia si stesse trasformando in un paese industriale potente. In quel periodo non solo la reazione, ma gli stessi "comunisti" italiani, consideravano il "compromesso storico" come una "strategia" a lungo termine. Ma sopravvenne la crisi e il fascismo risorto diventò più minaccioso; l’uso delle bombe, i casi di omicidio e di scomparsa di persone divennero fatti correnti. Il "compromesso storico" cominciò a divenire più attuale e a sembrare più "ragionevole" sia ad una parte della borghesia che ad una parte dei democristiani. Rappresentante di tale corrente era anche Aldo Moro, ma egli fu liquidato, poiché i democristiani non erano e non sono ancora pronti ad entrare in questo compromesso, a prescindere dalle disfatte subite alle elezioni. Nell’attuale congiuntura di crisi, i democristiani hanno escogitato alcuni modi e alcune forme di coordinamento delle loro azioni con i "comunisti" su certe questioni, sia a livello dei sindacati che a livello dei partiti, ciò nonostante essi hanno paura anche di un partito comunista italiano "à l’eau du rose"[59]

Di simile avviso pare essere stato il PMLI, sia all'epoca dei fatti che a posteriori:

«Ad eseguire la strage di via Fani e l'assassinio di Moro furono le "BR" di Moretti, mentre i mandanti dell'operazione furono la corrente golpista e piduista italiana, capeggiata allora dal capo di Gladio, Cossiga, che era anche ministro degli Interni e controllava proprio quei servizi segreti incaricati di ritrovare Moro, tutti diretti da ufficiali e funzionari affiliati alla P2, e la destra anticomunista americana con il suo braccio golpista della Cia, che volevano impedire ad ogni costo il disegno di Moro di integrare il PCI al governo e nelle istituzioni e creare viceversa le condizioni per una ulteriore fascistizzazione e antlantizzazione del Paese, in vista di un - allora giudicato molto probabile - scontro militare del blocco occidentale con il socialimperialismo sovietico. Per attuare tale disegno queste forze, le stesse che dalla strage di Stato del 1969 avevano utilizzato il terrorismo nero fascista per creare la "strategia della tensione", si servirono delle "BR", infiltrate dai servizi segreti, e le manovrarono e coprirono abilmente, confondendo e depistando le indagini ogni volta che qualcuno rischiava di avvicinarsi troppo ai loro covi. Il PMLI capì immediatamente il disegno golpista e i veri mandanti che stavano dietro il rapimento di Moro e i suoi esecutori brigatisti sedicenti rossi. In un documento emesso a tambur battente a poche ore dalla strage di via Fani, dal titolo "Il rapimento di Moro rende più chiaro il pericolo di colpo di Stato in Italia", l'Ufficio politico del PMLI scriveva fra l'altro: "Il rapimento dell'on. Aldo Moro e il massacro della sua scorta hanno uno scopo preciso e inequivocabile: la corrente golpista borghese che si annida ai vertici della DC, del MSI e dello Stato cerca di bruciare i tempi e spingere il Paese alla guerra civile. Il colore reale dei rapitori non è rosso ma nero, fascista, sono dei killer assoldati dai servizi segreti italiani e dalla Cia per seminare panico e terrore e creare le migliori condizioni per instaurare una aperta dittatura fascista o comunque un governo e uno Stato forti"[60]

Come ricostruito da Flamigni, la latitanza totalmente libera e indisturbata di Moretti gli permette di incontrarsi a cielo aperto con altri suoi "colleghi" terroristi, come Barbara Balzerani, e di muoversi in altre parti d'Italia, in particolare in Sicilia e in Calabria, visite le cui motivazioni sono sconosciute anche ai suoi colleghi terroristi, probabilmente effettuate per poter incontrare, non si può escludere anche per tramite della P2, esponenti della criminalità organizzata e delle mafie di quelle regioni. Nel mentre il vento sembra soffiare a favore del PCI di Berlinguer; il PSI guidato dal segretario De Martino decreta la chiusura della collaborazione con la DC nel nome del "centro-sinistra" e ripropone le teorie del "social-comunismo" e dei "fronti popolari" che non aveva attuato insieme al PCI dalle elezioni degli anni 40 e 50. Al contempo nella DC prevale la corrente "morotea", cioè guidata da Aldo Moro, anch'egli favorevole ad un dialogo col PCI. Come è stato già dimostrato, le destre italiana e americana avevano paura anche di un "partito comunista" come quello di Berlinguer, o comunque non erano ancora pronte ad ammettere un governo più "autonomo" e "indipendente" in un clima di possibile confronto tra la NATO imperialista da un lato e l'URSS revisionista dall'altro. Questo è dimostrato da diverse testimonianze riportate da Flamigni:


«L’ex direttore della Cia William Colby ha dichiarato: "Si deve credere ai leader del PCI quando affermano che rispetterebbero le regole democratiche qualora entrassero nel governo? Certo, il PCI è diventato meno dottrinario nelle questioni ideologiche, tuttavia ritiene di dover ancora mantenere legami con il centro rivoluzionario, cioè con Mosca, dal quale potrebbe ottenere appoggi nel caso la situazione diventasse difficile... Conviene trovare qualche tecnica sottile... in particolare una serie di passi intermedi potrebbero essere compiuti prima che si arrivi a un controllo comunista in Italia." L ’ammiraglio Horacio Rivero, ex ambasciatore americano in Spagna e già comandante, in Italia, di Afsouth, ha affermato: "Chi controlla l’Italia controlla il Mediterraneo... La marina e Paeronautica italiane, così come le basi Usa in quel Paese, sono necessarie per la difesa del Mediterraneo contro le attuali minacce. L’accesso del PCI al potere porterebbe l’Italia al neutralismo, con l’uscita dalla Nato e l’eliminazione della più importante struttura logistica, informativa e per le comunicazioni della Sesta flotta americana. L’immediato collasso dello schieramento meridionale Nato diventerebbe inevitabile. Diventerebbe inoltre estremamente difficile per gli Stati Uniti provvedere all’assistenza di Israele". Claire Boothe Luce, ex ambasciatrice americana a Roma e vecchia amica di Edgardo Sogno, ha detto allarmata: "La Nato è in uno stato di grave disordine, l’Italia è sull’orlo del compromesso storico". Wynfred Joshua, per conto della Dia (Defence intelligence agency, il servizio segreto militare Usa), ha affermato: "Probabilmente in nessun altro luogo la minaccia all’Alleanza atlantica è più chiara che nel suo schieramento meridionale, dove le tendenze militari e politiche contribuiscono a rappresentare una sfida profonda alle difese dell’Occidente... Il problema dell’Italia è complicato: consiste nella debolezza delle istituzioni economiche e politiche. Questo si riflette nella rivalità tra un sempre più vecchio par- tito di maggioranza democristiano, solcato da scandali e divisioni, e da un partito comunista disciplinato e in crescita che cerca di trasmettere un’im- magine di integrità e di indipendenza nazionale... Sembra opportuno rivedere il ruolo dello schieramento meridionale della Nato alLinterno dell’intera difesa occidentale e il significato dell’instabilità politica italiana all’interno del contesto strategico globale[61]".»

Il fatto che la priorità per i reazionari fosse di liquidare al più presto possibile la sola possibilità del PCI al governo dell'Italia, da solo o in coalizione, piuttosto che preoccuparsi dei "pericolosissimi e minacciosi lottatori armati" delle terroriste Brigate Rosse non è solo l'ennesima dimostrazione che queste ultime erano un subprodotto dei comandi NATO per mantenere la loro egemonia in Italia, ma anche la dimostrazione dell'ingenuità e idealismo delle proposte "moderate" del PCI a guida Berlinguer: un "partito comunista" non salirà mai al potere "pacificamente" o tramite la "democrazia" liberal-borghese, e la sua ascesa e il suo consenso popolare saranno sempre osteggiati dai reazionari e dai capitalisti. Riporta ancora Flamigni:

«La campagna elettorale è incandescente, con le destre politica e imprenditoriale mobilitate per scongiurare il “sorpasso comunista”, cioè il fatto che il PCI superi elettoralmente la DC. In questo clima tesissimo, le nuove Br capeggiate da Moretti fanno il loro esordio di sangue. L’8 giugno - dodici giorni prima del voto - a Genova, in salita Santa Brigida-via Balbi (zona centrale della città), un commando tende un agguato al procuratore generale Francesco Coco: alle ore 13.38 il magistrato viene assassinato da due brigatisti a volto scoperto insieme all'agente della scorta, il brigadiere di pubblica sicurezza Giuseppe Saponara, mentre a poca distanza, contemporaneamente, altri due brigatisti uccidono l’autista del giudice, l’appuntato dei carabinieri Antioco Dejana. [...] Di fatto, la feroce uccisione di un magistrato, di un poliziotto e di un carabiniere sembra avere un solo obiettivo pratico: insanguinare la campagna elettorale con un delitto “rosso” e “comunista” . Più in generale, la strage è l’adesione pratica delle Br morettiane alla proposta del Mossad di assumere un ruolo nell’ambito del terrorismo internazionale, proposta che le vecchie Br avevano invece rifiutato. [...] Certo è che il triplice omicidio di Genova, rivendicato dalle Br morettiane in nome del “comuniSmo” e della “lotta di classe”, è un oggettivo contributo alla strategia della tensione, e provoca un profondo turbamento nell’elettorato italiano che si appresta a votare. Le destre gridano al “pericolo comunista”, sanguinoso e incombente, influenzando il voto moderato in favore della DC. [...] Alle elezioni del 20 giugno 1976 non c’è il temuto “sorpasso” comunista, ma il risultato accentua tutti gli allarmi delle destre e le apprensioni di carattere internazionale. [...] In pratica, la DC non è in grado di formare alcuna maggioranza parlamentare senza un qualche coinvolgimento del PCI, dato che il PSI di De Martino conferma di ritenere esaurita la formula del centro-sinistra. Lo sbocco provvisorio della difficile crisi politica è il III governo Andreotti, un monocolore De sostenuto dall’astensione parlamentare di PCI, PSI, PSDI, PRI, PLI, chiamato appunto “governo della non sfiducia” in quanto si regge sui voti di astensione. È un esecutivo interlocutorio, in attesa che Moro persuada la destra democristiana della necessità di una qualche apertura al Pei, la sola strada capace di evitare una pericolosa paralisi istituzionale e di scongiurare tentazioni di forzature costituzionali. Ma le forze interne e internazionali che si oppongono alla prospettiva del “compromesso storico” sono in azione: la strategia della tensione ha solo rallentato uno sbocco politico che si fa sempre più vicino, dunque non basta più. L’ago della bilancia è ancora il PSI, che il segretario De Martino ha schierato sulla linea del governo di “solidarietà nazionale” col PCI. Ma alla metà di luglio, durante il comitato centrale socialista, una manovra di potere dei “colonnelli” del partito costringe De Martino alle dimissioni, e elegge alla segreteria Bettino Craxi, esponente della minoritaria corrente anticomunista - autonomisti nenniani - nella quale avevano militato anche Corrado Simioni (anni Cinquanta) e Luigi Cavallo (anni Sessanta). La trasformazione del PSI in una forza anticomunista conflittuale col PCI fa parte della tattica codificata nei piani della P2 di Licio Gelli. Ex ufficiale della Repubblica sociale, poi collaboratore dell’OSS (il servizio di controspionaggio militare americano guidato da James Angleton), quindi in contatto col Sifar, l’aretino Gelli è il venerabile maestro della P2: una carica perlopiù organizzativa - il vero vertice della Loggia segreta non verrà mai scoperto[62]

Di Gelli e del suo ruolo nel sovvenzionare il terrorismo nero e il terrorismo "rosso", oltre che il terrorismo camorristico-mafioso, si è già discusso in altre voci di questa pagina.

Il ruolo della "scuola di lingue" (di fatto centrale dell'intelligence) Hyperion

«Mentre nella capitale prende corpo la colonna brigatista, gli ex del Superclan - Simioni, Berio, Salvoni, Troiano, Tuscher, ecc. - lasciano l’Italia e si trasferiscono a Parigi. Nella capitale francese organizzano una ambigua “scuola di lingue” chiamata prima “Agorà” e poi “Hyperion”. Benché alcuni di loro siano indiziati dalla magistratura italiana di "appartenenza a un gruppo clandestino volto a sovvertire, mediante la lotta armata, gli ordinamenti dello Stato", il servizio segreto francese autorizza l’apertura e l’attività della Agorà-Hyperion. Del resto, a Simioni e sodali non mancano protettori eccellenti neppure in Francia: come il potente prelato cattolico Abbé Pierre (Henri Antoine Groués, ex eroe della Resistenza francese, ex parlamentare e membro della Commissione Difesa); o come il padre domenicano Félix Andrew Morlion, fondatore del servizio segreto vaticano Pro Deo e agente dell’intelligence Usa. "L’Hyperion (già Agorà) ha sede a Parigi, in quai de la Tournelle 27, dispone di locali di un certo tono, per la cui locazione viene corrisposto un canone di notevole importo che, aggiunto alle spese di gestione, comporta un impegno costante di spesa". All’inizio del 1978 l’Hyperion aprirà una filiale a Roma, in via Nicotera 26 (nello stesso edificio dove sono domiciliate alcune società di copertura del Sismi), e una seconda a Milano; entrambe chiuse poco dopo la conclusione del sequestro Moro, a ottobre. [...] L’attività dell’ambiguo “istituto linguistico” parigino allestito da Simioni e compagnia incomincia nell’autunno 1976. [...] L’attività è accompagnata da voci che l’Hyperion sia la copertura di una centrale dell'intelligence atlantica. Una informativa dell’Ucigos riferirà il sospetto che "l’istituto di lingue Hyperion sia il più importante ufficio di rappresentanza della Cia in Europa". [...] Catturati tutti i principali militanti delle “vecchie” Br, nessuno sembra più contrastare le “nuove” Br morettiane, anzi c’è chi le agevola. Infatti il 2 gennaio 1977 il brigatista Prospero Gallinari evade con facilità dal carcere di Treviso dove era detenuto. [...] Molti anni dopo l’ex ministro Taviani farà in proposito una gravissima rivelazione: "Il generale Dalla Chiesa mi disse che la fuga di Gallinari dal carcere venne favorita con lo scopo di scovare Moretti". In effetti il brigatista ex del Superclan, appena evaso, raggiunge Moretti a Genova, dove si sta organizzando il sequestro Costa, ma nessuno “scova” il capo delle Br. E Gallinari potrà partecipare prima al sequestro Costa, poi alla strage di via Fani, svolgendo un importante molo durante il sequestro Moro. La sera del 12 gennaio, a Genova, Moretti capeggia il commando terrorista che sequestra l’armatore genovese Piero Costa. Aggredito mentre sta rientrando a casa, caricato su un furgone, narcotizzato e rinchiuso in una cassa di legno, l ’industriale viene trasportato in un appartamento-prigione in via Pomposa (affittato in precedenza dalla brigatista genovese Fulvia Miglietta), dove rimarrà segregato per ben 81 giorni. All’operazione partecipano terroristi di diverse colonne delle Br, compresa quella romana in formazione, e compreso il neo-evaso Prospero Gallinari. I brigatisti del commando hanno agito a viso scoperto, e il sequestro verrà rivendicato dalle Br solo al momento del rilascio dell’ostaggio. Ciononostante, la stampa lo definisce subito un “sequestro politico” attribuendolo alle Br. Il questore di Genova, Pietro De Longis, rassicura la pubblica opinione circa l ’immediata mobilitazione delle forze dell’ordine - per la cronaca, De Longis risulterà nell’elenco degli affiliati alla P2. Il rapimento è a scopo di riscatto. Il sequestrato è uno dei nipoti dell’armatore Angelo Costa, capostipite di una delle più facoltose famiglie dell’imprenditoria italiana. Presidente della Confindustria nel primo dopoguerra, Angelo Costa aveva organizzato, con altri industriali, una campagna contro il PCI, comprensiva di finanziamenti per "armare gruppi anticomunisti"; il denaro dell’industriale genovese aveva poi finanziato l’attività anticomunista di Edgardo Sogno. Il sequestro di Piero Costa è stato concepito e organizzato da Moretti, il quale ne cura personalmente la gestione concordando col prigioniero i messaggi ai familiari per il riscatto, stabilito nell’ingente somma di un miliardo e mezzo di lire (equivalente a circa 5 milioni di euro odierni). [...] L’ingente riscatto viene pagato a Roma alla fine di marzo, da uno dei fratelli (residente a Genova) e da una sorella dell’ostaggio (suora presso l’istituto religioso romano Gesù di Nazareth), senza alcun intervento da parte delle forze dell’ordine. Piero Costa viene liberato il 3 aprile, con in tasca il comunicato col quale le Br morettiane rivendicano il sequestro. [...] L’ingente somma di denaro ottenuta col sequestro Costa permette a Moretti di consolidarsi come capo-padrone delle Br, e di dotare l’organizzazione di una disponibilità finanziaria quale mai ha avuto prima. Denaro che verrà utilizzato per comprare armi, appartamenti, per stipendiare vecchi e nuovi arruolati, e per preparare la “operazione Moro”. In pratica i Costa, trent’anni dopo avere volontariamente finanziato l’attività anticomunista di Edgardo Sogno, sono stati costretti a finanziare il terrorismo “comunista” delle Br. Due giorni dopo la liberazione di Costa, il 5 aprile, a Napoli viene rapito Guido De Martino, figlio dell’ex segretario socialista Francesco De Martino. Il sequestro è misterioso: la famiglia De Martino non è facoltosa, e si susseguono inattendibili rivendicazioni “politiche” firmate Br e Nap. Il 9 aprile, con un apposito comunicato, le Br si chiamano fuori. [...] Guido De Martino viene liberato il 15 maggio, dopo il pagamento a alcuni criminali comuni di un riscatto di circa un miliardo. Denaro di non chiara origine, comprensivo di banconote provenienti dal riscatto pagato alle Br dalla famiglia Costa. L’oscura vicenda avrà un solo dato certo: comprometterà definitivamente la carriera politica all’interno del PSI di Francesco De Martino (uno dei leader socialisti più aperti al PCI)[63]

In pratica, i piani delle Brigate Rosse guidate da Moretti e di fatto indirizzate dalla P2 (chi altri avrebbe potuto indicare loro Costa come "ostaggio" prediletto per i loro finanziamenti?) sono indirizzati sin da subito al rapimento di Moro e alla distruzione del "compromesso storico" e del "governo di unità nazionale". Moretti continua a muoversi e ad agire protetto e indisturbato nella sua latitanza, nonostante sia ricercato dal 1972, sia stato fotografato dai carabinieri nel 1974 e dal 1975 si sia stabilito in una strada dove informatori della polizia e centrali di intelligence sono ovunque. Mentre è in corso il sequestro di Costa, nel Marzo del 1977 Moretti apre addirittura una tipografia a Roma, in via Pio Foà, dotata di un modello Ab-Dik 360 di macchina da stampa, proveniente dal RUS, Raggruppamento Unità Speciali del SID (Servizio Informazioni Difesa) e una fotocopiatrice proveniente dal Ministero dei Trasporti. Ciò, per quanto negato in modo poco credibile e platealmente menzognero da Moretti, è confermato dalla testimonianza di un tale Enrico Triaca, il brigatista predisposto alla tipografia:

«Nell’estate del 1976 [nel corso di una delle assemblee del movimento studentesco di Roma che si tenevano presso l’Università] ebbi modo di conoscere un giovane di circa trent’anni che si presentò come Maurizio [Mario Moretti, ndr]. Da quell’epoca, io e Maurizio cominciammo a frequentarci con una certa assiduità incontrandoci sia all’Università, più spesso a piazza Navona e a piazza Venezia, e comunque nella zona del centro [di Roma, ndr]... Verso la fine del 1976 il Maurizio mi disse che faceva parte delle Brigate Rosse. Mi invitò a fare parte della organizzazione, spiegandomi che avrei dovuto avere contatti soltanto con lui ed eventualmente col nucleo che egli avrebbe costituito. Il Maurizio mi propose di aprire una tipografia a Roma in un luogo che avrei dovuto scegliere io stesso; egli avrebbe finanziato l’acquisto di tutta la attrezzatura necessaria, mi avrebbe dato tutto il denaro occorrente per svolgere la nostra attività; mi disse, anche, che la tipografia avrebbe svolto attività apparentemente regolare, mentre in realtà doveva servire a stampare materiale per conto delle Br. Per circa un mese cercai un locale adatto alla tipografia, e finalmente, nel marzo 1977, trovai il locale in via Pio Foà 31. Presi contatti con il proprietario, tale Carpi Pierluigi, con il quale fu convenuto un canone mensile di 150 mila lire; versai tre mensilità anticipate in denaro contante che mi era stato dato dal Maurizio. Diedi incarico a una ditta di eseguire lavori di ristrutturazione del locale, e pagai 600 mila lire; anche questa somma mi venne data dal Maurizio. Siccome io ero inesperto in tipografia, chiesi al Maurizio di indicarmi il materiale che dovevo acquistare: egli mi suggerì di acquistare una macchina “Rotaprint” e mi consegnò lire 5 milioni in contanti che io versai alla ditta venditrice... Il prezzo complessivo era di lire 14 milioni: firmai cambiali per la rimanente parte... con scadenze bimestrali. Tutte le cambiali sono state pagate regolarmente alla scadenza con denaro datomi dal Maurizio. Fu lo stesso tecnico della “Rotaprint” a insegnarmi l’uso delle macchine. Il Maurizio portò nella tipografia due macchine Ab-Dik di cui una serviva per le fotocopie e l’altra per la stampa. Il Maurizio portò le due macchine con un furgone bianco da lui stesso condotto. Fu quella l’unica volta che vidi il Maurizio con una macchina. Con lo stesso furgone il Maurizio portò anche un bromografo per lo sviluppo delle matrici e un ingranditore per lo sviluppo delle fotografie[64]

Diversi capi dei servizi si troveranno curiosamente d'accordo con il "terribile lottatore armato" capo brigatista nel confermare la sua fallace ricostruzione "ufficiale", tale Giuseppe Santovito, capo del SISMI, affermava che la macchina da stampa Ab-Dik 360 era in realtà un "rottame" venduto come tale, ma la macchina aveva una durata di utilizzo di 10 anni, ed era insensato che fosse stata rivenduta a terzi e questi terzi le avrebbero poi rivendute ai terroristi. Per altro, la tipografia brigatista ottenne l'Ab-Dik 360 nel Marzo 1977, mentre tale modello era stato ufficialmente "decommissionato" solo in Ottobre del 1977. Ciò che è certo è che l'Ab-Dik 360 divenne proprietà dei brigatisti nel Marzo del 1977, e soprattutto che i RUS erano parte dell'intricata rete di intelligence atlantiste, come ha dichiarato alla commissione parlamentare stragi il generale Serravalle, già capo di Gladio[65].

Il Conto alla Rovescia

«Nel corso del 1977 in Italia si registrano significativi mutamenti sociopolitici. Con il PCI sempre più vicino all’area governativa in nome della “solidarietà nazionale” (formula politica del “compromesso storico” berlingueriano), si registra la progressiva disgregazione dei gruppuscoli della sinistra extraparlamentare e la nascita della nebulosa che verrà chiamata “movimento del Settantasette”. È un processo che radicalizza l’estremismo di consistenti settori del movimento giovanile e studentesco, i quali vedono nel PCI filogovernativo il loro principale antagonista. Una ininterrotta sequela di azioni terroristiche di estrema destra, e soprattutto dell’ultrasinistra, continua a alimentare la strategia della tensione con un bilancio pesantissimo: nel corso dell’anno circa duemila attentati bersagliano forze dell’ordine, magistrati, politici, imprenditori e giornalisti, provocando 11 morti e centinaia di feriti. Nella sostanziale inerzia del governo Andreotti e degli apparati preposti all’ordine pubblico, va formandosi il “partito armato”: si appaia alle BR la nuova organizzazione terroristica Prima Linea, e nasce una costellazione di microcellule eversive che vanno dalle frange più estreme della cosiddetta Autonomia operaia ai NAP (Nuclei Armati Proletari), da Azione Rivoluzionaria, alle Unità Comuniste Combattenti, a Operai Armati per il Comunismo. All’inizio di giugno, a Washington, l’ex segretario di Stato Henry Kissinger afferma che se un partito comunista dovesse entrare a far parte di un governo dell’Europa occidentale "l’effetto sulla coesione dell’Alleanza atlantica sarebbe disastroso" in quanto "si altererebbe la prospettiva di sicurezza e di progresso per tutte le nazioni libere". Intanto, a Roma, i partiti della “non sfiducia” e la DC raggiungono un’intesa programmatica di governo che il segretario del PCI Berlinguer definisce "un fatto nuovo nella politica italiana". [...] Il 5 settembre 1977 il terrorismo “rosso” scuote la Germania federale. Un commando della Raf rapisce nel centro di Colonia il presidente degli industriali tedeschi Hans-Martin Schleyer dopo averne ucciso l’autista e i tre poliziotti della scorta. I terroristi chiedono, in cambio della liberazione dell’ostaggio, la scarcerazione di 11 detenuti “politici” e un aereo per riparare all’estero. Fra tensioni e polemiche, la trattativa del governo di Berlino con i sequestratori si protrae fino al 13 ottobre, quando quattro terroristi arabi dirottano un aereo di linea della Lufthansa, e dopo una lunga peregrinazione fanno atterrare il velivolo all’aeroporto somalo di Mogadiscio. Il dirottamento è collegato al sequestro Schleyer: infatti i dirottatori chiedono al governo di Berlino, in cambio del rilascio degli 86 passeggeri, la scarcerazione degli 11 detenuti “politici”. La notte del 17 ottobre un’unità speciale tedesca assalta l ’aereo, uccide tre dirottatori e libera gli ostaggi. L’indomani, nel carcere tedesco di Stammheim, tre degli 11 detenuti di cui i terroristi chiedevano la liberazione, i capi storici della Raf Andreas Baader, Jan-Carl Raspe e Gudrun Ensslin, risultano “suicidati” nelle loro celle, mentre il cadavere di Schleyer viene fatto trovare nel bagagliaio di un’auto. Verranno accertati dalla magistratura italiana i rapporti delle Br morettiane con la Raf, e lo stesso sequestro Moro, pochi mesi dopo, avrà svariate analogie operative col sequestro Schleyer. [...] L’ingente quantità di danaro di cui Moretti può disporre dopo il sequestro Costa ne consacra il potere assoluto all'interno dell’organizzazione, e agevola la costruzione della colonna romana che gestirà la “operazione Moro”. Quell’operazione che Moretti ha avviato fin dal dicembre 1975, e che con notevole abilità farà passare all’interno dell’organizzazione come una casuale decisione collettiva maturata nel corso del 1977. Dopo il sequestro Costa, le file brigatiste si vanno infoltendo. La grande disponibilità di denaro permette l’aumento del numero dei clandestini regolari, terroristi a tempo pieno stipendiati dall’organizzazione, che assommano a varie decine. A Roma, Moretti ha istituito e capeggia un comitato direttivo di colonna del quale fanno parte Prospero Gallinari, Franco Bonisoli, Valerio Morucci, Adriana Faranda, e successivamente Barbara Balzerani e Bruno Seghetti. [...] A fine ottobre arriva a Roma Henry Kissinger. Dopo colloqui con Andreotti, Forlani, Leone e Fanfani, l’ex segretario di Stato americano ribadisce l’assoluta contrarietà statunitense all’inclusione del PCI nella maggioranza governativa affermando: "Nessun partito comunista è mai stato organizzato democraticamente, nessuna organizzazione comunista è mai stata in contrasto con l’Urss in politica estera, nessun partito comunista ha mai diviso nella pratica il potere con altri partiti. Questa è la storia". [...] Il 7 dicembre il pubblico ministero di Roma Alberto Dell’Orco chiede al giudice istruttore il proscioglimento degli imputati per il progettato “golpe bianco” dell’estate 1974: nel caso di Sogno e Cavallo, con la formula dell’insufficienza di prove. Al momento, Cavallo è impegnato nella guerra al banchiere piduista Roberto Calvi, per conto del bancarottiere piduista Michele Sindona. Quanto a Sogno, l’ex ambasciatore piduista sembra essersi ritirato a vita privata. All’inizio del 1978 maturano le condizioni per la svolta politica, il cui principale tessitore è il presidente della DC Aldo Moro. A metà gennaio il governo Andreotti si dimette. Da Washington, la Casa Bianca con un comunicato ufficiale invia a Roma un chiaro monito: "I recenti avvenimenti in Italia hanno accresciuto la nostra preoccupazione... Gli Stati Uniti e l’Italia hanno in comune profondi valori e interessi democratici e noi non riteniamo che i comunisti condividano tali valori e interessi". Il 19 gennaio il leader della destra De Andreotti riottiene l’incarico, col mandato di formare un nuovo governo col PCI nella maggioranza. Da Washington il Dipartimento di Stato Usa manda a Roma un nuovo ammonimento: "L’atteggiamento dell’Amministrazione statunitense nei confronti dei partiti comunisti dell’Europa occidentale, compreso quello italiano, non è mutato... I leader democratici devono dimostrare fermezza nel resistere alla tentazione di trovare soluzioni tra le forze non democratiche". Il 28 febbraio il presidente della De Aldo Moro riesce a convincere i gruppi parlamentari democristiani della necessità di costituire una maggioranza programmatica comprendente il PCI; il “via libera” dei parlamentari De alla nuova maggioranza di fatto rafforza la candidatura di Moro al Quirinale. L’ 11 marzo Andreotti forma il suo IV governo, un monocolore DC sostenuto da PCI, PSI, PSDI e PRI. Le dichiarazioni programmatiche e il voto sono fissate alla Camera per il giorno 16 marzo. Proprio la mattina di quel giorno, alle ore 9, mentre si sta recando alla Camera, Aldo Moro viene rapito dalle Br. [...] Spacciando per “casuali” sia l’obiettivo-Moro, sia la data del 16 marzo, Moretti tenterà di nascondere una verità palmare: il delitto Moro è stato concepito e viene attuato non per “colpire la DC”, ma per eliminare il leader democristiano aperto al PCI e candidato al Quirinale; non per “processare la DC” (infatti gli interrogatori e gli scritti morotei non verranno divulgati), ma per stroncare la politica della “solidarietà nazionale”. Consapevoli o meno gli altri brigatisti (tutti, o alcuni), l’obiettivo politico-militare di Moretti, fin dal dicembre 1975, coincide con precisi interessi politici internazionali e con altrettanto precise volontà nazionali. [...] Il sequestro Moro non si propone la pura e semplice uccisione del presidente DC: in via Fani dovrà essere sterminata la scorta (5 agenti), ma lasciando Moro incolume, e l’ostaggio dovrà essere portato al sicuro in una Roma percorsa dal traffico di punta mattutino; Moro dovrà essere oggetto di un lungo sequestro, la cui gestione dovrà determinare l’irreversibile logoramento del quadro politico della solidarietà nazionale - solo dopo verrà assassinato. Una complessa e sofisticata operazione politico-militare, che non può certo essere stata preparata, né potrà essere attuata e gestita, da un manipolo di scombinati e fanatici terroristi poco più che ventenni quali risulteranno essere i vari Azzolini, Bonisoli, Braghetti, Morucci, Maccari, ecc. Il sequestro Moro è un’ardita impresa terroristica da intelligence, da guerra psicologica, operativamente possibile solo con una regia “superiore”, solo potendosi avvalere di precise complicità e connivenze all’interno degli apparati dello Stato - quella stessa regia e quelle stesse connivenze che proteggono la latitanza di Moretti da ben 6 anni[66]

Bibliografia

Note

    1. Secchia,1943
    2. Bordiga, il leninista che sperava nell’Asse
    3. Flamigni, 2004, p.18,19-21
    4. Ibidem, p.256
    5. Ibidem, p.7-8, 9-11
    6. Ibidem, p.11-12,13,14
    7. Ibidem, p.14-17
    8. Ibidem, p.17-18
    9. Ibidem, p.18-19
    10. Riguardo questo tale Alfredo Novarini, che ha testimoniato direttamente a Flamigni nell'agosto del 2003, egli ebbe da dire nello specifico all'autore, in merito alla "scoperta" della presenza di Moretti nelle Brigate Rosse: «Quando i giornali cominciarono a scrivere di Moretti come del capo delle Brigate rosse, tutti noi che lo avevamo conosciuto in fabbrica eravamo increduli: se uno come lui era diventato il capo, chissà cos’erano gli altri brigatisti!», Flamigni, 2004, p.25
    11. Ibidem, p.22-23,24,25,26
    12. Ibidem, p.25
    13. «Nel 1965, dopo essere stato espulso per indegnità morale dal Psi, Simioni collaborò con l'Usis occupandosi di attività culturali. In quel periodo, c’è da dire, l’Usis aveva pianificato una serie di operazioni psicologiche attraverso le quali si sarebbe dovuto ridimensionare il ruolo del Partito comunista e rafforzare il sentimento filoatlantico dell’opinione pubblica. Uno dei passaggi principali di questa strategia sarebbe dovuto consistere in un dialogo serrato con esponenti socialisti, i quali avrebbero dovuto essere “occidentalizzati”, fino a rompere con la tradizione marxista»; Gianni Cipriani, Lo Stato invisibile. Storia dello spionaggio in Italia dal dopoguerra a oggi, Sperling & Kupfer 2002, pag. 150., citato in Ibidem, p.29
    14. La giovanile militanza di Curcio nella destra radicale emergerà solo nel 1992, quando verranno resi pubblici i rapporti intercorsi fra Giovane Europa e l’estrema sinistra maoista, e risulterà evidente come tali rapporti avessero portato quadri dell’organizzazione nei ranghi delle Br, «e al più alto livello». Così si saprà anche di Curcio: «Il capo storico delle Br non ha iniziato la sua carriera politica a Trento nel 1967, come credono i suoi biografi, ma molto prima in Giovane nazione, poi in Giovane Europa. Nel numero 4 della rivista “Giovane nazione” troviamo menzione della nomina del compagno Renato Curcio a capo della sezione di Albenga. Nel numero 5 dello stesso periodico si segnala il suo zelo di militante. Giovane nazione servirà come trampolino di lancio per la creazione della rete italiana di Jeune Europe, dove militerà Curcio. [Non molto più tardi] raggiungerà i ranghi del “Movimento studentesco”. È in Giovane Europa che imparerà le virtù dell’organizzazione e della centralizzazione leninista. È lì che studierà le teorie della guerra partigiana e il concetto di “Brigate” politico-militari»; Jean Luc, Giovane Europa, Barbarossa 1992, pagg. 46-47, citato in Ibidem, p.30
    15. Commenta Flamigni nella pagina originale del suo testo: «Dunque, nel caso di Renato Curcio, prossimo fondatore-ideologo delle Brigate rosse, la tesi del cosiddetto "album di famiglia" del comunismo - tesi elaborata dalla giornalista Rossana Rossanda per collocarvi le radici delle Br - è una sciocchezza. Idem per quanto riguarda l’anticomunista Corrado Simioni, alle origini delle Br ambiguo propugnatore della lotta armata.», p.30
    16. Ibidem, p.27-30
    17. Vincenzo Tessandori, Br. Imputazione: banda armata, Baldini & Castoldi 2002, p.38-40, citato in ibidem, p.31
    18. “Tempo illustrato”, 25 febbraio 1970. Commenta Flamigni: «Nell’inchiesta sulle comuni a Milano, firmata da Walter Tobagi, Moretti si fa intervistare a condizione di restare anonimo, coperto dallo pseudonimo di “Mauro”. Il socialista Tobagi - inviato del “Corriere della Sera” - verrà assassinato dai terroristi di Prima linea il 28 maggio 1980 a Milano»; citato in ibidem, p.33
    19. Ibidem, p.35-36
    20. Ibidem, p.36-37
    21. Ibidem, p.37-38
    22. Il terrorismo in fabbrica, p.111-112, citato in ibidem, p.39
    23. Ibidem, p.40-41
    24. Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Mondadori 2000, pagg. 101-02,110-11., citato in Flamigni, 2004, p.47
    25. Ibidem, p.47
    26. Ibidem, p.50-51
    27. Sogno, Cazzullo, 2000, p.96,103, citato in ibidem, p.52
    28. Ibidem, p.55-58
    29. Ibidem, p.74-86
    30. Ibidem, p.87
    31. Ibidem, p.89-90
    32. Ibidem, p.90-92
    33. Ibidem, p.92-93
    34. Ibidem, p.97-99
    35. Ibidem, p.100-102
    36. Cfr. Sentenza-ordinanza del giudice istruttore Ferdinando Imposimato del 12 gennaio 1982; CM, volume 54, p. 324-325, citato in ibidem, p.103
    37. Flamgini, 2004, p.104-105
    39. Ibidem, p.183
    40. Ibidem, p.106-107
    41. Hoxha, 1980, p.199-200,287
    42. Granito, 2002, PMLI
    43. Flamigni, 2004, p.108-109
    44. Ibidem, p.109-110
    45. Ibidem, p.111-113
    46. Ibidem, p.114-115
    47. Ibidem, p.116
    48. Ibidem, p.116-123
    49. Ibidem, p.123
    50. Ibidem, p.124-125
    51. Ibidem, p.127-141
    52. Ibidem, p.142
    53. Ibidem. p.144
    54. Ibidem, p.145
    55. Ibidem, p.152-163
    56. Ibidem, p.169-172
    57. Ibidem, p.172-175
    58. Ibidem, p.175-176
    59. Hoxha, 1980, p.212
    60. PMLI, 2018
    61. Flamigni, 2004, p.177-178
    62. Ibidem, p.180,181,182-183
    63. Ibidem, p.184-186,187-189,190
    64. Ibidem, p.191-192
    65. Ibidem, p.193-194
    66. Ibidem, p.194-195,196-197,199-200