Brigate Rosse

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Le Brigate Rosse furono un'organizzazione armata di tipo terroristico, attiva in Italia dal 1970 al 1988, e poi dal 1999 al 2003, autoproclamatasi "marxista-leninista" e "comunista", ma che, nei nomi, nelle azioni e nella retorica, è stata tutt'altro. Lo scopo di questa voce, forte delle fonti a disposizione, è di dimostrare, in barba anche a quei sedicenti "compagni", come i militanti del Partito dei CARC o i molti larpers e bimbiminchia trotskoidi, che tale organizzazione, tutt'altro che un organismo dedito alla "lotta armata", o ancora una "risposta" al "terrorismo nero" di organizzazioni come Ordine Nuovo, altro non è stata che un'operazione psicologica, principalmente, il cui intento era di screditare e sfavorire non solo il PCI revisionista e impedire un "governo di unità nazionale", ma anche il comunismo tutto nel nostro paese, intento in cui i suoi "militanti" (in buona parte) riuscirono.

Premessa: infiltrazione dell'estrema destra "a sinistra" ai tempi della Resistenza

Per poter comprendere la genesi dell'ultrasinistra extraparlamentare degli anni 60 e 70 è necessario fare un passo indietro e analizzare le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza in Italia. Mentre il PCI, non ancora degenerato e divenuto revisionista, lottava e guidava i partigiani contro i collaborazionisti fascisti e le forze militari tedesche, diverse formazioni "di sinistra" spuntarono come funghi, pubblicando diversi opuscoletti di critica e di forte attacco alla guerra partigiana e al PCI. Già nel dicembre del 1943 il PCI, per tramite di Pietro Secchia in un comunicato sul giornale clandestino del partito, La Nostra Lotta, in cui avvisava i partigiani, gli operai e i militanti del PCI della vera natura di questi opuscoli di ispirazione trotskista e della "sinistra comunista" bordighiana:

«Gli uomini di Hitler e di Goebbels non potevano certo illudersi di riuscire a fare presa sulle masse operaie italiane con la propaganda nazionalsocialista, antisovietica e antibolscevica, servendosi di strumenti fuori uso quali Mussolini, Pavolini, Farinacci e soci. Come frenare, ostacolare, limitare l’eroica lotta che il proletariato, guidato dal Partito Comunista conduce per la cacciata dei tedeschi dall’Italia e l’annientamento dei rigurgiti del fascismo? Ecco allora saltar fuori i nemici dell’Unione Sovietica e parlare a nome dell’Unione Sovietica, ecco gli autori del Patto antibolscevico parlare a nome del bolscevismo, ecco gli autori del patto anticomintern in combutta col «sinistrismo» denigratore del Comintern parlare a nome dell’Internazionale e protestare per lo scioglimento dell’Internazionale, invocare il nome di Marx e di Lenin, richiamarsi ai principi comunisti per gridare contro la degenerazione, contro l’opportunismo, contro il centrismo dei comunisti. Ma sotto la maschera del "sinistrismo" è facile scorgervi il bieco sanguinario volto del nazi-fascismo. Strappiamo questa maschera, laceriamo il velo e vi scorgeremo il grugno di Hitler. Ogni operaio al quale sia capitato per le mani qualcuno di questi luridi fogli dai titoli altisonanti e dall’etichetta "rivoluzionaria" si sarà certamente reso conto della vera natura del loro contenuto. Bastano a ciò poche riflessioni. I nazisti che oggi occupano i due terzi dell’Italia, sono coloro che da dieci anni opprimono sotto la più feroce dittatura il proletariato tedesco, sono coloro che sono intervenuti per schiacciare la Repubblica popolare Spagnola, sono coloro che hanno scatenato l’attuale guerra mondiale, sono coloro che hanno invaso, saccheggiato, private della loro indipendenza e libertà tutta una serie di paesi d’Europa, sono coloro infine che hanno aggredito, mosso la guerra e invaso l’Unione Sovietica, il paese del Socialismo. Ebbene, questi fogli, "Stella Rossa" e "Prometeo", non dicono una sola parola contro i tedeschi, contro i nazisti, non incitano alla lotta ed alla lotta immediata contro i nazisti tedeschi, al contrario questi luridi fogli attaccano il Partito Comunista perché con tutte le sue forze è sceso in lotta per la cacciata dei tedeschi dall’Italia, perché chiama le masse popolari italiane a lottare con tutti i mezzi, ad insorgere contro i tedeschi ed i fascisti. [...] I tedeschi hanno aggredito e messo a ferro e fuoco vasti territori dell’Unione Sovietica e i "sinistri", uomini di "Prometeo" e di "Stella Rossa", hanno la spudoratezza di proclamare che non bisogna lottare contro i tedeschi, hanno la spudoratezza di predicare l’astensionismo; hanno la spudoratezza di invitare gli operai a non andare nelle formazioni partigiane, hanno la spudoratezza di dire che tra i due contendenti che si battono sul nostro suolo, non vi è possibilità di scelta. Vi è un solo operaio che può avere il minimo dubbio sulla marca di fabbrica di quella "sinistra" propaganda? La marca di fabbrica è quella tedesca: Made in Germany. Come, non vi è possibilità di scelta fra i due contendenti? Ma gli anglo-americani sono oggi gli alleati dell’Unione Sovietica. I tedeschi invece sono gli aggressori, i saccheggiatori dell’Unione Sovietica. Gli anglo-americani sono coloro che assieme all’Unione Sovietica hanno posto come condizione di pace l’annientamento del fascismo e del nazismo, l’abbattimento dei regimi di Hitler, di Mussolini e dei loro satelliti; i tedeschi invece sono coloro che hanno tolta l’indipendenza ai popoli, sono coloro che, occupata l’Italia, hanno subito ricostituito un governo con i Mussolini, i Pavolini e gli altri traditori fascisti. I redattori di "Prometeo" e di "Stella Rossa" accusano il P[artito] C[omunista] di tradire il proletariato italiano perché si è fatto propugnatore del C[omitato] d[i] L[iberazione] N[azionale], perché si è alleato con i Partiti borghesi. Costoro strillano che bisogna farla finita con la democrazia, che la democrazia è la stessa cosa del fascismo. Costoro dicono che bisogna fare la rivoluzione proletaria, che ci vuole la dittatura del proletariato. [...] Tutti i nemici del nazismo e del fascismo si sono nel corso di questa guerra coalizzati. Hitler, sempre più stretto alla gola da questo potente blocco di forze strilla e grida al bolscevismo: "Si vuole instaurare il bolscevismo in Europa." Alle sue grida fanno eco "Prometeo" e "Stella Rossa" ed altri fogli di tale risma che scrivono: "Oggi noi non dobbiamo lottare contro i tedeschi, ma contro la democrazia, per la dittatura, per il bolscevismo." Sciocchi servitorelli di Hitler! Questo brigante ha bisogno oggi per creare timori, incertezze, esitazioni tra i popoli, per incrinare la compagine delle Nazioni Unite e dei Fronti Nazionali di sbandierare lo spettro del bolscevismo, ed ecco subito trovati i servi ben disposti ‒ coscienti o no ‒ di "Stella Rossa" e di "Prometeo". Ecco queste losche figure levare alte grida al cielo: "Sì, vogliamo il bolscevismo" e lanciare contumelie contro il P[artito] C[omunista] perché avrebbe rinnegato il suo programma. Ogni operaio sa che il nostro Partito, il Partito Comunista, non ha per nulla rinunciato al suo programma e ai suoi obiettivi fondamentali. Ogni operaio sa che gli obiettivi dell’imperialismo anglo-americano non sono gli stessi dell’Unione Sovietica, non sono gli stessi obiettivi delle larghe masse popolari di tutti i paesi, ma ogni operaio sa anche che in questo momento l’Inghilterra e l’America hanno in comune con l’Unione Sovietica e con le masse popolari di tutti i paesi l’obiettivo della sconfitta della Germania, dell’annientamento del nazismo, della restituzione dell’indipendenza e della libertà ai popoli. Ogni operaio sa che il raggiungimento di questi obiettivi è oggi l’interesse fondamentale e preminente della classe operaia di tutti i paesi. Ogni operaio sa che il raggiungimento di tali obiettivi è la premessa essenziale per l’ulteriore avanzata della classe operaia sulla strada della rivoluzione. Oggi nei diversi paesi, ed anche in Italia, si è realizzato un blocco di forze, un blocco di partiti che sono d’accordo di lottare assieme per la cacciata dei tedeschi, per l’annientamento del fascismo, che sono d’accordo di lottare assieme per la realizzazione di un governo di democrazia popolare. I tentativi di Hitler, di Goebbels e dei loro servi, i "sinistri" italiani, per incrinare questo blocco sono ridicoli. [...] Oggi il tradimento più infame è perpetrato da coloro che sotto la maschera di un frasario pseudo-rivoluzionario, massimalista, estremista, predicano la passività, invitano gli operai a starsene neutrali, a non partecipare alla lotta partigiana, aiutando così i tedeschi ad opprimere il popolo italiano. Costoro cercano di indebolire l’azione che il nostro Partito conduce contro i tedeschi ed i fascisti, tentando di diminuire la sua autorità, predicando l’assenteismo e la passività, tentando di incrinare il blocco delle forze antifasciste, sono dei traditori della Guerra di L[iberazione] N[azionale], si rivelano per degli alleati diretti di Hitler e di Mussolini, costoro, lo sappiano o no, sono dei volgari agenti della Gestapo[1]

Come è già stato approfondito in altre voci di questa enciclopedia, le opposizioni "a sinistra" della linea del PCUS, dell'Unione Sovietica e del Comintern nell'epoca immediatamente precedente alla Seconda Guerra Mondiale, e in taluni casi anche durante essa, hanno cooperato, "tatticamente" o meno, con le forze nazi-fasciste pur di andare contro l'Unione Sovietica e il socialismo "degenerato" perché pragmatico anziché perfettamente corrispondente alle infantili utopie dei trotskisti e della "sinistra" di Bordiga. Quest'ultimo, come ammesso anche dai media mainstream borghesi e capitalisti, pur non "collaborando" tatticamente è rispauto che si augurasse. tuttavia, la vittoria della Germania e dei suoi alleati nella guerra[2]. Ma cosa ha questo a che vedere con l'ultrasinistra degli anni 70 e con le Brigate Rosse? L'organizzazione "Stella Rossa", definita da Pietro Secchia una quinta colonna trotskista, e i cui pamphlet ci sono oggi reminiscenti delle miriadi di analoghi pamphlet delle miriadi di "collettivi" sedicenti "comunisti", di ispiazione anarcoide e trotskista, contro il "campismo" e il progresso storico dell'alternativa multipolare, aveva a capo un uomo, tale Luigi Cavallo (di cui, curiosamente, non esistono fotografie e non sono reperibili da nessuna parte). Come riporta Sergio Flamigni, giornalista ed ex parlamentare nelle commissioni d'inchiesta sulla P2, sulla mafia e sul terrorismo per il PCI:

«Fin dalla metà degli anni Cinquanta, il colonnello Rocca per la sua segreta “guerra psicologica” in funzione anticomunista si era avvalso di un prezioso collaboratore: l’ex comunista Luigi Cavallo. Attivo a Torino nell’ambito sindacale come provocatore al soldo della Fiat, Cavallo utilizza per la sua torbida attività una base milanese, un appartamento situato in via Gallarate 131, dove il colonnello Rocca talvolta si recava: "Conobbi il colonnello Rocca nella casa [milanese] di Cavallo in via Gallarate 131", testimonierà Cesare Carnevale, collaboratore di Cavallo. [...] Un’attività di rilievo, perché il personaggio è di notevole spessore. Nato a Torino nel 1920, nel 1938 Cavallo "per intercessione del segretario federale fascista di Torino" aveva vinto una borsa di studio e si era trasferito nella Germania nazista, a Berlino e Tubinga, dove si era laureato in Filosofia. Sposata la figlia di un dirigente dei servizi segreti del Reich hitleriano, nel 1942 era tornato insieme a lei a Torino, e aveva cominciato a lavorare per il comando del Genio ferrovieri della Wermacht (senza trascurare gli studi: seconda laurea, in Scienze politiche). Nel 1943 era stato tra i fondatori di Stella Rossa, gruppo partigiano ultracomunista che propugnava la rivoluzione armata per instaurare la dittatura del proletariato; sul periodico del gruppo, “Stella Rossa”, era lui che scriveva gli articoli politico-militari sulla necessità della lotta armata. Dopo la Liberazione, Cavallo era riuscito a entrare nella redazione piemontese de “LUnità”, arrivando a scrivere editoriali in prima pagina: parlava correntemente 4 lingue straniere (compreso il russo), e conosceva i classici del pensiero marxista 24. Nel maggio 1946 si era trasferito a Parigi come corrispondente de “l’Unità”, e ci era rimasto fino alla fine del 1949, quando era stato improvvisamente allontanato dal giornale e dal partito. Subito dopo, Cavallo si era trasferito - senza incontrare alcuna difficoltà - a New York, ufficialmente con rincarico di inviato della “Gazzetta del popolo”, e ci era rimasto per quattro anni: smessi gli abiti di colto comunista ortodosso, dagli Usa mandava corrispondenze di plauso per il neocapitalismo americano. "Due cose affascinavano Cavallo: la politica keynesiana dei magnati dell’industria statunitense, e il potere esercitato sulle masse dagli strumenti di informazione". Il suo soggiorno americano non era stato privo di ambigui “incidenti”, che lui stesso descriverà così: "Venni segnalato all’Fbi come un pericoloso agente del comuniSmo internazionale. Sono stato arrestato nel 1950 a New York come 'agente sovietico'". All’inizio del 1954 l’ex comunista Cavallo era riapparso in Italia, a Milano, a fianco di Edgardo Sogno nell’organizzazione anticomunista Pace e Libertà, e per un certo periodo i due avevano fatto diversi viaggi a Parigi. L’anno dopo Cavallo si era trasferito a Torino (secondo alcune fonti, dopo avere rotto il sodalizio con Sogno per contrasti politici; secondo altre, per una "nuova destinazione"), dove aveva cominciato a svolgere segretamente una torbida attività antisindacale di provocatore al soldo della Fiat; in quello stesso periodo aveva avviato un’intensa collaborazione con il colonnello del Sifar Renzo Rocca, collocandosi "al centro di una trama in cui [convergevano] gli interessi e l’azione della Fiat, dell’Ambasciata americana, dei servizi segreti, del MSI". Nel 1966 Cavallo si era iscritto al Psi milanese, allacciando rapporti con la destra anticomunista del partito (gli autonomisti del giovane leader Bettino Craxi). L’attività antisindacale e anticomunista di Cavallo alla Fiat negli anni Cinquanta era stata eccezionalmente sofisticata. Attacchi al PCI e alla CGIL “da sinistra”, attraverso lettere, volantini, manifesti, giornali, opuscoli, caratterizzati da una tecnica che «sfruttava due elementi: un linguaggio para-comunista, con una collocazione da sinistra, nel senso che Cavallo [parla] a nome della classe operaia, anzi egli "è, di volta in volta, il lavoratore, l’immigrato, il sindacalista, il compagno; l’attacco diretto e personale a dirigenti di partito e di sindacato, la diffamazione, la calunnia". L’ex cronista de “l’Unità” Manfredo Liprandi, dopo un casuale incontro con Cavallo a Torino nella primavera del 1957, racconterà: "Mi dice che ha fatto carriera... Mi dice che possiede una tipografia e stampa giornali a colori. E poi: l’aereo personale. 'Sono appena stato a Berlino', mi dice, 'nel settore russo, con una missione alleata”. Mi invita nel suo ufficio... C’è uno schedario rotante, uno dei primi che si vedevano; Cavallo lo fa girare piano, come accarezzandolo, e intanto mi dice: 'Qui dentro ci sono i nomi, i recapiti, gli indirizzi di tutti gli iscritti al PCI di Torino'". L’attività anticomunista di Cavallo era soprattutto in ambito sindacale, contro Cgil e Fiom, per alimentare le spinte antiunitarie favorendo la scissione del sindacato. Secondo il senatore comunista Ugo Pecchioli (segretario della Federazione del Pei di Torino dal 1956 al 1966), anche nei disordini di piazza Statuto del 7 e 9 luglio 1962 - scioperi di massa degli operai Fiat, degenerati in gravi incidenti, con oltre mille fermi e 53 arresti - c’era stato lo zampino di Cavallo: "In piazza Statuto c’era di tutto... C’erano gli uomini di Luigi Cavallo, gli ex attivisti e provocatori di Pace e libertà. I fatti di piazza Statuto, nella loro componente di provocazione, sono stati la prima grande e preordinata prova di quella strategia della tensione che il padronato più reazionario e settori dell’apparato dello Stato, servendosi di gente come Cavallo, mettono in atto ogni qualvolta si trovano in presenza di grandi, unitari, vittoriosi movimenti di classe e democratici"[3]

Quindi la nascita della cosiddetta "sinistra extraparlamentare italiana" è da considerarsi avvenuta non negli anni 60, ma nei primi anni 40, durante la Resistenza. Di questo pare ne fosse convinto anche il Generale dei Carabinieri, nonché ex combattente anch'egli al fianco dei partigiani, Carlo Alberto Dalla Chiesa:

«Il generale Dalla Chiesa sospetta da tempo che la strategia della tensione affondi alcune delle sue radici nel periodo della Resistenza, e che il terrorismo brigatista presenti aspetti di forte ambiguità. Lo testimonierà Tallora colonnello dei carabinieri Nicolò Bozzo (braccio destro di Dalla Chiesa dal 1° settembre 1978), secondo il quale i sospetti del generale si appuntano in particolare sull’organizzazione Franchi di Edgardo Sogno: "Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a Savona del 1974-75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalità comune organizzata, massoneria e settori dei Servizi deviati. Successivamente al 1° settembre 1978 il generale mi invitò, in più occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo parere, si fondava sull’esistenza di una struttura segreta paramilitare, con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro interno. A suo parere, questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza, attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza."[4]»

Nascita dell'organizzazione e brevi cenni biografici sui suoi principali componenti

Mario Moretti, "capo" delle Brigate Rosse e rapitore-esecutore di Aldo Moro
Renato Curcio, uno dei principali fondatori delle Brigate Rosse
Corrado Simioni (primo da sinistra) insieme all'Abbé Pierre (al centro) mentre incontra il papa Wojtyła, nell'unica foto reperibile di lui

Per comprendere da dove sia nata l'organizzazione terroristica "Brigate Rosse", è importante prima fare luce sui suoi membri e "dirigenti" principali. Uno dei membri più "duraturi" e l'uomo definito indubbiamente, anche da una parte dei difensori della "validità" dei terroristi, come un palese infiltrato, è l'uomo che avrebbe poi diretto nel 1978 il rapimento di Aldo Moro, ossia Mario Moretti. In merito si esprime, ancora, Flamigni:

«Dal carcere, a posteriori, Mario Moretti cercherà di attribuire alla propria adolescenza una connotazione proletaria, operaia e comunista: "I miei erano poveri, a casa si mangiava soprattutto pane e mortadella... Mio padre votava comunista, come gli amici che da bambino vedevo per casa, ma in quel periodo e da quelle parti la gente si sentiva soprattutto antifascista... Quasi tutti i miei amici erano operai che lavoravano sui pescherecci, nelle fabbriche di calzoleria o di meccanica". Ma sono mistificazioni, falsificazioni della realtà. Infatti, stando ai documenti, la famiglia Moretti - padre mediatore nel commercio di bestiame, madre insegnante di musica, quattro figli (due maschi e due femmine) - non è di estrazione proletaria bensì piccolo-borghese, e non è di matrice comunista ma ultracattolica e destrorsa. È una famiglia "di discreta estrazione sociale", e non ha mai avuto niente a che fare col comunismo, bensì col suo esatto contrario: nel parentado ci sono due zii fascisti, e uno zio materno, Mario Romagnoli, è corrispondente del quotidiano di destra “Il Resto del Carlino”. Inoltre, la famiglia Moretti ha un qualche rapporto con il nobile casato dei marchesi Casati Stampa di Soncino (legati alla destra liberale lombarda e attigui all’aristocrazia “nera” romana), e in casa c’è l’impronta materna di una religiosità intensa fino al bigottismo. Nato a Porto San Giorgio (Ascoli Piceno) il 26 gennaio 1946, Mario Moretti frequenta la locale scuola elementare statale e l’oratorio parrocchiale. Le medie, invece, le fa a Macerata, nel collegio dei Salesiani. A ottobre del 1961 comincia a frequentare, da interno, il convitto “Girolamo Montani”, istituto tecnico di Fermo che all’epoca ha una forte caratterizzazione religiosa. Il 31 marzo 1962 muore prematuramente il capofamiglia. [...] Effettivamente la retta (di importo consistente) del convitto “Montani” dove dal 1961 al 1966 studia e vive il futuro capo delle Br viene pagata [...] dall’amministrazione milanese dei marchesi Casati Stampa di Soncino mediante un rapporto diretto con la direzione dell’istituto tecnico. Una circostanza singolare e enigmatica: non risulta che i Casati Stampa fossero dediti a opere di beneficenza. La "signora generosa", benefattrice del futuro capo brigatista, è Anna Fallarino. Nata nel 1929 in provincia di Benevento, di umili origini, ex aspirante attrice (una piccola apparizione nel film Totò Tarzarn), donna procace e disinibita, la Fallarino è diventata marchesa nel giugno 1961 sposando in seconde nozze il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, discendente dell’omonimo casato lombardo. Benché le vastissime proprietà terriere e immobiliari del casato siano essenzialmente in Lombardia (con residenza ufficiale nella Villa San Martino di Arcore, e amministrazione dei beni situata nel palazzo Soncino di via Soncino-angolo via Torino a Milano), Camillo Casati e la neo-marchesa abitano stabilmente a Roma, in un superattico in via Puccini con terrazzi pensili affacciati su Villa Borghese, insieme alla figlia di primo letto del nobiluomo, la marchesina Annamaria (che vi è nata nel 1951). Nella capitale, i Casati Stampa frequentano la “nobiltà nera” romana, ma storicamente il casato è legato alla destra liberale lombarda. Uno zio del marchese Camillo, il liberale milanese Alessandro Casati, nel 1924 era stato ministro dellTndustria nel governo Mussolini, rappresentante del PLI nel CLN (1943), nonché ministro della Guerra nel primo e secondo governo Bonomi (1944)[5]

Lungi dall'essere uno studente "ribelle" o da un forte carattere tipicamente "rivoluzionario" e da "lottatore armato", Moretti è invece ricordato in questo modo dai suoi insegnanti e compagni di classe:

«L’ex rettore del convitto, Ottorino Prosperi, ne ricorda l’irrequietezza e la frustrazione per il fatto che, pur essendo di Porto San Giorgio (a soli 7 chilometri da Fermo), dovesse pernottare nel convitto. Secondo l’ex rettore, era "un ragazzo scontroso" ma in fondo remissivo perché privo di un vero carattere. Secondo Maria Marcozzi, allora professoressa di Lettere e Storia, Moretti "era uno studente anonimo, dal carattere chiuso e introverso. Non parlava mai di sé, né manifestava particolari inclinazioni. Dagli altri studenti capitava di ricevere confidenze, richieste di ascolto o di aiuto, ma da lui non usciva niente". Univoco anche il ricordo “politico” che ne hanno alcuni suoi compagni di scuola dell’epoca: da studente Mario Moretti professava idee fasciste. Secondo Adriana Pende,"per lui tutto quello che aveva fatto Mussolini era perfetto... Moretti aveva uno zio ex camicia nera, che probabilmente era per lui un modello, un punto di riferimento. Mi ricordo le nostre discussioni, specialmente dopo le lezioni di Storia: lui difendeva sempre il regime fascista e l’operato di Mussolini. Io ho frequentato il “Montani”, per tre anni sono stata nella stessa classe di Moretti, e posso dire che Mario era un esaltato". Nadia Piergentili, sua compagna di classe dal terzo anno fino al conseguimento del diploma in Telecomunicazioni, conferma: "Moretti era nettamente di destra, ma non la destra liberale, la destra fascista, quella del Movimento sociale di allora, forse perché anche la sua famiglia aveva quell’orientamento... Mi ricordo che lui a un certo punto si era fatto fare il basco nero con il pon-pon che portavano i giovani fascisti alle manifestazioni". [...] L’orientamento di destra dello studente Moretti è confermato da Ivan Cicconi, suo coetaneo e anche lui studente del “Montani”. Secondo Cicconi, il futuro capo delle Br all’epoca militava addirittura nella Asan-Giovane Italia, l’associazione studentesca neofascista[6]

Conseguito il diploma, Moretti si trasferisce a Milano, e la sua "protezione" presso i Casati Stampa continua anche in questo frangente della sua vita:

«A luglio del 1966 Moretti si diploma perito industriale con specializzazione in Telecomunicazioni, e si congeda dal collegio “Montani” di Fermo. Ottiene l’esonero dal servizio militare in quanto, orfano di padre, viene considerato capofamiglia. Dopo l’estate si trasferisce a Milano, presso gli zii che abitano nel palazzo Soncino dei Casati Stampa. Il ventenne Moretti che nel settembre 1966 arriva a Milano fresco di diploma non ha niente di sinistra, e men che meno di estrema sinistra. Al contrario: è vicinissimo alla destra neofascista, è cattolico e anticomunista. Del tutto estraneo alla classe operaia e al proletariato, è invece legato al nobile casato dei Casati Stampa, sia pure nel particolare ruolo di beneficiario di privilegi. Infatti Tombrello protettivo dei marchesi non si è chiuso con il conseguimento del diploma, né con l’ospitalità nel palazzo Soncino. Il 27 settembre Moretti compila una richiesta di assunzione alla Sit-Siemens "raccomandato dalla marchesa Anna Casati Stampa di Soncino" 14, seguita il 14 ottobre da una dettagliata domanda d’impiego nella quale Moretti indica come proprio domicilio il palazzo Soncino dei Casati Stampa in "Via Soncino 2", come referenze "marchesa Anna Casati Stampa di Soncino, villa San Martino, Arcore (Milano)", e precisa di essere "temporaneamente assunto dalla Ceiet [società di impianti telefonici, ndr] in qualità di operaio in attesa di occupazione inerente alla mia specializzazione". Il lavoro alla Ceiet dura solo pochi mesi 15, perché il 16 gennaio 1967 viene assunto alla Sit-Siemens come tecnico-impiegato, e assegnato ai collaudi ponti radio con la mansione di collaudatore di apparecchiature a alta frequenza. [...] Effettivamente Moretti sembra proprio un ventenne piccoloborghese dai sani princìpi. Tanto è vero che dopo aver ottenuto il bell’impiego alla Sit-Siemens, decide di proseguire gli studi, e sceglie l’Università cattolica del Sacro cuore di Milano. Per accedere all’ateneo cattolico è indispensabile un certificato di “buona condotta” religiosa e politica, così il 9 settembre 1967 il viceparroco di Porto San Giorgio, don Luigi Campanelli, indirizza al "Rettore Magnifico" della Cattolica una dichiarazione, avallata dalla Curia arcivescovile di Fermo, con la quale certifica che "il giovane Mario Moretti ha tenuto sempre una condotta buona, e professa sane idee religiose e politiche". Un settimanale ["Panorama" del 14 Aprile 1980, ndr], anni dopo, scriverà che "a spianargli la strada della Cattolica, però, più dell’affettuoso interessamento di don Campanelli, fu la raccomandazione autorevole di una nobile e potente famiglia, quella dei Casati Stampa di Soncino... La marchesa Anna già gli aveva pagato le rette del collegio di Fermo, e gli aveva trovato un posto come tecnico dei ponti radio alla Sit-Siemens". Fatto sta che il 24 ottobre 1967 Moretti viene ammesso alla Cattolica, facoltà di Economia e commercio, e propone come primo piano di studi 7 materie, la prima delle quali è “Esposizione della dottrina e della morale cattolica”. L’ateneo del Sacro Cuore è in subbuglio, nella notte fra il 17 e il 18 novembre viene occupato dalle avanguardie del Movimento studentesco (il rettore fa intervenire la polizia e chiude l’Università); ma la matricola Moretti rimane completamente estranea alla rivolta sociopolitica di molti suoi coetanei, tanto più che - da piccoloborghese reazionario quale egli è - la avversa[7]

Il turbolento periodo dei tardi anni 60 in Italia è caratterizzato dalle prime avvisaglie dei governi del Centrosinistra "Organico" DC-PSI, e in contemporanea il già menzionato Colonnello del SIFAR Rocca viene trovato morto con una pallottola in testa: la sua morte viene archiviata come suicidio, ma le prove indiziare dimostrano che la sua morte fu probabilmente un "regolamento di conti" interno ai Servizi Segreti "deviati". Rocca era uno stretto collaboratore dei servizi statunitensi, in particolare della CIA, con cui ha cooperato nella formazione di gruppi di infiltrati "a sinistra", come Luigi Cavallo, in ambito sindacale e partitico, nell'ambito dell'Operazione Gladio[8]. Nel già citato edificio di Via Gallarate 131 in cui era operativa la base di Cavallo pare si fosse accasato anche Moretti: «Durante l’estate del cruciale 1968 lo studente-lavoratore Moretti si conferma un ventiduenne piccoloborghese senza grilli per la testa. In agosto, durante le ferie a Porto San Giorgio, conosce una impiegata milanese sua coetanea, Amelia C. Dopo le ferie i due si rivedono a Milano e si fidanzano. [...] Per combinazione, il “fidanzamento ufficiale” di Moretti avviene in un posto molto particolare: infatti Amelia C. abita con i genitori in via Gallarate 131, cioè nello stesso palazzo dove Luigi Cavallo ha collocato la centrale milanese della sua attività di provocatore[9]

È in questo periodo della sua vita che, stando a quanto riporta Flamigni, Moretti pare abbia avuto un episodio di "conversione" politica simile a quello di San Paolo:

«Il fidanzamento con Amelia C. non distrae Moretti dagli studi universitari, specialmente da quelli a carattere religioso, i soli nei quali eccelle: il 10 ottobre 1968 supera l’esame di Esposizione della dottrina e della morale cattolica ottenendo la massima votazione, 30/30. Un riconoscimento tanto più brillante se si considera che il docente che glielo attribuisce è don Luigi Giussani, il carismatico teologo che sta trasformando la “Gioventù studentesca” nell’organizzazione cattolico-integralista di “Comunione e liberazione”. Una prodezza intellettuale tanto più significativa, se si considera che avviene mentre le università italiane sono a soqquadro - con scioperi, assemblee, occupazioni - per le lotte del Movimento studentesco, lotte alle quali il futuro capo brigatista continua a rimanere del tutto estraneo, e che anzi avversa. [...] Alla coincidenza di via Gallarate 131, dove il superesperto di “sindacalismo” Luigi Cavallo, coinquilino della fidanzata di Moretti, sta preparando una nuova tappa della sua attività di provocatore al soldo della Fiat (“Iniziativa sindacale”), segue un altro incidentale colpo del Destino. Sul posto di lavoro alla Sit-Siemens, nel corso del 1968, Moretti alFimprovviso, come folgorato sulla via di Damasco, prende miracolosamente coscienza, in chiave sindacale, della sua dimensione tecnico-impiegatizia. E per combinazione si tratta di una concezione sindacale antiunitaria e anticomunista, “a sinistra” della Cgil. [...] Insomma, all’impiegato-tecnico Moretti un imprecisato giorno del 1968, grazie a un gruppo di scalmanati operai-operai, sarebbe scattata nella testa "una molla" capace di renderlo consapevole di essere "una parcella del ciclo". Un vero sortilegio, dal momento che fino ad allora nella testa del futuro capo brigatista c ’erano “molle compresse” di tipo clericale e reazionario. Il fatto certo è che Moretti prende la tessera della Fim-Cisl (il sindacato cattolico), e si mette a fare "il primo lavoro politico fra i tecnici". [...] In effetti nella primavera 1968 alla Sit-Siemens nasce il Gruppo di studio impiegati (Gsi), originato dalla necessità, per impiegati e tecnici, di migliorare le proprie condizioni (dopo il declassamento patito in conseguenza dell’evoluzione tecnologica), e di superare la frustrazione professionale in un periodo di crescita tumultuosa dell’azienda, specializzata in un settore in forte espansione. Nell’autunno del 1968 l’assemblea impiegati-tecnici elabora alcune rivendicazioni e apre una vertenza sindacale, che il Gruppo di studio gestisce con il supporto ufficioso dei sindacati: FIOM, FIM e UILM riconoscono la specificità e la autonomia del nuovo organismo in quanto formato anche da lavoratori non iscritti, o diffidenti, o addirittura ostili alle organizzazioni sindacali. [...] La direzione della Sit-Siemens a tutta prima rifiuta di prendere in considerazione qualsiasi rivendicazione dei “colletti bianchi”, e ciò provoca un primo sciopero (cui aderisce il 90 per cento degli impiegati e tecnici); seguono altri scioperi, fino alla primavera del 1969, con punte di partecipazione del 98 per cento, per cui la controparte è costretta a trattare. Un altro tecnico del Gsi, Rossano Gelosini, oggi ricorda: "Quando finalmente la direzione dell’azienda accettò di discutere le nostre rivendicazioni e si fissò rincontro, Moretti si preoccupò di correre a casa per mettersi la giacca e la cravatta, in modo da presentarsi davanti ai rappresentanti padronali con elegante deferenza". Nella fase finale della vertenza tecnico-impiegatizia maturano una serie di rivendicazioni che riguardano le maestranze operaie. È l’occasione per unificare le due lotte, e a questo scopo viene indetta un’assemblea comune al Palalido; ma mentre la FIOM-CGIL sostiene l’unificazione, la FIM-CISL è contraria. Moretti e gli altri sindacalisti cislini del Gruppo di studio si impegnano a contrastare l’unificazione delle due vertenze, alimentando la tradizionale divisione fra impiegati e operai, e rinfocolando le contrapposte tendenze corporative. Ricorda Alfredo Novarini [membro del "Gruppo di Studio" di Moretti, ndr[10]]: "Moretti, che da anticomunista non perdeva mai l’occasione di manifestare la sua ostilità verso la CGIL, si adoperava per dividere il sindacato, per fomentare contrasti tra la CISL e la CGIL". La direzione aziendale approfitta delle divisioni avanzando offerte separate a impiegati-tecnici e operai, in modo da favorire la divaricazione. Così la proposta dell’unificazione naufraga, e le due vertenze si concludono separatamente. Finita la lotta ri vendicativa dei tenici-impiegati, il Gsi si scioglie. Il suo ultimo atto è la presentazione unitaria dei candidati impiegati-tecnici alla elezione della Commissione interna, che si svolge nella tarda primavera del 1969. Moretti, candidato nelle liste della FIM-CISL, non viene eletto; vengono invece eletti i due leader cislini Ivano Prati e Gaio Di Silvestro. Novarini, eletto delegato nella lista della Fiom-Cgil, oggi ricorda: "Moretti era finito nella CISL perché nella FIOM-CGIL c’erano i comunisti che lui odiava, e non venne eletto nella Commissione interna semplicemente perché era il meno brillante dei tre della CISL - non aveva certo la stoffa del leader"[11]

Tale Novarini, del periodo da "sindacalista" di Moretti, ha riportato a Flamigni questa testimonianza:

«Il Gsi convocava le assemblee degli impiegati e tecnici e ne elaborava le rivendicazioni; inoltre teneva i rapporti con gli altri gruppi di studio che stavano formandosi in altre aziende milanesi. Quel Gruppo di studio impiegati lo si potrebbe più correttamente definire un organismo “pre-sindacale”. Al suo interno, io e altri compagni rappresentavamo la FIOM-CGIL; Mario Moretti, Gaio Di Silvestro e Ivano Prati la FIM-CISL. Il Moretti, al pari degli altri, era molto impegnato in questa vertenza e partecipava attivamente alle assemblee dei lavoratori. Quelle assemblee non si svolgevano mai nelle sedi sindacali, perché - insistevano i tre della FIM-CISL - non bisognava dare l’impressione di essere troppo legati ai sindacati. All’interno del Gsi già emergevano due orientamenti: il primo intendeva collegare la vertenza alle più generali problematiche degli operai e del sindacato; la seconda, al contrario, voleva isolarla, sganciarla completamente da qualunque contesto sindacale-operaio. Moretti, che era schierato con questa seconda posizione, durante le assemblee non parlava molto, ma quando interveniva gli piaceva dire e ripetere frasi roboanti del tipo: “Rendiamoci conto che in Italia siamo ancora in una fase di paleonto-capitalismo”... Erano paroioni che sembravano frasi fatte, e a volte avevo l’impressione che Moretti le ripetesse come recitando una parte. Nel terzetto FIM-CISL Moretti non era certo il leader[12]

Da queste prove si evince quindi che il futuro "proletario" rapitore di Moro aveva appreso ben benino le sue tecniche di infiltrazione e di larping ante litteram quasi sicuramente dal suo co-inquilino Cavallo, in questo "veterano" in quanto ex provocatore trotskista per la Gestapo, ex infiltrato CIA nel PCI e poi provocatore "sindacale" per la FIAT. Questo dimostra, però, la sola "invalidità" di Moretti. Per quanto riguarda gli altri brigatisti, invece? Riporta ancora Flamigni, in merito ai contatti di Moretti con i suoi futuri colleghi terroristi:

«Una seconda scissione all'interno del Gruppo di studio operai-impiegati si consuma in autunno, quando il terzetto Di Silvestro-Prati-Moretti aderisce al raggruppamento extrasindacale Collettivo Politico Metropolitano [organizzazione "embrione" delle Brigate Rosse, ndr]; altri attivisti del Gso-i, in dissenso, confluiscono nell’organizzazione extraparlamentare Avanguardia Operaia [anch'essa, come si vede più avanti, organizzazione infiltrata e frutto indiretto di GLADIO, ndr]. Subito dopo le lotte e il rinnovo contrattuale dell’autunno 1969, la maggioranza del Gruppo di studio approva il nuovo contratto che chiude la vertenza, respingendo la tesi estremistica ("accordo bidone sulla pelle dei lavoratori") sostenuta da Moretti e dalla componente del CPM. I contrasti seguiti alla ratifica del contratto riducono ulteriormente il Gruppo: «E una costante della sua breve storia: più venivano scomparendo le ragioni originarie della sua esistenza e si restringeva la sua base di massa, più si dilatavano le tendenze avanguardistiche. Una contraddizione che, in breve, decreterà la sua fine: dopo qualche mese infatti il Gruppo si scioglie". Tra i capetti del Gso-i, oltre alla triade cislina Di Silvestro-Prati-Moretti, ci sono Corrado Alunni, Pierluigi Zuffada, Umberto Farioli: in tempi diversi, aderiranno poi tutti alle Br. [...] Moretti racconterà che "all’inizio il CPM non si presenta neanche come un gruppo - non ha una linea precisa - ma come un luogo di ricerca d’una piattaforma capace di mettere insieme soggetti diversi come gli operai della Pirelli, i tecnici della Ibm e della Siemens, e chi stava nei collettivi lavoratori-studenti. Gli animatori del Cpm sono Simioni e Curcio". Gli “animatori” del Cpm sono due personaggi del tutto estranei alla realtà della fabbrica, e guidano il Cpm in aperta e dichiarata contrapposizione alle organizzazioni sindacali della classe operaia, a tutta prima per tentare di egemonizzare e pilotare le lotte autonome di base alTinterno delle fabbriche. Ma chi sono, Corrado Simioni e Renato Curcio? Del veneto Simioni si sa poco. Nato a Dolo (Venezia) nel 1934, di famiglia borghese, personaggio colto e carismatico, a metà degli anni Cinquanta si era iscritto alla Federazione milanese del PSI, e aveva aderito alla corrente anticomunista (autonomista) del partito diventando amico del giovane dirigente Bettino Craxi. All’inizio degli anni Sessanta aveva sperimentato la vita comunitaria, e nel 1964 era stato espulso dal Psi per “indegnità morale”: "Ufficialmente l’allontanamento fu motivato dalla sua vita irregolare nelle 'comuni', da storie di donne; in realtà Simioni si bruciò con le sue manovre, con le provocazioni nelle assemblee, con le lettere che contenevano piani per rovesciare gli equilibri di allora". Cacciato dal Psi, Simioni per un certo periodo aveva lavorato per l ’Usis (United States Infor mation Service)[13], poi aveva trascorso un biennio a Monaco di Baviera dedicandosi fra l’altro a studi di Teologia, quindi era tornato a Milano facendo il consulente per la Mondadori. Alla vigilia del Sessantotto aveva fondato e diretto un non meglio definito Cip-Centro informazione politica (con sede in corso Italia, a Milano), al quale avevano poi aderito anche Renato Curcio, Duccio Berio, Franco Troiano, Sandro D’Alessandro e altri. Il Cip era strutturato su un doppio livello, uno ufficiale e uno riservato: una doppiezza adottata poi anche nel Cpm. Nel 1969-70 Simioni è il capo del Cpm, e vi svolge un’attività riservata, mentre il leader “pubblico” è il numero due Curcio. Secondo la Commissione controinformazione di Avanguardia operaia, Simioni ha collegamenti con l'intelligence statunitense, e sarebbe stato addestrato dalla Cia in Francia; secondo Lotta continua, sarebbe un informatore della Polizia. Una lista di presunti agenti della Cia attivi in Italia, comprendente il nome di “Simioni Corrado”, perverrà in forma anonima alla redazione del quotidiano “Lotta continua”. Nato in provincia di Roma nel 1941, figlio di una ragazza-madre, Renato Curcio ha avuto una gioventù avventurosa: "Ho vissuto per un anno e mezzo nei bassifondi [di Genova], con i ladri, le puttane, i truffatori. All’inizio dormivo sulle panchine o alla stazione Principe. Poi mi sono legato di amicizia con un ragazzo alcolizzato [...] e vivevo con lui: dormendo di giorno e sveglio di notte, e facendo lavori sull’orlo della legge... Mi sono spinto anche su altri bordi: l’alcolismo, gli psicofarmaci". Ha studiato a Albenga (Savona) diplomandosi perito chimico, e ha militato dapprima in “Giovane nazione”, quindi in “Giovane Europa”, due minuscole organizzazioni di estrema destra[14]. Nel 1962 si è trasferito a Trento, e presso la facoltà di Sociologia ha formato il gruppo della “Università negativa” (con Mauro Rostagno, Marco Boato, Duccio Berio, Mara Cagol, Vanni Mulinaris e altri). Nell’estate del 1967, a Verona, ha fatto parte del comitato di redazione della rivista “Lavoro politico”, quindi - come la maggior parte dei militanti di Giovane Europa - ha aderito al Partito comunista d’Italia marxista leninista (linea rossa), di orientamento maoista, ma alla fine del 1968 ne è stato espulso. Nel 1969 Curcio si è trasferito a Milano, e insieme all’amico Simioni (che ha conosciuto non si sa dove né quando) ha fondato il Cpm, nel cui ambito svolge l’attività “pubblica”, speculare a quella occulta svolta da Simioni[15][16]

Il "Collettivo Politico Metropolitano" che va sviluppandosi acquista via via le caratteristiche di una setta, più che di un comune gruppo di studi socialista o comunista:

«I militanti devono perdere la brutta abitudine, contratta nei partiti revisionisti, del “fare politica”, e cominciare a pensare e agire nei termini di “rivoluzione”. E questo vuol dire che vita privata e vita pubblica, dimensione interiore e dimensione esteriore del proprio essere sociale, devono essere ricuciti e riarmonizzati. La rivoluzione non si può fare a part-time, e per i militanti non c’è neppure la settimana corta. E vuol dire ancora che il militante si responsabilizza in prima persona rispetto ai suoi atteggiamenti e ai suoi comportamenti, e rende conto al Cpm delle scelte che ha ritenuto più opportune[17]

Nell'estate del 1969 i membri del CPM si prefiggono l'obiettivo di iniziare la loro opera a partire dalla costruzione di "comuni dell'amore libero", in piena conformità con l'"anticonformismo" conformista dei figli dei fiori e degli "scamiciati" piccolo-borghesi figli di COINTELPRO e del festival liberal-borghese del 1968. La "comune" ideata da Moretti però è molto sui generis: egli ha sposato in sede civile la sua fidanzata di allora, la già citata Amelia C., e ogni domenica viene celebrata la messa da un prete. Lo stesso Moretti è consapevole di questa natura molto poco "seria" della "comune" (non che le comuni sessuali, di allora e di oggi, abbiano tutta questa "serietà"), come dichiara in un'intervista anonima a Walter Tobagi in quei tempi:

«La famiglia che vive nell’immenso condominio è sperduta, isolata, impaurita. In noi, c’è il rimpianto dell’antica famiglia patriarcale, con tutti i fratelli che abitano un’enorme casa. Ecco: le nostre comuni rispondono a quella stessa esigenza, ricreano una vita d’insieme, salvano la singola persona dall’alienazione individuale. Anche perché noi che viviamo nelle comuni non siamo come i prozìi che stavano nelle cascine di campagna. Sappiamo cosa vogliamo, e abbiamo superato tanti tabù, a cominciare da quello sessuale[18]

Durante l'amministrazione della comune, situata in un palazzo in piazza Stuparich a Milano, Moretti viene ricordato da Amelia C. come un "moralista", contrario soprattutto all'ingresso di studenti nella comune, a differenza di Curcio, come ricordato da questa in un'intervista al periodico Panorama nel 1981[19]. All'estate del 1969 segue l'"autunno caldo" e alle proteste operaie converge la contestazione studentesca sessantottina. In questo periodo vanno formandosi i più disparati gruppi dell'ultrasinistra, tutti ugualmente anarcoidi e trotskisti, e tutti ugualmente infiltrati da criminali comuni, neofascisti o comunque agenti di GLADIO e dei servizi. Scrive in merito Flamigni:

«Quella dell’ultrasinistra è un’area tumultuosa, nella quale trovano posto anche infiltrati, provocatori, pregiudicati e perfino qualche neofascista. Come accade a Genova, dove il 22 ottobre 1969 nasce la prima banda armata di asserita matrice marxista-leninista, chiamata appunto “XXII Ottobre”: ne fanno parte anche alcuni delinquenti comuni e il neofascista Diego Vandelli; secondo verbali di polizia, Vandelli è un confidente della Questura, come lo sono altri due della banda, Alfonso Sanguineti e Gianfranco Astara. L’autunno caldo alla Fiat induce Luigi Cavallo a impegnarsi in una nuova impresa delle sue, stavolta coperta col nome di “Iniziativa sindacale”. Nuovo il nome, vecchi e collaudati i metodi: propaganda, provocazioni, spionaggio e schedature. Con un rinnovato impegno nella pratica dell’infiltrazione: "Ho organizzato a Roma un servizio informativo centrale con un nostro uomo alla Direzione del PCI e uno alla CGIL". E una particolare attenzione alla segretezza e alla doppiezza: "Il nostro centro sarà organizzato e retto in base ai princìpi della più stretta clandestinità (compartimenti stagni, ecc.) e non potrà mai, in alcun modo, coinvolgere responsabilità dirette o indirette della Ditta... Nessun collaboratore sarà a conoscenza dei legami con la Ditta, in modo da garantire il razionale funzionamento con piena sicurezza... Proporrei la costituzione di nuovi 'Comitati unitari di base', che raggrupperanno lavoratori dei vari sindacati". Le sedi di “Iniziativa sindacale” sono a Torino, a Roma, e nella milanese via Gallarate 131[20]

Nello stesso periodo avviene una specie di "congresso fondativo" delle future Brigate Rosse, nell'albergo Stella Maris di Chiavari, vicino Genova, nel mezzo di una riunione delle principali organizzazioni di ultrasinistra[21]. Di questo congresso un collega, sindacalista e membro della comune di Stuparich, tale Antonio Saporiti, ha dichiarato:

«È possibile che si sia parlato di lotta armata: il rovesciamento violento del sistema era uno dei miti che più si agitavano nelle file dell’estremismo; io però di questo non ho memoria come di uno dei dati caratterizzanti del convegno. Ricordo bene che si attaccò con estrema violenza il sindacato, questo sì, di quei giorni di dibattito mi ricordo soprattutto questo. Tutto il resto fu solo una gran babele di ricette rivoluzionarie, un fiume di parole... Mi ricordo che tornai deluso: ero andato a Chiavari per chiarirmi le idee sulle lotte contrattuali, e tornavo più confuso di prima[22]

Si dimostra quindi sin da subito la natura totalmente estranea alla classe operaia del CPM, future BR. Non è un caso che nel medesimo periodo avvenga la strage di Piazza Fontana, il 12 Dicembre 1969, evento che segnalò l'inizio della cosiddetta "strategia della tensione". La strage, oltre a destabilizzare l'atmosfera politica e favorire un clima psicologico di "terrore bianco" e repressione da parte delle forze armate e di polizia, pare abbia anche lo scopo di favorire la mobilitazione delle forze dell'ultrasinistra e la loro trasformazione in organizzazioni clandestine terroristiche e paramilitari che possano causare diverse stragi a loro volta nel nome del "comunismo", di modo da favorire la stigmatizzazione sociale dei comunisti. Questa mossa ha un "parziale" successo con la sparizione in clandestinità dell'editore di ultrasinistra Giangiacomo Feltrinelli, che fonda i GAP nel 1970, salvo poi morire sotto i colpi di una bomba "montata male" due anni dopo a Segrate, probabilmente liquidato in quanto "scheggia impazzita" sfuggita al controllo di GLADIO, come dimostra il fatto che, ad un incontro con altri membri delle organizzazioni di ultrasinistra, inclusi Curcio e Simioni, Feltrinelli continuasse a insistere sull'avvio immediato della fase di "clandestinità". Anche il CPM inizia a organizzarsi per discendere nella clandestinità e nel terrorismo[23]. Nel medesimo periodo Moretti diventa padre, e abbandona il CPM e la comune di piazza Stuparich per trasferirsi con la moglie e il figlio in Via delle Ande n15, una località più vicina all'indirizzo di Via Gallarate 151, dove, tra l'altro, abitavano il capo dell'Ufficio Politico della Questura di Milano, Antonino Allegra, al n16, e un certo Roberto Dotti, al n5, ex "comunista", anch'egli infiltrato nel PCI come Cavallo, e collaboratore insieme a lui per Pace e Libertà, l'organizzazione anticomunista del Conte Edgardo Sogno, ex ambasciatore per l'Italia in Birmania e uomo ossessionato dalla minaccia del "cattocomunismo". Come ha confessato lo stesso conte Sogno nel 2000:

«Tentavamo anche di indebolire il PCI dall’interno, con una tecnica infiltratoria: se c’era qualche eretico prossimo a rompere con il partito, eravamo pronti ad aiutarlo... [Di Dotti] me ne parlò Piero Rachetto, socialista, partigiano in Val di Susa, dirigente di Pace e Libertà a Torino. Rachetto aveva aiutato Dotti a fuggire a Praga. Al suo ritorno in Italia, me lo indicò come sostituto di Cavallo. Dotti lavorò con me fino alla chiusura di Pace e libertà, nel 1958. Poi gli trovai una sistemazione grazie al mio vecchio amico Adriano Olivetti, che avevo conosciuto anni prima negli ambienti liberali. Olivetti lo assunse a “Comunità”. Quando tornai dalla Birmania per fare politica, nel 1970, Dotti lavorava alla Martini e Rossi - era il direttore della Terrazza Martini di Milano. Si licenziò e venne da me[24]

Dotti entrò in contatto tramite Simioni con Mara Cagol, la moglie di Curcio. Di questo ce ne parla l'ex BR Franceschini:

«Simioni combinò un incontro fra Mara e Dotti alla Terrazza Martini nella primavera del 1970. Me lo raccontò Mara nel 1974, dopo la nostra irruzione nella sede dei Crd di Sogno... Simioni in quell’occasione disse a Mara: “Se c’è bisogno di soldi, di aiuto, o per qualunque problema, per qualsiasi urgente necessità, lui è un nostro importante punto di riferimento, ti devi rivolgere a lui”. Simioni le disse anche che le schede biografiche degli arruolati nella struttura clandestina (che lui chiamava “Zie rosse”), schede che Mara aveva il compito di raccogliere, le doveva consegnare a Dotti. In pratica le presentò Dotti come uomo della massima fiducia, che ci poteva aiutare nei momenti più difficili, e che custodiva l’archivio della struttura clandestina. Così Mara rivide Dotti un paio di volte, e lui le raccontò di essere un ex partigiano comunista che per un certo tempo aveva scritto su “l’Unità”, ma poi era stato costretto a fuggire a Praga perché era accusato di avere ucciso un dirigente della Fiat; rientrato in Italia, non si era più iscritto al PCI perché dissentiva dalla linea politica di Togliatti, troppo spostata a destra[25]».

La tesi degli "opposti estremismi" viene validata nell'opinione pubblica italiana da parte della CIA e dell'enorme apparato atlantista in Italia, che sia con organizzazioni di estrema destra che di estrema "sinistra" provoca una costante destabilizzazione del paese e una forte "polarizzazione" politica. È necessario notare che in questa "polarizzazione" è totalmente esclusa la classe operaia, e solo un (relativo) pugno di individui costituisce la vera e propria massa di "lottatori armati" e terroristi. Tutto ciò altro non è che l'effetto della "manovra a tenaglia" ideata e attuata dal conte Sogno: il PCI va attaccato, sia da destra, con l'eversione neofascista, che da "sinistra", con l'eversione di diversi gruppi "rivoluzionari". Del conte Sogno ne traccia una breve biografia Flamigni:

«Nato a Torino nel 1915, scuole inferiori presso i Gesuiti, maturità classica, nel 1933 Sogno era entrato volontario nella Scuola ufficiali di cavalleria. Nel 1937, conseguita la laurea in Giurisprudenza, aveva frequentato a Roma le lezioni dell’ambasciatore Sergio Fenoaltea per entrare in diplomazia, ma senza successo. Monarchico e liberale, accesamente anticomunista, nell’estate del 1938 aveva combattuto come volontario in Spagna dalla parte dei franchisti insieme ai nazifascisti. Nel 1940 aveva conseguito a Torino due lauree, in Lettere e Scienze politiche, ma un secondo tentativo di entrare in diplomazia non aveva avuto successo. Nell’agosto del 1942 aveva chiesto di essere arruolato nel Savoia cavalleria in partenza per il fronte russo, ma era stato mandato come sottotenente a Nizza nel Nizza cavalleria. All’inizio del 1943 si era schierato con gli Alleati, era stato arrestato per alto tradimento, e alla caduta del fascismo (25 luglio 1943) era tornato in libertà e aveva preso parte alla Resistenza. Nel gennaio 1944 Sogno era entrato, come rappresentante del PLI, nel CLN del Piemonte, e aveva assunto il nome di battaglia “Franchi”; conosciuto in Svizzera John McCaffery, il capo della Special force britannica per l’Europa, aveva organizzato la brigata Franchi, struttura clandestina che svolgeva un’intensa attività militare e di intelligence. Nel luglio 1944, Sogno aveva avuto contatti a Roma con il ministro della Guerra Alessandro Casati Stampa di Soncino, dopodiché aveva ripreso la sua ardita attività politico-militare e di intelligence che gli varrà la medaglia d’oro al valor militare. All’inizio di febbraio 1945 era stato catturato dai tedeschi, e aveva evitato il plotone di esecuzione solo grazie all’intercessione di Alien W. Dulles, il capo dell’Oss-Office of strategie Services americano, presso il comandante delle SS in Italia, generale Karl Wolff, che stava trattando la resa. Membro della Consulta nazionale nel settembre 1945 in rappresentanza del PLI, lo stesso anno aveva ereditato dal PWB (l’organizzazione degli Alleati per la guerra psicologica) il quotidiano della sera “Corriere Lombardo”. Schierato coi monarchici nel referendum del 2 giugno 1946, Sogno all’inizio del 1947 aveva cominciato la carriera diplomatica: segretario d’ambasciata prima a Buenos Aires, poi, nel 1950, a Parigi. Su incarico del ministro dell'Interno Mario Scelba, aveva cominciato a organizzare formazioni paramilitari anticomuniste sotto la sigla “Atlantici d’Italia” (embrione della struttura paramilitare segreta della Nato Stay Behind-Gladio), e nell’ambito di questa sua attività segreta aveva seguito un corso di difesa psicologica presso il Nato Defence College di Parigi, dopo il quale - col sostegno dei ministri della Difesa Randolfo Pacciardi e Paolo Emilio Taviani - aveva organizzato un “Comitato italiano per la difesa psicologica” dal comunismo. Rientrato in Italia, alla fine del 1953 Sogno aveva fondato a Milano, con gli ex comunisti Luigi Cavallo e Roberto Dotti, l’organizzazione anticomunista Pace e Libertà (ispirata all’analoga “Paix et liberté” organizzata a Parigi dall’ex funzionario Nato Jean Paul David), la cui attività era finanziata dalla FIAT di Vittorio Vailetta, dal ministero dell'Interno, dalla Confindustria, dall’Usis-United States Information Service, e soprattutto dal capo della CIA Alien Dulles. Nel 1955, poiché la sigla Pace e libertà "si era logorata", Sogno aveva dato vita a un nuovo organismo anticomunista paramilitare e di intelligence, il “Comitato di difesa nazionale” comprensivo di un “Ufficio operazioni speciali”, "tutti nomi di copertura dati all’azione anticomunista, prima sostenuta dallo Stato, poi da Washington". All’attività del nuovo organismo collaborava l’ufficiale del Sifar Renzo Rocca, che alla fine del 1956 aveva accompagnato Sogno in missione nell’Ungheria invasa dalle truppe sovietiche. Alla fine del 1958, Sogno aveva ripreso la carriera diplomatica: prima console generale a Filadelfia, poi, dalla fine del 1959 al 1966, ministro-consigliere a Washington dei due amici-ambasciatori Manlio Brosio e Sergio Fenoaltea. Nel 1966 era stato nominato ambasciatore in Birmania, ma a partire dall’estate dell’anno dopo aveva avuto forti contrasti col presidente del Consiglio Aldo Moro e col ministro degli Esteri Amintore Fanfani per la loro politica filo-araba e per la freddezza del governo italiano di centro-sinistra verso l’intervento americano in Vietnam. Alla fine del 1969, postosi in aspettativa, Sogno era ritornato in Italia, preoccupato della situazione politica “minacciata” dalla crescente forza elettorale del Partito Comunista e da una DC ritenuta debole, imbelle e soprattutto troppo orientata a sinistra[26]

Secondo l'intuizione del Conte Sogno, la strategia più efficace per il suo anticomunismo (e quindi, visto il suo "curriculum", nazifascismo) più sfegatato era quella di un attacco da destra e "da sinistra", infiltrando le organizzazioni sindacali e i partiti, favorendo scissioni o inserendosi in nuove scissioni per favorire quelle tesi idealiste, astratte e di matrice anarco-trotskista che, se negli anni 30 avevano formato gruppi cospiratori e terroristi antisovietici in URSS, negli anni 60 e 70 dovevano formare gruppi anticomunisti, ostili all'Unione Sovietica e non solo, anche al PCI revisionista ormai su posizioni sempre più passivamente atlantiste:

«Cavallo custodiva un archivio formidabile. Teneva in pugno carte, segreti, punti deboli dei capi del PCI. E aveva una teoria: occorreva parlare ai comunisti facendo leva sulle contraddizioni e i lati oscuri del loro partito. Era inutile accusare il PCI di essere antipatriottico: quell’argomento poteva funzionare con i borghesi, che erano già persuasi; non con gli operai, che del patriottismo se ne fregavano. Si trattava invece di insinuare nel loro animo il dubbio che [la dirigenza del PCI fosse] la palla al piede del movimento operaio... Non era difficile vedere che l ’azione contro il PCI era tanto più efficace quanto più veniva svolta da sinistra[27]»

La fondazione dell'organizzazione terroristica

Nell'Agosto del 1970 avviene la riunione fondativa delle Brigate Rosse, il grosso del CPM si discioglie, e i membri "scelti" da Curcio e Simioni, incluso Moretti, entrano a far parte della nuova entità. Franceschini, di quel momento storico, ha poi ricordato che Simioni gli presentò una certa Sabina Longhi, stretta collaboratrice del segretario generale della NATO in quel momento, Manlio Brosio. Franceschini affermò che Simioni glielo fece presente quasi come a fargli notare che anche loro avevano i loro "infiltrati", ma i rapporti di forza chiaramente evidenti (le nascenti BR erano e sono sempre state quantitativamente un pugno di mosche), e la storia di Simioni, dimostrano quanto questo fosse in realtà il contrario, e quanto, quindi, le Brigate Rosse si fossero formate sin da subito all'ombra della NATO e del conte Sogno, collaboratore di Brosio. Nel medesimo momento il conte Sogno prepara il suo "golpe bianco", e avviene la strage dei Casati Stampa, un omicidio-suicidio della già citata marchesa da parte del marito in un raptus di gelosia, che determinerà il passaggio della villa di Arcore a Silvio Berlusconi per tramite di Cesare Previti[28]. Dopo il "congresso fondativo", a cui era assente, paradossalmente, solo Moretti, le BR iniziano ad essere operative, e, dopo una campagna inizialmente fallimentare da emuli dei gruppi di guerriglieri latinoamericani, in particolare dei Tupamaros Uruguayani (ritorna la natura da larper tipica dell'ultrasinistra), il cui unico "successo", a eccezion fatta di qualche rapina a tinte eroiche tipica più da personaggi dei fotoromanzi che non da rivoluzionari, è stato un raid ad una "base operativa" di Sogno in cui sono stati resi pubblici i documenti del tentato golpe bianco. Il 2 Maggio 1972 la polizia di Milano ha l'occasione di arrestare diversi membri dell'organizzazione terroristica, ma non il nucleo dirigente, composto da Moretti, Franceschini, Curcio e Cagol. La "fuga miracolosa", avvenuta in coincidenza con il possibile assassinio di Feltrinelli, è avvenuta secondo il già citato capo della polizia di Milano, Antonino Allegra, nel pomeriggio, lasciando quindi intendere che Moretti e il resto del nucleo delle Brigate Rosse, tutt'altro che "fortunati", scamparono perché informati da parti "deviate" dei servizi di polizia e dello stato; anche se lo stesso Allegra confessò che fu in parte a causa della "copertura mediatica" dell'operazione. In quel momento l'intero gruppo "dirigente" della banda armata terroristica era noto alle autorità, eppure sono riusciti a fuggire e a continuare ad agire per diversi anni, nel caso di Moretti, un decennio[29]. Uno dei catturati, tale Pisetta, ex "GAPino" seguace di Feltrinelli, viene liberato poco dopo e fatto espatriare, a dimostrazione della natura "permeabile" delle BR, eccessivamente esposte ad infiltrazioni da parte della polizia[30], ma ciononostante "irriducibili" almeno fino agli anni 80. A ulteriore dimostrazione della natura di utili idioti/collaboratori delle BR e dell'ultrasinistra tutta, il 17 maggio 1972 viene assassinato a Milano il commissario Luigi Calabresi, stretto collaboratore del capo dell’Ufficio politico della Questura Allegra, accusato da buona parte dell'ultrasinistra di essere responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, indiziato durante le indagini per Piazza Fontana e morto dopo essere precipitato dalla finestra della Questura di Milano durante gli interrogatori. Per quanto in quel momento la morte non sia stata rivendicata da nessuno, ulteriori indagini hanno dimostrato la colpevolezza dell'allora capo di Lotta Continua Adriano Sofri (che, tra le tante cose, faceva uso della stessa tipografia, a Roma, usata anche dal fascista e sionista Giano Accame) come "mandante", e la morte fu presto cavalcata come utile pretesto dal Conte Sogno e dagli anticomunisti più accaniti[31]. Nello stesso periodo il "Superclan", l'agenzia terroristica parallela alle Brigate Rosse, guidata da Corrado Simioni, ha il suo apice di attività, e le altre organizzazioni "rivali" delle Brigate Rosse, come Potere Operaio e la già citata Lotta Continua, iniziano a discutere la possibilità di darsi anche loro alla clandestinità (e quindi al terrorismo)[32]. Il già menzionato Pisetta, da Monaco di Baviera, fa i nomi dell'intero nucleo "dirigente" dell'organizzazione terroristica Brigate Rosse, nominando persino Simioni e il suo collaboratore Mulinaris, oltre che quanti più nomi possibili di tutte le altre principali organizzazioni dell'ultrasinistra, tra cui Lotta Continua, Potere Operaio ed ex-GAP di Feltrinelli, ciononostante, tutte queste organizzazioni (in quanto intrinsecamente borghesi e legate al capitalismo, oltre che utili agli atlantisti e all'anticomunismo) hanno continuato ad agire relativamente indisturbate per il decennio a venire[33].

Episodio della "Stella di David", eterodirezioni e possibili connessioni con il Mossad

«All’inizio del 1973 nelle Br si forma e si riunisce la Direzione strategica, una specie di “parlamentino” dell’organizzazione che nomina un Comitato esecutivo formato da Curcio, Franceschini, Cagol e Moretti - in pratica, il “governo” delle Br. Il 15 gennaio un gruppo di brigatisti armati e mascherati - fra i quali c’è l’informatore della polizia Francesco Marra - fa irruzione nella sede dell’Ucid (Unione cristiana imprenditori dirigenti, legata alla destra DC), nel centro di Milano. [...] Benché incruenta, l ’irruzione brigatista all’Ucid suscita scalpore. [...] Il 19 gennaio 1973 si svolge a Colonia (Germania) una riunione riservatissima fra i rappresentanti dei servizi segreti civili dei vari Paesi della Nato. Oggetto del vertice, la prassi dell’infiltrazione nei gruppi eversivi Br e Raf e nei gruppi extraparlamentari dell’estrema sinistra, attuata dagli apparati di sicurezza. Il rappresentante italiano è Francesco D’Agostino, dell’Ufficio affari riservati del ministero dell’Interno [...] D’Agostino afferma che il settore di estrema sinistra è meno permeabile di quello dell’estrema destra, perché meno sensibile alla lusinga del denaro in quanto formato "quasi sempre di giovani fanatizzati e facoltosi" [tutt'altro che "proletari armati", ndr], e più difficile da penetrare a livello dirigenziale. [...] L’attenzione dei servizi segreti civili - in aperta polemica con quelli militari - per la conoscenza dell’articolazione e delle specificità dell’estremismo di sinistra, è funzionale alla infiltrazione e alla strumentalizzazione delle singole formazioni sovversive. Le varie misure dibattute dal coordinamento dei servizi segreti europei a Colonia all’inizio del 1973 (dal ricorso alle “agenzie stampa”, all’utilizzo di agenti stranieri, alla formazione di "collaboratori di nuovo tipo" addestrati alla pratica terroristica) rispondono a esigenze ben diverse dalla semplice attività informativa: prefigurano un programma di infiltrazione nei vertici dei gruppi dell’estrema sinistra per determinarne l’eterodirezione. In Italia le Br al momento sono una minuscola ciste nel corpo sociopolitico dell’estrema sinistra. Anziché provvedere a rimuoverla, apparati nazionali e esteri sono in azione per trasformare la ciste in un cancro devastante per l’intero corpo politico della nazione[34]

L'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse, lungi dall'essere "genuina" sin da subito, come è stato dimostrato più volte dalle fonti d'archivio, giornalistiche, di interviste e indagini, tra cui anche di commissioni parlamentari, tutte riportate da Flamigni, era quindi vista come un'"opportunità", da parte dei vertici atlantisti, per favorire i loro scopi e destabilizzare il paese Italia nello specifico. Nel medesimo periodo le autorità italiane confermano le informaizoni già menzionate dal Pisetta in merito ai "dirigenti" brigatisti, ma queste informazioni restano comodamente ignorate, di modo da permettere il continuato funzionamento dei terroristi e dei loro piani. Intanto la strategia della tensione prosegue, con la strage della questura di Milano, del 17 Maggio 1973, quando tale Gianfranco Bertoli, autoproclamato anarchico individualista, con provati legami con l'eversione neofascista e con l'entità sionista, in cui pare abbia soggiornato a lungo (ma ciononostante è ancora osannato da buona parte della comunità anarchica). Il XII Congresso della DC del 10 Giugno riapre i democristiani al centro-sinistra, e il 17 Giugno il conte Sogno a Firenze tiene un congresso in cui denuncia i suoi deliri in merito alla minaccia "cattocomunista" di una DC "troppo piegata a sinistra". Il 28 Giugno avviene il rapimento, da parte di un commando delle Brigate Rosse guidato da Mario Moretti, di un dirigente tecnico Alfa Romeo iscritto all'UCID, tale Ingegner Michele Mincuzzi. Viene fatta una fotografia con un cartello con i soliti slogan grotteschi, insieme all'individuo sequestrato, ma il simbolo ha una Stella di David al posto della stella a cinque punte simbolo dell'organizzazione terroristica[35]. Moretti ha affermato di aver usato un "pizzico di fantasia" nel suo disegno, ma secondo Franceschini in realtà tale simbolo poteva essere un "messaggio" per qualcuno. Secondo la sua testimonianza, nello stesso periodo, le BR avrebbero preso contatti con il Mossad, che aveva interesse alla continuata destabilizzazione della penisola per via delle politiche "filo-arabe" del governo italiano in quel momento. Affermò poi il brigatista pentito Alfredo Bonavita:

«Alcuni emissari dei servizi segreti israeliani proposero di offrire alle Br armi, finanziamenti e coperture di vario genere, anche all’interno di alcuni settori degli apparati statali, nonché addestramento militare, richiedendo in cambio un più accentuato impegno diretto alla destabilizzazione della situazione politica italiana. Questo programma doveva essere attuato, ovviamente, attraverso più eclatanti azioni politico-militari delle Br. 1 servizi segreti israeliani spiegarono la loro iniziativa in base alle seguenti considerazioni. All’epoca la situazione internazionale era caratterizzata da una “tiepidezza” degli americani nei confronti di Israele in contrapposizione a un maggiore sostegno politico-militare in favore dell'Italia, considerata essenziale per il mantenimento delle proprie posizioni nell’area del Mediterraneo. Orbene, gli obiettivi dei servizi segreti di Israele erano volti a ribaltare questo stato di cose, attraverso la destabilizzazione dell’Italia, di modo che gli Usa fossero costretti a far riferimento a Israele per il mantenimento delle loro posizioni nell’area del Mediterraneo. La proposta fu fatta dai servizi segreti di Israele tramite un professionista appartenente al Psi e comunque dell’area socialista di Milano. I servizi segreti israeliani, pur di fronte al rifiuto di collaborazione da parte delle Br, assicurarono che avrebbero comunque sostenuto la lotta armata in Italia[36]».

Per quanto la "testimonianza" di Franceschini vada presa molto con le molle (lo stesso si è contraddetto più volte, ritenendo ora Moretti un "infiltrato", ora un genuino "esaltato che si credeva Lenin"), essendo anch'egli un ex-terrorista che ha come primo interesse disinformare e portare acqua al proprio mulino, l'idea che le Brigate Rosse abbiano iniziato dei contatti con il Mossad in questo periodo, poi continuati nello "zenith" della sua massima attività, ossia i tardi anni 70 e primi anni 80, permetterebbe di comprendere meglio il funzionamento dell'organizzazione terroristica stessa e delle sue principali "concorrenti", come la già citata Lotta Continua o Prima Linea.

Il primo sequestro da parte delle Brigate Rosse

L'11 Settembre 1973 avviene il golpe di Pinochet in Cile, sovvenzionato dalla CIA e aiutato dal sabotaggio del governo socialista cileno da parte della stessa maggioranza di governo che aveva sostenuto Allende, in particolare i democristiani cileni. Ciononostante, il PCI di Berlinguer inizia ad adottare la linea del "compromesso storico" con l'illusione di poter entrare a far parte di un governo insieme alla DC. Questa vana illusione altro non farà che esacerbare le manovre "a tenaglia" contro il PCI; la destra missina e il gruppo di Sogno sono gli unici ad applaudire al golpe, mentre l'ultrasinistra (accertata nei precedenti paragrafi come costituita di infiltrati, e accertato che i fondatori delle BR stesse, come Curcio, Simioni e Moretti, sono stati sin da subito degli "infiltrati" da destra) approfitta dell'ulteriore "concessione" del PCI revisionista per incrementare la propria attività. Nonostante la linea moderata e sostanzialmente innocua per il "capitalismo di stato" della Prima Repubblica Italiana del PCI di Berlinguer, un partito "comunista" molto all'acqua di rose, i fanatici anticomunisti come Sogno diventano ancora più accaniti, in quanto ostili all'idea stessa di un partito comunista, seppure solo nominalmente, al governo[38]. A condividere l'idea di Sogno è anche Licio Gelli, gran maestro ("capo" ufficiale) della loggia massonica Propaganda 2, i cui veri capi (i servizi atlantisti, sionisti e imperialisti) non verranno mai scoperti, non nelle singole identità anagrafiche, perlomeno. Gelli, che aveva attuato un piano più "subdolo" rispetto a quello del suo ex commilitone Sogno (anche Gelli fu volontario in Spagna per i fascisti di Franco) per la trasformazione della "statica" Prima Repubblica Italiana tramite infiltrazione di giornali, partiti politici, forze dell'ordine, magistratura e istituzioni, afferma, in particolare, nei documenti del cosiddetto "Schema R", documento organizzativo del suo "piano di rinascita democratica" della P2, come viene riportato da Flamigni:

«In un documento chiamato 'Schema R', la P2, con allarmato riferimento alle elezioni del 15 giugno 1975 e all’avanzata elettorale del PCI, aveva preconizzato un «aumento dell’attivismo “rivoluzionario” nelle piazze, nelle fabbriche e nelle scuole, dai gruppi della sinistra extraparlamentare», nonché un "inasprimento della ìlotta rivoluzionaria' di gruppi del terrorismo del tipo dei Nap e delle Br" [...] In pratica, si tratta di una strategia parallela alla strategia della tensione, con l’univoco fine di fermare l’avanzata elettorale del PCI, partito che secondo la P2 "nasconde il suo vero volto ungherese e cecoslovacco con una maschera di perbenismo e neoilluminismo liberale molto simile alla Nep di leniniana memoria" ma che in realtà si propone di instaurare in Italia "un regime comunista"[39]

Lungi dall'essere una difesa a spada tratta del PCI, che anzi si dimostra ancora di più essere un partito con una dirigenza inetta e incapace di comprendere la realtà oggettiva, ossia l'impossibilità di un partito "comunista", seppur "moderato", di entrare al governo tramite "elezioni democratiche", la linea del "compromesso storico", la cui ostilità espressa dai brigatisti con comunicati sempre più estremisti e grotteschi, durante il rapimento nel Dicembre del 1973, a Torino, di un dirigente FIAT, tale Ettore Amelio, fa alzare il sopracciglio alle principali organizzazioni e partiti della sinistra italiana, dai più "moderati" PCI e PSI, passando per le organizzazioni sindacali come CGIL, CISL e UIL e per il giornale "comunista" vicino all'ultrasinistra anarco-trotskista del Manifesto (che invece, anni dopo, da miglior organo della borghesia quale è sempre stato e quale è tutt'oggi, ha proceduto a difendere la presunta "purezza rivoluzionaria" e "genuinità" dei terroristi). Riporta Flamigni:

«Il sequestro Amerio, protrattosi per ben otto giorni, impone le BR alla ribalta della politica nazionale. Le azioni brigatiste, che si susseguono indisturbate e che oggettivamente alimentano la strategia della tensione come benzina sul fuoco, suscitano forti dubbi sulla natura stessa dell’organizzazione, soprattutto nella sinistra. Il quotidiano socialista “Avanti!” definisce le Br "una organizzazione di estrema destra", "elementi neofascisti il cui obiettivo principale sarebbe proprio quello della provocazione". Il quotidiano del PCI “l ’Unità” scrive: "Chi li paga?... È più che evidente che alle spalle di questa banda esiste una organizzazione interessata a certe operazioni squisitamente politiche". Il quotidiano di estrema sinistra “il manifesto” non fa eccezione ed è categorico: "Per nessuno ora può esserci margine di incertezza: sotto la denominazione di 'Brigate Rosse' si nasconde una delle tante bande di fascisti che da anni sono impegnate nella provocazione ai danni della classe operaia, nella strategia della tensione"; il quotidiano comunista [filo-trotskista, ndr] definisce Renato Curcio ("trasferitosi all’università di Trento insieme a Marco Pisetta") uno "specialista della tecnica dell’infiltrazione"[40]

Se eventuali difensori dei brigatisti/terroristi asseriscono che la maggior parte di questi attacchi provengono da fonti con pregiudiziali revisioniste, e quindi da scartare "a priori", in quanto le "Brigate Rosse" e altri gruppi affini sarebbero "nati come opposizione della classe operaia ['classe operaia' vistosamente facoltosa e di provenienza illustre, come è stato dimostrato, ndr] al revisionismo della sinistra italiana". Tali obiezioni si sciolgono come neve al sole se si considera che nel medesimo periodo, sia in Italia che all'estero, anche in ambito marxista-leninista le Brigate Rosse sono state etichettate come organizzazione "neofascista" e "terrorista". Riporta, ad esempio, Enver Hoxha, leader dell'Albania Socialista, forte critico del revisionismo sovietico kruscioviano e dell'eurocomunismo berlingueriano:

«La Costituzione garantisce una serie di diritti democratici, ma ciò non impedisce né allo Stato italiano, né all’arma dei carabinieri, né alla polizia di agire quasi apertamente, basandosi sui diritti concessi loro dalla Costituzione, per la messa a punto di quel meccanismo che è pronto ad instaurare un regime fascista. I vari comandi fascisti, da quelli dell’estrema destra a quelli denominati "brigate rosse" nonché i terroristi di Piazza Fontana trovano anch’essi la loro giustificazione nella Costituzione italiana. [...] Inoltre, essi [gli autentici rivoluzionari, ndr] spiegano che l’anarchismo, il terrorismo e il banditismo, che stanno assumendo vaste proporzioni nei paesi capitalisti e revisionisti, non hanno nulla in comune con la rivoluzione. I fatti di ogni giorno provano che i gruppi anarchici, terroristici e di banditismo vengono strumentalizzati dalla reazione come una giustificazione e come un’arma di lotta volta a preparare e a instaurare la dittatura fascista, ad impaurire la piccola borghesia per farne uno strumento e un letto caldo per il fascismo, a reprimere la classe operaia e tenerla legata con le catene del capitalismo, sotto la minaccia di perdere anche quelle poche briciole "datele" dalla borghesia. Tutte queste correnti e questi gruppi si ma scherano sotto nomi allettanti, come "proletari", "comunisti", "brigate rosse" ed altre denominazioni che creano una confusione vera e propria. [Ma] Le azioni di questi gruppi non hanno nulla a che vedere con il marxismo-leninismo, con il comunismo[41]

Anche il PMLI, piccolo partito politico italiano per molti versi contradditorio e controverso, ma non senza i suoi meriti, oltre che i suoi de-meriti, come più volte concluso in altre voci di questa enciclopedia, si espresse in modo contrario e risoluto contro le "Brigate Rosse", e il PMLI, in tutte le sue diverse contraddizioni, per certi versi "schizofreniche", ha sempre mantenuto come uno dei suoi pochi (meritevoli) tratti coerenti una forte opposizione, ideologica e pratica, al revisionismo e all'estremismo "sinistrista", che altro non sono che due facce della medesima medaglia:

«La violenza rivoluzionaria è parte integrante della linea politica del PMLI. Per comprenderne la giustezza, occorre leggere e studiare anzitutto il Programma del Partito. Nel V capitolo viene chiarito che per i marxisti-leninisti "La violenza rivoluzionaria è inevitabile per prevenire o stroncare il golpe fascista, comunque è indispensabile per la presa del potere politico da parte della classe operaia. Il grande passaggio storico dal capitalismo al socialismo può avvenire solo attraverso la rivoluzione violenta; solo con la forza del fucile la classe operaia e le masse lavoratrici possono sconfiggere l'esercito armato della borghesia, trasformare la vecchia società, abolire la proprietà privata capitalistica, distruggere lo Stato borghese e imporre il proprio potere. Nella sua lotta per la conquista del potere politico, il proletariato italiano non può non seguire nei principi e nei suoi tratti fondamentali e tattici, che la via universale della Rivoluzione d'Ottobre. [...] Il PMLI quindi ha una linea politica corretta e vincente per preparare la rivoluzione e avanzare verso la conquista dell'Italia unita, rossa e socialista, combatte il pacifismo e il riformismo che gli sono ideologicamente estranei, ma combatte anche il ribellismo piccolo borghese, anarchico e avventurista che non porta forze al mulino della rivoluzione ma brucia inutilmente le preziose energie dei giovani rivoluzionari, gettati allo sbaraglio dagli imbroglioni politici che li dirigono e ai quali va fatto comprendere che per infliggere colpi incisivi e devastanti al nemico di classe occorre che le lotte abbiano un carattere di massa e coinvolgano la classe operaia, che le manifestazioni e i cortei siano unitari, che si lavori attivamente per l'unità politica e organizzativa dei movimenti di lotta sulla base di una corretta linea antimperialista e anticapitalista e che solo con la direzione del proletariato rivoluzionario sarà possibile mobilitare le masse su vasta scala, allargare le alleanze e utilizzando giusti metodi di lotta sempre più violenti man mano che diviene più violento a livello di massa lo scontro col nemico di classe, si potranno registrare importanti vittorie sulla via della conquista del potere politico da parte del proletariato fino a quella finale. Evitare lo scontro per lo scontro, fine a se stesso, con le "forze dell'ordine non significa affatto rinunciare, ad esempio, all'antifascismo militante quanto invece evitare di cadere nello spontaneismo e nell'avventurismo, non anticipare i tempi di uno scontro certamente inevitabile che deve però avvenire nel momento in cui le masse sono decise all'azione e si pongono coscientemente l'obiettivo di conseguire traguardi concreti nel quadro della lotta di classe. [...] La concezione marxista-leninista della violenza rivoluzionaria e della lotta armata non ha nulla a che vedere col terrorismo delle sedicenti "Brigate Rosse. Su quest'ultime un coerente e conseguente marxista-leninista deve avere una posizione chiara, netta e risoluta. Non si possono giustificarle in alcun modo. [...] Per comprendere meglio come il PMLI abbia tratto dagli insegnamenti e dall'esperienza dei maestri gli elementi fondamentali della sua linea politica riguardo al terrorismo, oltreché alla violenza rivoluzionaria, occorre riflettere sugli importanti concetti che Lenin espone nella sua celebre opera "Che fare?": "Gli economisti e i terroristi della nostra epoca hanno una radice comune: la sottomissione alla spontaneità (...). A prima vista, la nostra affermazione può sembrare paradossale, tanto grande sembra la differenza tra coloro che antepongono a tutto la `grigia lotta quotidiana' e coloro che propugnano la lotta che esige la massima abnegazione: la lotta di individui isolati. Ma non si tratta per niente di un paradosso, 'economisti' e terroristi si prosternano davanti a due poli opposti della tendenza della spontaneità: gli 'economisti' dinanzi alla spontaneità del 'movimento operaio puro', i terroristi dinanzi alla spontaneità e allo sdegno appassionato degli intellettuali che non sanno collegare il lavoro rivoluzionario e il movimento operaio, o non ne hanno la possibilità. è infatti difficile, per chi non ha più fiducia in tale possibilità o non vi ha mai creduto, trovare al proprio sdegno e alla propria energia rivoluzionaria uno sbocco diverso dal terrorismo"[42]

Con queste due fonti abbastanza autorevoli in fatto di cosa possa definire o meno un marxista-leninista, vero, sedicente o presunto (al punto che viene anche citato Lenin stesso nella sua posizione in merito al terrorismo e all'individualismo), è già in buona parte dimostrata la totale estraneità dell'organizzazione terroristica delle sedicenti "Brigate Rosse" con il comunismo e con la "classe operaia" che coi suoi comunicati da bohemienne piccolo-borghesi, totalmente estranei ad essi, ha dichiarato più volte, falsamente e ipocritamente, di "sostenere" o addirittura di "difendere". Una "difesa" di (autoproclamati) "comunisti" che, come degli esaltati, hanno più volte, poi, attaccato sedi sindacali, sindacalisti e operai, contribuendo alla distruzione presso di essi della buona reputazione del comunismo. Il primo "sequestro" vero e proprio delle Brigate Rosse, dopo il "banco di prova" della vicenda di Amelio (che definirà l'esperienza, poco più di una settimana di cattura, come relativamente breve e indolore), avviene nell'anno 1974, ai danni del magistrato Mario Sossi, a Genova, giudice fortemente anticomunista nonché responsabile della condanna di molti membri dell'organizzazione XXII Ottobre, la già citata cricca infiltrata da elementi camorristi e neo-fascisti. Il clima dell'anno 1974 in Italia è molto teso: ennesimo rimpasto di governo del centrosinistra a guida democristiana, segue un altro governo ad egemonia democristiana insieme ai socialisti, il referendum per il divorzio è in corso, con i partiti di sinistra da un lato favorevoli al mantenimento della legge e i democristiani e la destra "conservatrice" contrari e per l'abrogazione della legge. In questo contesto, il rapimento di Sossi è chiaramente volto a portare la psiche della classe operaia italiana in particolare, e dell'opinione pubblica in genereale, a dei livelli ancora più estremi e tesi, di modo da avvicinarla sempre più ai partiti "centristi" o "moderati", come è stato già analizzato nelle fonti consultate poc'anzi. L'operazione è gestita dal "primo" nucleo dell'organizzazione, in particolare da Franceschini, Cagol e Curcio. Il 18 Aprile 1974 Sossi viene catturato mentre rincasa nella sua abitazione, portato su un furgone e chiuso in un sacco, e poi portato in una villa acquistata da Franceschini stesso (località molto "proletaria" dove allestire una "prigione del popolo") nella periferia di Tortona, nella provincia di Alessandria, in Piemonte. L'operazione avviene nella sera inoltrata, e i sequestratori riescono ad agire inspiegabilmente in modo indisturbato, nonostante il loro bersaglio sia un magistrato inviso ad un pubblico di esaltati, rapitori e pistolettatori particolarmente crudi e attivi[43]. Il gruppo terrorista rilascia poi il seguente comunicato:

«Mario Sossi era la pedina fondamentale dello scacchiere della controrivoluzione, un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare. Sossi verrà processato da un tribunale rivoluzionario. Sin da giovane, Sossi si è messo “a disposizione” dei fascisti presentandosi per ben due volte nella lista del Fuan [l’organizzazione degli studenti universitari neofascisti, ndr]. Divenuto magistrato, si schiera immediatamente con la corrente di estrema destra della magistratura. Compagni, entriamo in una fase nuova della guerra di classe, fase in cui il compito principale delle forze rivoluzionarie è quello di rompere l’accerchiamento delle lotte operaie estendendo la resistenza e l’iniziativa armata ai centri vitali dello stato. La classe operaia conquisterà il potere solo con la lotta armata! Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello stato! Trasformare la crisi di regime in lotta armata per il comunismo! Organizzare il potere proletario! Avvertiamo poliziotti, carabinieri e sbirri vari che il loro comportamento può aggravare la posizione del prigioniero[44]..»

Il "comunicato" è scritto con un linguaggio astratto, per certi versi roboante e altisonante, reminiscente degli opuscoli dei gruppi "a sinistra" dei partigiani attaccati da Secchia nel già citato documento clandestino del Dicembre 1943. La menzione alla "minaccia gollista", avvenuta tra l'altro in un momento di "crisi" per lo stesso Sogno, che si ritrova nelle sue proposte "golpiste" smentito dai suoi stessi commilitoni nella sua cricca, sembra invece fornire una giustificazione ideologica molto conveniente a quest'ultimo, e ai suoi compari, per le loro azioni, in un tempo molto sospetto. Di questo avviso pare sia convinta anche la sinistra, parlamentare e non, dei tempi del sequestro, sia Lotta Continua che il Manifesto definiscono il rapimento una "provocazione", a Genova vengono rilasciati sempre più ordini di dispacci di polizia e pattuglie, con un irrigidimento del controllo poliziesco, e i già citati movimenti dei servizi segreti "deviati", che con le loro pressioni fanno si che ogni volta che vengono arrestati uomini dei commando terroristici, questi vengano poi prontamente liberati, vengono menzionati da tale Federico Umberto D'Amato, capo dell'Ufficio Stampa degli Affari Riservati del Viminale, come il principale motivo della continuata attività terroristica. La vicenda del "sequestro Sossi" sembra una specie di "prova generale" del futuro sequestro Moro: viene rilasciato un comunicato "falso" delle Brigate Rosse, seguito poi da un comunicato "vero", il sequestrato collabora "contro ogni aspettativa", come avrebbe poi detto Franceschini, e avviene una accesa discussione tra Franceschini e Curcio da una parte, che vorrebbero liberare il magistrato, in quanto era ormai inutile trattenerlo ulteriormente, e Moretti, futuro sequestratore e poi assassino di Aldo Moro, che invece è più propenso ad uccidere Sossi[45]. Queste "divergenze", lungi dal dimostrare una "purezza rivoluzionaria" delle "prime BR", altro non sono che disaccordi dal semplice punto di vista pratico, e il fatto che tutti gli ex capi brigatisti si siano ritrovati, una volta terminate le vicende della "strategia della tensione", "tutti insieme appassionatamente" fuori dal carcere e tutti d'accordo su un'unica (falsa) "ricostruzione ufficiale", lo dimostra chiaramente, come viene ampiamente dimostrato nei successivi paragrafi. In contemporanea al sequestro di Sossi le BR attaccano sedi della DC e dell'organizzazione di Sogno, dimostrando ancora una volta il loro vero scopo di provocatori atti a favorire una frammentazione politica e uno spostamento dell'opinione pubblica in senso anticomunista e reazionario per semplice "paura" del banditismo. Lungi dal chiedere il sostegno dell'opinione pubblica, della "classe operaia" di cui si sono riempiti tanto la bocca nei loro "proclami" roboanti e astratti, i sequestratori richiedono in realtà uno "scambio di prigionieri", da verificarsi con l'intermediazione dei seguenti paesi: Cuba, Corea del Nord, Algeria[46]. Nessun diplomatico dei tre paesi citati ha mai effettivamente garantito per i brigatisti, a dimostrazione, ancora una volta, dell'estraneità di questi non solo nei confronti della classe operaia italiana, ma del movimento socialista e rivoluzionario internazionale. Di questo un "improbabile" menzione viene fatta dall'allora ministro dell'interno Taviani:

«Queste Brigate Rosse, spesso accostate ai Tupamaros, sono una cosa ben diversa. Laddove agiscono, i Tupamaros hanno aliquote consistenti di opinione pubblica favorevole. Invece i delinquenti delle BR non hanno nemmeno l’un per mille del popolo italiano che li favorisca o li sostenga: sono isolati dall’opinione pubblica, da tutti i partiti, e da qualsiasi grappo sociale. Sono come dei folli appestati. Come appestati si nascondono da tutti; come folli si gonfiano di megalomanìa[47]

Intanto il 9 Maggio, dal Carcere di Alessandria, a pochi chilometri dal luogo dove è tenuto sequestrato Sossi, avviene una rivolta carceraria: i detenuti in rivolta catturano un gruppo di ostaggi, membri del personale carcerario, chiedendo la libertà in cambio del loro rilascio. La rivolta viene repressa, e l'operazione è guidata dal generale Dalla Chiesa, è nel blitz muoiono 14 persone, di cui 5 dei 7 ostaggi in mano ai rivoltosi. Questa vicenda porta il sequestrato Sossi e il brigatista a capo delle operazioni del suo sequestro, Franceschini, entrambi chiaramente spaventati dalla possibilità di morire in un raid anti-terrorismo, a collaborare concretamente. Lo stesso Sossi rilascia dichiarazioni ai suoi carcerieri, timoroso che lo stato italiano non abbia interesse a liberarlo, quanto piuttosto a "martirizzarlo" a scopi politici. Dopo alcune dichiarazioni in merito ad un traffico illecito di diamanti e armi con una nazione africana, da parte del magistrato, questi viene di nuovo proposto dai suoi carcerieri per uno scambio in cambio dei "compagni" dell'organizzazione (infiltrata e controllata da Gladio, dalla criminalità e dai neofascisti) XXII Ottobre, da liberare e condurre in un salvacondotto presso l'ambasciata di Cuba in Vaticano, ma le autorità cubane non vogliono avere a che fare con il gruppo terrorista (a ennesima dimostrazione dell'estraneità di questi "proletari" con il movimento socialista internazionale e con i paesi socialisti e rivoluzionari), e il sostituto procuratore di Genova, Francesco Coco, si rifiuta di garantire il salvacondotto per i detenuti dell gruppo terroristico XXII Ottobre. La situazione, paralizzata, dimostra il fallimento dell'operazione brigatista, e il risultato del referendum sul divorzio, favorevole al mantenimento della legge, fa si che anche un eventuale scopo "occulto" di influenza dell'opinione pubblica verso la DC è fallito, l'opinione pubblica resta sostanzialmente ferma sulle posizioni della sinistra parlamentare italiana del PSI e del PCI. Dopo un'ulteriore discussione, in cui Moretti propone di nuovo, insensatamente, l'uccisione di Sossi, viene deciso dai brigatisti di liberarlo: il magistrato viene "truccato", viene portato a Milano, gli vengono forniti documenti falsi, l'ultimo comunicato brigatista in merito alla vicenda del suo sequestro e un biglietto del treno con cui si dirige a Genova, da lì contatta un amico, si consegna poi alla Guardia di Finanza, ma viene dichiarato dal suo collega Coco come ancora "in stato di shock" per la vicenda, e gli organi di stampa fanno di tutto per evitare che venga preso in considerazione in quanto potenziale "mina vagante"[48]. Un parziale "successo" per i terroristi, ma solo perché sono riusciti a dare l'illusione di essere riusciti a "contrattare", questi vengono perà definiti dal magistrato Sossi in questo modo:

«Li rispetto come nemici di una certa lealtà. Sono però fuori dalla realtà, sono a sinistra di qualunque sinistra. Sostanzialmente sono anticomuniste, nel senso che sono contro il Partito comunista[49]

Il gruppo terrorista non aveva certo il primato di "opposizione" al PCI revisionista (si pensi al PCDI-ML dell'ex partigiano Fosco Dinucci o al già menzionato PMLI di Giovanni Scuderi, sicuramente più degni di tale definizione, e che, almeno nelle intenzioni e nei loro primi tempi, riuscirono a portare una parte, seppur esigua, della classe operaia nelle loro fila), visto che con le sue azioni altro non ha fatto altro, oltre che dimostrarsi come una setta invisa, all'opinione pubblica e soprattutto a buona parte dei suoi "omologhi" co-ideologici (per quanto questi in futuro avrebbero cercato poi di "mitizzare" e "riabilitare" i terroristi), che favorire un maggiore supporto per il PCI di Berlinguer, come viene analizzato in seguito. Tra l'altro, la vicenda Sossi mostra molti tratti comuni con la successiva vicenda di Moro. Scrive in merito Flamigni:

«Benché sia stato chiaro nella dinamica dei fatti, limpido nella gestione e conseguente nella conclusione, il sequestro Sossi successivamente farà emergere zone d’ombra e gravi ambiguità. Emergerà per esempio che il capo del Sid generale Vito Miceli, in pieno sequestro, ha organizzato una riunione con alcuni suoi stretti collaboratori illustrando un piano per intervenire, piano che presupponeva la conoscenza del luogo dove Sossi era tenuto prigioniero. Secondo la testimonianza di un ufficiale del servizio segreto militare presente a quella riunione, il generale Miceli avrebbe voluto "attivare il Sid non per contrastare l’azione dei sequestratori, ma per affiancarla e portarla a un tragico compimento". Il generale Miceli voleva attivare il Sid perché il sequestro Sossi avesse un tragico epilogo così concepito: rapire e uccidere l’avvocato Giovambattista Lazagna (ex partigiano genovese, militante dell’estrema sinistra, già implicato nell’inchiesta sui Gap di Feltrinelli); poi, il luogo dove Sossi era detenuto - "'scoperto' da qualcuno che già lo conosceva", cioè la polizia - sarebbe stato «accerchiato e si sarebbe sparato. E dentro avrebbero trovato i cadaveri dei brigatisti, il cadavere di Sossi, e il cadavere di Lazagna» 26. Il piano non era stato attuato per le forti perplessità di alcuni degli ufficiali del servizio segreto militare presenti alla riunione. Ma testimonia di come settori di apparati dello Stato fossero impegnati a alimentare il terrorismo e a “pilotarlo”, anziché combatterlo, così da accrescere l’allarme sociale e i conseguenti riflessi politici; per questo erano più opportune BR “sanguinarie”, e non solo “dimostrative” e propagandistiche. Nel 1981 il brigatista pentito Alfredo Bonavita, impegnato a raccontare ai magistrati la dinamica del sequestro Sossi, elencherà i nomi dei 18 brigatisti che avevano attivamente partecipato all’operazione, ma avrà cura di non citare “Rocco”, cioè l’informatore della polizia Francesco Marra. Invece di fare il nome di Marra (che insieme a lui aveva materialmente afferrato Sossi al momento del rapimento), Bonavita tirerà in ballo Mario Moretti (che al sequestro non ha affatto partecipato). Un espediente per tenere nascosta l’identità dell’informatore, che infatti resterà “coperto” per molti anni. Nel 1979 il giudice Mario Sossi scriverà: "Poiché sono assolutamente convinto del carattere artificioso della guerriglia rivoluzionaria nostrana, non ho il minimo dubbio nell’individuare gli strateghi di queste operazioni in agenti segreti di potenze straniere"[50]

Convinto della "artificiosità" della vicenda delle Brigate Rosse in particolare e del terrorismo "rosso" e nero in generale è un altro personaggio, di cui si parla approfonditamente nel seguente paragrafo.

La vicenda di "Frate Mitra" e l'arresto di parte del nucleo terroristico

Necrologio di Roberto Dotti, collaboratore di Sogno ed ex "comunista", pubblicato sul "Corriere della Sera" il 31 Ottobre 1971, uno dei documenti trovati dai brigatisti nel loro assalto alla sede di Milano dei Comitati di Resistenza Democratica di Sogno nel 1974

Nel Giugno del 1974 i brigatisti scoprono di essere stati "accidentalmente" in contatto con il già menzionato Dotti, uomo di Sogno, per tramite di Simioni, tramite dei documenti "sottratti" durante un raid ad una sede di Milano dell'organizzazione di Sogno avvenuto in contemporanea al sequestro di Sossi. In questo periodo avvengono delle curiose "convergenze" da ambo i lati: Sogno, paranoico, bruciato, eccessivamente estremista e fin troppo esposto, nonostante continui a pianificare il suo "golpe bianco", non serve più, ed è facilmente liquidato insieme al suo collaboratore Luigi Cavallo, a seguito di pubblicazioni fin troppo esplicite di inviti alle forze armate per "prendere in mano la situazione". In contemporanea nel "disaccordo" interno alle Brigate Rosse tra i "pacifisti" e i "militaristi" di Moretti inizia a prevalere la sua linea, e a dimostrarlo è l'esecuzione sempre più violenta delle loro operazioni, in "risposta" ad una strage di matrice terrorista nera, avviene una "contro-strage" da parte del terrorismo "rosso": viene assaltata una sede dell'MSI di Padova e vengono ammanettati e uccisi con un colpo di postola dietro alla nuca due membri presenti nella sede. Lungi dall'essere una divisione tra "autentici rivoluzionari" e presunti "traditori" infiltrati, essendo tutti i dirigenti terroristi, chi più chi meno, degli infiltrati ed estremisti neofascisti (o comunque di estrazione borghese) in origine, questo è dimostrato dal fatto che sia Curcio che Moretti pare si siano trovati "d'accordo" nel definire tale operazione come un "incidente sul lavoro". Il delitto, che viene anche interpretato dalla stampa del tempo come un "regolamento di conti interno" ai neofascisti, visto che i due uomini morti pare fossero collaboratori di un ex ufficiale collaborazionista repubblichino, poi collaboratore dei servizi atlantisti (ipotesi plausibile), è l'inizio della trasformazione definitiva delle Brigate Rosse da un organismo terroristico "dimostrativo" e "performativo", utile ai reazionari e al capitalismo per cercare di spostare l'opinione pubblica verso la DC e i "moderati" allontanandoli da un PCI altrettanto "moderato", ma con cui non erano ancora pronti a governare, ad un'organizzazione di killer da utilizzare per liquidare fisicamente gli individui "scomodi" e le pontenziali "schegge impazzite" insite nelle contraddizioni interne alle istituzioni e alla politica primorepubblicana italiana. Tale "trasformazione" è stata inavvertitamente facilitata dall'operazione effettuata dal generale Dalla Chiesa con l'aiuto di "Frate Mitra", ossia Silvano Girotto, un ex missionario in America Latina, poi guerrigliero in Bolivia e in Cile contro il regime di Pinochet, per arrestare i "capi" brigatisti. Girotto, in quanto veterano della guerriglia vera e propria, riconosce che

Bibliografia

Note

    1. Secchia,1943
    2. Bordiga, il leninista che sperava nell’Asse
    3. Flamigni, 2004, p.18,19-21
    4. Ibidem, p.256
    5. Ibidem, p.7-8, 9-11
    6. Ibidem, p.11-12,13,14
    7. Ibidem, p.14-17
    8. Ibidem, p.17-18
    9. Ibidem, p.18-19
    10. Riguardo questo tale Alfredo Novarini, che ha testimoniato direttamente a Flamigni nell'agosto del 2003, egli ebbe da dire nello specifico all'autore, in merito alla "scoperta" della presenza di Moretti nelle Brigate Rosse: «Quando i giornali cominciarono a scrivere di Moretti come del capo delle Brigate rosse, tutti noi che lo avevamo conosciuto in fabbrica eravamo increduli: se uno come lui era diventato il capo, chissà cos’erano gli altri brigatisti!», Flamigni, 2004, p.25
    11. Ibidem, p.22-23,24,25,26
    12. Ibidem, p.25
    13. «Nel 1965, dopo essere stato espulso per indegnità morale dal Psi, Simioni collaborò con l'Usis occupandosi di attività culturali. In quel periodo, c’è da dire, l’Usis aveva pianificato una serie di operazioni psicologiche attraverso le quali si sarebbe dovuto ridimensionare il ruolo del Partito comunista e rafforzare il sentimento filoatlantico dell’opinione pubblica. Uno dei passaggi principali di questa strategia sarebbe dovuto consistere in un dialogo serrato con esponenti socialisti, i quali avrebbero dovuto essere “occidentalizzati”, fino a rompere con la tradizione marxista»; Gianni Cipriani, Lo Stato invisibile. Storia dello spionaggio in Italia dal dopoguerra a oggi, Sperling & Kupfer 2002, pag. 150., citato in Ibidem, p.29
    14. La giovanile militanza di Curcio nella destra radicale emergerà solo nel 1992, quando verranno resi pubblici i rapporti intercorsi fra Giovane Europa e l’estrema sinistra maoista, e risulterà evidente come tali rapporti avessero portato quadri dell’organizzazione nei ranghi delle Br, «e al più alto livello». Così si saprà anche di Curcio: «Il capo storico delle Br non ha iniziato la sua carriera politica a Trento nel 1967, come credono i suoi biografi, ma molto prima in Giovane nazione, poi in Giovane Europa. Nel numero 4 della rivista “Giovane nazione” troviamo menzione della nomina del compagno Renato Curcio a capo della sezione di Albenga. Nel numero 5 dello stesso periodico si segnala il suo zelo di militante. Giovane nazione servirà come trampolino di lancio per la creazione della rete italiana di Jeune Europe, dove militerà Curcio. [Non molto più tardi] raggiungerà i ranghi del “Movimento studentesco”. È in Giovane Europa che imparerà le virtù dell’organizzazione e della centralizzazione leninista. È lì che studierà le teorie della guerra partigiana e il concetto di “Brigate” politico-militari»; Jean Luc, Giovane Europa, Barbarossa 1992, pagg. 46-47, citato in Ibidem, p.30
    15. Commenta Flamigni nella pagina originale del suo testo: «Dunque, nel caso di Renato Curcio, prossimo fondatore-ideologo delle Brigate rosse, la tesi del cosiddetto "album di famiglia" del comunismo - tesi elaborata dalla giornalista Rossana Rossanda per collocarvi le radici delle Br - è una sciocchezza. Idem per quanto riguarda l’anticomunista Corrado Simioni, alle origini delle Br ambiguo propugnatore della lotta armata.», p.30
    16. Ibidem, p.27-30
    17. Vincenzo Tessandori, Br. Imputazione: banda armata, Baldini & Castoldi 2002, p.38-40, citato in ibidem, p.31
    18. “Tempo illustrato”, 25 febbraio 1970. Commenta Flamigni: «Nell’inchiesta sulle comuni a Milano, firmata da Walter Tobagi, Moretti si fa intervistare a condizione di restare anonimo, coperto dallo pseudonimo di “Mauro”. Il socialista Tobagi - inviato del “Corriere della Sera” - verrà assassinato dai terroristi di Prima linea il 28 maggio 1980 a Milano»; citato in ibidem, p.33
    19. Ibidem, p.35-36
    20. Ibidem, p.36-37
    21. Ibidem, p.37-38
    22. Il terrorismo in fabbrica, p.111-112, citato in ibidem, p.39
    23. Ibidem, p.40-41
    24. Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Mondadori 2000, pagg. 101-02,110-11., citato in Flamigni, 2004, p.47
    25. Ibidem, p.47
    26. Ibidem, p.50-51
    27. Sogno, Cazzullo, 2000, p.96,103, citato in ibidem, p.52
    28. Ibidem, p.55-58
    29. Ibidem, p.74-86
    30. Ibidem, p.87
    31. Ibidem, p.89-90
    32. Ibidem, p.90-92
    33. Ibidem, p.92-93
    34. Ibidem, p.97-99
    35. Ibidem, p.100-102
    36. Cfr. Sentenza-ordinanza del giudice istruttore Ferdinando Imposimato del 12 gennaio 1982; CM, volume 54, p. 324-325, citato in ibidem, p.103
    37. Flamgini, 2004, p.104-105
    39. Ibidem, p.183
    40. Ibidem, p.106-107
    41. Hoxha, 1980, p.199-200,287
    42. Granito, 2002, PMLI
    43. Flamigni, 2004, p.108-109
    44. Ibidem, p.109-110
    45. Ibidem, p.111-113
    46. Ibidem, p.114-115
    47. Ibidem, p.116
    48. Ibidem, p.116-123
    49. Ibidem, p.123
    50. Ibidem, p.124-125
    51. Ibidem, p.127-