Brigate Rosse: differenze tra le versioni

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Versione delle 16:37, 2 ott 2024

Brigate Rosse
Periodo di attività 1970-1988
Paese Repubblica Italiana
Tipo Organizzazione Terroristica
Contesto Anni di piombo
Ideologia politica "Marxismo-Leninismo" (autodichiarati), Anarchismo, Spontaneismo, Trotskismo (di fatto), Terrorismo Individualista
Abbreviazione BR

Le Brigate Rosse furono un'organizzazione armata di tipo terroristico, attiva in Italia dal 1970 al 1988, e poi dal 1999 al 2003, autoproclamatasi "marxista-leninista" e "comunista", ma che, nei nomi, nelle azioni e nella retorica, è stata tutt'altro. Lo scopo di questa voce, forte delle fonti a disposizione, è di dimostrare che tale organizzazione, tutt'altro che un organismo dedito alla "lotta armata", o ancora una "risposta" al "terrorismo nero" di organizzazioni come Ordine Nuovo, altro non è stata che un'operazione psicologica, principalmente, il cui intento era di screditare e sfavorire non solo il PCI revisionista e impedire un "governo di unità nazionale", ma anche il comunismo tutto nel nostro paese, intento in cui i suoi "militanti" (in buona parte) riuscirono.

Premessa: infiltrazione dell'estrema destra "a sinistra" ai tempi della Resistenza

Per poter comprendere la genesi dell'ultrasinistra extraparlamentare degli anni 60 e 70 è necessario fare un passo indietro e analizzare le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza in Italia. Mentre il PCI, non ancora degenerato e divenuto revisionista, lottava e guidava i partigiani contro i collaborazionisti fascisti e le forze militari tedesche, diverse formazioni "di sinistra" spuntarono come funghi, pubblicando diversi opuscoletti di critica e di forte attacco alla guerra partigiana e al PCI. Già nel dicembre del 1943 il PCI, per tramite di Pietro Secchia in un comunicato sul giornale clandestino del partito, La Nostra Lotta, in cui avvisava i partigiani, gli operai e i militanti del PCI della vera natura di questi opuscoli di ispirazione trotskista e della sinistra comunista bordighiana[1].

Come è già stato approfondito in altre voci di questa enciclopedia, le opposizioni "a sinistra" della linea del PCUS, dell'Unione Sovietica e del Comintern nell'epoca immediatamente precedente alla Seconda Guerra Mondiale, e in taluni casi anche durante essa, hanno cooperato, "tatticamente" o meno, con le forze nazi-fasciste pur di andare contro l'Unione Sovietica e il socialismo "degenerato" perché pragmatico anziché perfettamente corrispondente alle infantili utopie dei trotskisti e della "sinistra" di Bordiga. Quest'ultimo, come ammesso anche dai media mainstream borghesi e capitalisti, pur non "collaborando" tatticamente è rispauto che si augurasse. tuttavia, la vittoria della Germania e dei suoi alleati nella guerra[2]. Ma cosa ha questo a che vedere con l'ultrasinistra degli anni 70 e con le Brigate Rosse? L'organizzazione "Stella Rossa", definita da Pietro Secchia una quinta colonna trotskista, e i cui pamphlet ci sono oggi reminiscenti delle miriadi di analoghi pamphlet delle miriadi di "collettivi" sedicenti "comunisti", di ispiazione anarcoide e trotskista, contro il "campismo" e il progresso storico dell'alternativa multipolare, aveva a capo un uomo, tale Luigi Cavallo (di cui, curiosamente, non esistono fotografie e non sono reperibili da nessuna parte).

Sergio Flamigni, giornalista ed ex parlamentare nelle commissioni d'inchiesta sulla P2, sulla mafia e sul terrorismo per il PCI, parlava del ruolo di Luigi Cavallo, ex comunista diventato provocatore anticomunista e collaboratore del colonnello Renzo Rocca del SIFAR, in una "guerra psicologica" contro il comunismo in Italia a partire dagli anni Cinquanta. Cavallo, che aveva avuto un passato come partigiano e giornalista per "l'Unità", successivamente si allineò con forze anticomuniste, lavorando per la Fiat come agente antisindacale. Utilizzava tattiche sofisticate, come la propaganda mascherata da sinistra, per attaccare il PCI e la CGIL, fomentando divisioni all'interno del movimento operaio. Cavallo fu coinvolto anche nei disordini di piazza Statuto del 1962, considerati una prova della "strategia della tensione" usata per destabilizzare i movimenti di sinistra[3].

Quindi la nascita della cosiddetta "sinistra extraparlamentare italiana" è da considerarsi avvenuta non negli anni 60, ma nei primi anni 40, durante la Resistenza. Sergio Flamigni riporta nel suo libro che anche il Generale dei Carabinieri ed ex-partigiano Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva gli stessi dubbi. Dalla Chiesa sospettava che questa strategia avesse legami con il periodo della Resistenza e che il terrorismo brigatista fosse ambiguo, con possibili infiltrazioni. Il colonnello Nicolò Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa, testimonia che il generale riteneva che l'organizzazione "Franchi" di Edgardo Sogno fosse coinvolta. Dalla Chiesa ipotizzava l'esistenza di una struttura segreta paramilitare, originariamente creata con funzioni difensive antinvasione, ma che si sarebbe poi trasformata in una forza illegale per stabilizzare l'ordine interno, con legami tra destra eversiva, criminalità, massoneria e settori deviati dei servizi segreti[4].

Nascita delle BR e cenni biografici sui principali componenti

Mario Moretti, "capo" delle Brigate Rosse e rapitore-esecutore di Aldo Moro
Renato Curcio, uno dei principali fondatori delle Brigate Rosse
Corrado Simioni (primo da sinistra) insieme all'Abbé Pierre (al centro) mentre incontra il papa Wojtyła, nell'unica foto reperibile di lui

Per comprendere da dove sia nata l'organizzazione terroristica "Brigate Rosse", è importante prima fare luce sui suoi membri e "dirigenti" principali: Mario Moretti, ossia uno dei maggiori esponenti delle Brigate Rosse noto per aver diretto nel 1978 il rapimento di Aldo Moro, ha cercato di presentare la sua giovinezza come proletaria e comunista, ma Sergio Flamigni smaschera queste affermazioni come falsificazioni. In realtà, la famiglia di Moretti aveva un'estrazione piccolo-borghese, con legami con il fascismo e la destra cattolica. Suo padre era un commerciante di bestiame e sua madre un'insegnante di musica, mentre uno zio era corrispondente per un giornale di destra. Moretti frequentò scuole religiose e la sua istruzione fu finanziata dai nobili Casati Stampa, legati alla destra liberale, in particolare dalla marchesa Anna Fallarino. Questa beneficenza appare singolare, dato che la famiglia Casati non era nota per atti di carità.[5].

Lungi dall'essere uno studente "ribelle" o da un forte carattere tipicamente "rivoluzionario" e da "lottatore armato", Mario Moretti viene descritto dall'ex-rettore del convitto "Montani", Ottorino Prosperi come un ragazzo irrequieto e frustrato, caratterizzato da una personalità scontrosa ma remissiva. Le insegnanti e i compagni di classe ricordano Moretti come uno studente anonimo e introverso, che non condivideva mai dettagli personali. Tuttavia, era noto per le sue idee fasciste; alcuni compagni di scuola, come Adriana Pende e Nadia Piergentili, confermano che difendeva il regime fascista e mostrava un chiaro orientamento di destra, ispirato da un familiare ex camicia nera. Ivan Cicconi aggiunge che Moretti era attivamente coinvolto in associazioni studentesche neofasciste come la Asan-Giovane Italia.[6]

Conseguito il diploma come perito industriale specializzato in Telecomunicazioni nel luglio del 1966, Moretti, orfano di padre, si trasferisce a Milano, e la sua "protezione" presso i suoi zii, ossia i marchesi dei Casati Stampa continua anche in questo frangente della sua vita. All'età di vent'anni, si mostra legato a posizioni di destra neofascista, cattolico e anticomunista, estraneo alla classe operaia. Il 27 settembre, Moretti presenta una richiesta di assunzione alla Sit-Siemens, raccomandato dalla marchesa Anna Casati Stampa, e il 16 gennaio 1967 inizia a lavorare come tecnico-impiegato. Decide di proseguire gli studi all'Università Cattolica del Sacro Cuore, per la quale ottiene un certificato di buona condotta da un viceparroco locale. La marchesa Anna continua a sostenerlo, pagando le rette scolastiche e trovandogli un impiego. Il 24 ottobre 1967 viene ammesso alla facoltà di Economia e commercio, ma si mantiene estraneo alle tensioni politiche del Movimento studentesco, mostrando un atteggiamento reazionario nei confronti delle occupazioni universitarie[7].

Il turbolento periodo dei tardi anni 60 in Italia è caratterizzato dalle prime avvisaglie dei governi del Centrosinistra "Organico" DC-PSI, e in contemporanea il già menzionato Colonnello del SIFAR Rocca viene trovato morto con una pallottola in testa: la sua morte viene archiviata come suicidio, ma le prove indiziare dimostrano che la sua morte fu probabilmente un "regolamento di conti" interno ai Servizi Segreti "deviati". Rocca era uno stretto collaboratore dei servizi statunitensi, in particolare della CIA, con cui ha cooperato nella formazione di gruppi di infiltrati "a sinistra", come Luigi Cavallo, in ambito sindacale e partitico, nell'ambito dell'Operazione Gladio[8]. Nel già citato edificio di Via Gallarate 131, in cui era operativa la base di Cavallo, pare vi fosse accasato anche Moretti[9].

Mario Moretti, mentre frequentava l'Università Cattolica, eccelle nel corso di Esposizione della dottrina e della morale cattolica, ottenendo il massimo dei voti. Nonostante l'agitazione nelle università italiane, rimane estraneo alle lotte del Movimento studentesco. Nel 1968, mentre lavora alla Sit-Siemens, sviluppa improvvisamente una coscienza sindacale, avvicinandosi a posizioni antiunitarie e anticomuniste, e si iscrive alla FIM-CISL. Nasce il Gruppo di Studio Impiegati (GSI), che cerca di migliorare le condizioni di lavoro degli impiegati e tecnici, generando una serie di scioperi che portano la direzione della Sit-Siemens a negoziare. Alfredo Novarini, un membro del GSI, testimonia che Moretti si opponeva all'unificazione delle lotte tra operai e impiegati, alimentando divisioni tra i sindacati, specialmente tra CGIL e CISL. Dopo la conclusione delle vertenze sindacali, il GSI si dissolve, e Moretti non viene eletto nella Commissione interna, con compagni di sindacato che lo descrivono come poco carismatico e ostile ai comunisti[10][11][12].

Dal materiale analizzato finora si evince, dunque, che il futuro "proletario" rapitore di Moro aveva appreso ben benino le sue tecniche di infiltrazione e di larping ante litteram quasi sicuramente dal suo co-inquilino Cavallo, in questo "veterano" in quanto ex provocatore trotskista per la Gestapo, ex infiltrato della CIA nel PCI e successivamente provocatore "sindacale" per la FIAT.

Per quanto riguarda gli altri brigatisti, Flamigni descrive la scissione nel Gruppo di Studio Operai-Impiegati (GSO-I) avvenuta nell'autunno del 1969, quando Mario Moretti e altri membri si uniscono al Collettivo Politico Metropolitano (CPM), considerato un embrione delle Brigate Rosse. Altri attivisti, in dissenso, confluiscono in Avanguardia Operaia. Dopo il rinnovo contrattuale, la maggioranza del gruppo approva un accordo che Moretti e il CPM giudicano insufficiente, creando tensioni interne che portano allo scioglimento del GSO-I. Il CPM era guidato da Corrado Simioni, con un passato problematico nel PSI e sospetti di collegamenti con l'intelligence statunitense[13], e Renato Curcio, con una gioventù turbolenta e una militanza nell'estrema destra e si opponeva alle organizzazioni sindacali tradizionali e cerca di organizzare le lotte autonome dei lavoratori[14][15]. Flamigni evidenzia le divergenze politiche all'interno del GSO-I e il ruolo antiunitario di Moretti, sottolineando come queste dinamiche abbiano contribuito alla disgregazione del gruppo e rivelato le complessità delle personalità coinvolte nei movimenti politici dell'epoca[16].

Il "Collettivo Politico Metropolitano" che va sviluppandosi acquista via via le caratteristiche di una setta, più che di un comune gruppo di studi socialista o comunista[17]. Nell'estate del 1969 i membri del CPM si prefiggono l'obiettivo di iniziare la loro opera a partire dalla costruzione di "comuni dell'amore libero", in piena conformità con l'"anticonformismo" conformista dei figli dei fiori e degli "scamiciati" piccolo-borghesi figli di COINTELPRO e del festival liberal-borghese del 1968. La "comune" ideata da Moretti però è molto sui generis: egli ha sposato in sede civile la sua fidanzata di allora, citata dal Flamigni come Amelia C., e ogni domenica viene celebrata la messa da un prete. Lo stesso Moretti era consapevole di questa natura molto poco "seria" della "comune", come da lui dichiarato in un'intervista anonima a Walter Tobagi a quei tempi[18].

Durante l'amministrazione della comune, situata in un palazzo in piazza Stuparich a Milano, Moretti viene ricordato da Amelia C. come un "moralista", contrario soprattutto all'ingresso di studenti nella comune, a differenza di Curcio, come ricordato da questa in un'intervista al periodico Panorama nel 1981[19]. All'estate del 1969 segue l'"autunno caldo" e alle proteste operaie converge la contestazione studentesca sessantottina. Flamigni oserva il contesto tumultuoso dell'ultrasinistra italiana dell'epoca, caratterizzato da infiltrati, provocatori ed elementi neofascisti. Il 22 ottobre 1969, a Genova, viene fondata la banda armata "XXII Ottobre", composta da delinquenti comuni e da Diego Vandelli, un neofascista che risulta essere un confidente della polizia, insieme ad altri membri della banda. In questo clima, Luigi Cavallo avvia un progetto chiamato “Iniziativa sindacale”, impiegando metodi collaudati come propaganda, provocazioni e infiltrazione. Cavallo organizza un servizio informativo centrale con contatti all'interno del PCI e della CGIL, adottando un approccio segreto e riservato. Propone la creazione di "Comitati unitari di base" per unire i lavoratori di diversi sindacati, con sedi operative a Torino, Roma e Milano. Da notare evidenzia come l'ultrasinistra fosse permeata da strategie di infiltrazione e manipolazione, riflettendo una complessità di relazioni tra elementi politici e criminali in un periodo di grande instabilità sociale[20].

Nello stesso periodo avviene una specie di "congresso fondativo" delle future Brigate Rosse, nell'albergo Stella Maris di Chiavari, vicino Genova, nel mezzo di una riunione delle principali organizzazioni di ultrasinistra[21]. Di questo congresso un collega, sindacalista e membro della comune di Stuparich, tale Antonio Saporiti, sostenne che, sebbene si sia discusso di lotta armata, questo non era un tema centrale per lui, ricordando invece attacchi violenti contro i sindacati e descrive il dibattito come confusionario e privo di chiarezza, definendolo una "gran babele" di idee rivoluzionarie[22].

Si dimostra quindi sin da subito la natura totalmente estranea alla classe operaia del CPM, futura BR. Non è un caso che nel medesimo periodo avvenga la strage di Piazza Fontana, il 12 Dicembre 1969, evento che segnalò l'inizio dei cosiddetti Anni di piombo. La strage, oltre a destabilizzare l'atmosfera politica e favorire un clima psicologico di "terrore bianco" e repressione da parte delle forze armate e di polizia, pare abbia anche lo scopo di favorire la mobilitazione delle forze dell'ultrasinistra e la loro trasformazione in organizzazioni clandestine terroristiche e paramilitari che possano causare diverse stragi a loro volta nel nome del "comunismo", di modo da favorire la stigmatizzazione sociale dei comunisti. Questa mossa ha un "parziale" successo con la sparizione in clandestinità dell'editore di ultrasinistra Giangiacomo Feltrinelli, che fonda i GAP nel 1970, salvo poi morire sotto i colpi di una bomba "montata male" due anni dopo a Segrate, probabilmente liquidato in quanto "scheggia impazzita" sfuggita al controllo di GLADIO, come dimostra il fatto che, ad un incontro con altri membri delle organizzazioni di ultrasinistra, inclusi Curcio e Simioni, Feltrinelli continuasse a insistere sull'avvio immediato della fase di "clandestinità". Anche il CPM inizia a organizzarsi per discendere nella clandestinità e nel terrorismo[23]. Nel medesimo periodo Moretti diventa padre, e abbandona il CPM e la comune di piazza Stuparich per trasferirsi con la moglie e il figlio in Via delle Ande n15, una località più vicina all'indirizzo di Via Gallarate 151, dove, tra l'altro, abitavano il capo dell'Ufficio Politico della Questura di Milano, Antonino Allegra, al n16, e un certo Roberto Dotti, al n5, ex "comunista", anch'egli infiltrato nel PCI come Cavallo, e collaboratore insieme a lui per Pace e Libertà, l'organizzazione anticomunista del Conte Edgardo Sogno, ex ambasciatore per l'Italia in Birmania e uomo ossessionato dalla minaccia del "cattocomunismo". Lo stesso conte Sogno nel 2000 confessò che utilizzavano delle tecniche infiltratorie per indebolire il PCI dall'interno e rivela che Piero Rachetto, un socialista e partigiano della Val di Susa, aveva aiutato Dotti a fuggire a Praga e lo aveva consigliato come sostituto di Cavallo[24].

Dotti entrò in contatto tramite Simioni con Mara Cagol, la moglie di Curcio. Di questo ce ne parla l'ex BR Franceschini descrive un incontro organizzato da Simioni nel 1970 tra Mara e Dotti alla Terrazza Martini. Simioni disse a Mara che Dotti era una figura di grande fiducia a cui potevano rivolgersi per qualsiasi problema, inclusi i finanziamenti o altre necessità. Dotti era anche responsabile della gestione delle schede biografiche degli arruolati in una struttura clandestina chiamata "Zie rosse", che Mara doveva consegnargli. Dotti raccontò di essere stato un partigiano comunista ed ex collaboratore de "l'Unità", costretto a fuggire a Praga dopo essere stato accusato di aver ucciso un dirigente della Fiat, e che non si era più iscritto al PCI per disaccordi con la linea politica di Togliatti.[25].

La tesi degli "opposti estremismi" viene validata nell'opinione pubblica italiana da parte della CIA e dell'enorme apparato atlantista in Italia, che sia con organizzazioni di estrema destra che di estrema "sinistra" provoca una costante destabilizzazione del paese e una forte "polarizzazione" politica. È necessario notare che in questa "polarizzazione" è totalmente esclusa la classe operaia, e solo un (relativo) pugno di individui costituisce la vera e propria massa di "lottatori armati" e terroristi. Tutto ciò altro non è che l'effetto della "manovra a tenaglia" ideata e attuata dal conte Sogno: il PCI va attaccato, sia da destra, con l'eversione neofascista, che da "sinistra", con l'eversione di diversi gruppi "rivoluzionari". Del conte Sogno ne traccia una breve biografia Flamigni:

«Nato a Torino nel 1915, scuole inferiori presso i Gesuiti, maturità classica, nel 1933 Sogno era entrato volontario nella Scuola ufficiali di cavalleria. Nel 1937, conseguita la laurea in Giurisprudenza, aveva frequentato a Roma le lezioni dell’ambasciatore Sergio Fenoaltea per entrare in diplomazia, ma senza successo. Monarchico e liberale, accesamente anticomunista, nell’estate del 1938 aveva combattuto come volontario in Spagna dalla parte dei franchisti insieme ai nazifascisti. Nel 1940 aveva conseguito a Torino due lauree, in Lettere e Scienze politiche, ma un secondo tentativo di entrare in diplomazia non aveva avuto successo. Nell’agosto del 1942 aveva chiesto di essere arruolato nel Savoia cavalleria in partenza per il fronte russo, ma era stato mandato come sottotenente a Nizza nel Nizza cavalleria. All’inizio del 1943 si era schierato con gli Alleati, era stato arrestato per alto tradimento, e alla caduta del fascismo (25 luglio 1943) era tornato in libertà e aveva preso parte alla Resistenza. Nel gennaio 1944 Sogno era entrato, come rappresentante del PLI, nel CLN del Piemonte, e aveva assunto il nome di battaglia “Franchi”; conosciuto in Svizzera John McCaffery, il capo della Special force britannica per l’Europa, aveva organizzato la brigata Franchi, struttura clandestina che svolgeva un’intensa attività militare e di intelligence. Nel luglio 1944, Sogno aveva avuto contatti a Roma con il ministro della Guerra Alessandro Casati Stampa di Soncino, dopodiché aveva ripreso la sua ardita attività politico-militare e di intelligence che gli varrà la medaglia d’oro al valor militare. All’inizio di febbraio 1945 era stato catturato dai tedeschi, e aveva evitato il plotone di esecuzione solo grazie all’intercessione di Alien W. Dulles, il capo dell’Oss-Office of strategie Services americano, presso il comandante delle SS in Italia, generale Karl Wolff, che stava trattando la resa. Membro della Consulta nazionale nel settembre 1945 in rappresentanza del PLI, lo stesso anno aveva ereditato dal PWB (l’organizzazione degli Alleati per la guerra psicologica) il quotidiano della sera “Corriere Lombardo”. Schierato coi monarchici nel referendum del 2 giugno 1946, Sogno all’inizio del 1947 aveva cominciato la carriera diplomatica: segretario d’ambasciata prima a Buenos Aires, poi, nel 1950, a Parigi. Su incarico del ministro dell'Interno Mario Scelba, aveva cominciato a organizzare formazioni paramilitari anticomuniste sotto la sigla “Atlantici d’Italia” (embrione della struttura paramilitare segreta della Nato Stay Behind-Gladio), e nell’ambito di questa sua attività segreta aveva seguito un corso di difesa psicologica presso il Nato Defence College di Parigi, dopo il quale - col sostegno dei ministri della Difesa Randolfo Pacciardi e Paolo Emilio Taviani - aveva organizzato un “Comitato italiano per la difesa psicologica” dal comunismo. Rientrato in Italia, alla fine del 1953 Sogno aveva fondato a Milano, con gli ex comunisti Luigi Cavallo e Roberto Dotti, l’organizzazione anticomunista Pace e Libertà (ispirata all’analoga “Paix et liberté” organizzata a Parigi dall’ex funzionario Nato Jean Paul David), la cui attività era finanziata dalla FIAT di Vittorio Vailetta, dal ministero dell'Interno, dalla Confindustria, dall’Usis-United States Information Service, e soprattutto dal capo della CIA Alien Dulles. Nel 1955, poiché la sigla Pace e libertà "si era logorata", Sogno aveva dato vita a un nuovo organismo anticomunista paramilitare e di intelligence, il “Comitato di difesa nazionale” comprensivo di un “Ufficio operazioni speciali”, "tutti nomi di copertura dati all’azione anticomunista, prima sostenuta dallo Stato, poi da Washington". All’attività del nuovo organismo collaborava l’ufficiale del Sifar Renzo Rocca, che alla fine del 1956 aveva accompagnato Sogno in missione nell’Ungheria invasa dalle truppe sovietiche. Alla fine del 1958, Sogno aveva ripreso la carriera diplomatica: prima console generale a Filadelfia, poi, dalla fine del 1959 al 1966, ministro-consigliere a Washington dei due amici-ambasciatori Manlio Brosio e Sergio Fenoaltea. Nel 1966 era stato nominato ambasciatore in Birmania, ma a partire dall’estate dell’anno dopo aveva avuto forti contrasti col presidente del Consiglio Aldo Moro e col ministro degli Esteri Amintore Fanfani per la loro politica filo-araba e per la freddezza del governo italiano di centro-sinistra verso l’intervento americano in Vietnam. Alla fine del 1969, postosi in aspettativa, Sogno era ritornato in Italia, preoccupato della situazione politica “minacciata” dalla crescente forza elettorale del Partito Comunista e da una DC ritenuta debole, imbelle e soprattutto troppo orientata a sinistra[26]

Secondo l'intuizione del Conte Sogno, la strategia più efficace per il suo anticomunismo (e quindi, visto il suo "curriculum", nazifascismo) più sfegatato era quella di un attacco da destra e "da sinistra", infiltrando le organizzazioni sindacali e i partiti, favorendo scissioni o inserendosi in nuove scissioni per favorire quelle tesi idealiste, astratte e di matrice anarco-trotskista che, se negli anni 30 avevano formato gruppi cospiratori e terroristi antisovietici in URSS, negli anni 60 e 70 dovevano formare gruppi anticomunisti, ostili all'Unione Sovietica e non solo, anche al PCI revisionista ormai su posizioni sempre più passivamente atlantiste. Cavallo possedeva un archivio pieno di carte contenenti segreti e punti deboli dei leader del PCI, sostenendo che facendo leva sulle contraddizioni e sui lati oscuri del partito, i militanti del PCI se ne sarebbero allontanati[27].

La fondazione delle BR

Nell'Agosto del 1970 avviene la riunione fondativa delle Brigate Rosse, il grosso del CPM si discioglie, e i membri "scelti" da Curcio e Simioni, incluso Moretti, entrano a far parte della nuova entità. Franceschini, di quel momento storico, ha poi ricordato che Simioni gli presentò una certa Sabina Longhi, stretta collaboratrice del segretario generale della NATO in quel momento, Manlio Brosio. Franceschini affermò che Simioni glielo fece presente quasi come a fargli notare che anche loro avevano i loro "infiltrati", ma i rapporti di forza chiaramente evidenti (le nascenti BR erano e sono sempre state quantitativamente un pugno di mosche), e la storia di Simioni, dimostrano quanto questo fosse in realtà il contrario, e quanto, quindi, le Brigate Rosse si fossero formate sin da subito all'ombra della NATO e del conte Sogno, collaboratore di Brosio. Nel medesimo momento il conte Sogno prepara il suo "golpe bianco", e avviene la strage dei Casati Stampa, un omicidio-suicidio della già citata marchesa da parte del marito in un raptus di gelosia, che determinerà il passaggio della villa di Arcore a Silvio Berlusconi per tramite di Cesare Previti[28]. Dopo il "congresso fondativo", a cui era assente, paradossalmente, solo Moretti, le BR iniziano ad essere operative, e, dopo una campagna inizialmente fallimentare da emuli dei gruppi di guerriglieri latinoamericani, in particolare dei Tupamaros Uruguayani (ritorna la natura da larper tipica dell'ultrasinistra), il cui unico "successo", a eccezion fatta di qualche rapina a tinte eroiche tipica più da personaggi dei fotoromanzi che non da rivoluzionari, è stato un raid ad una "base operativa" di Sogno in cui sono stati resi pubblici i documenti del tentato golpe bianco. Il 2 Maggio 1972 la polizia di Milano ha l'occasione di arrestare diversi membri dell'organizzazione terroristica, ma non il nucleo dirigente, composto da Moretti, Franceschini, Curcio e Cagol. La "fuga miracolosa", avvenuta in coincidenza con il possibile assassinio di Feltrinelli, è avvenuta secondo il già citato capo della polizia di Milano, Antonino Allegra, nel pomeriggio, lasciando quindi intendere che Moretti e il resto del nucleo delle Brigate Rosse, tutt'altro che "fortunati", scamparono perché informati da parti "deviate" dei servizi di polizia e dello stato; anche se lo stesso Allegra confessò che fu in parte a causa della "copertura mediatica" dell'operazione. In quel momento l'intero gruppo "dirigente" della banda armata terroristica era noto alle autorità, eppure sono riusciti a fuggire e a continuare ad agire per diversi anni, nel caso di Moretti, un decennio[29]. Uno dei catturati, tale Pisetta, ex "GAPino" seguace di Feltrinelli, viene liberato poco dopo e fatto espatriare, a dimostrazione della natura "permeabile" delle BR, eccessivamente esposte ad infiltrazioni da parte della polizia[30], ma ciononostante "irriducibili" almeno fino agli anni 80. A ulteriore dimostrazione della natura di utili idioti/collaboratori delle BR e dell'ultrasinistra tutta, il 17 maggio 1972 viene assassinato a Milano il commissario Luigi Calabresi, stretto collaboratore del capo dell’Ufficio politico della Questura Allegra, accusato da buona parte dell'ultrasinistra di essere responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, indiziato durante le indagini per Piazza Fontana e morto dopo essere precipitato dalla finestra della Questura di Milano durante gli interrogatori. Per quanto in quel momento la morte non sia stata rivendicata da nessuno, ulteriori indagini hanno dimostrato la colpevolezza dell'allora capo di Lotta Continua Adriano Sofri (che, tra le tante cose, faceva uso della stessa tipografia, a Roma, usata anche dal fascista e sionista Giano Accame) come "mandante", e la morte fu presto cavalcata come utile pretesto dal Conte Sogno e dagli anticomunisti più accaniti[31]. Nello stesso periodo il "Superclan", l'agenzia terroristica parallela alle Brigate Rosse, guidata da Corrado Simioni, ha il suo apice di attività, e le altre organizzazioni "rivali" delle Brigate Rosse, come Potere Operaio e la già citata Lotta Continua, iniziano a discutere la possibilità di darsi anche loro alla clandestinità (e quindi al terrorismo)[32]. Il già menzionato Pisetta, da Monaco di Baviera, fa i nomi dell'intero nucleo "dirigente" dell'organizzazione terroristica Brigate Rosse, nominando persino Simioni e il suo collaboratore Mulinaris, oltre che quanti più nomi possibili di tutte le altre principali organizzazioni dell'ultrasinistra, tra cui Lotta Continua, Potere Operaio ed ex-GAP di Feltrinelli, ciononostante, tutte queste organizzazioni (in quanto intrinsecamente borghesi e legate al capitalismo, oltre che utili agli atlantisti e all'anticomunismo) hanno continuato ad agire relativamente indisturbate per il decennio a venire[33].

Episodio della "Stella di David", eterodirezioni e possibili connessioni con il Mossad

Foto del comunicato delle Brigate Rosse in merito al rapimento del dirigente Alfa Romeo Mincuzzi, con la stella "sbagliata" a decorazione del comunicato.

All'inizio del 1973, nelle Brigate Rosse (Br) si forma una Direzione strategica, una sorta di "parlamentino" che nomina un Comitato esecutivo composto da Curcio, Franceschini, Cagol e Moretti, il "governo" dell'organizzazione. Il 15 gennaio, un gruppo di brigatisti, tra cui l'informatore della polizia Francesco Marra, fa irruzione nella sede dell'UCID a Milano, suscitando scalpore nonostante l'azione sia incruenta. Il 19 gennaio, a Colonia si tiene una riunione segreta tra i servizi segreti della NATO, che discute l'infiltrazione nei gruppi eversivi di sinistra come le Br. Francesco D'Agostino, rappresentante italiano, afferma che l'estrema sinistra è più difficile da infiltrare rispetto all'estrema destra, poiché meno interessata al denaro. I servizi segreti puntano a infiltrare e strumentalizzare le formazioni sovversive, non solo per ottenere informazioni ma per dirigere le azioni di questi gruppi. In Italia, le Br sono ancora un piccolo fenomeno, ma gli apparati nazionali e internazionali mirano a trasformarle in una minaccia più grande per destabilizzare l'intero sistema politico[34].

L'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse, lungi dall'essere "genuina" sin da subito, come è stato dimostrato più volte dalle fonti d'archivio, giornalistiche, di interviste e indagini, tra cui anche di commissioni parlamentari, tutte riportate da Flamigni, era quindi vista come un'"opportunità", da parte dei vertici atlantisti, per favorire i loro scopi e destabilizzare il paese Italia nello specifico. Nel medesimo periodo le autorità italiane confermano le informaizoni già menzionate dal Pisetta in merito ai "dirigenti" brigatisti, ma queste informazioni restano comodamente ignorate, di modo da permettere il continuato funzionamento dei terroristi e dei loro piani. Intanto la strategia della tensione prosegue, con la strage della questura di Milano, del 17 Maggio 1973, quando tale Gianfranco Bertoli, autoproclamato anarchico individualista, con provati legami con l'eversione neofascista e con l'entità sionista, in cui pare abbia soggiornato a lungo (ma ciononostante è ancora osannato da buona parte della comunità anarchica). Il XII Congresso della DC del 10 Giugno riapre i democristiani al centro-sinistra, e il 17 Giugno il conte Sogno a Firenze tiene un congresso in cui denuncia i suoi deliri in merito alla minaccia "cattocomunista" di una DC "troppo piegata a sinistra". Il 28 Giugno avviene il rapimento, da parte di un commando delle Brigate Rosse guidato da Mario Moretti, di un dirigente tecnico Alfa Romeo iscritto all'UCID, tale Ingegner Michele Mincuzzi. Viene fatta una fotografia con un cartello con i soliti slogan grotteschi, insieme all'individuo sequestrato, ma il simbolo ha una Stella di David al posto della stella a cinque punte simbolo dell'organizzazione terroristica[35]. Moretti ha affermato di aver usato un "pizzico di fantasia" nel suo disegno, ma secondo Franceschini in realtà tale simbolo poteva essere un "messaggio" per qualcuno. Secondo la sua testimonianza, nello stesso periodo, le BR avrebbero preso contatti con il Mossad, che aveva interesse alla continuata destabilizzazione della penisola per via delle politiche "filo-arabe" del governo italiano in quel momento.

Alfredo Bonavita, brigatista pentito, racconta che emissari dei servizi segreti israeliani proposero alle Brigate Rosse di fornire armi, finanziamenti, coperture e addestramento militare in cambio di un maggiore impegno delle Br nel destabilizzare la situazione politica italiana attraverso azioni più eclatanti. Gli israeliani giustificavano questa offerta con la necessità di ribaltare il sostegno politico-militare degli Stati Uniti all'Italia, che era vista come cruciale per il controllo del Mediterraneo. Destabilizzando l'Italia, speravano di rendere Israele un alleato più indispensabile per gli USA. La proposta fu fatta attraverso un professionista socialista di Milano, e nonostante il rifiuto delle Br, i servizi segreti israeliani promisero comunque di sostenere la lotta armata in Italia[36].

Per quanto la "testimonianza" di Franceschini vada presa molto con le molle (lo stesso si è contraddetto più volte, ritenendo ora Moretti un "infiltrato", ora un genuino "esaltato che si credeva Lenin"), essendo anch'egli un ex-terrorista che ha come primo interesse disinformare e portare acqua al proprio mulino, l'idea che le Brigate Rosse abbiano iniziato dei contatti con il Mossad in questo periodo, poi continuati nello "zenith" della sua massima attività, ossia i tardi anni 70 e primi anni 80, permetterebbe di comprendere meglio il funzionamento dell'organizzazione terroristica stessa e delle sue principali "concorrenti", come la già citata Lotta Continua o Prima Linea.

Il primo sequestro da parte delle Brigate Rosse

L'11 Settembre 1973 avviene il golpe di Pinochet in Cile, sovvenzionato dalla CIA e aiutato dal sabotaggio del governo socialista cileno da parte della stessa maggioranza di governo che aveva sostenuto Allende, in particolare i democristiani cileni. Ciononostante, il PCI di Berlinguer inizia ad adottare la linea del "compromesso storico" con l'illusione di poter entrare a far parte di un governo insieme alla DC. Questa vana illusione altro non farà che esacerbare le manovre "a tenaglia" contro il PCI; la destra missina e il gruppo di Sogno sono gli unici ad applaudire al golpe, mentre l'ultrasinistra (accertata nei precedenti paragrafi come costituita di infiltrati, e accertato che i fondatori delle BR stesse, come Curcio, Simioni e Moretti, sono stati sin da subito degli "infiltrati" da destra) approfitta dell'ulteriore "concessione" del PCI revisionista per incrementare la propria attività. Nonostante la linea moderata e sostanzialmente innocua per il "capitalismo di stato" della Prima Repubblica Italiana del PCI di Berlinguer, un partito "comunista" molto all'acqua di rose, i fanatici anticomunisti come Sogno diventano ancora più accaniti, in quanto ostili all'idea stessa di un partito comunista, seppure solo nominalmente, al governo[38]. A condividere l'idea di Sogno è anche Licio Gelli, gran maestro ("capo" ufficiale) della loggia massonica Propaganda 2, i cui veri capi (i servizi atlantisti, sionisti e imperialisti) non verranno mai scoperti, non nelle singole identità anagrafiche, perlomeno. Gelli, che aveva attuato un piano più "subdolo" rispetto a quello del suo ex commilitone Sogno (anche Gelli fu volontario in Spagna per i fascisti di Franco) per la trasformazione della "statica" Prima Repubblica Italiana tramite infiltrazione di giornali, partiti politici, forze dell'ordine, magistratura e istituzioni, afferma, in particolare, nei documenti del cosiddetto "Schema R", documento organizzativo del suo "piano di rinascita democratica" della P2, come viene riportato da Flamigni[39].

Lungi dall'essere una difesa a spada tratta del PCI, che anzi si dimostra ancora di più essere un partito con una dirigenza inetta e incapace di comprendere la realtà oggettiva, ossia l'impossibilità di un partito "comunista", seppur "moderato", di entrare al governo tramite "elezioni democratiche", la linea del "compromesso storico", la cui ostilità espressa dai brigatisti con comunicati sempre più estremisti e grotteschi, durante il rapimento nel Dicembre del 1973, a Torino, di un dirigente FIAT, tale Ettore Amelio, fa alzare il sopracciglio alle principali organizzazioni e partiti della sinistra italiana, dai più "moderati" PCI e PSI, passando per le organizzazioni sindacali come CGIL, CISL e UIL e per il giornale "comunista" vicino all'ultrasinistra anarco-trotskista del Manifesto (che invece, anni dopo, da miglior organo della borghesia quale è sempre stato e quale è tutt'oggi, ha proceduto a difendere la presunta "purezza rivoluzionaria" e "genuinità" dei terroristi). Flamigni riporta inoltre che sul quotidiano socialista Avanti! le BR vennero definite «una organizzazione di estrema destra» e ancora «elementi neofascisti il cui obiettivo principale sarebbe proprio quello della provocazione», mentre su L ’Unità viene scritto «Chi li paga?... È più che evidente che alle spalle di questa banda esiste una organizzazione interessata a certe operazioni squisitamente politiche» e su Il Manifesto viene definito Renato Curcio uno «specialista della tecnica dell’infiltrazione»[40].

Se eventuali difensori dei brigatisti/terroristi asseriscono che la maggior parte di questi attacchi provengono da fonti con pregiudiziali revisioniste, e quindi da scartare "a priori", in quanto le BR e altri gruppi affini sarebbero "nati come opposizione della "classe operaia" al revisionismo della sinistra italiana". Tali obiezioni si sciolgono come neve al sole se si considera che nel medesimo periodo, sia in Italia che all'estero, anche in ambito marxista-leninista le Brigate Rosse sono state etichettate come organizzazione "neofascista" e "terrorista". Ad esempio, Enver Hoxha, leader dell'Albania Socialista, forte critico del revisionismo sovietico kruscioviano e dell'eurocomunismo berlingueriano, afferma che, nonostante la Costituzione italiana garantisca diritti democratici, essa permette allo Stato, ai carabinieri e alla polizia di preparare un meccanismo pronto a instaurare un regime fascista. Secondo Hoxha, gruppi fascisti, estremisti di destra, le Brigate Rosse e i terroristi come quelli della strage di Piazza Fontana trovano giustificazione nella Costituzione italiana. Sottolinea che l'anarchismo, il terrorismo e il banditismo, in crescita nei paesi capitalisti e revisionisti, non hanno nulla a che fare con la rivoluzione. Piuttosto, questi gruppi vengono usati dalla reazione per preparare la dittatura fascista, impaurire la piccola borghesia e reprimere la classe operaia, mantenendola soggiogata al capitalismo. Hoxha critica questi gruppi che si mascherano sotto nomi come "proletari" o "comunisti", ma che non hanno nulla a che fare con il vero marxismo-leninismo o comunismo[41].

Anche il PMLI, piccolo partito politico italiano per molti versi contradditorio e controverso, ma non senza i suoi meriti, oltre che i suoi de-meriti, come più volte concluso in altre voci di questa enciclopedia, si espresse in modo contrario e risoluto contro le "Brigate Rosse", e il PMLI, in tutte le sue diverse contraddizioni, per certi versi "schizofreniche", ha sempre mantenuto come uno dei suoi pochi (meritevoli) tratti coerenti una forte opposizione, ideologica e pratica, al revisionismo e all'estremismo "sinistrista", che altro non sono che due facce della medesima medaglia[42].

Con queste due fonti abbastanza autorevoli in fatto di cosa possa definire o meno un marxista-leninista, vero, sedicente o presunto (al punto che viene anche citato Lenin stesso nella sua posizione in merito al terrorismo e all'individualismo), è già in buona parte dimostrata la totale estraneità dell'organizzazione terroristica delle sedicenti "Brigate Rosse" con il comunismo e con la "classe operaia" che coi suoi comunicati da bohemienne piccolo-borghesi, totalmente estranei ad essi, ha dichiarato più volte, falsamente e ipocritamente, di "sostenere" o addirittura di "difendere". Una "difesa" di (autoproclamati) "comunisti" che, come degli esaltati, hanno più volte, poi, attaccato sedi sindacali, sindacalisti e operai, contribuendo alla distruzione presso di essi della buona reputazione del comunismo. Il primo "sequestro" vero e proprio delle Brigate Rosse, dopo il "banco di prova" della vicenda di Amelio (che definirà l'esperienza, poco più di una settimana di cattura, come relativamente breve e indolore), avviene nell'anno 1974, ai danni del magistrato Mario Sossi, a Genova, giudice fortemente anticomunista nonché responsabile della condanna di molti membri dell'organizzazione XXII Ottobre, la già citata cricca infiltrata da elementi camorristi e neo-fascisti. Il clima dell'anno 1974 in Italia è molto teso: ennesimo rimpasto di governo del centrosinistra a guida democristiana, segue un altro governo ad egemonia democristiana insieme ai socialisti, il referendum per il divorzio è in corso, con i partiti di sinistra da un lato favorevoli al mantenimento della legge e i democristiani e la destra "conservatrice" contrari e per l'abrogazione della legge. In questo contesto, il rapimento di Sossi è chiaramente volto a portare la psiche della classe operaia italiana in particolare, e dell'opinione pubblica in genereale, a dei livelli ancora più estremi e tesi, di modo da avvicinarla sempre più ai partiti "centristi" o "moderati", come è stato già analizzato nelle fonti consultate poc'anzi. L'operazione è gestita dal "primo" nucleo dell'organizzazione, in particolare da Franceschini, Cagol e Curcio. Il 18 Aprile 1974 Sossi viene catturato mentre rincasa nella sua abitazione, portato su un furgone e chiuso in un sacco, e poi portato in una villa acquistata da Franceschini stesso (località molto "proletaria" dove allestire una "prigione del popolo") nella periferia di Tortona, nella provincia di Alessandria, in Piemonte. L'operazione avviene nella sera inoltrata, e i sequestratori riescono ad agire inspiegabilmente in modo indisturbato, nonostante il loro bersaglio sia un magistrato inviso ad un pubblico di esaltati, rapitori e pistolettatori particolarmente crudi e attivi[43]. Il gruppo terrorista rilascia poi il seguente comunicato:

«Mario Sossi era la pedina fondamentale dello scacchiere della controrivoluzione, un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare. Sossi verrà processato da un tribunale rivoluzionario. Sin da giovane, Sossi si è messo “a disposizione” dei fascisti presentandosi per ben due volte nella lista del Fuan [l’organizzazione degli studenti universitari neofascisti, ndr]. Divenuto magistrato, si schiera immediatamente con la corrente di estrema destra della magistratura. Compagni, entriamo in una fase nuova della guerra di classe, fase in cui il compito principale delle forze rivoluzionarie è quello di rompere l’accerchiamento delle lotte operaie estendendo la resistenza e l’iniziativa armata ai centri vitali dello stato. La classe operaia conquisterà il potere solo con la lotta armata! Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello stato! Trasformare la crisi di regime in lotta armata per il comunismo! Organizzare il potere proletario! Avvertiamo poliziotti, carabinieri e sbirri vari che il loro comportamento può aggravare la posizione del prigioniero[44]..»

Il "comunicato" è scritto con un linguaggio astratto, per certi versi roboante e altisonante, reminiscente degli opuscoli dei gruppi "a sinistra" dei partigiani attaccati da Secchia nel già citato documento clandestino del Dicembre 1943. La menzione alla "minaccia gollista", avvenuta tra l'altro in un momento di "crisi" per lo stesso Sogno, che si ritrova nelle sue proposte "golpiste" smentito dai suoi stessi commilitoni nella sua cricca, sembra invece fornire una giustificazione ideologica molto conveniente a quest'ultimo, e ai suoi compari, per le loro azioni, in un tempo molto sospetto. Di questo avviso pare sia convinta anche la sinistra, parlamentare e non, dei tempi del sequestro, sia Lotta Continua che il Manifesto definiscono il rapimento una "provocazione", a Genova vengono rilasciati sempre più ordini di dispacci di polizia e pattuglie, con un irrigidimento del controllo poliziesco, e i già citati movimenti dei servizi segreti "deviati", che con le loro pressioni fanno si che ogni volta che vengono arrestati uomini dei commando terroristici, questi vengano poi prontamente liberati, vengono menzionati da tale Federico Umberto D'Amato, capo dell'Ufficio Stampa degli Affari Riservati del Viminale, come il principale motivo della continuata attività terroristica. La vicenda del "sequestro Sossi" sembra una specie di "prova generale" del futuro sequestro Moro: viene rilasciato un comunicato "falso" delle Brigate Rosse, seguito poi da un comunicato "vero", il sequestrato collabora "contro ogni aspettativa", come avrebbe poi detto Franceschini, e avviene una accesa discussione tra Franceschini e Curcio da una parte, che vorrebbero liberare il magistrato, in quanto era ormai inutile trattenerlo ulteriormente, e Moretti, futuro sequestratore e poi assassino di Aldo Moro, che invece è più propenso ad uccidere Sossi[45]. Queste "divergenze", lungi dal dimostrare una "purezza rivoluzionaria" delle "prime BR", altro non sono che disaccordi dal semplice punto di vista pratico, e il fatto che tutti gli ex capi brigatisti si siano ritrovati, una volta terminate le vicende della "strategia della tensione", "tutti insieme appassionatamente" fuori dal carcere e tutti d'accordo su un'unica (falsa) "ricostruzione ufficiale", lo dimostra chiaramente, come viene ampiamente dimostrato nei successivi paragrafi. In contemporanea al sequestro di Sossi le BR attaccano sedi della DC e dell'organizzazione di Sogno, dimostrando ancora una volta il loro vero scopo di provocatori atti a favorire una frammentazione politica e uno spostamento dell'opinione pubblica in senso anticomunista e reazionario per semplice "paura" del banditismo. Lungi dal chiedere il sostegno dell'opinione pubblica, della "classe operaia" di cui si sono riempiti tanto la bocca nei loro "proclami" roboanti e astratti, i sequestratori richiedono in realtà uno "scambio di prigionieri", da verificarsi con l'intermediazione dei seguenti paesi: Cuba, Corea del Nord, Algeria[46]. Nessun diplomatico dei tre paesi citati ha mai effettivamente garantito per i brigatisti, a dimostrazione, ancora una volta, dell'estraneità di questi non solo nei confronti della classe operaia italiana, ma del movimento socialista e rivoluzionario internazionale. Di questo un "improbabile" menzione viene fatta dall'allora ministro dell'interno Taviani:

«Queste Brigate Rosse, spesso accostate ai Tupamaros, sono una cosa ben diversa. Laddove agiscono, i Tupamaros hanno aliquote consistenti di opinione pubblica favorevole. Invece i delinquenti delle BR non hanno nemmeno l’un per mille del popolo italiano che li favorisca o li sostenga: sono isolati dall’opinione pubblica, da tutti i partiti, e da qualsiasi grappo sociale. Sono come dei folli appestati. Come appestati si nascondono da tutti; come folli si gonfiano di megalomanìa[47]

Intanto il 9 Maggio, dal Carcere di Alessandria, a pochi chilometri dal luogo dove è tenuto sequestrato Sossi, avviene una rivolta carceraria: i detenuti in rivolta catturano un gruppo di ostaggi, membri del personale carcerario, chiedendo la libertà in cambio del loro rilascio. La rivolta viene repressa, e l'operazione è guidata dal generale Dalla Chiesa, è nel blitz muoiono 14 persone, di cui 5 dei 7 ostaggi in mano ai rivoltosi. Questa vicenda porta il sequestrato Sossi e il brigatista a capo delle operazioni del suo sequestro, Franceschini, entrambi chiaramente spaventati dalla possibilità di morire in un raid anti-terrorismo, a collaborare concretamente. Lo stesso Sossi rilascia dichiarazioni ai suoi carcerieri, timoroso che lo stato italiano non abbia interesse a liberarlo, quanto piuttosto a "martirizzarlo" a scopi politici. Dopo alcune dichiarazioni in merito ad un traffico illecito di diamanti e armi con una nazione africana, da parte del magistrato, questi viene di nuovo proposto dai suoi carcerieri per uno scambio in cambio dei "compagni" dell'organizzazione (infiltrata e controllata da Gladio, dalla criminalità e dai neofascisti) XXII Ottobre, da liberare e condurre in un salvacondotto presso l'ambasciata di Cuba in Vaticano, ma le autorità cubane non vogliono avere a che fare con il gruppo terrorista (a ennesima dimostrazione dell'estraneità di questi "proletari" con il movimento socialista internazionale e con i paesi socialisti e rivoluzionari), e il sostituto procuratore di Genova, Francesco Coco, si rifiuta di garantire il salvacondotto per i detenuti dell gruppo terroristico XXII Ottobre. La situazione, paralizzata, dimostra il fallimento dell'operazione brigatista, e il risultato del referendum sul divorzio, favorevole al mantenimento della legge, fa si che anche un eventuale scopo "occulto" di influenza dell'opinione pubblica verso la DC è fallito, l'opinione pubblica resta sostanzialmente ferma sulle posizioni della sinistra parlamentare italiana del PSI e del PCI. Dopo un'ulteriore discussione, in cui Moretti propone di nuovo, insensatamente, l'uccisione di Sossi, viene deciso dai brigatisti di liberarlo: il magistrato viene "truccato", viene portato a Milano, gli vengono forniti documenti falsi, l'ultimo comunicato brigatista in merito alla vicenda del suo sequestro e un biglietto del treno con cui si dirige a Genova, da lì contatta un amico, si consegna poi alla Guardia di Finanza, ma viene dichiarato dal suo collega Coco come ancora "in stato di shock" per la vicenda, e gli organi di stampa fanno di tutto per evitare che venga preso in considerazione in quanto potenziale "mina vagante"[48]. Un parziale "successo" per i terroristi, ma solo perché sono riusciti a dare l'illusione di essere riusciti a "contrattare", questi vengono perà definiti dal magistrato Sossi in questo modo:

«Li rispetto come nemici di una certa lealtà. Sono però fuori dalla realtà, sono a sinistra di qualunque sinistra. Sostanzialmente sono anticomuniste, nel senso che sono contro il Partito comunista[49]

Il gruppo terrorista non aveva certo il primato di "opposizione" al PCI revisionista (si pensi al PCDI-ML dell'ex partigiano Fosco Dinucci o al già menzionato PMLI di Giovanni Scuderi, sicuramente più degni di tale definizione, e che, almeno nelle intenzioni e nei loro primi tempi, riuscirono a portare una parte, seppur esigua, della classe operaia nelle loro fila), visto che con le sue azioni altro non ha fatto altro, oltre che dimostrarsi come una setta invisa, all'opinione pubblica e soprattutto a buona parte dei suoi "omologhi" co-ideologici (per quanto questi in futuro avrebbero cercato poi di "mitizzare" e "riabilitare" i terroristi), che favorire un maggiore supporto per il PCI di Berlinguer, come viene analizzato in seguito. Tra l'altro, la vicenda Sossi mostra molti tratti comuni con la successiva vicenda di Moro. Flamigni evidenzia le ambiguità emerse attorno al sequestro Sossi, nonostante la sua apparente chiarezza. Si scoprì che il generale Vito Miceli, capo del SID (Servizio segreto militare), aveva elaborato un piano per intervenire nel sequestro, il che implicava che sapesse dove Sossi era tenuto prigioniero. Miceli voleva non fermare i sequestratori, ma affiancarli, portando a un esito tragico: rapire e uccidere l’avvocato Giovambattista Lazagna e organizzare un'operazione in cui Sossi, i brigatisti e Lazagna sarebbero stati trovati morti. Questo piano non venne attuato per le obiezioni di alcuni ufficiali, ma dimostrava come settori dello Stato alimentassero il terrorismo per aumentare l’allarme sociale. Bonavita, brigatista pentito, testimoniò sul sequestro Sossi, ma evitò di citare Francesco Marra, un informatore della polizia, proteggendo così la sua identità. Il giudice Sossi, nel 1979, espresse la convinzione che la guerriglia rivoluzionaria in Italia fosse orchestrata da agenti segreti di potenze straniere[50].

La vicenda di "Frate Mitra" e l'arresto di parte del nucleo terroristico

Necrologio di Roberto Dotti, collaboratore di Sogno ed ex "comunista", pubblicato sul "Corriere della Sera" il 31 Ottobre 1971, uno dei documenti trovati dai brigatisti nel loro assalto alla sede di Milano dei Comitati di Resistenza Democratica di Sogno nel 1974.

Nel Giugno del 1974 i brigatisti scoprono di essere stati "accidentalmente" in contatto con il già menzionato Dotti, uomo di Sogno, per tramite di Simioni, tramite dei documenti "sottratti" durante un raid ad una sede di Milano dell'organizzazione di Sogno avvenuto in contemporanea al sequestro di Sossi. In questo periodo avvengono delle curiose "convergenze" da ambo i lati: Sogno, paranoico, bruciato, eccessivamente estremista e fin troppo esposto, nonostante continui a pianificare il suo "golpe bianco", non serve più, ed è facilmente liquidato insieme al suo collaboratore Luigi Cavallo, a seguito di pubblicazioni fin troppo esplicite di inviti alle forze armate per "prendere in mano la situazione". In contemporanea nel "disaccordo" interno alle Brigate Rosse tra i "pacifisti" e i "militaristi" di Moretti inizia a prevalere la sua linea, e a dimostrarlo è l'esecuzione sempre più violenta delle loro operazioni, in "risposta" ad una strage di matrice terrorista nera, avviene una "contro-strage" da parte del terrorismo "rosso": viene assaltata una sede dell'MSI di Padova e vengono ammanettati e uccisi con un colpo di pistola dietro alla nuca due membri presenti nella sede. Lungi dall'essere una divisione tra "autentici rivoluzionari" e presunti "traditori" infiltrati, essendo tutti i dirigenti terroristi, chi più chi meno, degli infiltrati ed estremisti neofascisti (o comunque di estrazione borghese) in origine, questo è dimostrato dal fatto che sia Curcio che Moretti pare si siano trovati "d'accordo" nel definire tale operazione come un "incidente sul lavoro". Il delitto, che viene anche interpretato dalla stampa del tempo come un "regolamento di conti interno" ai neofascisti, visto che i due uomini morti pare fossero collaboratori di un ex ufficiale collaborazionista repubblichino, poi collaboratore dei servizi atlantisti (ipotesi plausibile), è l'inizio della trasformazione definitiva delle Brigate Rosse da un organismo terroristico "dimostrativo" e "performativo", utile ai reazionari e al capitalismo per cercare di spostare l'opinione pubblica verso la DC e i "moderati" allontanandoli da un PCI altrettanto "moderato", ma con cui non erano ancora pronti a governare, ad un'organizzazione di killer da utilizzare per liquidare fisicamente gli individui "scomodi" e le pontenziali "schegge impazzite" insite nelle contraddizioni interne alle istituzioni e alla politica primorepubblicana italiana. Tale "trasformazione" è stata inavvertitamente facilitata dall'operazione effettuata dal generale Dalla Chiesa con l'aiuto di "Frate Mitra", ossia Silvano Girotto, un ex missionario in America Latina, poi guerrigliero in Bolivia e in Cile contro il regime di Pinochet, per arrestare i "capi" brigatisti. Girotto, in quanto veterano della guerriglia vera e propria, riconosce che le azioni delle cosiddette "Brigate Rosse" sono tutt'altro che azioni di "guerriglia sullo stile dei Tupamaros", e comprende che i commando dei terroristi con le loro azioni giovano al capitalismo e alla repressione poliziesca in atto in Italia. I primi contatti di Girotto con Curcio avvengono nel Luglio del 1974, immediatamente dopo il "successo" del sequestro di Sossi, presso la stazione di Pinerolo: segretamente, gli incontri sono pedinati e fotografati dai carabinieri del generale Dalla Chiesa. Dopo un altro incontro nell'Agosto del 1974, l'8 Settembre dovrebbe avvenire l'ultimo incontro, un'opera di "cattura" definitiva dei capi brigatisti; ma prima dell'incontro arriva una telefonata anonima, una soffiata che però perviene soltanto a Moretti. Curcio, in delle testimonianze tardive, "giustifica" Moretti, definendolo uno "smemorato", mentre invece Franceschini ammette la sua ostilità nei suoi confronti e gli attribuisce implicitamente la "colpa" del suo arresto. Secondo lo stesso Franceschini tale soffiata arrivò da parte del Mossad, invece secondo il magistrato Luigi Moschella invece la soffiata fu "autoctona" e arrivò da ambienti interni al Viminale che avevano interesse affinché le Brigate Rosse continuassero la loro opera in virtù delle operazioni psicologiche per distruggere definitivamente la reputazione del comunismo, oltre che "liquidare" personaggi scomodi. Fatto sta che l'8 Settembre Girotto, con un pretesto, si allontana dai due capi BR Renato Curcio e Alberto Franceschini, e questi due vengono prontamente arrestati dai Carabinieri[51], i quali, pur tentando inizialmente di "coprire" Girotto, evidentemente non riescono nell'intento, e questi viene "attaccato" in un risibile comunicato dell'organizzazione terroristica, che lo accusa di essere un "agente al soldo dei servizi imperialisti e di anti-guerriglia". Le fonti a disposizione dimostrano quanto questa accusa sia ridicola, ancor di più visto che proviene dalla bocca di Mara Cagol, moglie di Renato Curcio e "capa" brigatista, che tramite Simioni fu in contatto con l'agente anticomunista Dotti. Il "Frate Mitra" accusa le Brigate Rosse di essere state colpite dallo Stato, proprio mentre proclamavano il loro attacco "al cuore dello Stato". Ammette apertamente di aver collaborato con i carabinieri per fermare le loro azioni, considerandole un pericolo per la classe lavoratrice. Secondo lui, le Brigate Rosse, con il loro comportamento irresponsabile e megalomane, stavano favorendo l’avanzata del fascismo. Afferma che le masse lavoratrici, che le Br pretendevano di rappresentare, in realtà le rifiutavano, e che la loro presenza nello scontro di classe era dannosa. La loro esistenza stava provocando la creazione di strumenti repressivi che, dopo la loro scomparsa, sarebbero stati usati dalla borghesia contro i lavoratori e le vere avanguardie. "Frate Mitra" sottolinea di non voler vedere il sangue operaio versato a causa delle azioni della piccola borghesia anarcoide, di cui le Br erano un esempio[52].

A dispetto delle giuste e condivisibili idee e propositi di Girotto, in realtà il sangue operaio continuò, purtroppo, a scorrere sulle bandiere di quella che lui ha definito "piccola borghesia anarcoide": nonostante i carabinieri avessero fotografato tutti e tre gli incontri, incluso quindi quello in cui era presente Moretti, identificato da uno dei carabinieri della squadra, la fotografia con Moretti presente era "sparita" misteriosamente dagli archivi delle forze dell'ordine, per riemergere solo anni dopo, per di più con degli evidenti tagli e possibili montaggi, come dimostrato dai negativi delle fotografie. L'operazione stessa è stata attuata in modo molto frettoloso e sospetto, e lo stesso Girotto ebbe da dichiarare anni dopo che, dopo un incontro con Curcio e Moretti nel 1974, propose al capitano dei carabinieri Gustavo Pignero un piano per arrestare tutti i membri delle Brigate Rosse, inclusi Moretti, semplicemente fingendo di unirsi a loro. Tuttavia, l'ordine di Dalla Chiesa fu di arrestare solo Curcio e Franceschini l'8 settembre, cosa che lasciò Girotto perplesso, facendogli pensare che qualcuno volesse proteggere i terroristi. Sostiene che, se si fosse agito diversamente, Moretti non sarebbe diventato una figura di spicco né avrebbe potuto orchestrare il sequestro Moro e la strage di via Fani.[53].

Secondo la ricostruzione di Flamigni, non è mai stato chiarito se l’arresto solo di Curcio e Franceschini a Pinerolo nel 1974 sia stato un errore del generale Dalla Chiesa o il risultato di ordini superiori, forse da parte di figure legate alla P2, come i generali Giovanbattista Palumbo e Enrico Mino, o dal ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani. Girotto, che aveva proposto un piano per catturare l’intero vertice delle Brigate Rosse, rimase con il dubbio che ci fosse stata una decisione presa sopra la sua testa. Episodi simili si erano già verificati nel 1972 a Milano, quando l’informatore Pisetta avrebbe potuto consentire l'arresto di tutto lo stato maggiore delle Br. In entrambe le occasioni, i vertici brigatisti riuscirono a sfuggire alla cattura, lasciando libero Mario Moretti, che poi prese il controllo delle Brigate Rosse[54].

Nell'estate del 1974 fatti cruciali avvengono anche per i piani di Sogno. Il suo piano di "golpe bianco" viene rimandato all'autunno a causa di alcuni imprevisti, inclusa la strage dell'Italicus, che non viene rivendicata da nessuna organizzazione terroristica, e lo scandalo Watergate che pone fine alla presidenza di Nixon (che era a supporto dei piani di Sogno). Sogno viene incriminato, e vengono trovati documenti che parlano apertamente di sovversione del sistema repubblicano italiano in favore di una repubblica di tipo gollista. Queste azioni sono dovute anche ad un vero e proprio scontro frontale tra il Conte Sogno e il ministro dell'interno Taviani, ostile al "golpe bianco". Intanto le Brigate Rosse, in quel momento guidate da Cagol e Moretti, sono divise sull'organizzare o meno un "blitz" per liberare i due capi terroristi arrestati. Moretti è contrario, ma l'operazione avviene lo stesso, facilitata anche dalla "coincidenza" del trasferimento di Curcio, dal carcere di massima sicurezza di Novara, ad un carcere più ristretto di Casale Monferrato, e del commando fa parte anche Moretti. Il commando con il capo brigatista evaso pubblica un nuovo comunicato, in cui, oltre ai soliti discorsi astratti, ripetitivi e lontani della realtà, degni della definizione di "piccola borghesia anarcoide" del "Frate Mitra", appare uno dei primi attacchi al PCI di Berlinguer, a cui fa seguito una minaccia "velata" di Sogno di golpe e di rappresaglia, in cui attribuisce, tra l'altro, la paterinità delle BR al PCI di Berlinguer, in un palese atto di disinformazione. A dispetto della strategia della "tensione" o degli "opposti estremismi", in cui i commando terroristi delle Brigate Rosse continuano coi rapimenti e coi loro primi atti di "gambizzazione", consistenti nello sparare alle gambe delle loro vittime, elettoralmente l'avanzata del PCI di Berlinguer sembra inarrestabile, nelle elezioni del 1975, sebbene siano solo elezioni locali e amministrative. Il 5 Giugno 1975, a seguito di un sequestro andato male, un blitz dei carabinieri nella cascina di Spiotta di Arzello assalta un commando delle Brigate Rosse di cui faceva parte anche la moglie di Renato Curcio, Mara Cagol, che muore colpita dalle pallottole delle forze dell'ordine mentre cerca di fuggire a bordo di un'auto. La latitanza di Curcio è precaria, mentre quella di Moretti è praticamente indisturbata. Verso la fine di Dicembre 1975 Moretti prende casa a Via Gradoli 96, la sua "base operativa" a Roma, mentre Curcio viene arrestato, per la seconda e ultima volta, il 18 Gennaio 1976. Secondo la testimonianza di Franceschini (individuo da reputarsi per diversi motivi molto inattendibile e dubbio, primo tra tutti la sua incoerenza nelle testimonianze e il suo continuo e repentino cambio di versioni negli anni, oltre che la sua "disponibilità" a parlare), una volta reincontratosi in carcere con Curcio, questi gli avrebbe rivelato che Moretti era una spia. Questa testimonianza, oltre che in contraddizione con il futuro "pacificamento" di Curcio con Moretti in carcere 10 anni dopo, dovrebbe implicare la "pulizia" di Curcio e di Franceschini, cosa che, come già dimostrato più volte in questa voce, è da non considerarsi come valida, in quanto anche loro furono degli infiltrati. Un altro aiuto "provvidenziale" per Moretti è il fatto che la stampa, in quel momento e fino al rapimento Moro, indicherà un certo Corrado Alunni come "nuovo capo" delle Brigate Rosse[55].

Le BR a guida Moretti dalla strage di Genova al rapimento Moro

Moretti, che nella sua versione "ufficiale" post-datò l'affitto dell'appartamento in Via Gradoli a Roma al 1977, lo ha in realtà affittato nel 1975, come testimoniato da Valerio Morucci. Moretti si presenta ai padroni del locale come "Mario Borghi", e la vicenda dell'affitto del locale in sé è piena di enigmi: i due coniugi che gli fittarono la casa, Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, affermarono di averla acquistata nel 1974, ma non ci è dato sapere se dal 1974 fino al 1975 l'appartamento fu affittato ad altri o meno, e non sono presenti ricevute di pagamento eventuali da parte di "Mario Borghi" degli affitti del locale, o ancora se l'affitto dell'appartamento sia mai stato pagato. Luciana Bozzi pare sia stata in contatto con una certa Giuliana Conforto, figlia di un "sospetto agente del KGB", tale Giorgio Conforto, ma non sono presenti verbali di interrogatori della Bozzi negli atti processuali del caso Moro. Giancarlo Ferrero, in quel momento ingegnere dell'IBM, negli anni 80 e 90 risulterà ricoprire importanti figure manageriali nel suo campo, essendo dotato del "Nos", nullaosta di sicurezza da parte delle autorità NATO e dei servizi segreti italiani, e pare abbia avuto nello stesso periodo contatti con un'importante multinazionale fornitrice anche di armamenti per la NATO, tale Bell Atlantic International[56]. Via Gradoli è descritta dal Flamigni come una stradina stretta e facilmente controllabile, con un unico accesso, una scelta insolita per una base delle Brigate Rosse (BR), poiché non offre vie di fuga né sicurezza. Nonostante questo, Moretti decide di stabilirvi la base romana delle BR, in un contesto dove vivono personaggi legati alla polizia e ai servizi segreti, come il sottufficiale Luigi Di Maio e Arcangelo Montani, ufficiale del Sismi. Inoltre, molti appartamenti nella via appartengono a società immobiliari controllate da fiduciari dei servizi segreti, dimostrando una forte presenza dello Stato. Via Gradoli è anche vicina sia alla casa di Aldo Moro che al luogo del suo rapimento, suggerendo che la scelta di collocare la base lì fosse parte del piano per colpire Moro già dal 1975[57].

In merito alla scelta di rapire proprio Moro, il Flamigni riporta che Moro era il leader della Democrazia Cristiana (DC) più vicino alla sinistra, progressista e filo-palestinese, al contrario di altri come Giulio Andreotti o Amintore Fanfani, più legati alla destra e all'integralismo cattolico. con la sua politica di centro-sinistra e dialogo con il Partito Comunista Italiano (PCI), si era guadagnato molti nemici potenti: la destra della DC, segmenti dei servizi segreti italiani, parte della Curia vaticana, settori atlantici, l'amministrazione statunitense e Israele. In particolare, il suo equilibrio tra arabi e israeliani nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 irritò molto gli Stati Uniti e il Mossad. Con l'avvento del compromesso storico negli anni '70, anche la Loggia P2 e le BR, tramite Mario Moretti, si unirono ai suoi nemici.[58].

Per evitare eventuali accuse da parte di "avvocati del diavolo", che ancora una volta potrebbero o vorrebbero farsi scudo di una presunta ostilità al revisionismo che in realtà, come è già stato dimostrato, non gli appartiene, sono qui riportate le opinioni in merito, ancora una volta, di altre fonti ideologicamente "anti-revisioniste". Enver Hoxha analizza il "compromesso storico" proposto dal Partito Comunista Italiano, che inizialmente sembrava una strategia a lungo termine per trasformare l'Italia in un paese industriale potente. Tuttavia, con l'acuirsi della crisi e il risorgere del fascismo, caratterizzato da violenze e omicidi, il compromesso divenne più attraente per alcune fazioni della borghesia e della Democrazia Cristiana (DC), rappresentate da Aldo Moro. Tuttavia, Moro fu eliminato poiché i democristiani non erano pronti ad accettare questo accordo, nonostante le loro recenti sconfitte elettorali. Anche se cercarono di coordinare le loro azioni con i comunisti su alcune questioni, esisteva comunque una paura di un partito comunista moderato e non radicale[59]. Di simile avviso pare essere stato il PMLI, sia all'epoca dei fatti che a posteriori[60].

Come ricostruito da Flamigni, la latitanza totalmente libera e indisturbata di Moretti gli permette di incontrarsi a cielo aperto con altri suoi "colleghi" terroristi, come Barbara Balzerani, e di muoversi in altre parti d'Italia, in particolare in Sicilia e in Calabria, visite le cui motivazioni sono sconosciute anche ai suoi colleghi terroristi, probabilmente effettuate per poter incontrare, non si può escludere anche per tramite della P2, esponenti della criminalità organizzata e delle mafie di quelle regioni. Nel mentre il vento sembra soffiare a favore del PCI di Berlinguer; il PSI guidato dal segretario De Martino decreta la chiusura della collaborazione con la DC nel nome del "centro-sinistra" e ripropone le teorie del "social-comunismo" e dei "fronti popolari" che non aveva attuato insieme al PCI dalle elezioni degli anni 40 e 50. Al contempo nella DC prevale la corrente "morotea", cioè guidata da Aldo Moro, anch'egli favorevole ad un dialogo col PCI. Come è stato già dimostrato, le destre italiana e americana avevano paura anche di un "partito comunista" come quello di Berlinguer, o comunque non erano ancora pronte ad ammettere un governo più "autonomo" e "indipendente" in un clima di possibile confronto tra la NATO imperialista da un lato e l'URSS revisionista dall'altro. Flamigni raccoglie varie testimonianze di leader americani riguardo la situazione politica in Italia durante il periodo del "compromesso storico". L'ex direttore della CIA, William Colby, esprime dubbi sulla sincerità del Partito Comunista Italiano (PCI), avvertendo che, nonostante una maggiore flessibilità ideologica, mantenerebbe legami con Mosca per ricevere supporto in situazioni critiche. L'ammiraglio Horacio Rivero sottolinea l'importanza strategica dell'Italia per il controllo del Mediterraneo e avverte che l'accesso del PCI al governo potrebbe portare a un neutralismo e all'uscita dalla NATO, minacciando la presenza militare americana nella regione. Claire Boothe Luce e Wynfred Joshua evidenziano ulteriormente la crisi della NATO e la debolezza delle istituzioni italiane, suggerendo che la crescente influenza del PCI potrebbe complicare la sicurezza dell'Occidente.[61].

Il fatto che la priorità per i reazionari fosse di liquidare al più presto possibile la sola possibilità del PCI al governo dell'Italia, da solo o in coalizione, piuttosto che preoccuparsi dei "pericolosissimi e minacciosi lottatori armati" delle terroriste Brigate Rosse non è solo l'ennesima dimostrazione che queste ultime erano un subprodotto dei comandi NATO per mantenere la loro egemonia in Italia, ma anche la dimostrazione dell'ingenuità e idealismo delle proposte "moderate" del PCI a guida Berlinguer: un "partito comunista" non salirà mai al potere "pacificamente" o tramite la "democrazia" liberal-borghese, e la sua ascesa e il suo consenso popolare saranno sempre osteggiati dai reazionari e dai capitalisti. Flamigni descrive il clima teso della campagna elettorale in Italia, caratterizzato dalla mobilitazione delle destre per evitare che il Partito Comunista Italiano (PCI) superi la Democrazia Cristiana (DC) alle elezioni del 20 giugno 1976. In questo contesto, le nuove Brigate Rosse (Br) guidate da Moretti compiono un triplice omicidio a Genova, assassinando il procuratore Francesco Coco e due membri delle forze di sicurezza. Questo atto di terrorismo mira a "insanguinare" la campagna elettorale e si inserisce nella strategia della tensione, contribuendo a creare un clima di paura che favorisce la DC. Le elezioni non registrano il temuto "sorpasso" comunista, ma confermano le preoccupazioni delle destre. La DC, incapace di formare una maggioranza senza il PCI, instaura un governo Andreotti sostenuto da astensioni. Tuttavia, l'opposizione al compromesso storico continua, con il PSI che, sotto la nuova leadership di Bettino Craxi, si allontana dalla collaborazione con il PCI, in linea con i piani della Loggia P2 di Licio Gelli, che mira a rinforzare una posizione anticomunista nel panorama politico italiano.[62].

Il ruolo della "scuola di lingue" (di fatto centrale dell'intelligence) Hyperion

Flamigni narra che mentre a Roma si sviluppa un gruppo di Brigate Rosse (Br), ex membri del Superclan lasciano l'Italia per Parigi, dove fondano una scuola di lingue chiamata prima "Agorà" e poi "Hyperion". Nonostante siano indagati per attività sovversive, il servizio segreto francese permette il funzionamento dell'istituto, sostenuto da figure influenti come il prelato Abbé Pierre. Nel 1978, l'Hyperion apre filiali in Italia, ma chiude dopo il sequestro di Aldo Moro. Flamigni segnala che, con la cattura dei leader delle vecchie Br, le nuove Br morettiane guadagnano terreno; Prospero Gallinari evade dal carcere e si unisce a Moretti. Il 12 gennaio 1977, Moretti guida il sequestro dell'armatore Piero Costa a Genova, un'operazione ben organizzata, rivendicata solo dopo il rilascio dell'ostaggio. Il sequestro è finalizzato al riscatto e Costa, appartenente a una famiglia con legami anticomunisti, viene rilasciato il 3 aprile dopo il pagamento di un ingente riscatto. Il denaro ottenuto rafforza la posizione di Moretti all'interno delle Br e fornisce risorse per future operazioni terroristiche. Flamigni evidenzia che, pochi giorni dopo la liberazione di Costa, avviene il rapimento di Guido De Martino, la cui vicenda si rivela complicata e danneggia la carriera politica del padre, Francesco De Martino, ritenuto uno dei socialisti più favorevoli al PCI[63].

In pratica, i piani delle Brigate Rosse guidate da Moretti e di fatto indirizzate dalla P2 (chi altri avrebbe potuto indicare loro Costa come "ostaggio" prediletto per i loro finanziamenti?) sono indirizzati sin da subito al rapimento di Moro e alla distruzione del "compromesso storico" e del "governo di unità nazionale". Moretti continua a muoversi e ad agire protetto e indisturbato nella sua latitanza, nonostante sia ricercato dal 1972, sia stato fotografato dai carabinieri nel 1974 e dal 1975 si sia stabilito in una strada dove informatori della polizia e centrali di intelligence sono ovunque. Mentre è in corso il sequestro di Costa, nel Marzo del 1977 Moretti apre addirittura una tipografia a Roma, in via Pio Foà, dotata di un modello Ab-Dik 360 di macchina da stampa, proveniente dal RUS, Raggruppamento Unità Speciali del SID (Servizio Informazioni Difesa) e una fotocopiatrice proveniente dal Ministero dei Trasporti. Ciò, per quanto negato in modo poco credibile e platealmente menzognero da Moretti, è confermato dalla testimonianza di un tale Enrico Triaca, il brigatista predisposto alla tipografia.

Triaca racconta di aver incontrato Mario Moretti nell'estate del 1976 durante le assemblee del movimento studentesco a Roma. I due iniziano a frequentarsi regolarmente, soprattutto nelle piazze del centro. Verso la fine dello stesso anno, Moretti rivela a Triaca di far parte delle Brigate Rosse e lo invita a unirsi all'organizzazione, promettendo che i contatti sarebbero stati limitati a lui e a un nucleo che avrebbe formato. Moretti propone a Triaca di aprire una tipografia a Roma, finanziando l'acquisto dell'attrezzatura necessaria e promettendo che l'attività, apparentemente legittima, sarebbe stata utilizzata per stampare materiale per le Brigate Rosse. Triaca trova un locale in via Pio Foà, stipula un contratto di affitto e inizia i lavori di ristrutturazione, sempre finanziato da Moretti. Dopo aver ricevuto 5 milioni di lire da Moretti, Triaca acquista una macchina tipografica “Rotaprint” e riceve due ulteriori macchine da Moretti, portate da lui in un furgone. Questo segna l'inizio della collaborazione tra Triaca e le Brigate Rosse, con la tipografia che diventa un importante strumento per l'organizzazione[64].

Diversi capi dei servizi si troveranno curiosamente d'accordo con il "terribile lottatore armato" capo brigatista nel confermare la sua fallace ricostruzione "ufficiale", tale Giuseppe Santovito, capo del SISMI, affermava che la macchina da stampa Ab-Dik 360 era in realtà un "rottame" venduto come tale, ma la macchina aveva una durata di utilizzo di 10 anni, ed era insensato che fosse stata rivenduta a terzi e questi terzi le avrebbero poi rivendute ai terroristi. Per altro, la tipografia brigatista ottenne l'Ab-Dik 360 nel Marzo 1977, mentre tale modello era stato ufficialmente "decommissionato" solo in Ottobre del 1977. Ciò che è certo è che l'Ab-Dik 360 divenne proprietà dei brigatisti nel Marzo del 1977, e soprattutto che i RUS erano parte dell'intricata rete di intelligence atlantiste, come ha dichiarato alla commissione parlamentare stragi il generale Serravalle, già capo di Gladio[65].

Il Conto alla Rovescia

Il Flamigni analizza, inoltre, i significativi cambiamenti sociopolitici in Italia nel 1977, evidenziando la crescente vicinanza del PCI all’area governativa e il conseguente indebolimento della sinistra extraparlamentare, culminato nella nascita del "movimento del Settantasette". Questa situazione radicalizza l'estremismo di settori giovanili, mentre un’ondata di attacchi terroristici, sia di estrema destra che di sinistra, continua a colpire figure pubbliche, causando morti e feriti. Si menzionano le relazioni internazionali, come l’avvertimento di Henry Kissinger sulla possibile inclusione del PCI nel governo italiano, e gli sviluppi del terrorismo in Germania, con il rapimento di Hans-Martin Schleyer da parte della Raf. Flamigni nota che il sequestro di Schleyer ha analogie con il successivo sequestro di Aldo Moro, sottolineando l’aumento del potere di Mario Moretti nelle Brigate Rosse, specialmente dopo il sequestro di Costa. In questo contesto, il governo Andreotti cerca di formare una nuova maggioranza con il PCI, mentre gli Stati Uniti esprimono preoccupazione riguardo all’influenza comunista in Italia. La situazione culmina con il rapimento di Moro il 16 marzo 1978, considerato da Flamigni un’operazione complessa e strategica, mirata a minare la "solidarietà nazionale" e mantenere il leader democristiano come ostaggio per un lungo periodo, prima della sua eventuale uccisione. La narrazione suggerisce che dietro al sequestro ci siano complicità all’interno dello Stato, rendendo l'operazione di Moretti una manovra pianificata e non il frutto di un'azione casuale di terroristi inesperti[66].

Il Caso Moro e le varie ricostruzioni

Per approfondire meglio: Caso Moro

Il Caso Moro fu uno degli episodi più drammatici della storia italiana, oltre che complessi, oscuri e controversi. Il caso ruota attorno al rapimento e successiva uccisione di Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana, avvenuti nel 1978 per mano delle BR. La vicenda ebbe inizio il 16 marzo 1978 con un attacco in via Fani, dove Moro fu rapito e la sua scorta massacrata. Il rapimento avvenne in un momento cruciale della politica italiana, poiché il giorno stesso Moro si sarebbe recato alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al governo guidato da Giulio Andreotti, con il supporto del Partito Comunista Italiano (PCI). Questo evento segnò un punto di svolta nell'equilibrio politico del paese. Nonostante i numerosi processi e diverse indagini, molti quesiti rimangono ancora oggi senza risposta, soprattutto riguardo ai reali mandanti dell'operazione e ai veri scopi del rapimento.

L'attacco fu meticolosamente pianificato: una Fiat 128 bianca, guidata dal brigatista Mario Moretti, bloccò il traffico in via Fani, mentre altri membri delle Brigate Rosse aprirono il fuoco contro l'auto di Moro e la scorta. La sparatoria durò pochi minuti, lasciando quattro membri della scorta morti e uno ferito gravemente. Moro fu preso come ostaggio e portato via in una Fiat 132 rubata. In seguito Aldo Moro vivrà 55 giorni di prigionia come ostaggio delle Brigate Rosse.

Durante la prigionia, le BR inviarono una serie di comunicati in cui dichiaravano di voler processare Moro in un "Tribunale del Popolo". La richiesta principale era uno scambio tra Moro e alcuni detenuti brigatisti, una condizione che il governo, principalmente su pressione della Democrazia Cristiana, rifiutò categoricamente. La linea ufficiale adottata dal governo fu quella della "fermezza", che consisteva nel non cedere ai ricatti dei terroristi. Moro fu tenuto in un luogo segreto, che secondo la versione ufficiale delle BR sarebbe stata un'abitazione in via Montalcini 8 a Roma. Tuttavia, negli anni, diverse versioni e testimonianze hanno sollevato dubbi sulla veridicità di questa ricostruzione, suggerendo che Moro potrebbe essere stato trasferito in più luoghi durante la sua prigionia.

Le Contraddizioni della Ricostruzione Ufficiale

Una delle principali contraddizioni riguarda il ruolo di alcuni personaggi di alto profilo, come l'ufficiale del Sismi, Camillo Guglielmi, avvistato vicino a via Fani il giorno del rapimento, e la figura di Alessio Casimirri, brigatista figlio di un diplomatico vaticano. Casimirri riuscì a fuggire dall'Italia dopo gli eventi, e il suo coinvolgimento getta ombre sulla presunta connivenza di alcuni settori dello Stato con le BR.

Le testimonianze dell'ex brigatista Valerio Morucci, che partecipò al rapimento, sono state spesso messe in discussione. Morucci raccontò che Moro fu trasferito in Piazza Madonna del Cenacolo e poi in via Montalcini, ma altre testimonianze e prove, come la presenza di foglie e polline nell'auto usata per il rapimento, sembrano indicare che Moro fu portato in una zona alberata, ben diversa dalla piazza indicata da Morucci.

L'assassinio di Moro

Moro fu ucciso il 9 maggio 1978. Il suo corpo fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, una strada simbolicamente situata a metà strada tra le sedi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano. Secondo la versione ufficiale delle BR, Moro fu ucciso con una mitragliatrice Skorpion, ma le indagini balistiche hanno rivelato incongruenze, suggerendo che fu ucciso con due armi diverse.

Inoltre, la decisione di abbandonare il corpo in via Caetani ha sollevato ulteriori sospetti. La scelta di quella strada sembra essere stata pensata per lanciare un messaggio politico chiaro: la rottura definitiva del dialogo tra la DC e il PCI, che aveva dato il via alla solidarietà nazionale. Questa interpretazione è stata sostenuta da diverse teorie secondo cui il rapimento e l'assassinio di Moro furono orchestrati da poteri occulti, con la complicità di servizi segreti italiani e stranieri.

Complicità e ruolo di servizi segreti ed organizzazioni straniere

Le indagini successive hanno rivelato legami tra le Brigate Rosse e altre organizzazioni terroristiche europee, come la Rote Armee Fraktion (RAF) tedesca. Si sospetta che un killer tedesco possa aver partecipato all'agguato di via Fani, anche se questa teoria non è mai stata dimostrata.

Inoltre, vi sono stati sospetti di un coinvolgimento indiretto dei servizi segreti italiani, in particolare del SISMI e della loggia massonica P2. La presenza di numerosi personaggi legati alla P2 nelle indagini e nelle decisioni politiche dell'epoca ha alimentato l'idea che il rapimento di Moro fosse parte di un più ampio piano volto a impedire l'ingresso del PCI nell'esecutivo e a mantenere il controllo della politica italiana da parte delle forze più conservatrici.

Rapido declino delle "prime" BR

Subito dopo l'assassinio di Aldo Moro, il declino delle Brigate Rosse, un'organizzazione terroristica neofascista, inizia inesorabilmente. Costituita da elementi criminali di diverse estrazioni, le Brigate Rosse sono segnate da disaccordi interni e contraddizioni. La loro perdita di sostegno da parte di mandanti come i servizi segreti, la P2 di Gelli e altre forze della destra, unita alla "concorrenza" di gruppi di ultrasinistra, accelera la loro caduta. Nuove reclute provenienti dalla piccola borghesia "di sinistra", prive di una solida formazione politica, si limitano a grandi città, mentre il loro appello alla guerra civile fallisce.

Le organizzazioni sindacali e politiche si schierano contro i terroristi, che sono visti come agenti del capitalismo. Inoltre, la secretazione delle dichiarazioni di Moro, che denuncia il governo, e la rivelazione dell'Organizzazione Gladio da parte dei terroristi dimostrano la loro collaborazione con i servizi d'intelligence della NATO. Le divisioni interne tra i brigatisti aumentano, soprattutto dopo il delitto di Moro, portando a conflitti tra diversi gruppi.

Il governo Andreotti IV, sostenuto dal PCI, si dimette, mentre i brigatisti continuano a mostrare segni di crisi interna. L'assassinio del sindacalista Guido Rossa provoca una reazione negativa dell'opinione pubblica e segna la rottura tra alcuni membri del gruppo. La formazione di un nuovo governo di transizione e il successivo governo di Giovanni Spadolini evidenziano il cambiamento politico in atto, mentre le Brigate Rosse continuano a disintegrarsi, perdendo il sostegno e la direzione. I mandanti delle BR, come la loggia P2 e le forze anticomuniste, raggiungono i loro obiettivi, infiltrando i partiti e promuovendo un'alleanza tra PSI e DC, con il consenso dei vertici atlantisti. La militarizzazione dell'Italia avanza, mentre il PCI, ormai all'opposizione, è visto come una minaccia da parte delle forze reazionarie[67].

Contestazioni interne al gruppo terroristico, la scissione della "Colonna Walter Alasia", il sequestro D'Urso

Le contestazioni alla leadership di Moretti all'interno del gruppo terroristico neofascista avvengono non solo da parte della leadership "storica" in carcere, ormai abbandonata a sé stessa, ma anche da parte delle nuove "giovani" leve della "colonna" di Milano. La principale contestazione è soprattutto alla prassi di Moretti, che vede nel "militarismo" e nel "terrorismo" un fine più che un mezzo (in modo in realtà non troppo diverso dalle azioni della "leadership storica", anch'essa responsabile di rapimenti e sequestri, come si è già visto), ma soprattutto alla sua leadership fin troppo autoritaria e verticista, alla mancanza di dialogo con le nuove leve e alla totale assenza di qualsivoglia "progetto politico", anche vago, come era il caso durante la "guida" di Curcio e Franceschini con la cosiddetta "propaganda armata". All'inizio del 1980 pare continuare questa linea "stragista", con l'assalto dell'8 Gennaio ad una pattuglia della Polizia di Stato da parte dei brigatisti guidati da Moretti, tutti in passamontagna eccetto il Moretti stesso, in via Schievano. Dei 30 bossoli di proiettile, 13 risulteranno essere stati sparati dalla pistola usata da Moretti che gli fu ritrovata addosso quando sarà poi arrestato l'anno seguente. Alla strage è seguito un ulteriore assalto a corpi di polizia a Roma, mentre a Genova, il 25 Gennaio, un commando dei "brigatisti" spara ai carabinieri, uccidendone 2 e ferendone 1. Queste azioni coincidono con le discussioni in merito ad una riforma della Polizia italiana in parlamento e ad un dibattito interno alle forze di polizia stesse per una maggiore democratizzazione di esse, riforma a cui sono ostili non sono le "Brigate Rosse", ma anche la destra neofascista e dalla loggia P2, confermando per l'ennesima volta il ruolo reazionario e neofascista, sia nell'ideologia che nella prassi, delle "Brigate Rosse" e del terrorismo "rosso". A queste seguono altre stragi in tutta Italia nella primavera del 1980, a Napoli, Salerno, Mestre, Roma, tutte con bersaglio membri delle forze dell'ordine e della magistratura, allo scopo di acuire le ostilità tra la "sinistra" extraparlamentare frutto di Gladio e COINTELPRO e le forze dell'ordine, contribuendo a cementificare quel sentimento, che nei giorni presenti è diventato fin troppo dominante, di ostilità a priori di stampo anarcoide contro le forze di polizia e dell'esercito da parte della "sinistra". Queste azioni sono criticate anche dalla "leadership storica" in carcere costituita da Curcio e Franceschini, che rilasciano un pamphlet poi pubblicato sull'Espresso. Si specula, anche da parte dei vertici della politica, sui legami tra le "BR" e altri poteri "occulti". Craxi stesso fa allusione a Corrado Simioni, sua vecchia conoscenza, senza nominarlo, parlando di un "grande vecchio" che opera a Parigi "per il partito armato". Intanto le divisioni interne alle "BR" si acuiscono sempre più, e la "base" di Milano boccia la pubblicazione di un comunicato proposto dalla leadership di Moretti, totalmente critico e ostile ai sindacati, al PCI e persino alle nuove tecnologie introdotte in fabbrica (documento per certi versi antesignano di tesi neo-luddiste sposate negli anni recenti da un Curcio post-carcere che farebbero impallidire persino Ted Kaczynski), mentre non viene fatta nessuna menzione della DC o dei partiti di destra. Critiche arrivano anche da parte dei carcerati, per motivi "tecnici" in merito a possibili infiltrazioni (fallimentari e perlopiù assenti, come si è già dimostrato) all'interno delle fabbriche: i carcerati vorrebbero costruire organismi autonomi, mentre Moretti vorrebbe delle "sotto-BR". Moretti vede le contestazioni come frutto di una mentalità troppo vicina al PCI, la sua ossessione anticomunista giovanile riemerge, i suoi attacchi al PCI non sono più sulla base di presunte critiche ideologiche al revisionismo, ma sono attacchi al PCI in quanto tale, attacchi che tradiscono un pregiudizio genericamente anticomunista.

Altre contestazioni invece asseriscono che Moretti sarebbe stato fin troppo legato alla "mafia romana", cioè alla banda camorristico-neofascista della magliana vicina anche alla P2, responsabile del già citato "falso comunicato" del rapimento di Moro (redatto da un certo Toni Chichiarelli, criminale e falsario che fu trovato, al momento dell'arresto, in possesso di una fotografia polaroid di Moro nella "prigione" dei terroristi, circostanza misteriosamente mai chiarita). Le contestazioni assumono toni da turpiloquio e da vernacolo, e la "Colonna Walter Alasia" dichiara la scissione, prendendo il pieno controllo delle basi terroristiche a Milano, nel Luglio 1980. Nonostante vengano tentate delle operazioni di "pacificazione", la scissione è insanabile, e il tentativo di creare una nuova "colonna" fedele a Moretti, a Milano, falliscono miseramente. Per evitare una situazione analoga col "nucleo storico" in carcere, che equivarrebbe ad una "scomunica" imbarazzante, Moretti cerca di ricucire i rapporti con operazioni di sequestro di magistrati e ufficiali penitenziari. Il più "pesante" di questi sequestri, quello di Giovanni D'Urso, alto funzionario del Minstero di Grazia e Giustizia preposto all'organizzazione delle carceri, avvenuto il 12 Dicembre 1980 a Roma, sembra riportare l'Italia nel clima dei sequestri Sossi e Moro: si formano ancora una volta una "linea della fermezza" (PCI e PRI) e una "linea umanitaria" (PSI craxiano e Radicali di Pannella), mentre la DC assume in questo caso una posizione intermedia. Il PSI craxiano, creatura piduista, forte dei suoi nuovi sostegni economici impone la sua linea, minacciando di sfiduciare il governo: l'Asinara viene smantellata a seguito della già citata rivolta capeggiata da Curcio e in cambio della pubblicazione di comunicati del gruppo terrorista contrari alla carcerazione di massa (altro punto disgustoso che la "nuova sinistra" ha oggi ormai fatto suo) il magistrato D'Urso viene liberato. I comunicati vengono pubblicati su tutti i canali e da tutti i partiti, con la sola eccezione del PCI che denuncia la cessione dello stato di fronte ai terroristi. D'Urso viene liberato e viene trovato vivo, incatenato, all'interno di una FIAT 128 parcheggiata a poca distanza dal Ministero di Grazia e Giustizia.

Il sequestro di D'Urso fa emergere ancora una volta la vera natura neofascista e filo-capitalista delle "BR"; coloro che due anni prima attaccavano e ne dicevano di pesti e corna dei giornali di tutti gli orientamenti politici come "servi del sistema", in quel momento facevano pubblicare senza troppi problemi le proprie dichiarazioni, e addirittura una "autointervista" sull'Espresso del sequestrato. Anche l'inerzia delle forze dell'ordine e della politica, entrambe ormai in quel momento, come storicamente appurato, sotto il pieno controllo della loggia P2, dimostra la vera natura dei rapporti tra le bande armate "BR" e le forze politiche del capitalismo della Prima Repubblica Italiana. In sostanza il sequestro D'Urso pare aver avvantaggiato solo il PSI anticomunista di Craxi, che riesce finalmente ad avere un'opinione pubblica favorevole in quanto "partito umanitario" nelle trattative coi terroristi, nonostante l'unica "concessione" fatta, la demolizione del carcere dell'Asinara, fosse una decisione già presa autonomamente dalla direzione del carcere sardo. Una piccola curiosità riguardante l'operazione del "sequestro D'Urso" è data dalla costante di attacchi da parte dei terroristi al dirigente del PCI Ugo Pecchioli, in passato bersaglio anche del trotskista, poi collaboratore di Sogno, Luigi Cavallo. Un'ulteriore "trasformazione", o meglio "rivelazione", delle "BR" e della loro natura neofascista e camorrista è data dall'assassinio di un fratello dell'ex brigatista, poi pentito, Patrizio Peci.

Tutto ciò non riuscirà comunque a porre fine alle scissioni delle "BR", che da quel momento si divideranno in due tronconi: le "BR-Partito Comunista Combattente", strutturate sulla linea di Moretti e costituite di quasi tutte le "colonne" delle principali città, e le "BR-Partito Guerriglia", orientate sulla linea "movimentista", col supporto della "colonna" napoletana e di tutti i carcerati. A dispetto delle "divisioni" pseudo-ideologiche, entrambi i "tronconi" terroristi sono strutturati alla stessa maniera: struttura centralista e verticista, dall'alto verso il basso, con colonne e fronti, ed entrambi i "tronconi" faranno ugualmente ricorso ad assassini, sparatorie, sequestri e rapine, entrambe tattiche tutt'altro che tipiche di un "partito d'avanguardia" come inteso da Lenin[68].

L'arresto di Moretti

Il declino dell'organizzazione terroristica, ormai scesa in un vortice di scissioni e costituita non più dagli originali agenti neofascisti infiltratisi sin da subito nella sua creazione, ma da in buona parte una "nuova generazione" di ragazzini borghesi sinistrati, in tutto e per tutto figli delle ideologie anarco-trotskiste sessantottine, coincide con la fine della "protezione" del suo capo nonché principale attore dietro il sequestro di Moro. A seguito, infatti, di un'intervista del Generale Dalla Chiesa ad Enzo Biagi il 12 febbraio 1981, in cui afferma che Moretti sarebbe "in difficoltà", avviene il suo arresto, il 5 Aprile 1981: la fine della sua latitanza è stata quindi preceduta da una sorta di "avviso". Il capo delle "BR" viene arrestato nei pressi della stazione centrale di Milano, insieme ad un suo "collega", tale Enrico Fenzi, a seguito di una denuncia da parte di un "aspirante" piccolo criminale. Fenzi dichiarerà in aula che tale arresto è avvenuto perché ormai le "BR" erano di fatto decadute, e la "scissione" della cosiddetta "Colonna Walter Alasia" aveva decretato la fine definitiva della loro operatività[69].

"Ergastoli" momentanei e protezioni per gli ex capi terroristi

L'arresto di Moretti e la decadenza della sua organizzazione terroristica sembrano coincidere con lo scandalo della P2 in cui sono coinvolti i servizi di sicurezza italiani: vengono fuori gli elenchi, anche se in parte "purgati", delle affiliazioni alla P2. Ne fanno parte non solo membri della criminalità organizzata e uomini vicini al terrorismo, ma anche politici, banchieri, giornalisti, generali, agenti di polizia e dei carabinieri, dei servizi segreti, tutti ufficiali che complottarono contro lo stato cui in teoria avevano giurato fedeltà quando assunsero le loro funzioni. Tra gli affiliati c'è anche l'ex capo della centrale della CIA di Roma, tale Randolph Stone, e in merito ai legami tra CIA e la loggia massonica P2 un certo Richard Brenneke, ex collaboratore dei servizi segreti statunitensi, dichiarerà con assoluta certezza che il "maestro venerabile" della loggia massonica P2, Licio Gelli, fosse prezzolato direttamente dalla CIA, e che la loggia P2 altro non era che il capitolo italiano di una superloggia occulta massonica mondiale. Secondo Brenneke, i finanziamenti alla loggia P2 sarebbero giunti tramite società azionarie con conti bancari situati in Svizzera o nel principato del Liechtenstein. Il Conte Sogno è interrogato nel mezzo delle indagini, e viene emanato un mandato di cattura per il suo sodale, ex capo dell'organizzazione trotskista finanziata dall'OVRA e dalla Gestapo, poi infiltrato della CIA nel PCI, Luigi Cavallo, che però nel frattempo ha già potuto espatriare in Francia. Ma ciò ha poca importanza, lo scopo della loggia P2 è stato raggiunto, l'avanzata del PCI, seppur riformista e "moderato" di Berlinguer, è stata fermata, la "solidarietà nazionale" è ormai un cadavere impossibile da riesumare, e quindi qualsiasi processo sulla P2, per quanto "edulcorato" e "amputato" da subito per impedire implicazioni di troppi pezzi grossi (lo stesso Gelli espatrierà in Argentina e tornerà in Italia solo negli anni 90), non solleverà nessun polverone, causando però la curiosa ostilità di Craxi, in quel momento "primo uomo" del paese in quanto Presidente del Consiglio. Analogamente alla liquidazione della loggia P2, ormai inutile, avviene la liquidazione dei terroristi, sia neri (responsabili delle stragi di Piazza Fontana e della stazione di Bologna, tra i tanti crimini) che "rossi" (responsabili del rapimento di Moro, dell'assassinio di Calabresi e della distruzione della reputazione dei "comunisti" in Italia). Il 2 Luglio 1981, nel carcere di Cuneo in cui Moretti è imprigionato in attesa di processo, in quel momento condannato soltanto a 8 anni per cospirazione e costituzione di banda armata, questi è vittima di un "avvertimento", quando viene ferito con un coltello rudimentale da tale Salvador Farre Figueras, criminale comune, assassino pluriomicida. Figueras avrebbe potuto facilmente uccidere Moretti, ma come affermò lui stesso il suo scopo era solo quello di "spaventarlo". Tale aggressione è inspiegabile se si prendono in considerazione solo le "ricostruzioni ufficiali", in quanto nessuno dei due si è mai conosciuto, sono totalmente estranei e appartengono a mondi totalmente diversi. Andando a scavare meglio nel passato da carcerato di Figueras, si può notare come questo signore sia già stato colpevole di un omicidio in carcere, quando nella prigione delle "Nuove" di Torino assassina il terrorista Salvatore Cinieri, attivo nell'organizzazione di terroristi "rossi" Azione Rivoluzionaria, in cui era presente, e fu arrestato insieme a lui nel 1977, tale Vito Messana, ex militante del PCI, infiltrato dal SID sin dagli anni 60 in un più ampio piano, in buona parte già approfondito, di sovversione anticomunista "da sinistra". Vito Messana è una figura da tenere a mente, in quanto formerà una società informatica, la "Lombardia Informatica SPA", in cui lavorerà poi Moretti durante la sua futura "semi-libertà". L'"avvertimento" che subisce Moretti, unito alla caduta di entrambi i "tronconi" delle "BR" e all'arresto (e pentimento) del suo "successore" come capo dell'organizzazione terroristica, Antonio Savasta, insieme a tutti gli altri brigatisti sia delle "BR-Partito Comunista Combattente" che delle "BR-Partito Guerriglia", fa pensare all'ex capo terrorista alla necessità di appoggiarsi ai suoi storici agganci, ossia i mandanti per cui ha sempre agito come mero esecutore, e di fornire delle "ricostruzioni ufficiali", approfittando delle dichiarazioni limitate e circostanziali che furono rilasciate fino ad allora, che escludevano qualsiasi dichiarazione sui (comprovati e inoppugnabili) legami internazionali delle "BR" e dei terroristi "rossi" con le agenzie delle intelligence atlantiste e con gli infiltrati neofascisti. Il 14 Aprile 1982 avviene il processo sugli avvenimenti della strage di Via Fani e del rapimento di Aldo Moro, a ormai 4 anni dagli avvenimenti. Sono imputati 63 terroristi, di cui 9 latitanti, poi ridotti a 4 al momento della sentenza vera e propria, e gli imputati fanno una richiesta "originale", chiedono l'"autodeterminazione" della loro dislocazione nelle varie gabbie: vengono così dislocati in modo abbastanza "curioso" tutti gli imputati del maxi-processo. Lo stesso Moretti, insieme ad altri suoi "colleghi" terroristi, fa delle dichiarazioni allusive alla stampa, i terroristi asseriscono che "loro" non vogliono che il processo avvenga con gli imputati presenti in aula, perché hanno "paura" della verità: un ricatto alle autorità politiche (destra DC e statunitense) e ai vertici occulti (servizi segreti, loggia P2) che furono i mandanti dell'assassinio di Moro in cambio di garanzie, in pratica. Il 28 Aprile 1982 la corte consente agli imputati di potersi difendere nelle località a loro più gradite dell'aula del processo, e le divisioni interne all'organizzazione terroristica, figlie della sua natura reazionaria, neofascista e di subprodotto della borghesia cui la stragrande maggioranza di essi tornerà a rifugiarsi a seguito dell'"amnistia" approfondita nei paragrafi successivi, si manifestano: nella prima gabbia sono presenti i pentiti, nella seconda i dissociati (ossia coloro che hanno chiesto di farsi considerare come pentiti pur non fornendo dichiarazioni agli inquirenti per trovare altri ricercati), nella terza gli aderenti al "troncone" del "Partito Guerriglia", nella quarta gli aderenti al "troncone" dei fedelissimi di Moretti ("Partito Comunista Combattente"), nella quinta i futuri dissociati (la coppia Morucci e Faranda tra tutti) e nella sesta alcuni "cadetti" terroristi di "rango inferiore" che decidono di difendersi autonomamente. Vi è un'ulteriore divisione interna agli stessi responsabili diretti del rapimento di Moro, che contestano anch'essi Moretti, il "troncone" "BR-PCC" sembra essere ormai di fatto inattivo e disciolto, con buona parte dei suoi membri in carcere, e questi dichiarano quindi una "pausa di riflessione" o "ritirata strategica", che altro non è che una giustificazione ideologica per le future azioni di "disinformazione" da parte dei terroristi (e dei loro mandanti, come il fu capo di Gladio e presidente della repubblica Francesco Cossiga) che verranno a breve approfondite. In questo momento storico pare che l'"egemonia" dei "brigatisti" sia in mano al "troncone" "BR-PG", ideologicamente vicino, e appoggiato pubblicamente, da Curcio e Franceschini (ed è interessante notare come, sebbene questi due si siano sempre dichiarati contrari al sequestro Moro e ne siano stati fattivamente estranei, ora avallino le azioni, nella prassi in tutto e per tutto identiche al delitto di Aldo Moro, di "brigatisti" del tutto disinteressati alla loro "libertà"). In questo periodo, stando alle testimonianze di altri brigatisti, tra cui Franceschini, Moretti in questo periodo avrebbe avuto una specie di "crisi mistica", si sarebbe ritirato in una cella di isolamento, avrebbe parlato con i giudici istruttori del processo, sebbene nei verbali (altro "mistero") non risulti. Tutti i brigatisti imputati, delle varie "fazioni", rilasciano via via dei documenti in cui dichiarano implicitamente come terminata l'esperienza delle cosiddette "BR", incluso il gruppo dei fedelissimi di Moretti, e, a dispetto delle dichiarazioni di Moretti di voler "dare una nostra verità", questa altro non è stata che una lettera morta, una evidente minaccia o ricatto ai suoi mandanti e protettori. Il processo sul rapimento di Aldo Moro avviene nel misterioso silenzio di buona parte dei brigatisti, a eccezion fatta dei pentiti e di qualche dissociato, e si conclude il 24 Gennaio 1983 a Roma con la condanna all'ergastolo, cioè alla carcerazione a vita, fine pena mai, di Moretti e di altri 31 capi terroristi. Il processo, che fornisce una ricostruzione parziale, lascia comunque molte ombre, gli inquirenti identificano erroneamente Gallinari, e non Moretti, come l'esecutore materiale di Moro, nonostante lo stesso avvocato di Aldo Moro, Giuseppe Ruggero, che interviene in difesa del figlio di Aldo Moro, Giovanni, costituitosi parte civile, abbia dichiarato più volte la chiara ed evidente responsabilità di Moretti a partire dal 1975, tre anni prima del rapimento e poi dell'assassinio di Moro. Proseguono i processi ai brigatisti, a Genova c'è il maxi-processo per i 6 omicidi del gruppo terroristico "BR" avvenuti dal 1970 al 1980. Tra gli imputati c'è Moretti, che in una dichiarazione "ambigua" rilascia ulteriori minacce velate di continuazione della "lotta armata" (locuzione disinformativa con cui viene identificato quello che invece fu il terrorismo attuato dai "brigatisti", come viene approfondito in seguito) in un imprecisato "domani", dimostrando ancora una volta la vera natura di "ricatto" presso i suoi agganci e mandanti come parte della cosiddetta "ritirata strategica". Il 23 Febbraio 1983 il tribunale di Genova decreta la condanna ad ergastolo di dieci degli imputati, tra cui Moretti (che è in questo momento a quota 2 ergastoli), che viene definito in una sentenza abbastanza umiliante per l'imputato come l'indubbio numero uno per un'intera generazione di terroristi, il cui apice della "carriera" fu toccato con il sequestro e l'"interrogatorio" di Moro, e il cui punto più basso fu la cattura per mezzo della delazione di un piccolissimo criminale, come un ladro di polli. Moretti viene poi menzionato in una relazione in merito al ritrovamento di un valico segreto di confine tra l'Italia e la Francia in cui i terroristi passavano le armi e i contatti con altre organizzazioni, tra cui l'organizzazione terrorista francese "Action Directe". A metà Aprile, a Torino, avviene il processo per gli omicidi, tentati omicidi, "gambizzazioni" e sequestri commessi nella città dal 1973 al 1980, e anche qui la sentenza si conclude con il terzo ergastolo per Moretti. Il troncone "BR-PCC", nonostante gli arresti dei suoi principali capi, riesce in buona parte ad arrancare negli anni successivi, grazie ai contatti che vengono mantenuti con Parigi (e quindi con Simioni e Hyperion) ed è presente una piccola "colonna" di esuli brigatisti a soccorso che rilanciano anche sporadiche "campagne militari" contro i sindacati e il PCI. Nel medesimo periodo si assiste al declino vero e proprio del terrorismo in Italia, in tutte le sue "salse", con diversi pentimenti, testimonianze, ricostruzioni, ma anche future "prescrizioni" e di fatto amnistie o assoluzioni. Per quanto riguarda i terroristi "rossi", nello specifico, la "Colonna Walter Alasia" e il troncone del "Partito Guerriglia" vengono definitivamente liquidati a seguito di una serie di arresti. Ai primi di Ottobre 1983 la politica borghese inizia a intenerirsi sempre di più nei confronti dei "temibili terroristi nemici dello stato", Edo Ronchi, deputato di Democrazia Proletaria, visita la prigione sarda di Bad e Carros, vicino Nuoro, dove incontra anche Moretti e ne traccia un ritratto a tratti simpatizzante e "umano". Nonostante molte delle verità sul delitto Moro non sono ancora state rivelate, e nonostante il complice e "sospetto" silenzio dei brigatisti, Moretti incluso, da parte della classe politica c'è già chi parla delle "amnistie" previste da Mino Pecorelli nel 1978, in particolare il PSI craxiano fa leva sul Caso Moro nel suo antagonismo con la DC andreottiana. Nel già citato carcere di Bad e Carros avviene una rivolta carceraria, o meglio una protesta per tramite dello sciopero della fame, a cui partecipa anche Franceschini (una "lotta" non troppo dissimile da quella avvenuta in tempi più recenti dal terrorista anarcoide, che aveva attuato pratiche simili a quelle dei "brigatisti", Alfredo Cospito contro la misura di detenzione di isolamento per i super-criminali, camorristi e terroristi del 41 bis). Moretti, pur condividendo le istanze della protesta, è contrario alla prassi di tipo gandhiano, dichiarando che i suoi ex-colleghi terroristi si starebbero svendendo "per un piatto di lenticchie". L'11 Giugno 1984 muore Berlinguer, e sull'ondata di genuina commozione il PCI alle elezioni europee che avvengono sei giorni dopo supera per la prima volta la DC, il PSI e gli altri partiti italiani. Questo risultato altro non fu che la commozione per il "padre amorevole" che fu Berlinguer agli occhi di molti, comunisti e non, ma il PCI, complici sia gli errori della linea revisionista di Berlinguer che le operazioni psicologiche della "strategia della tensione", degli "opposti estremismi" e la pietra tombale del sequestro di Moro che ha posto fine alla "solidarietà nazionale", è ormai un'ombra del partito di massa che era nell'immediato dopoguerra, e le residue contraddizioni al suo interno saranno orientate di fatto solo sul mantenimento o meno del nome "comunista" in un partito che ormai non ha più programmi, strategie o idee. Che il PCI sia visto come un partito "ombra" ormai innocuo è cosa condivisa da tutti i vertici atlantici, dagli anticomunisti di ferro come il cripto-fascista Conte Sogno e da tutti i suoi compari "ex" piduisti; il Conte anticomunista arriva persino a pubblicare degli articoli di opinionismo sull'Avanti, il quotidiano del PSI ormai nettamente in mano a Craxi. Il terrorismo, sia nero che "rosso", è ormai solo residuale e circoscritto a pochi esaltati che credono genuinamente e ingenuamente alle menzogne e alla disinformazione prodotta da Gladio negli anni 60 e 70, e questi saranno poi i costituendi sia dei piccoli "partitini" neofascisti come Fiamma Tricolore o Forza Nuova che delle "nuove BR" o dei gruppuscoli anarcoidi e trotskisti che tutt'oggi, a dispetto di proclami roboanti e pseudo-rivoluzionari, finiscono sempre per chiudersi in un eterno ballottaggio per il "centro-sinistra" per "arginare le destre". Le contraddizioni interne al nuovo governo di coalizione anticomunista, in cui la DC, seppur presente e seppur egemone nel paese, risulta essere ormai un "socio di minoranza" rispetto al nuovo PSI craxiano e anticomunista, portano la coppia Morucci e Faranda a pubblicare un "memoriale" che confeziona una pseudo-verità a cui si adatteranno comodamente sia Moretti che i membri della classe politica che all'epoca furono i più coinvolti all'interno delle vicende dell'assassinio di Moro, una pseudo-verità in buona parte già smentita, forte delle fonti dei fatti dell'epoca e delle ricostruzioni effettuate da Flamigni e da altri, in questa voce. Lo stesso Moretti sembra inizialmente non approvare questa pseudo-verità confezionata ad arte, ma si ritroverà poi egli stesso a sostenerla e ad avallarla. Intanto a Genova viene confermato l'ergastolo a Moretti (in questo momento a quota 3 ergastoli, fine pena mai) e viene condannato all'ergastolo anche Morucci, inizialmente assolto. Viene rilasciato un documento di protesta da parte dei detenuti a Rebibbia, in cui affermano l'ergastolo come una pena "inumana" che priverebbe del "diritto alla vita" e "alla speranza". È ironico che tra i firmatari di questa "mozione" vi sia Moretti, che per anni ha di sua mano compiuto una vera e propria carneficina noncurante del "diritto alla vita" delle sue vittime, ed è ironico che la vicenda si sia ripetuta ai nostri giorni col già brevemente menzionato caso di Cospito, o con individui come Toni Negri o Sergio D'Elia, anche loro ex terroristi "rossi" divenuti poi militanti del partito sionista e liberale dei Radicali di Pannella. Intanto Moretti rilascia un'intervista, la prima, all'Espresso, il 2 Dicembre 1984, in cui inizia ad avallare le menzogne ormai comunemente accettate sia dalla classe politica borghese che dagli altri ex brigatisti, secondo cui Moro sarebbe stato un "bersaglio casuale" e l'operazione sarebbe stata "autonoma", "genuina" e "senza eterodirezioni", e inizia a definire la sua opera di sanguinario terrorismo neofascista con l'infame e menzognera locuzione di "lotta armata", che avrebbe "fallito". Questa prima intervista è seguita da una risposta da parte di tale Carlo Bozzo, brigatista genovese pentito, che chiede polemicamente al Moretti se questi avesse mentito prima o se stesse mentendo in quel momento, chiedendosi se già all'epoca dei fatti non vi fosse una "verità ufficiale" preconfezionata per l'opinione pubblica, per coprire la realtà dei fatti; tale documento è la prima delle tante dimostrazioni della falsità della "ricostruzione ufficiale" avallata da Morucci, Moretti, Curcio, Cossiga e altri attori coinvolti, direttamente e indirettamente, nella vicenda[70].

"Amnistia" di fatto e reintegro in sordina dei terroristi nella società

Ii terroristi delle Brigate Rosse negli anni '80 vennero reintegrati nella società grazie ad una controversa strategia politica che ne ha permesso il rilascio in alcuni casi. Un aspetto centrale è la divisione all'interno delle stesse Brigate Rosse, tra la fazione BR-PCC (Partito Comunista Combattente) e BR-UCC (Unione dei Comunisti Combattenti), con la prima che rimase più fedele alla linea originale, mentre la seconda si orientò verso posizioni più critiche e scissioniste. Un esempio emblematico di questa spaccatura è rappresentato dall'assassinio di Ezio Tarantelli nel 1985 da parte delle BR-PCC, e l'attentato fallito contro Antonio Da Empoli, orchestrato dalle BR-UCC. Mario Moretti, leader delle BR, era una figura ambigua e potente, in grado di mantenere il controllo nonostante i numerosi ergastoli inflittigli. Durante gli anni '80, molti brigatisti dissociati o pentiti ottennero sconti di pena, mentre Moretti riuscì a trovare un compromesso per uscire di prigione senza né dissociarsi né pentirsi, con il supporto di alcuni membri della Democrazia Cristiana (DC). Moretti e altri terroristi sostennero una "quarta posizione" che prevedeva una soluzione politica al terrorismo, cercando di evitare il processo giudiziario e privilegiando il dibattito giornalistico e politico.

Uno degli episodi più significativi di quegli anni fu l'assassinio di Roberto Ruffilli nel 1988, considerato l'ultimo grande atto terroristico delle Brigate Rosse. Questo evento, insieme a una serie di operazioni di polizia, portò allo smantellamento delle BR-PCC. Tuttavia, la persistenza di un substrato ideologico legato al terrorismo rosso lasciò aperta la porta alla resurrezione dell'organizzazione negli anni successivi, in forme mutate e distanti dalle origini. Vi fu inoltre un coinvolgimento di diverse forze politiche nell'ambito delle trattative per il rilascio dei brigatisti, con accuse di connivenza tra la DC e i terroristi stessi. Un ruolo importante fu giocato dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, sostenitore di una "verità di Stato" che avrebbe coperto i veri mandanti del terrorismo, compresi esponenti dell'organizzazione segreta Gladio e della CIA. Cossiga, a capo del Ministero dell'Interno durante il rapimento di Aldo Moro, avrebbe avuto interesse a mantenere una versione ufficiale degli eventi che proteggesse l'establishment politico dell'epoca.

Il ritrovamento del memoriale di Moro nel 1990 fece emergere ulteriori dettagli compromettenti sui legami tra la politica italiana e le agenzie di intelligence straniere. Le rivelazioni inclusero finanziamenti illeciti alla Democrazia Cristiana e altre manovre politiche legate a scandali come quello della Lockheed. Questi eventi contribuirono a delineare un quadro oscuro di collusioni tra politica, terrorismo e poteri occulti, che continuò a influenzare l'opinione pubblica italiana per molti anni.[71].

Scarcerazione "progressiva" di Moretti

A Novembre 1992 la scarcerazione dell'ergastolano Moretti ha inizio con un drastico cambiamento nelle condizioni della sua prigonia, viene introdotta nel carcere di Opera la compagnia informatica Lombardia Informatica SPA, che allestisce un laboratorio informatico frequentato dai carcerati, tra cui Moretti, che inizia a lavorare per la compagnia con tanto di stipendio, il cui vicepresidente è l'ex parlamentare DC Alberto Garrocchio, e tra i fondatori vi è il già citato ex terrorista "rosso" Vito Messana[72][73]. Il 23 Gennaio 1993, dopo solo 12 anni di detenzione e condannato a quota 6 ergastoli, Moretti ottiene un permesso premio di 4 giorni a Milano, accordato in base alla legge Gozzini. Risulta curioso che un presunto "sovversivo e lottatore armato", pericolosissimo e quindi da tenere logicamente in carcere vita natural durante, abbia la possibilità di uscire e fare quello che vuole, per di più dopo una condanna a 6 ergastoli. Questa notizia, che passa in buona parte in sordina, non viene accolta bene da Ileana Leonardi, vedova del maresciallo Oreste, capo della scorta di Moro, assassinato nell'agguato di Via Fani, che si dichiara presa in giro. Per Maria Fida Moro, figlia di Aldo Moro, lo stato italiano, o almeno parte di esso (la parte più marcia, reazionaria e repressiva), è "debitore" del capo terrorista e dei terroristi in generale. Anche la vedova del colonnello dei carabinieri Emanuele Tuttobene, ucciso in un agguato a Genova il 1980, parte degli attacchi delle "BR" alle forze di polizia per prevenire una "democratizzazione" di esse, esprime le sue perplessità, e il legale della famiglia Moro, l'avvocato Nino Marrazzita, è perplesso dalla distinzione tra "terroristi buoni e terroristi cattivi" fatta dallo stato italiano. L'ex commissario di polizia Ettore Filippi, capo della squadra mobile di Pavia che arrestò Moretti nel 1981, esprime la sua indignazione per vedere come un arresto che gli sarebbe "costato la carriera" e gli avrebbe procurato delle "ritorsioni" (non è precisato da chi, ma si può bene intuire). I permessi premio a Moretti sono parte in realtà di una più ampia e graduale "amnistia in sordina" a tutti i terroristi, neri e "rossi", come "ricompensa" per il lavoro di guerra psicologica svolto che ha rafforzato i gangli più repressivi del capitalismo e dell'atlantismo in Italia, e le polemiche seguenti alla sua prima uscita dal carcere non lo turbano: gira liberamente per Milano, risponde ad interviste, parla con giornalisti, si incontra con la sua ex compagna Paola Besuschio, con il direttore della già citata casa editrice di fatto dell'Opus Dei, tale Cesare Cavalleri, con cui concorda anche di scrivere un articolo per la rivista mensile "Studi Cattolici". Questi incontri avvengono in coincidenza con la prossima pubblicazione dell'agiografia del Conte Sogno[74].

Scarcerazione di tutti i capi del "nucleo storico"

Moretti non è il solo a godere di permessi premio e della libertà. Curcio, che rispetto a Moretti ha le mani meno sporche di sangue, non essendo stato neanche coinvolto nel caso Moro, esce di galera il 7 Aprile 1993, giorno in cui gli viene garantita la semilibertà, e nel medesimo giorno rilascia un'intervista ai diversi giornalisti, dichiarando anch'egli la "genuinità" delle "BR" (sebbene un anno prima sia stato rivelato che egli stesso è un infiltrato neofascista, ndr)[75]. Il clima di Mani Pulite e la voglia di "giustizialismo" dell'opinione pubblica, e la liquidazione quindi della classe dirigente primorepubblicana, ormai inutile ai vertici atlantisti, impediscono una "amnistia generale", quindi i permessi premio e le semi-libertà altro non sono che una misura di mezzo in attesa di "tempi migliori" in cui attuare in sordina le liberazioni dei capi terroristi, sia neri che "rossi". Due giorni dopo la semi-libertà di Curcio, Moretti ottiene un secondo permesso premio, per poter passare le vacanze pasquali fuori dal carcere di Opera. Per poter accelerare i tempi e poter arrivare alla libertà definitiva, Moretti decide quindi nell'estate del 1993 di rilasciare un'intervista eccessivamente compiacente alle giornaliste del giornale trotskista "Il Manifesto", Rossana Rossanda e Carla Mosca. Oltre a descriversi mistificando la propria vita con menzogne che sono state dimostrate essere quello che sono, menzogne, sin dai primi paragrafi di questa pagina, Moretti assume il momentaneo ruolo di "pentito" per dare un ulteriore contentino alla magistratura, e fa il nome di Rita Algranati come decimo membro dell'operazione di sequestro avvenuta in Via Fani nel 1978. Oltre al nome di Algranati, Moretti fa il nome anche del marito, il già citato Alessio Casimirri, uomo vicino alla curia vaticana, figlio di un diplomatico della Santa Sede, attualmente residente in una casa-ristorante, una vera e propria fortezza con tanto di torri di guardia e personale armato degna del peggior boss latinoamericano del narcotraffico, in Nicaragua, con una sezione eretta a mausoleo della sua carriera di uomo vicino al Vaticano e fedele di Santa Romana Chiesa (senza invece alcuna menzione del suo passato da "brigatista"), ristorante visitato dalla troupe giornalistica delle Iene nel 2019, che però non ha avuto la possibilità di incontrare il titolare, prontamente "assente" quel giorno, per essere poi "invitata" ad andarsene[76]; Casimirri, degli uomini coinvolti nel rapimento di Moro, è l'unico che, forte delle sue connessioni col Vaticano (connessioni che ebbero anche molti gerarchi nazi-fascisti alla fine della guerra) non ha mai scontato un giorno di galera. La Algranati fu menzionata anche da Morucci insieme al marito Alessio Casimirri, che avrebbe "bloccato il traffico" insieme ad Alvaro Loiacono, anch'egli ad oggi latitante in Svizzera, anch'egli protagonista di un servizio delle Iene, qualche anno di carcere se l'è fatto in Svizzera (meta rivoluzionaria e non sede dei conti bancari segreti della peggior borghesia monopolistica e criminale), e, godendo della cittadinanza svizzera ereditata dalla madre, ha rinunciato alla cittadinanza italiana, approfittando di un cavillo secondo cui le autorità elvetiche non possono estradare connazionali[77].

Un ulteriore scopo di Moretti è quello di avallare la "ricostruzione ufficiale" di Morucci, e in ultima istanza, quello di "salvare" l'amico Prospero Gallinari, ingiustamente condannato come "esecutore materiale" di Moro, che per motivi di salute sta per essere scarcerato se non fosse per quest'ultimo capo di imputazione a suo carico, ammettendo quindi, dopo ormai 15 anni dai fatti di essere stato lui il vero assassino materiale di Moro. Viene pubblicato il libro intervista, dal titolo "Brigate Rosse, Una Storia Italiana", da parte di una casa editrice chiamata Anabasi, gestita dall'ex Superclan (l'organizzazione di Simioni parallela alle BR), quindi uomo coinvolto nei fatti, Sandro D'Alessandro. Un'altra opera di intervista agiografica e mistificazione viene pubblicata per tramite di una seconda giornalista de "Il Manifesto", Paola Tavella, che intervista Anna Laura Braghetti, anche qui allo scopo di dimostrare la "genuinità" delle "BR", il libro si intitola "Il Prigioniero", e parla della "verità" sulla prigionia di Moro, pubblicato per la prima volta nel Marzo 1998 da Mondadori, casa editrice dell'ex P2 nonché nuovo proprietario della villa dei Casati Stampa, antichi "protettori" di Moretti, Silvio Berlusconi. I colloqui vengono registrati e trascritti, e probabilmente vengono registrati anche dai servizi segreti, che informano quindi Morucci, che si affretta a "correggere" la sua versione confermando anche lui la presenza di Rita Algranati e di un "quarto uomo", cioè di Germano Maccari, che viene di lì a poco arrestato grazie alle rivelazioni di Moretti. Nonostante Moretti neghi di aver palesemente fatto lo spione su Maccari, addirittura affermando che la magistratura sapesse già di un "quarto uomo", questa novità viene confermata poi anche da Adriana Faranda ai magistrati il 21 Ottobre, e ammette che a sparare a Moro non fu Gallinari, ma furono Moretti e Maccari. Sandro Acciari, giornalista di varie testate, tra cui il giornale Paese Sera, vicino al PCI, commenta sul Corriere della Sera del 22 Ottobre 1993 quella "litania" della "verità" ufficialmente accettata fino a pochi anni fa, e come questa stia venendo smentita in parte dagli stessi ex terroristi, che nel turbine delle continue menzogne e contraddizioni dimostrano soltanto quanto il caso Moro sia pieno di equivoci e ombre. Malgrado le nuove rivelazioni, Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo, dichiara alla Stampa il 24 Ottobre 1993 che a suo dire i brigatisti mentono, e che è improbabile che suo fratello sia stato tenuto prigioniero nello stesso posto per 55 giorni. Dubbi colpiscono anche Franceschini, che ritiene che vi sia una regia che vuole divulgare una "verità di comodo" per tutti gli attori coinvolti.

Vengono a sapersi le nuove libertà e privilegi dell'ex capo brigatista e assassino di Moro, dai suoi 15 giorni trascorsi fuori dal carcere in permessi premio nel 1993 al suo stipendio da parte della regione Lombardia come impiegato della Lombardia Informatica SPA, tanto che un consigliere regionale missino chiede la sospensione dello stipendio, che viene respinta[72]. Anche Francesco Fonti, pentito della Ndrangheta, in una sua testimonianza all'Espresso del 22 Settembre 2009 testimonierà, in un incontro avvenuto con Moretti in carcere, come questi stesso gli abbia rivelato di percepire uno stipendio dal ministero dell'Interno, ufficialmente come insegnante di informatica[73].

Il 1 Maggio 1994 Prospero Gallinari è libero per motivi di salute, e morirà nel 2013 nella sua casa di Reggio Emilia; il suo funerale sarà celebrato da militanti del partito "comunista" nato dall'unione dei residui dei rimasugli revisionisti del PCI berlingueriano e delle organizzazioni trotskiste di ultrasinistra degli anni 70, Rifondazione Comunista. L'11 Giugno l'ormai reo confesso assassino di Moro ottiene un altro permesso premio e partecipa alla prima alla Scala di Milano del Rigoletto di Verdi, diretto da Riccardo Muti, un evento da ricchi, mondano, borghese, cui prende parte vestito di una cravatta regimental abbinata a un completo color grigio-perla. Intanto Maccari nega dal carcere di Rebibbia qualsiasi coinvolgimento nel delitto Moro, per poi ammetterlo poco dopo[78].

Il ruolo della "Seconda Repubblica" di Berlusconi nella "riconciliazione nazionale"

La "Seconda Repubblica" di Berlusconi prende piede a metà degli anni 90, le inchieste di Mani Pulite, usate abilmente dagli atlantisti per provocare un genuino sdegno da usare per giustificare la liquidazione degli "alfieri" primorepubblicani Craxi (costretto all'esilio) e Andreotti (costretto in un silenzio da privato cittadino), ormai attrezzi usati dalla borghesia e dagli imperialisti, sono ormai taciute e liquidate a loro volta. In nome della "riconciliazione nazionale" tra fascisti e antifascisti avviene una cerimonia sull'Altare della Patria, dinanzi al Milite Ignoto, a Roma, il 26 Aprile 1995, nel pieno governo Berlusconi I, a cui partecipa anche Edgardo Sogno, uomo indirettamente legato ai Casati Stampa, che incontra Cesare Previti, avvocato di Berlusconi e anch'egli piduista e amico e collaboratore dei Casati Stampa, la cui villa di Arcore ha poi ceduto abilmente a Berlusconi. Lo stesso Sogno si candiderà tramite Alleanza Nazionale, nuovo nome dei neofascisti che mollano la sigla MSI, nell'alleanza politica di Berlusconi (tessera 1816 della loggia P2), non venendo però eletto. In contemporanea avviene, molto in sordina, la "pacificazione" tra i terroristi neri e "rossi" da un lato e lo Stato Italiano dall'altro. Secondo le dichiarazioni del segretario personale di Moro, Corrado Guerzoni, il 6 Giugno 1996, in realtà il delitto fu "appaltato" ai "brigatisti", da lui definiti "una manica di sprovveduti" incapaci di trattenere Moro prigioniero per 55 giorni in autonomia. Due giorni dopo, l'8 Giugno, Barbara Balzerani ottiene la libertà, provocando la reazione indignata della già citata Ileana Leonardi, che afferma che la liberazione in sordina e uno per volta dei terroristi, "rossi" e neri, avvenga per evitare che se ne accorga l'opinione pubblica. Germano Maccari nell'estate del 1996 inizia ad "ammettere" di essere stato presente durante il rapimento di Moro e di essere il "quarto uomo", negando però di aver sparato a Moro il giorno del suo assassinio. Anche Maccari decide quindi di conformarsi alla "verità ufficiale" di comodo della "ricostruzione" posticcia e illogica di Morucci e Moretti, che addirittura afferma, per l'ennesima volta, che "tutto è stato stabilito, sappiamo tutto", ma non è così che la pensa il cappellano della prigione di Bad e Carros, don Salvatore Bussu, che chiede invece in un'intervista all'"Avvenire" al capo brigatista di dire tutta la verità e di smettere di continuare a dire mezze verità e palesi bugie. Maccari, che sperava in un indulto conformandosi anch'egli alla "versione ufficiale", depone dinanzi alla Commissione Parlamentare Stragi nel 2000 e dichiara di essersi sentito tradito, che Moretti lo abbia venduto, perché "nell'epoca del computer" è stato facilissimo rintracciarlo sulla base anche solo di una descrizione abbastanza vaga che non riporta esplicitamente i suoi dati anagrafici. Con una lettera dell'11 Giugno 1997, invece, Moretti, con la solita litania del "tutto si sa, tutto è certo, le dietrologie non esistono, sono tutti complottisti", rifiuta di presenziare alla Commissione Stragi e deporre la sua testimonianza. L'11 Luglio dello stesso anno gli viene accordata la semilibertà, ed è quindi praticamente libero: in carcere ci deve tornare solo la notte, come fosse un dormitorio. A dispetto dei meriti delle leggi sui pentiti e sulla semilibertà, Moretti non dovrebbe risultare idoneo: non è un pentito, non è un dissociato, non ha collaborato, non ha dichiarato niente alle autorità quali giudici, poliziotti o altri preposti a interrogarlo, ha mantenuto il suo mutismo selettivo in tribunale, e l'unica "verità" che ha fatto trasparire è una "verità ufficiale" di comodo e preconfezionata per accontentare tutti i suoi possibili mandanti e uomini occulti coinvolti direttamente e indirettamente nelle vicende di cui è stato partecipe. Ciononostante, il Tribunale di Milano gli accorda quest'ultimo "premio" garantendogli quindi di uscire, di fatto da uomo libero, dal carcere, nonostante i 6 ergastoli cui è stato condannato, una "prigionia", come definita dai "difensori" della "legittimità" delle "BR", tra cui il giornale di area liberal-conservatrice "Il Riformista" e nello specifico il suo giornalista Frank Cimino, che fa invidia a tutti i criminali, pentiti e boss di camorra che sono in cella pur avendo collaborato. In contemporanea alla semilibertà (e quindi di fatto libertà) di Moretti viene pubblicato un libro-intervista per conto di Edgardo Sogno, in cui il fanatico anticomunista cripto-fascista ammette senza troppi rimorsi e anzi vantandosene di aver preso finanziamenti da Gladio, dalla CIA, dai servizi segreti, dichiarando di averli spesi per la sua crociata contro l'Italia "cattocomunista" di Moro e della sinistra DC, e ammette definitivamente l'azione di infiltrazione da destra "a sinistra" per indebolire "da sinistra" il PCI sfruttando tutte le possibili scissioni di tipo anarco-trotskista. Ammette anche di aver pianificato il Golpe Bianco nel 1974, golpe di cui aveva negato l'esistenza per più di 25 anni, e ritiene che "la storia" lo riconoscerà come un eroe per aver impedito che l'Italia diventasse preda del "clerico-marxismo". Il Conte dimentica però di menzionare che il sicuro candidato al quirinale nel 1978, forte della maggioranza della "Solidarietà Nazionale" che stava di lì a poco per essere distrutta dalle "BR", era proprio Aldo Moro. Questo invece sembra essere tacitamente ammesso da Moretti nel suo libro-intervista altrettanto mistificatore e menzognero, in cui dichiara che se Moro fosse stato liberato, sarebbe stato eletto presidente della repubblica, e Moro a capo dello stato italiano era un'ipotesi detestata dalle destre italiana e americana più di qualsiasi "solidarietà nazionale" attiva in quel momento. Franceschini (che in futuro sarà prossimo anch'egli a contraddirsi e negare che Moretti era una spia) dichiara sul Corriere della Sera il 21 Maggio 2003 in un'intervista che Moretti era un "infiltrato del terzo livello", ammette che Hyperion era una specie di "luogo di mediazione" tra i servizi come la CIA e il Mossad da un lato e il KGB dall'altro, quindi una centrale di intelligence, e ammette, cosa più importante, che vi fu una specie di "trattativa" coi brigatisti detenuti, di modo che potessero, in cambio del silenzio, ottenere la libertà da parte dei loro ex mandanti. Il giorno dopo sulla medesima testata risponde l'ex presidente, ex capo di Gladio ed ex ministro dell'interno durante il rapimento di Moro, Cossiga, che accusa Franceschini, sostiene la "purezza rivoluzionaria" delle "BR", e attacca in malo modo tutti coloro che sostengono il contrario con un grottesco mezzo insulto a Moro e alla sua famiglia, rei di voler "tenere alta la sua memoria" asserendo l'"assurda ipotesi" che Moro, inviso agli americani e ai settori della borghesia più reazionari pur essendo un moderato, sarebbe stato vittima di un complotto da parte di questi; la replica dell'ex capo di Gladio termina con una dichiarazione di "solidarietà" a Mario Moretti. Il convergente interesse tra l'ex capo di stato (e di Gladio, cioè della sezione italiana di Stay Behind) e i terroristi è spiegato da Giovanni Pellegrino, presidente della Commissione Parlamentare Stragi, con l'ipotesi che Cossiga si sarebbe "fidato di persone sbagliate" che lo avrebbero "tradito" lasciando che Moro venisse ucciso. È assai più probabile che lo stesso Cossiga avesse avallato l'esecuzione di Moro, visti i toni con cui attacca e insulta la famiglia del defunto e tutti coloro che asseriscono che sia stato ucciso da Gladio, organizzazione di cui era a capo durante l'epoca dei fatti, come mandanti e da terzi come "esecutori materiali"[79].

Le "Nuove BR"

La parabola delle "Vecchie BR" si è conclusa ufficialmente nel 1988, con la fine del "troncone" delle "BR-PCC" dopo il suo ultimo attentato ad un collaboratore del democristiano, e all'epoca presidente del consiglio, Ciriaco De Mita, a seguito, tra l'altro, della già citata "quarta posizione" di assurda definizione del terrorismo neofascista dei "brigatisti" come una qualche sorta di "risposta" al terrorismo nero neofascista (di cui in realtà era il gemello parallelo e speculare, specie considerando le provenienze politiche dei due capi delle "vecchie BR", Moretti e Curcio, entrambi infiltrati, come è stato dimostrato a più riprese da quasi 30 anni, nonché provenienti proprio dalla destra neofascista e neonazista). Come si è potuto già analizzare nei precedenti paragrafi, lo scopo delle "BR" (e di altre organizzazioni ad essa affini e analoghe come "Prima Linea" o "Lotta Continua"), che nel pratico era quello di screditare la sinistra tutta e il PCI di Berlinguer da un punto di vista "immediato" impedendo qualsiasi possibilità di presa di potere tramite le istituzioni repubblicane italiane e il voto "democratico", da un punto di vista più a "lungo termine" era quello di legittimare l'ultrasinistra prodotto di Gladio e di COINTELPRO, la "sinistra compatibile" di tipo anarcoide e trotskista, contraria a qualsivoglia resistenza effettiva all'imperialismo e all'oppressione economica e militarista-poliziesca, "a parole" piena di proclami roboanti, astratti e pseudo-rivoluzionari, ma nei fatti sempre pronta a conformarsi a qualsiasi grande coalizione-ammucchiata guidata dai riformisti e dai "revisionisti" che essi stessi fino a pochi minuti prima dichiaravano di osteggiare. Il "danno" più grande commesso dalle "Vecchie BR" è stato quello di rendere il "comunismo" ora come un "ideale irrealizzabile", ora come un "mantra violento e terroristico", e il danno dei "brigatisti" e dei loro sostenitori, tra cui il giornale Il Manifesto, di ispirazione trotskista, oltre che di altri giornalisti che negli anni 60 e 70 erano anch'essi anarco-trotskisti, come Paolo Mieli (tra l'altro conduttore RAI ben noto per i suoi continui scivoloni che tradiscono una certa ignoranza dei vari argomenti trattati nei "documentari" del programma di RAI 3 che conduce, si pensi l'aver asserito che il prefisso "Justice" che indica i giudici nei sistemi legislativi anglosassoni fosse un "soprannome" di un giudice americano dei processi di Norimberga), un tempo militante di "Potere Operaio", organizzazione trotskista ideologicamente vicinissima alle "vecchie BR", che tra i tanti è stato quello che più di tutti si è polemicamente accanito contro Flamigni a spada tratta, risultando incapace però di confutare le prove inoppugnabili date dai diversi documenti, testimonianze e ricostruzioni verosimili derivate da questi presenti nelle sue ricerche. Flamigni è stato impunemente accusato di essere un "dietrologo" nonostante le sentenze dei giudici abbiano dimostrato e dato esplicitamente ragione alle ricostruzioni delle ricerche dei suoi libri-inchiesta, e quello che risulta inspiegabile è che il principale giornale sostenitore della "purezza ideologica" delle "BR", Il Manifesto, era il primo dei giornali della sinistra extraparlamentare italiana ad attaccare le "BR" e definire Renato Curcio "un infiltrato", prima che avvenisse il delitto Moro[80]. Il "comunismo ideale irrealizzabile" e l'idea di "lotta armata come lotta eroica", entrambi modelli di pensiero idealisti e affini più ad un tipo di "sinistra" politica di ispirazione anarcoide, piccolo-borghese e trotskista, che furono già criticati a loro tempo sia da Lenin che da Stalin (si pensi alle continue polemiche del primo contro i "Social-Rivoluzionari", ossia i "populisti" o "narodnik", per molto tempo rivali dei bolscevichi, che erano soliti ricorrere, sia nelle fazioni di destra che "di sinistra" del loro movimento al terrorismo come "prassi rivoluzionaria"), ormai "validati" nelle menti di buona parte dei figli della nuova piccola borghesia post-68, post-77 e post-COINTELPRO, hanno portato ad un'ulteriore e nefasta conseguenza, ossia la "rinascita" delle "BR" nei tardi anni 90 e primi anni 2000. Le "Nuove BR" furono responsabili dell'assassinio dei due giuslavoristi D'Antona e Biagi, rispettivamente consulenti il primo per D'Alema e il nuovo centro-sinistra dell'Italia berlusconiana, una brutta copia del New Labour britannico e dei Democratici USA, partito "di sinistra" che aboliva tutti i diritti conquistati dagli operai con le lotte e gli scioperi della Prima Repubblica, "diretto successore" sia del PCI che della DC nelle vesti dei "Democratici di Sinistra" che sarebbero poi mutati prima in "La Margherita" e poi nel "Partito Democratico", e il secondo per Berlusconi e il "centro-destra" composto da "post-fascisti" e neo-liberisti che, oltre ad aver decretato la liquidazione di tutte i mezzi di produzione che nella Prima Repubblica erano in mano allo stato, garantendo, se non il socialismo, perlomeno una forma di "welfare" chiaramente più sopportabile di quanto è venuto dopo, sono stati anche i responsabili della "riabilitazione" del fascismo con l'istituzione del "Giorno del Ricordo", grottesca "giornata nazionale" che "celebra" i "martiri italiani" coloni della Dalmazia e dell'Istria responsabili di pulizia etnica insieme alle autorità fasciste italiane, in modo simile ai tedeschi dei Sudeti e della Polonia occidentale. Le "Nuove BR", totalmente estranee alle "Vecchie", tant'è vero che diversi ex-brigatisti, all'epoca dei fatti ormai quasi tutti liberi e in grado di godere della di fatto amnistia già illustrata nei precedenti paragrafi, hanno dichiarato le loro critiche ed espresso perplessità alle azioni di queste, si pensi ad Adriana Faranda, ad esempio, in un'intervista per Repubblica negli anni in cui avvennero i fatti, con le loro azioni, alla pari delle "Vecchie BR", hanno dimostrato di essere in grado ancora una volta di fornire un pretesto pratico e ideologico per la repressione poliziesca e per la condanna mediatica dei "comunisti". Le "Nuove BR" iniziano a muoversi il 20 Maggio 1999, data in cui due dei loro "militanti" hanno assassinato Massimo D'Antona, giurista nell'ambito della legislatura dei diritti sul lavoro e consulente del governo di D'Alema, che stava aiutando nelle "riforme" che avrebbero smantellato gradualmente le diverse conquiste effettuate dai lavoratori nelle già menzionate lotte della Resistenza prima e della Prima Repubblica poi. Questo assassinio, che viene rivendicato dalla sigla "Brigate Rosse per la costituzione del Partito Comunista Combattente", a 11 anni dalla dissoluzione delle "vecchie BR" risulta inspiegabile e per certi versi stupisce molto l'opinione pubblica. Sebbene i terroristi affermino di aver compiuto quell'azione in nome della "classe operaia" e delle terribili riforme anti-operaie della "sinistra" borghese di D'Alema, l'intento dell'attentato è evidente, ossia quello di legittimare le riforme che stavano distruggendo i pochi diritti ancora rimasti ai lavoratori associando tutti coloro che ne erano contrari al terrorismo. Di questo avviso sembra essere anche il PMLI, che il giorno dopo, il 21 Maggio 1999, rilascia nei suoi organi di informazione un comunicato di solidarietà alla famiglia di D'Antona e di condanna dell'assassinio da parte dei terroristi, asserendo che l'opposizione al governo di D'Alema va fatta alla luce del sole e coinvolgendo tutti i settori delle classi lavoratrici, e non nell'ombra e tramite assassini e attentati; il documento di "solidarietà" in merito al delitto D'Antona mette inoltre in dubbio l'"autenticità" della sigla terroristica, a causa della natura di "addetto ai lavori" del bersaglio vittima dell'attentato, che poteva essere conosciuto solo nella cerchia ristretta in cui lavorava[81]. Il PMLI rilascerà una simile dichiarazione dopo il 19 Marzo 2002, quando le "Nuove BR" si resero responsabili di un secondo omicidio, quello di Marco Biagi, anch'egli giuslavorista e consulente per il governo, in questo caso per il ministro del "welfare" Maroni del governo Berlusconi II[82]. Per quanto il PMLI sia noto principalmente come "partito-scherzo" all'interno di certe realtà di nicchia della politica italiana per via dei suoi continui e recenti "scivoloni" (la condanna del multipolarismo, il sostegno alla giunta neonazista e oligarchica filo-atlantista dell'Ucraina, con comunicati molto contraddittori tra loro, e il sostegno ai terroristi "islamisti" a trazione CIA-Mossad, posizioni simili a quelle dei trotskisti che in teoria dovrebbero condannare), le sue posizioni per quanto riguarda le cosiddette "BR" e il terrorismo "rosso" e nero in Italia, frutto della loro indubbia e meritevole conoscenza di Lenin, Stalin, Mao Tse Tung e dei loro insegnamenti in merito, sono assolutamente condivisibili e frutto di giuste analisi, ed è per questo che sono state più volte riproposte in questa voce enciclopedica. Lo stesso PMLI ha redatto negli anni di attività delle "Nuove BR" una serie di dichiarazioni, ponderate, giuste e condivisibili, di condanna e di analisi delle cosiddette "BR", vecchie e nuove, dalle origini fino al momento degli "attentati". Ne riproponiamo alcune parti:

«Esprimiamo la nostra più netta, dura e totale condanna del barbaro e controrivoluzionario assassinio di Massimo D'Antona rivendicato dalle sedicenti "Brigate rosse", in realtà nere. Questa azione terroristica non ha nulla a che fare col marxismo-leninismo-pensiero di Mao, col socialismo e il comunismo e la strategia rivoluzionaria della conquista del potere politico da parte del proletariato. Ogni autentico comunista e rivoluzionario sa bene che il governo guerrafondaio del rinnegato D'Alema, di Gladio e della controriforma costituzionale si deve combattere a viso scoperto e alla luce del sole, non certo con agguati terroristici e mafiosi ai suoi componenti e ai suoi collaboratori. Altrimenti è impossibile far capire alle masse che questo governo è oggi il loro nemico - come lo sono stati quelli passati - e che è necessario spazzarlo via se vogliamo che l'Italia esca dalla guerra imperialista alla Repubblica Federale Jugoslava. La storia la fanno le masse e non i singoli individui. La trasformazione della società, l'abbattimento del capitalismo e la conquista del socialismo possono avvenire solo attraverso la lotta di classe e la rivoluzione proletaria che è opera delle masse proletarie e popolari, non di piccoli gruppi. Solo in questo contesto è giustificato, necessario e utile l'esercizio della violenza rivoluzionaria, ma sempre da parte delle masse che lottano contro la violenza reazionaria della classe dominante borghese, del suo governo e delle sue istituzioni. Il terrorismo non ha mai torto un capello al capitalismo e all'imperialismo. Anzi li ha rafforzati. Non è mai riuscito a spostare le masse sul terreno rivoluzionario e del socialismo. Anzi le ha lasciate in balia della borghesia e dei suoi partiti. Noi marxisti-leninisti italiani da sempre combattiamo il terrorismo, sia perché si contrappone alla strategia della rivoluzione socialista bruciando importanti forze rivoluzionarie, sia perch‚ finisce inevitabilmente per essere infiltrato, manipolato, strumentalizzato e usato da qualche centrale borghese per i suoi fini di potere politico. Negli anni '70 e '80 l'abbiamo combattuto e denunciato come strumento della reazione e della P2 che intendevano imporre la seconda repubblica presidenzialista e federalista. Ora che questo disegno è stato fatto proprio anche dai DS e dal governo in carica, temiamo che ci possa essere lo zampino di qualche insospettabile che sta dentro le istituzioni, i servizi segreti, e fors'anche all'interno dello stesso governo, che manovra il terrorismo per impedire lo sviluppo del movimento di massa contro la politica liberista, affamatrice e guerrafondaia del governo D'Alema. Diciamo questo in considerazione della vittima prescelta, conosciuta solo dagli "addetti ai lavori", del momento "simbolico" in cui si è svolto l'agguato e di certi contenuti del documento rivendicativo dell'assassinio del collaboratore del ministro del lavoro Antonio Bassolino[81]

«Il 19 marzo, alle ore 20,10, davanti al portone di casa al civico 14 di via Valdonica a Bologna, le sedicenti "BR-PCC" hanno barbaramente assassinato Marco Biagi, consulente del ministro del lavoro Roberto Maroni. Due killer, probabilmente supportati da altri basisti ancora non quantificati, hanno sparato contro Biagi tre colpi alla nuca a distanza ravvicinata, di cui due finiti a segno, col chiaro intento di uccidere. In base ai primi accertamenti, sembra ci siano fondati sospetti che la pistola usata sia la stessa con cui il 20 maggio 1999 è stato assassinato Massimo D'Antona, il consulente dell'allora ministro del lavoro Antonio Bassolino nel governo D'Alema. E i legami e le analogie col delitto D'Antona non si limitano all'arma usata. Entrambi erano considerati delle teste d'uovo del capitalismo italiano, impegnati nella controriforma della Costituzione economica e sociale, soprattutto per quanto riguarda il "mercato del lavoro" e i diritti dei lavoratori. Biagi, 51 anni, quando è stato ucciso era appena tornato da Modena dove insegnava diritto del lavoro alla facoltà di economia e commercio. Insegnava anche alla Johns Hopkins University di Bologna ed aveva messo in piedi un Centro studi internazionale sulle relazioni industriali, sempre a Bologna. Collaboratore di Confindustria e de "Il Sole 24 Ore". Allievo di Gino Giugni, con il quale condivide l'origine socialista per approdare sembra alla Margherita alle ultime elezioni politiche. Biagi era un uomo bipartisan, capace di lavorare indifferentemente sia col "centro-sinistra" che col "centro-destra". Prima di lavorare a fianco di Maroni, era già stato un collaboratore del ministro del Lavoro Tiziano Treu nel governo Prodi e di Antonio Bassolino, fino a quando questi guidò il dicastero del lavoro nel governo D'Alema. è stato un estensore del "Patto per il lavoro" di Milano voluto da Al-bertini e del "Patto per la Lombardia" (incarico quest'ultimo molto meno noto, ma ben conosciuto dai brigatisti che lo ricordano nel loro documento di rivendicazione). Negli ultimi mesi si era concentrato nella stesura del "Libro bianco" di Maroni e nella trattativa con i sinda-cati sulla modifica dell'articolo 18. Se per D'Antona però si può parlare di un delitto per certi versi imprevedibile, dato che l'ultimo assassinio brigatista risaliva all'uccisione di Ruffilli a Forlì undici anni prima, per Biagi si è trattato di un assassinio praticamente annunciato per il quale gravi responsabilità ricadono sul governo e sul ministro dell'Interno Scajola che non hanno preso alcuna misura per proteggerlo. Al contrario dall'autunno scorso era stata revocata a Biagi la scorta nonostante fossero ancora in corso le indagini su pesanti minacce anonime ricevute durante l'estate. E tale scorta non è stata ripristinata nemmeno a seguito delle richieste fatte al Viminale da parte di Maroni, come lui stesso ha confermato, e soprattutto dopo il rapporto dei servizi segreti trasmesso alla presidenza della Camera l'8 marzo scorso "sulla politica informativa e della sicurezza", riferito al secondo semestre 2001, reso noto, ancor prima di essere conosciuto dai parlamentari, dal settimanale berlusconiano "Panorama". In tale rapporto, infatti, si legge che sono prevedibili minacce "contro le espressioni e le personalità del mondo politico, sindacale e imprenditoriale maggiormente impegnate nelle riforme economico-sociali e del mercato del lavoro e, segnatamente, quelle con ruoli chiave in veste di tecnici e consulenti". Lo stesso "Panorama", commentando il rapporto, precisava: "è chiaro che in cima alla lista dei potenziali obiettivi delle nuove Brigate rosse, anche se non esplicitamente citati, ci sono il ministro del Welfare Maroni e i suoi collaboratori più stretti che lavorano nell'ombra". Perché queste indicazioni dei servizi segreti sono state prima divulgate e poi completamente ignorate? La vedova di Biagi, Marina Orlandi, ha rifiutato i funerali di Stato proposti dal governo perché, dicono fonti a lei vicine, quello Stato "non ha saputo proteggere il marito in pericolo". Pare che lo stesso Biagi abbia depositato da un notaio una sorta di memoriale dove denuncia la mancata protezione. Certo è che sia per responsabilità dei governi di "centro-sinistra", prima, e del governo Berlusconi, poi, a distanza di tre anni ancora non è stata fatta luce sul delitto D'Antona, né sui suoi esecutori né, soprattutto, sui mandanti e gli orchestratori occulti. Dopo iniziali telefonate ad alcuni giornali, le "BR-PCC" hanno rivendicato formalmente l'esecuzione dell'omicidio Biagi con un documento di 26 pagine recapitato solo due giorni dopo, il 21 marzo, per la prima volta via Internet ad oltre cinquecento indirizzi di posta elettronica, soprattutto appartenenti a sindacati e partiti. In serata lo stesso documento è stato recapitato, questa volta in forma cartacea per posta, anche alla redazione bolognese de "l'Unità", a "La Stampa" di Torino e a "la Repubblica". Nonostante questa inedita quanto ampia divulgazione del documento, esso non è stato inviato al nostro Partito e a "Il Bolscevico". Anche questo fatto, da una parte, smentisce la presunta matrice di "sinistra" e "rivoluzionaria" delle sedicenti "BR" e, dall'altra, conferma che fra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il terrorismo non vi è mai stata e mai vi sarà alcuna contiguità e affinità di natura ideologica, politica e pratica. Torneremo prossimamente sull'analisi del documento brigatista. Alcuni analisti ipotizzano che esso possa essere stato scritto a più mani. Compreso da chi ha firmato documenti con altre sigle. Il riferimento è ai cosiddetti "Nuclei proletari rivoluzionari" (NPR) e "Nuclei di iniziativa proletaria rivoluzionaria" (NIPR) che hanno in passato siglato rispettivamente gli attentati del 6 luglio 2000 a Milano, alla sede della Cisl, e del 10 aprile 2001, in via Brunetti, a Roma, nel portone dello IAI. I "Nuclei territoriali antimperialisti" (NTA), che operano soprattutto nel Nord-est, da parte loro il 20 marzo hanno fatto ritrovare un documento di appoggio dell'omicidio in una cabina telefonica di Verona. Ma se a rivendicare l'esecuzione è il sedicente terrorismo "rosso", come ci insegna la storia del terrorismo in Italia e i tempi e l'obiettivo di questo ennesimo delitto politico, la sua matrice e i suoi scopi sono sicuramente neri. Non può certamente sfuggire che questo assassinio avviene mentre è in corso nel Paese uno scontro politico e sindacale che contrappone la classe operaia e i lavoratori al governo e alla vigilia della grandiosa e storica manifestazione nazionale del 23 marzo promossa dalla Cgil per difendere l'articolo 18. Un gravissimo attacco al movimento operaio e sindacale e anche al movimento no global contro la guerra e il neoliberismo e i movimenti spontanei dei "ceti medi riflessivi" che dal 24 gennaio manifestano in piazza contro la politica liberticida, antidemocratica e antipopolare del governo Berlusconi. Questo delitto ha dato il pretesto al neoduce Berlusconi e ai suoi ministri per sferrare duri attacchi a questi movimenti, alla lotta delle masse e soprattutto al sindacato giungendo a indicarli come i fautori dell'"odio che nutre la mano degli assassini" e a confermare che proprio in nome di Biagi il governo porterà fino in fondo le sue "riforme" liberticide, antioperaie e antisindacali. Ancora una volta dunque il terrorismo arriva puntuale quando le masse rivendicano più giustizia sociale, più benessere, più libertà, più democrazia. E ogni volta che la classe dominante borghese in camicia nera vuol far passare nello Stato, nelle istituzioni e nel Paese una linea, una politica e una legislazione più radicalmente neofascista, liberista, antioperaia e antipopolare. Come ha affermato l'Ufficio politico del PMLI nel documento del 20 marzo, vergognosamente ignorato dai mass media sia di destra che di "sinistra", "Il terrorismo è quindi nemico giurato delle masse e non può che essere combattuto da tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali e religiose che si battono per il progresso sociale. Ma non certo a fianco di questo governo, di queste istituzioni, di questo Stato e in difesa del capitalismo e del suo regime che ha reindossato la camicia nera, ripetendo, nella sostanza, le stesse gesta di Mussolini. Non si può fare fronte unito con chi genera, manovra e utilizza il terrorismo. La storia del nostro Paese, fin dalla strage di Portella delle Ginestre, passando dalla strage di Piazza Fontana, dalla stagione del terrorismo degli anni '70 e '80 e dagli attentati successivi fino ad arrivare ai giorni nostri, e tenendo presente il 'Piano di rinascita democratica' e dello Schema R della P2 di Gelli, Craxi e Berlusconi, dimostra chiaramente che il terrorismo viene da destra, è manovrato dalla destra ed è funzionale alla destra. Anche se la manovalanza si professa di 'sinistra'. Quindi se non si combatte la destra, e l'attuale governo che la esprime, non si riuscirà mai a venire a capo del terrorismo" (cfr. "Il Bolscevico" n. 12/2002). Di ben altro tenore il balbettio del segretario del PRC Fausto Bertinotti, che intervenendo nel dibattito parlamentare sul delitto Biagi ha affermato che la risposta da dare "deve essere liberale - e lo dico io che sono comunista -: non bisogna lasciare che le istituzioni vengano inquinate dal veleno terrorista... Al terrorismo c'è una sola risposta, quella della democrazia, in cui ognuno deve fare la sua parte". Non è certo un caso che il capofila trotzkista e neorevisionista, nonché liberale di "sinistra", abbia così ricevuto gli applausi calorosi di tutto il "centro-sinistra" e anche di parlamentari del "centro-destra"[82]

Le "Nuove BR", frutto diretto della guerra psicologica delle "Vecchie BR", nel loro periodo di attività, dal 1999 fino al 2003[83], anno in cui i principali capi terroristi, cioè tale Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi, furono arrestata la prima e ucciso sul posto il secondo, dopo un poco dignitoso tentativo di fuga in treno a seguito di identificazione da due agenti della polizia ferroviaria, hanno pubblicato dei proclami con un linguaggio ancora più astratto, "pastoso" e arzigogolato di quello delle "Vecchie BR" di Curcio e di Moretti. Se le "Vecchie BR" amavano parlare di una lotta in opposizione ad un presunto "Stato Imperialista delle Multinazionali" (SIM), una locuzione che tradisce una pregiudiziale analitica di tipo anarcoide e trotskista più che marxista-leninista e fondata su un vero studio che parta dalla consapevolezza delle strutture economiche e delle sovrastrutture sociali alla base della società e dell'economia capitalista, le "Nuove BR" si lasciano ad un linguaggio sempre più confuso, dispersivo e che non giunge ad una vera conclusione. Anche le registrazioni degli interrogatori e dei processi ai "Nuovi Brigatisti", come la già citata Desdemona Lioce, sembrano tradire questa "confusione" e questo astrattismo tipico di un modus operandi avventurista, terrorista e individualista totalmente estraneo al marxismo-leninismo e al comunismo, e proprio più di ideologie "di sinistra" piccole borghesi. A tal proposito è ancora una volta riproposta la (giusta) analisi del PMLI in merito:

«Il giorno stesso del blitz antiterrorismo contro le cosiddette "nuove BR" i mass-media di regime, con in testa il Tg1 e il Tg3 imbeccati dal governo, hanno parlato di "arresti negli ambienti dei marxisti-leninisti", nel tentativo di coinvolgere i veri marxisti-leninisti italiani, ossia il PMLI, nelle attività clandestine del sedicente "partito comunista politico-militare". Uno sporco tentativo andato a vuoto, sia per palese mancanza di elementi a supporto, sia per l'immediato e durissimo comunicato dell'Ufficio stampa del PMLI. Ma intanto a questa falsità è stata data la massima risonanza mediatica, e questo è un fatto gravissimo. Come non vedere, dietro tutta questa inquietante vicenda, una chiara manovra anti marxista-leninista? E come non vedere, in parallelo con essa, il tentativo del governo guerrafondaio e interventista del democristiano Prodi, di sfruttare il blitz antiterrorismo per creare un clima intimidatorio e alzare la tensione a pochi giorni dalla grande manifestazione nazionale di Vicenza No Dal Molin per farle terra bruciata intorno? Questo doppio obiettivo che spunta chiaramente dietro la retata antiterrorista nel Nord induce anche ad un'altra riflessione: chi sono questi presunti "brigatisti", come si spiega il loro legame con la criminalità comune e la mafia, quali obiettivi si propongono e in che rapporto cercano di porsi con i movimenti di lotta che stanno sorgendo contro la politica antipopolare, liberista, clericale e imperialista del governo Prodi? Intanto va detto subito che essi non hanno nulla a che vedere col marxismo-leninismo-pensiero di Mao, neanche in modo puramente nominale, dal momento che nella loro fraseologia e nei loro documenti farneticanti e confusi non c'è assolutamente niente, salvo qualche sporadico e improprio richiamo al "marxismo-leninismo-maoismo", che rimandi alla teoria, agli insegnamenti, alla pratica e all'esperienza dei grandi Maestri del proletariato internazionale sull'educazione e l'organizzazione delle masse nelle lotte quotidiane e a lungo termine, sulla costruzione del partito del proletariato e sull'arte della preparazione e dell'attuazione della rivoluzione socialista. C'è al contrario un'ossessiva esaltazione dell'azione cospirativa e armata del "partito comunista politico-militare". C'è una concezione individualistica, settaria e di piccolo gruppo della lotta politica. C'è la teorizzazione di un'inesistente situazione pre-insurrezionale che aspetterebbe solo la scintilla dell'azione "brigatista" per esplodere. E c'è infine un'esplicita rivendicazione di continuità con l'esperienza terroristica, fallimentare e oggettivamente controrivoluzionaria, delle sedicenti "Brigate Rosse" degli anni '70-80. Bisogna chiedersi poi dove credono di andare, se il loro programma per "fare la rivoluzione" consiste nel compiere attentati a Berlusconi, a Ichino, al quotidiano "Libero", a sedi di Mediaset e Sky e così via, come sembrerebbe dalle intercettazioni degli inquirenti. [...] Se si tiene presente tutto questo, e ci si aggiunge anche la tempistica molto sospetta con cui queste "nuove BR" sono state tirate fuori dal cappello, per l'appunto alla vigilia della manifestazione di Vicenza, si dovrebbe cominciare a vedere chiaramente i contorni dell'operazione. Tutte le volte che come a Vicenza si presenta l'occasione di un salto di qualità nella lotta di classe, ecco spuntare regolarmente il terrorismo sedicente "rosso" ad intorbidare le acque e a fornire il pretesto al governo e alle "forze dell'ordine" per isolare, intimidire e reprimere il movimento di lotta, e ai partiti del regime per riprenderne il controllo e farlo rifluire e spengere. Se poi questo governo è di "centro-sinistra", e non solo si è smascherato come continuatore del precedente governo neofascista Berlusconi, ma anche la sua copertura a sinistra rappresentata dalla "sinistra radicale" si è parecchio screditata per il suo evidente servilismo e opportunismo, allora può far molto comodo al governo stesso inventare un falso legame tra i marxisti-leninisti e il terrorismo brigatista. [...] Ma il terrorismo non soltanto non ha nulla a che fare col marxismo-leninismo-pensiero di Mao e la lotta per il socialismo, bensì ne è l'antitesi, un acerrimo nemico, che insieme all'ultrasinistrismo e all'avventurismo piccolo-borghesi frantuma il movimento di massa e lo spinge al suicidio. Lo insegna l'esperienza successiva ai grandi movimenti rivoluzionari del '68 e soprattutto del '77, quando il terrorismo di "sinistra" ha finito per bruciare un'intera generazione di giovani rivoluzionari (molti dei quali irretiti in buona fede da imbroglioni ultrasinistri oggi quasi tutti "pentiti" e passati al parlamentarismo, al riformismo, ai partiti del regime al soldo del capitalismo), ed è servito alla classe dominante borghese e alla P2 che ne tiravano sapientemente i fili per fascistizzare lo Stato e instaurare la seconda repubblica neofascista, presidenzialista, federalista e imperialista oggi dominante. Il fatto è che la rivoluzione, come insegnano i Maestri e la storia del movimento comunista e operaio internazionale, e come dimostrano le rivoluzioni socialiste effettivamente realizzate, ha i suoi tempi di maturazione e preparazione, ed è impossibile saltarli o tagliarli: un pugno di uomini non può sostituirsi alle masse e al paziente lavoro del Partito marxista-leninista nell'educarle, unirle e organizzarle per fare e vincere la rivoluzione socialista. Specie oggi che la situazione non è rivoluzionaria e occorre far recuperare alla classe operaia la coscienza di classe per sé dopo la devastazione ideologica e politica operata dai partiti sedicenti comunisti rinnegati e riformisti della "sinistra" borghese. [...] Tuttavia i fautori del socialismo e tutti coloro che ricercano la strada per liberare l'Italia dal capitalismo, dalla classe dominante borghese e dal loro Stato devono stare bene attenti a non cadere nel terrorismo "BR" e a non coprirlo in alcun modo. Esso è nemico della lotta di classe per il socialismo, così come lo sono il riformismo, il parlamentarismo e il pacifismo. La lotta armata è una cosa troppo seria che non può essere gestita dalla piccola borghesia rivoluzionaria individualista, esasperata, frustrata e sbandata. È un'opera delle masse ed è il Partito marxista-leninista, ripetiamo, che la prepara, la gestisce e la dirige. Vi dovremo arrivare, ma non imponendola alle masse e per scelta soggettiva ma come maturazione delle masse e per una necessità oggettiva per arrivare alla conquista del potere politico da parte del proletariato. Ma ora è il momento di concentrare tutte le forze dei fautori del socialismo e dei sinceri e autentici rivoluzionari nella costruzione, nello sviluppo e nel radicamento del PMLI, e nella lotta contro il governo della "sinistra" borghese del democristiano Prodi che sta seguendo le orme del precedente governo del neoduce Berlusconi[84]

«La nostra posizione sulla natura, la funzione e gli scopi provocatori e controrivoluzionari delle cosiddette "Brigate Rosse" è stata espressa in maniera chiara e ferma fin dal 1974 e in primo luogo nel comizio del compagno Giovanni Scuderi tenuto il 25 Aprile di quell'anno a Firenze in cui egli affermò senza mezzi termini che "non sono rossi, ma neri i rapimenti di Godalla, Amerio, Sossi", le prime clamorose imprese delle "BR". Su "Il Bolscevico" che riportava il testo di quello storico discorso compariva anche un articolo dal titolo "Le 'Brigate rosse' sono nere, pedine della fascistizzazione" (cfr. "Il Bolscevico" n. 6/1974). [...] Per quanto ci riguarda, in base alla nostra analisi del terrorismo in Italia, il documento di rivendicazione dell'omicidio Biagi redatto dalle "BR" - composto da 26 pagine e recapitato il 21 marzo via Internet ad oltre cinquecento indirizzi di posta elettronica, soprattutto appartenenti a sindacati e partiti oltreché in forma cartacea per posta alla redazione bolognese de "l'Unità", a "La Stampa" di Torino e a "la Repubblica" -, non meriterebbe nemmeno una riga di commento. Esso non è stato inviato né al nostro Partito né a "Il Bolscevico". Un fatto questo che smentisce la presunta matrice di "sinistra" e "rivoluzionaria" delle sedicenti "BR" e conferma che fra il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e il terrorismo non vi è mai stata e mai vi sarà alcuna contiguità e affinità di natura ideologica, politica e pratica. Se ce ne occupiamo è perché riteniamo nostro dovere aiutare i sinceri rivoluzionari a capire con chi hanno a che fare e ad evitare di cadere nella rete provocatoria del terrorismo. Si tratta di battere certe idee errate che circolano in ambienti giovanili a proposito dei brigatisti, del tipo "sono compagni che sbagliano", "sono in buona fede", "pagano di persona", "vanno comunque apprezzati per il loro coraggio". I terroristi, e ci riferiamo in primo luogo ai teorici e ai manovratori del terrorismo, non sono affatto "compagni che sbagliano" come la storia del terrorismo in Italia ha ampiamente dimostrato. Basterebbe andare a vedere che fine hanno fatto i "capi storici" e i teorici delle "BR" e di altri gruppi terroristici cosiddetti "rossi", quali Curcio, Franceschini, Moretti, tornati sotto le gonne della classe dominante borghese e dei suoi partiti e le tonache del Vaticano. Per quanto riguarda il coraggio non crediamo che esso sia una virtù di per sé rivoluzionaria. Anche le "teste di cuoio! italiane o i marines americani avranno il loro grado di coraggio, ma non per questo possono essere oggetto di ammirazione. Noi ammiriamo e impariamo piuttosto dal coraggio dei nostri partigiani che erano ben lontani dall'immagine dei supereroi, dei rambo, individui militaristi e staccati dalle masse a cui sembrano rifarsi i "brigatisti" ed esprimevano invece un coraggio collettivo, un coraggio che traevano dal combattere per una causa giusta, appoggiati e sostenuti dalle masse. Supponiamo comunque per un attimo che il documento delle "BR" non sia stato scritto da elementi legati alla centrale occulta che manovra il terrorismo. Supponiamo, inoltre, sempre per un attimo, che gli estensori non conoscano il PMLI e la sua linea politica. Supponiamo infine - per un attimo - che gli estensori siano in buona fede e animati da spirito sinceramente rivoluzionario, e valutiamo se la strategia che propagandano è effettivamente in grado di produrre effetti benefici alla lotta del proletariato e delle masse contro il capitalismo e per il socialismo. Non possiamo certamente in questa sede entrare in merito a tutto il lungo e per certi versi contorto documento "BR". Né ci spetta una sua analisi di tipo investigativo volta a capire chi possono esserne gli autori materiali o quali le prossime mosse. Già alcuni analisti ipotizzano che esso possa essere stato scritto a più mani. [...] Vogliamo però partire da ciò che nel documento significativamente è assente e che dimostra quanto le "BR" siano al di fuori del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della tradizione del movimento comunista internazionale e nazionale, ma anche al di fuori della realtà della lotta di classe in Italia oggi. Non c'è in esso infatti niente che rifletta l'esperienza storica del movimento comunista. In particolare sono completamente assenti l'esperienza della Rivoluzione russa e cinese, della Grande rivoluzione culturale proletaria cinese e della lotta di Mao contro il revisionismo moderno. Si nominano strumentalmente i grandi maestri del proletariato Marx, Engels, Lenin, quanto basta per alimentare la tesi di una presunta matrice "marxista-leninista" delle "BR" da parte della reazione, ma significativamente si omettono sia Stalin che Mao. manca la denuncia del carattere neofascista del governo Berlusconi e del regime capitalista, neofascista, presidenzialista e federalista che viene semplicemente catalogato come "democrazia governante". Non si fa alcun riferimento esplicito alle lotte dei lavoratori contro la modifica dell'art. 18. Né si prendono in considerazione i movimenti antiberlusconiani sviluppatisi negli ultimi mesi, né il movimento no-global contro la guerra e il neoliberismo. Sul piano internazionale, senza entrare in merito all'intera analisi, si ignorano le contraddizioni interimperialiste e in particolare la contraddizione fra imperialismo Usa e imperialismo europeo. Anzi al contrario di parla di un'unica "catena imperialista" dominata dagli Usa. Anche le contraddizioni fra l'imperialismo e i popoli e le nazioni oppresse e sfruttate vengono completamente ignorate. La strategia delle "BR" si sostanzia tutta nella lotta armata. "Le Brigate rosse - si legge nel documento - sostengono che la tappa rivoluzionaria storica si realizza attraverso un processo di guerra di classe di lunga durata condotto nell'unità del politico e del militare e perciò la politica delle Brigate Rosse è la Strategia della Lotta armata per il comunismo, proposta a tutta la classe". "La strategia della Lotta Armata" - prosegue - è la politica rivoluzionaria con cui le avanguardie comuniste organizzate nella guerriglia praticano obiettivi politicamente offensivi, cioè rivolti all'indebolimento dello Stato nella sua azione di dominio sulla classe nella prospettiva della sua completa distruzione e danno avanzamento all'antagonismo proletario sul terreno di lotta per il potere. La Guerriglia con l'attacco militare contro l'azione dello Stato di governo della crisi e del conflitto, disarticolandone gli equilibri politici che la sostengono, agisce da partito per costruire il partito, opera la trasformazione dello scontro di classe in scontro per il potere, in guerra di classe, costruendo e disponendo le forze proletaria e rivoluzionarie che si dialettizzano alla linea e al programma politico proposti dalla guerriglia". Dunque le "BR" sostengono la lotta armata per la lotta armata. La lotta armata come fine e non come mezzo. Il primato dell'azione militare sulla politica e sul partito. Occorre su questo punto essere molto chiari. La violenza rivoluzionaria è la violenza delle masse. La storia la fanno le masse e non i singoli individui. La trasformazione della società, l'abbattimento del capitalismo e la conquista del socialismo possono avvenire solo attraverso la lotta di classe e la rivoluzione proletaria che è opera delle masse proletarie e popolari, non di piccoli gruppi. Solo in questo contesto è giustificato, necessario e utile l'esercizio della violenza rivoluzionaria, ma sempre da parte delle masse che lottano contro la violenza reazionaria della classe dominante borghese, del suo governo e delle sue istituzioni. La violenza è una necessità storica imposta al proletariato dalle condizioni specifiche della sua esistenza e non una scelta facoltativa. Il proletariato usa la violenza spinto dal desiderio di sopprimere ogni violenza, che però continua ad esistere finché permarrà la divisione in classi: questo è il motivo che fa della violenza del proletariato una cosa giusta e della violenza della borghesia una cosa ingiusta. La violenza è rivoluzionaria se è la classe rivoluzionaria a compierla, se è una manifestazione di una sua esigenza di vita e di lotta, se corrisponde al suo stato d'animo. La violenza è indissolubilmente legata alla politica e perciò non si manifesta solo sul piano militare ma su piani diversi: non è mai un fine ma è sempre un mezzo per raggiungere gli obiettivi politici generali. [...] L'idea che l'azione individuale e il terrorismo abbiano effetti taumaturgici per la rivoluzione è già stata battuta dalla storia che ha dimostrato come tali metodi non abbiano mai prodotto l'effetto proclamato dai suoi propugnatori né agli albori del capitalismo, né nella fase del capitalismo maturo come è accaduto negli anni '70-'80. Il terrorismo in realtà non ha mai torto un capello al capitalismo e all'imperialismo. Anzi li ha rafforzati. Non è mai riuscito a spostare le masse sul terreno rivoluzionario e del socialismo. Anzi le ha lasciate in balia della borghesia e dei suoi partiti. Oggi il terrorismo rafforza il regime neofascista e il governo Berlusconi che ha così il pretesto per fascistizzare e militarizzare ancor più il paese, per attaccare il movimento operaio e sindacale, per inasprire la repressione dei suoi oppositori. D'altro canto, confondendo le idee al proletariato e alle masse, dà fiato e corda ai sostenitori del pacifismo imbelle e della non violenza, del parlamentarismo e del partecipazionismo borghesi. Il terrorismo delega tutto alle avanguardie e alla loro azione militare. Ciò si riflette nell'assenza di un vero e proprio programma politico e tanto meno di un programma d'azione che miri a far crescere la coscienza politica e di classe, a sviluppare la lotta di classe e il legame della classe operaia e delle masse col Partito. [...] Nel documento delle "BR" si legge solo che "La strategia della lotta armata proposta dalle Brigate Rosse alla classe definisce il programma politico del Partito comunista combattente come un programma di combattimento contro lo Stato e l'imperialismo e di costruzione del Partito e del Fronte, attraverso il quale può avanzare la prospettiva di potere ed essere costruita la guerra di classe di lunga durata". Per quanto riguarda la questione fondamentale del Partito le "BR" sono agli antipodi della concezione marxista-leninista, secondo cui il partito è lo strumento principale della rivoluzione socialista, il suo quartier generale politico, strategico, tattico e militare. Al contrario essi sostengono una classica concezione spontaneista e anarcoide. Il documento afferma infatti che è la "Strategia della lotta armata" che "definisce il partito comunista come un partito combattente e in relazione alla natura del processo rivoluzionario - di distruzione dello Stato-costruzione del Partito - definisce la sua formazione come la risultante di un processo politico-militare che la guerriglia, nel determinare i termini complessivi dello sviluppo della guerra di classe di lunga durata, costruisce sulla linea dell'agire da partito per costruire il partito. Per le Brigate Rosse le condizioni politiche della costruzione del Partito Comunista Combattente si danno a partire dalla capacità di disarticolare l'azione politica dello Stato". In sostanza, il partito è subordinato alla lotta armata, è un suo prodotto e un suo strumento, è secondario ai fini dello sviluppo della lotta di classe e della lotta rivoluzionaria. Le "BR'" si oppongono di fatto alla costruzione di un autentico partito del proletariato, non solo in teoria, ma anche in pratica. [...] Anche sul piano della lotta contro l'imperialismo, le "BR" sono lontane anni luce da una concezione marxista-leninista e sposano nella sostanza una concezione di tipo trotzkista. Esse affermano che "Per le Brigate Rosse lo sviluppo del processo rivoluzionario continua a realizzarsi facendo la 'rivoluzione nel proprio paese' perché questa rimane la dimensione politica principale della lotta tra le classi, ma - aggiungono subito dopo - richiede fin da subito di praticare l'obiettivo dell'indebolimento dell'imperialismo operando sull'asse programmatico dell'attacco all'imperialismo, alle sue politiche centrali. Asse programmatico sulla base del quale può essere realizzata una politica di alleanze con forze rivoluzionarie dell'area europeo-mediterraneo-mediorientale che ha una sua intrinseca complementarietà economico-politica, per la costruzione di un Fronte Combattente Antimperialista che sviluppi un programma d'attacco comune alle politiche centrali dell'imperialismo". Si ripropone insomma, nella sostanza, la teoria di Trotskij della "rivoluzione permanente", ossia della rivoluzione mondiale. Il "Fronte combattente antimperialista" (FCA), si prefigura come un'alleanza terroristica internazionale finalizzata a colpire militarmente l'imperialismo e non a far crescere un ampio movimento antimperialista di massa in Italia e nel mondo. Noi invitiamo i sinceri rivoluzionari che hanno già preso coscienza della natura della strategia borghese dei falsi partiti comunisti a non farsi imbrogliare dalle tesi controrivoluzionarie delle "BR"[85]

Conclusioni

Analizzate quindi le diverse fonti a disposizione in merito alla storia e alla "ideologia" delle cosiddette "BR", vecchie e nuove, cosa si può concludere? Le cosiddette "Brigate Rosse", insieme ad altri analoghi gruppi del terrorismo "rosso", altro non erano che una banda terroristica costituita principalmente di infiltrati neofascisti sin dalla fondazione e che, con la sua ideologia deviante e fuorviante, ha inquinato, insieme ai movimenti piccolo borghesi del 68 e del 77, le menti di molte potenziali leve di qualsivoglia movimento progressista, rivoluzionario e democratico che avrebbe potuto formarsi in Italia. Diverse "dietrologie" ufficiali cercano di attribuire una paternità "sovietica" alle "BR" e ad altri gruppi terroristi, ma la loro natura ideologica avventurista e individualista, totalmente incompatibile con gli ideali della Rivoluzione d'Ottobre e dell'Unione Sovietica, anche di un'Unione Sovietica post-Stalin degenerata a causa del revisionismo di Chruščëv e del tradimento di quei valori che hanno portato alla vittoria del Socialismo e delle Democrazie Popolari nell'est Europa nel 1945. Come è stato concluso dallo stesso PMLI, un partito tutt'altro che simpatizzante della linea politica attuata dall'URSS all'epoca di maggiore attività dei terroristi "rossi" in Italia, per quanto vi fossero possibili convergenze di interessi tra il KGB sovietico e la CIA americana (coadiuvata dal Mossad) nella liquidazione di Moro e in un'azione che avrebbe screditato il PCI di Berlinguer, è anche e soprattutto vero che coloro che avevano e hanno tutt'oggi abilità di manovra illimitata nella penisola non sono i sovietici/russi, ma gli americani con la CIA e il Mossad; lo stesso Aldo Moro, come è stato rivelato in un'intervista del 2005 di Giovanni Galloni, ex vicepresidente della DC, era consapevole della presenza di "infiltrati della CIA e del Mossad" nelle "BR", cosa di cui né la CIA né il Mossad avevano dato comunicazioni alle autorità italiane, né prima né durante il rapimento Moro; cosa che invece avvenne con il "rapimento" del generale americano Dozier a fine 1981, dove si ebbe la piena collaborazione dei servizi dell'"alleato" americano e una spettacolarizzazione del "blitz antiterrorismo" che fece pensare a molti ad una possibile collaborazione o previa comunicazione tra terroristi e autorità dei servizi americani. Il PMLI, nell'analisi dell'intervista e delle repliche sia di Cossiga (ex capo di Gladio, con i suoi chiari interessi a sostenere l'"autenticità" dell'aberrante ideologia terrorista "rossa") sia di Paolo Guzzanti, all'epoca senatore e stretto collaboratore di Berlusconi, conclude che è altamente improbabile che un servizio segreto di una superpotenza rivale e nemica dell'Italia potesse agire indisturbata sul proprio territorio, proprio perché una simile operazione a parti invertite è altrettanto inverosimile e irrealistica[86]. Curcio, tra l'altro, era già noto ai servizi segreti della Germania Democratica, paese del socialismo reale e del patto di Varsavia, per le sue attività, e viene descritto, a riprova della totale estraneità tra URSS e alleati da un lato e "BR" dall'altro, come un "agente infiltrato neofascista", e viene fatta menzione del suo passato di militante in "Giovane Europa" in un rapporto della Stasi del 1978, 14 anni prima che venisse fuori, pubblicamente, la militanza di estrema destra di Curcio, venuto fuori in una ricerca e inchiesta sulla Stasi pubblicata nell'estate del 2004 dal corrispondente de "La Stampa" a Berlino, Francesca Sforza[87]. Sulla figura di Curcio, fondatore delle "BR" oggi riciclatosi presso centri sociali ed editori "indipendenti" con "strani" legami che si ritrovano sempre con le grandi editorie borghesi come "anarchico" e autore di libri dai toni neo-luddisti e pseudo-critici del capitalismo (ma senza vere critiche rivoluzionarie o di tipo marxista), scrive ulteriormente il PMLI in un suo editoriale del Luglio 2004:

«"Chi vivrà vedrà". E noi abbiamo visto il terribile "lupo rosso" farsi docile e inoffensivo agnello. Abbiamo visto la stupefacente metamorfosi del fondatore delle sedicenti "Brigate rosse", nate a loro dire per portare il colpo al cuore di quello che definivano in modo fuorviante con la criptica sigla di SIM, "stato imperialista multinazionale", in sociologo riformista convinto che "la pratica più importante è ascoltare le storie" e "studiare le dinamiche relazionali che si verificano in queste situazioni": dalle elucubrazioni incendiarie del passato alle piccole storie quotidiane del presente. Diamine che capitombolo! Accompagnato dal suo amico don Alessandro Santoro, il parroco del quartiere fiorentino della Piagge, animatore della lista elettorale "Cantieri solidali", presso il quale ha recentemente presentato la cooperativa "sensibili alle foglie" di cui è direttore editoriale, mercoledì 14 luglio Renato Curcio presentava alla festa regionale toscana di "Liberazione" a Marina di Massa il suo ultimo libro: "Il dominio flessibile", e, a detta dell'inviato di "Repubblica" presente, "è lui la star della serata". A quanti doverosamente gli chiedono notizie sul suo inquietante passato di terrorista brigatista taglia corto:"Io comunque non rinnego nulla" e piuttosto li invita a dare il giusto risalto al racconto e all'ascolto delle esperienze quotidiane di chi vive nel mondo del lavoro perché, avverte, "nessuno può sapere come cambia realmente il mondo del lavoro". Eppure Curcio dovrebbe conoscere assai bene le leggi che governano il capitalismo, lui che, prima di entrare in clandestinità con le "BR", esordì politicamente nel gruppo pseudo marxista-leninista di "Lavoro Politico", fondato insieme al provocatore e avventuriero Walter Peruzzi e altri, che ora magari si ritrovano insieme, protetti da chi?, nelle file del PRC, dopo essersi riciclati disinvoltamente dal terrorismo al ghandismo. è troppo pretendere delle spiegazioni? Noi marxisti-leninisti, che non ci siamo mai stancati di denunciare la natura controrivoluzionaria della scorciatoia terrorista e di sostenere la necessità della rivoluzione socialista per abbattere il capitalismo, non possiamo tollerare una tale condotta. È molto comodo per Curcio rifarsi una verginità riformista, piangendo pretescamente sulle manifestazioni più insopportabili e ripugnanti dello sfruttamento capitalistico, dopo essersi sbarazzato delle spaventose responsabilità che lui ebbe nel mandare al macello terrorista un'intera generazione di rivoluzionari e nel consegnare le "BR" all'infiltrazione sistematica dei servizi segreti fino a metterle nelle mani di quel Mario Moretti che egli considerava una spia, secondo la testimonianza di Franceschini, eppure mai denunciò, né all'epoca del rapimento e assassinio di Aldo Moro e della sua scorta né successivamente. Aveva un solo modo per essere credibile e per dimostrare di non essere egli stesso un infiltrato ed era quello di autocriticarsi sinceramente denunciando fino in fondo i suoi errori e la natura controrivoluzionaria del terrorismo e nel contempo dire tutto quello che sa per fare piena luce sugli "anni di piombo", a cominciare dal "grande" o i "grandi vecchi" che tiravano le fila di quella organizzazione, la ispirarono, finanziarono e protessero affinché prevalesse quella nera strategia golpista costata tanto sangue al nostro popolo e volta a impedire e sabotare in ogni modo la lotta per il socialismo, fiaccare, piegare e sconfiggere il proletariato e i rivoluzionari e aprire la strada, così com'è accaduto, alla seconda repubblica neofascista. E invece Curcio persevera in un mutismo eloquente sul suo passato mentre si mostra loquace nel seminare illusioni riformiste, perché tali rimangono anche le denunce più forti del capitalismo quando si elude la questione cruciale della rivoluzione e della conquista del socialismo[88]

Curcio non è il solo palese infiltrato ad essersi "riciclato" come sostenitore del pacifismo borghese e del riformismo, come "rivoluzionario dei tempi andati" che però ora riconosce che "è impossibile lottare" e ammettendo implicitamente che non ci sarebbero "soluzioni" o "alternative" al capitalismo[89]. Adriana Faranda, una dei primi a "dissociarsi", non fa altro che continuare a partecipare a diversi eventi, "memoriali", "anniversari" sull'agguato di Via Fani, addirittura partecipando ad una grottesca manfrina del "vogliamoci tutti bene" insieme alla figlia di Aldo Moro, Agnese Moro (ben lieta di incontrare Faranda, una delle persone direttamente responsabili per la morte del padre, ma poco lieta invece se un gruppo musicale come P38 fa delle canzoni palesemente satiriche e provocatorie, seppur di cattivo gusto, con la simbologia delle "BR"). Il suo ex compagno Valerio Morucci è invece tutt'oggi uno stretto collaboratore dei servizi segreti, con cui pare abbia collaborato per molto tempo; come riporta un'altra analisi-inchiesta sul sito del PMLI citando gli articoli usciti fuori sui giornali mainstream borghesi (ma per qualche motivo passati in sordina):

«Valerio Morucci, l'ex capo della colonna romana delle “Brigate rosse” che partecipò al rapimento di Moro uccidendo due uomini della scorta, e che oggi è libero cittadino e dal 2016 lavora in un'agenzia di sicurezza privata legata ai servizi segreti, era un collaboratore degli stessi ben prima di ottenere la libertà nel 1994, nonostante fosse stato condannato a diversi ergastoli, grazie alla sua posizione di “dissociato” e per aver “collaborato” con la giustizia fornendo “rivelazioni” che non rivelavano un bel nulla. La notizia è stata data da Rainews 24 ed è passata pressoché sotto silenzio sulla grande stampa, in primis Repubblica e Corsera , con l'eccezione de Il Fatto Quotidiano che l'ha rilanciata con un'intera pagina e un richiamo in prima. La circostanza è emersa durante un'audizione nella commissione parlamentare di inchiesta su Moro dell'ex brigatista Adriana Faranda, ex compagna di Morucci e anch'essa “dissociata” e scarcerata nel 1994. Secondo il verbale della seduta riportato da Rainews 24 , interrogandola sul cosiddetto memoriale di Moro, ritrovato in fotocopie nel covo BR di via Montenevoso a Milano nel 1990, il presidente della Commissione, Giuseppe Fioroni, le ha detto: “Al tempo del secondo ritrovamento di via Montenevoso, il Centro Sisde trasmise il 3 novembre 1990 alla direzione dei servizi del Sisde una serie di valutazioni di Valerio Morucci che all’epoca collaborava col servizio. Morucci collaborava col Sisde e il 3 novembre 1990 trasmisero una serie di valutazioni di Morucci sulla vicenda di Montenevoso”. [...] Ecco ancora un passaggio riportato da Rainews 24 : “Ad un parlamentare che afferma la tesi secondo cui anche il difensore di Faranda, l’avvocato Tommaso Mancini, fosse legato ai servizi segreti, l’ex brigatista risponde: ‘Allora rinuncio…’. Ad un parlamentare che subito dopo sostiene la tesi secondo la quale Adriana Faranda, da ricercata, mise la testa in una macchina della polizia, l’ex terrorista risponde: ‘No, assolutamente. Mi sento circondata… Posso dire che l’avvocato fu scelto da mia madre, disperata e convinta che fossi innocente. Chiese consiglio a mio padre, che era a sua volta avvocato. Mia madre non era dei servizi’”. La Faranda finge di cadere dalle nuvole, ma poi ammette di essere stata contattata anche lei dal Sisde, pur rifiutando ogni rapporto, e come risulta sopra farfuglia senza spiegare in maniera convincente perché lei e Morucci erano difesi da un avvocato legato ai servizi segreti, e perché durante la prigionia di Moro fu vista mettere la testa dentro un'auto della polizia. Comunque quello che è assodato nero su bianco è che Valerio Morucci era un collaboratore del Sisde, all'epoca diretto dal prefetto e vicecomandante operativo del Ros dei carabinieri, Mario Mori. Naturalmente non si sa quando questa collaborazione è iniziata, se nel 1990 o ancora prima, dopo la sua “dissociazione” dichiarata nel 1985, o addirittura da prima, ma è certo che non è stata una collaborazione occasionale, perché con i servizi segreti, e in particolare con Mori, c'è un filo nero che lo collega ininterrottamente fino ad oggi. Infatti, un'inchiesta dell'agenzia La Voce delle voci pubblicata nel gennaio 2011 (“Brigate rossonere”), rivelava che il nome di Morucci, insieme ad altri personaggi della destra eversiva tra cui l'ex ordinovista e membro della P2 Loris Facchinetti, compariva tra i collaboratori della rivista trimestrale di area fascista Theorema , messa in piedi nel 2010 dall'allora sindaco fascista di Roma, Gianni Alemanno. Rivista che aveva come direttore del comitato scientifico il generale Mario Mori, e tra i suoi membri un suo stretto collaboratore, il colonnello Giuseppe De Donno. Mancava soltanto, per completare il gruppo di carabinieri implicato nella trattativa Stato-mafia e nella ritardata perquisizione del covo di Totò Riina, il capitano Ultimo (alias Sergio De Caprio), che però insieme a Mori in quei mesi era stato delegato da Alemanno a supervisionare la sicurezza della capitale. Nella stessa inchiesta de La Voce si riportavano anche i giudizi di un avvocato romano e di un suo collega napoletano. Secondo il primo la “strana” collaborazione di Morucci con una rivista di area fascista e piduista e diretta dai servizi segreti era “la riprova che le Brigate rosse erano eterodirette e sono state infiltrate fin dall’inizio. Del resto era la terapia storicamente consigliata da uno che di terrorismo e servizi se ne intendeva bene, come Francesco Cossiga: la prima cosa da fare è infiltrarsi”. Anche per il secondo: “il caso Moro ma anche il caso Cirillo sono la prova del super ruolo giocato dai Servizi. Anche in quel caso il regista del rapimento, sul fronte brigatista, fu l’ideologo Senzani, che aveva buoni rapporti con i servizi segreti”. Del marzo 2016 è poi la notizia, anch'essa data solo da Il Fatto Quotidiano ed ignorata guarda caso dal resto dei media, che Morucci è stato assunto da una società di intelligence, la G Risk, che fino al 2014 era amministrata dall'ex generale Mori, e che oggi è diretta dal suo braccio destro De Donno. Sempre gli stessi, insomma. Vale la pena ricordare fra l'altro che fu Cossiga a nominare Mori comandante dell'Anticrimine del reparto operativo di Roma dei cc, lo stesso giorno in cui Morucci apriva il fuoco con la sua Skorpion sulla macchina di Moro, uccidendone l'autista e un carabiniere della scorta. Lo stesso Cossiga, piduista e capo di Gladio, che da capo dello Stato sponsorizzò la liberazione dei brigatisti pentiti, e al cui funerale Morucci, insieme ad altri due ex responsabili dell'operazione di via Fani, Gallinari e la Faranda, inviò un suo personale messaggio di cordoglio. Quindi non ci meraviglia affatto, noi che abbiamo sempre sostenuto che le “BR” erano eterodirette dai servizi segreti, venire a sapere che questo torbido personaggio lavora per una società privata contigua ai servizi segreti, creata e diretta da due dei suoi ex alti dirigenti, implicati a loro volta nelle trame più oscure della storia degli ultimi decenni, in particolare nella trattativa Stato-mafia; e che questa collaborazione non data solo da oggi ma le cui tracce portano molto più indietro nel tempo: almeno fino al 1990, ma, secondo molti indizi, fino ai giorni dello stesso rapimento di Moro. Tutto ciò è un'altra conferma che avevamo ragioni da vendere a denunciare che le “Brigate rosse” erano in realtà nere, uno strumento in mano allo Stato borghese e alla P2 per aprire la strada, attraverso la “strategia della tensione” e il terrorismo nero e sedicente “rosso”, alla fascistizzazione del Paese e all'attuale regime neofascista[90]

Un'altra ex brigatista che, a dispetto degli ergastoli cui fu condannata, è riuscita ad essere liberata dal carcere, a ricevere sconti di pena e una di fatto amnistia e poter circolare libera, al punto da riciclarsi fuori, poi, come "poetessa" e autrice di libri melensi in odore di piccola borghesia liberale "di sinistra", addirittura collaborando anche con l'autore Erri De Luca, è stata Barbara Balzerani, morta il 4 Marzo 2024, di cui furono tracciati degli elogi funebri in alcune università italiane da alcuni professori e "intellettuali" vicini a quell'ambiente accademico trotskista e riformista i cui principali esponenti sono Cacciari, Recalcati, Zizek e simili, tutti principali "volti" della "nuova sinistra" borghese figlia dei movimenti del 68 e del 77 che giustifica "da sinistra" il capitalismo neoliberale e monopolistico con la fuorviante locuzione di "globalismo". Tutto ciò non deve stupire, come non deve stupire neanche la più recente dichiarazione contraddittoria di Alberto Franceschini che, da "sospettoso" nei confronti di Moretti, ha poi rinnegato tutto e si è conformato anch'egli alla ricostruzione "ufficiale" degli eventi[91] (che come è già stato dimostrato non ricostruisce un bel niente). Né sono le sole "BR" ad avere avuto elementi "infiltrati" o "ex capi" che oggi lavorano nei gangli della borghesia e del mainstream, si pensi a "Lotta Continua", che fu rivelato nel 2019 dal magistrato Giulio Salvini essere anch'esso soggetto ad infiltrazione da parte di un agente del SID nella "direzione" del gruppo all'epoca in cui fu deciso l'omicidio del carabiniere Calabresi[92] e il cui ex capo Sofri, condannato a 20 anni di galera per omicidio, di cui ne ha trascorsi solo 8, scrive oggi per giornali come "Il Foglio" e "La Repubblica", organi della destra borghese più estrema e della "sinistra" borghese più melensa rispettivamente, e i cui principali articoli sono a sostegno delle diverse operazioni imperialiste nei diversi paesi del mondo soggetti all'imperialismo unipolare USA, si pensi alla Jugoslavia Federale nel 1999, all'Afghanistan nel 2001, all'Iraq nel 2003, alla Libia nel 2011, alla Siria dal 2011 ad oggi con le operazioni (fallimentari) di "cambio di regime" e sostegno ai terroristi "moderati" "islamisti" reazionari a trazione USA (tra terroristi ci si intende) e in ultima istanza all'Ucraina oggi con il sostegno ai neonazisti finanziati da Gladio/Stay Behind che si è semplicemente spostata ad est, attaccando persino il Papa. I terroristi "rossi", in realtà neri e neofascisti, i cui mandatari erano i servizi di intelligence atlantisti e sionisti, hanno distrutto una generazione di potenziali rivoluzionari, hanno distrutto in modo irreparabile la reputazione del "comunismo" in Italia e in Occidente (se si considera il piano più ampio di COINTELPRO di sostegno a gruppuscoli anarcoidi e trotskisti per infiltrare la sinistra e i comunisti e distruggerli "da sinistra", piano di cui il cripto-fascista Conte Sogno ha fatto parte e lo ha fieramente ammesso prima di morire), e anche volendo ignorare i palesi legami con il neofascismo e la reazione, la loro "ideologia" è totalmente incompatibile, nelle idee e nella prassi, con il comunismo, con il marxismo-leninismo, e questo era noto all'epoca dei fatti da parte di autentici marxisti-leninisti, come Enver Hoxha e Mao Tse Tung, da parte di altri partiti "antirevisionisti" italiani come il PMLI e il PCDI-ML, da parte dei paesi del "socialismo reale" dell'URSS revisionista e del Patto di Varsavia e da parte del PCI revisionista di Berlinguer. La tesi della "genuinità" della "lotta armata" è stata costruita a posteriori, in parte come "contentino" ai brigatisti in cambio del loro silenzio sui mandanti delle stragi e dei delitti di cui furono colpevoli solo in quanto "esecutori" per conto di terzi, e in parte come pezzo fondamentale e costituente della propaganda reazionaria, neofascista e capitalista a cui fa comodo la nozione di un terrorismo "rosso" che sia "vero e genuino" e che possa favorire sia la repressione poliziesca a danno dei genuini movimenti progressisti e democratici di protesta che l'affermarsi di "nuove leve" e "utili idioti" nella veste dei centri sociali anarco-trotskisti su cui si appoggia tutta la galassia della "sinistra radicale" di partiti che sono un "mostruoso connubio" di neo-revisionisti e trotskisti come Rifondazione, i CARC e Potere al Popolo, che sono "a sinistra" solo del Partito Democratico e del Centro-Sinistra che continuano a sostenere mutando la loro posticcia "intransigenza" movimentista in un prevedibile ballottaggio "per arginare le destre" ogni volta, come è stato in tempi più recenti alle Elezioni Europee del 2024 in cui tutti questi movimenti e collettivi a loro associati, inclusi molti dei quali utilizzano tutt'oggi l'aberrante stella sproporzionata delle "BR", hanno votato per il PD o per AVS per via della presenza di candidati "strategici" nelle loro liste, come Ilaria Salis o Mimmo Lucano. Vi sono diverse analogie, inoltre, tra la vicenda delle "BR" e del terrorismo "rosso" da una parte e quanto avvenne con le cospirazioni degli anni 30 in URSS, sia nella tattica del ricorso al terrorismo individuale e all'assassinio che nella "teoria" e nella retorica degli attori coinvolti, oltre che nella "convergenza" della destra e della "sinistra" in funzione anticomunista. Anche l'"efficacia" della disinformazione nei rispettivi campi, che sia nella "ricostruzione ufficiale" con tanto di "album di famiglia" del terrorismo neofascista mascherato di "rosso" negli anni 70 e 80 che nella disinformazione trotzkista che ha teso a negare tutto quello che invece i documenti d'archivio e le ricerche storiche hanno dimostrato essere effettivamente avvenuto in entrambi i casi. In ultima istanza, la vicenda delle "BR", tutt'altro che affine al "comunismo" o ai "rivoluzionari", è invece un'esperienza in tutto e per tutto replicante le azioni di infiltrazione da parte trotzkista e anticomunista "di sinistra" (che è come dire la stessa cosa) volte a creare una "sinistra compatibile" inoffensiva, innocua, conformista e totalmente favorevole all'imperialismo e al capitalismo avvenute col patrocinio, sin dagli anni 40 e 50, di COINTELPRO e dei servizi di informazione anglo-americani e delle potenze reazionarie, capitaliste e di fatto fasciste del "libero occidente".

Bibliografia

Note

    1. Secchia,1943
    2. Bordiga, il leninista che sperava nell’Asse
    3. Flamigni, 2004, p.18,19-21
    4. Ibidem, p.256
    5. Ibidem, p.7-8, 9-11
    6. Ibidem, p.11-12,13,14
    7. Ibidem, p.14-17
    8. Ibidem, p.17-18
    9. Ibidem, p.18-19
    10. Riguardo questo tale Alfredo Novarini, che ha testimoniato direttamente a Flamigni nell'agosto del 2003, egli ebbe da dire nello specifico all'autore, in merito alla "scoperta" della presenza di Moretti nelle Brigate Rosse: «Quando i giornali cominciarono a scrivere di Moretti come del capo delle Brigate rosse, tutti noi che lo avevamo conosciuto in fabbrica eravamo increduli: se uno come lui era diventato il capo, chissà cos’erano gli altri brigatisti!», Flamigni, 2004, p.25
    11. Ibidem, p.22-23,24,25,26
    12. Ibidem, p.25
    13. «Nel 1965, dopo essere stato espulso per indegnità morale dal Psi, Simioni collaborò con l'Usis occupandosi di attività culturali. In quel periodo, c’è da dire, l’Usis aveva pianificato una serie di operazioni psicologiche attraverso le quali si sarebbe dovuto ridimensionare il ruolo del Partito comunista e rafforzare il sentimento filoatlantico dell’opinione pubblica. Uno dei passaggi principali di questa strategia sarebbe dovuto consistere in un dialogo serrato con esponenti socialisti, i quali avrebbero dovuto essere “occidentalizzati”, fino a rompere con la tradizione marxista»; Gianni Cipriani, Lo Stato invisibile. Storia dello spionaggio in Italia dal dopoguerra a oggi, Sperling & Kupfer 2002, pag. 150., citato in Ibidem, p.29
    14. La giovanile militanza di Curcio nella destra radicale emergerà solo nel 1992, quando verranno resi pubblici i rapporti intercorsi fra Giovane Europa e l’estrema sinistra maoista, e risulterà evidente come tali rapporti avessero portato quadri dell’organizzazione nei ranghi delle Br, «e al più alto livello». Così si saprà anche di Curcio: «Il capo storico delle Br non ha iniziato la sua carriera politica a Trento nel 1967, come credono i suoi biografi, ma molto prima in Giovane nazione, poi in Giovane Europa. Nel numero 4 della rivista “Giovane nazione” troviamo menzione della nomina del compagno Renato Curcio a capo della sezione di Albenga. Nel numero 5 dello stesso periodico si segnala il suo zelo di militante. Giovane nazione servirà come trampolino di lancio per la creazione della rete italiana di Jeune Europe, dove militerà Curcio. [Non molto più tardi] raggiungerà i ranghi del “Movimento studentesco”. È in Giovane Europa che imparerà le virtù dell’organizzazione e della centralizzazione leninista. È lì che studierà le teorie della guerra partigiana e il concetto di “Brigate” politico-militari»; Jean Luc, Giovane Europa, Barbarossa 1992, pagg. 46-47, citato in Ibidem, p.30
    15. Commenta Flamigni nella pagina originale del suo testo: «Dunque, nel caso di Renato Curcio, prossimo fondatore-ideologo delle Brigate rosse, la tesi del cosiddetto "album di famiglia" del comunismo - tesi elaborata dalla giornalista Rossana Rossanda per collocarvi le radici delle Br - è una sciocchezza. Idem per quanto riguarda l’anticomunista Corrado Simioni, alle origini delle Br ambiguo propugnatore della lotta armata.», p.30
    16. Ibidem, p.27-30
    17. Vincenzo Tessandori, Br. Imputazione: banda armata, Baldini & Castoldi 2002, p.38-40, citato in ibidem, p.31
    18. “Tempo illustrato”, 25 febbraio 1970. Commenta Flamigni: «Nell’inchiesta sulle comuni a Milano, firmata da Walter Tobagi, Moretti si fa intervistare a condizione di restare anonimo, coperto dallo pseudonimo di “Mauro”. Il socialista Tobagi - inviato del “Corriere della Sera” - verrà assassinato dai terroristi di Prima linea il 28 maggio 1980 a Milano»; citato in ibidem, p.33
    19. Ibidem, p.35-36
    20. Ibidem, p.36-37
    21. Ibidem, p.37-38
    22. Il terrorismo in fabbrica, p.111-112, citato in ibidem, p.39
    23. Ibidem, p.40-41
    24. Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Mondadori 2000, pagg. 101-02,110-11., citato in Flamigni, 2004, p.47
    25. Ibidem, p.47
    26. Ibidem, p.50-51
    27. Sogno, Cazzullo, 2000, p.96,103, citato in ibidem, p.52
    28. Ibidem, p.55-58
    29. Ibidem, p.74-86
    30. Ibidem, p.87
    31. Ibidem, p.89-90
    32. Ibidem, p.90-92
    33. Ibidem, p.92-93
    34. Ibidem, p.97-99
    35. Ibidem, p.100-102
    36. Cfr. Sentenza-ordinanza del giudice istruttore Ferdinando Imposimato del 12 gennaio 1982; CM, volume 54, p. 324-325, citato in ibidem, p.103
    37. Flamgini, 2004, p.104-105
    39. Ibidem, p.183
    40. Ibidem, p.106-107
    41. Hoxha, 1980, p.199-200,287
    42. Granito, 2002, PMLI
    43. Flamigni, 2004, p.108-109
    44. Ibidem, p.109-110
    45. Ibidem, p.111-113
    46. Ibidem, p.114-115
    47. Ibidem, p.116
    48. Ibidem, p.116-123
    49. Ibidem, p.123
    50. Ibidem, p.124-125
    51. Ibidem, p.127-141
    52. Ibidem, p.142
    53. Ibidem. p.144
    54. Ibidem, p.145
    55. Ibidem, p.152-163
    56. Ibidem, p.169-172
    57. Ibidem, p.172-175
    58. Ibidem, p.175-176
    59. Hoxha, 1980, p.212
    60. PMLI, 2018
    61. Flamigni, 2004, p.177-178
    62. Ibidem, p.180,181,182-183
    63. Ibidem, p.184-186,187-189,190
    64. Ibidem, p.191-192
    65. Ibidem, p.193-194
    66. Ibidem, p.194-195,196-197,199-200
    67. Ibidem, p.251-267
    68. Ibidem, p.267-285
    69. Ibidem, p.287-290
    70. Ibidem, p.291-307
    71. Ibidem, p.307-322
    72. Dovete sospendere lo stipendio a quel Br - Repubblica, 23 Ottobre 1993
    73. Io boss, cercai di salvare Moro - Espresso, 22 Settembre 2009
    74. Flamigni, 2004, p.322-324
    75. Renato Curcio: «Dietro le BR c'erano solo i militanti delle BR»
    76. Servizio delle Iene su Casimirri
    77. Servizio delle Iene, con intervista, su Loiacono
    78. Flamigni, 2004, p.324-330
    79. Ibidem, p.330-340
    80. Ibidem, p.341-349
    81. CONDANNIAMO IL BARBARO E CONTRORIVOLUZIONARIO ASSASSINIO DI D'ANTONA - L'Ufficio politico del PMLI, Firenze, 21 maggio 1999, ore 8,45
    82. ASSASSINATO BIAGI CONSULENTE DEL MINISTERO DEL LAVORO - PMLI, 27 Marzo 2002
    83. Secondo alcuni fino al 2006, anno dell'ultimo "attentato" rivendicato dalla sigla "Nuove BR" ad una caserma della Brigata "Folgore" dell'esercito italiano, a Livorno
    84. Il terrorismo "BR" è controrivoluzionario e anti marxista-leninista - PMLI, 21 febbraio 2007
    85. Analisi del documento che rivendica l'omicidio di Biagi - PMLI (2002)
    86. Moro sapeva che le "Br" erano infiltrate da Cia e Mossad - PMLI, 13 Luglio 2005
    87. Secondo i servizi segreti dell'ex Repubblica Democratica Tedesca, Le "brigate rosse" di Curcio erano neofasciste - PMLI, 22 settembre 2004
    88. Alla festa regionale toscana di "Liberazione" a Massa, Curcio, star di Rifondazione trotzkista, Dal terrorismo al riformismo - PMLI, 21 luglio 2004
    89. Il fondatore delle "Brigate Rosse", ora editore, è passato dal terrorismo al codismo borghese. Curcio: "la nostra violenza veniva dalla storia del novecento. Oggi viviamo in una società completamente diversa" - PMLI, 23 maggio 2012
    90. Una conferma che le “Brigate rosse” erano uno strumento della borghesia. L'ex terrorista “rosso” Morucci ha collaborato con i servizi segreti. Passò al Sisde un rapporto sul memoriale di Moro, presidente della Dc rapito e poi ucciso dalle “Brigate rosse” - PMLI, 19 dicembre 2018
    91. Franceschini: "Moretti una spia? Riduttivo, si sentiva Lenin"
    92. Lo denuncia il magistrato Giulio Salvini. Dentro la direzione di Lotta continua c'era un infiltrato del Sid. Adriano Sofri, leader dell'ex sedicente gruppo rivoluzionario, non ne sapeva niente? - PMLI, 13 febbraio 2019