Processi di Mosca

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I Processi di Mosca furono una serie di processi tenutisi in Unione Sovietica contro i trotskisti e contro i membri dell'opposizione di destra che attuavano operazioni di sabotaggio e spionaggio. Nonostante i verbali dei processi, le testimonianze degli ambasciatori britannico e statunitense che assistettero ai processi, le confessioni stesse degli imputati, che all'epoca degli atti giudiziari dimostrarono in modo inoppugnabile la validità delle sentenze e la colpevolezza degli imputati almeno di quanto ebbero confessato (al punto che persino Alcide De Gasperi, citando "documenti inoppugnabili da parte statunitense", affermò che vi furono sabotatori e che i processi erano legittimi[1]), la vulgata anticomunista, sia da destra che da "sinistra", afferma, senza la benché minima prova (e anzi facendosi forza della propria mancanza di prove, in virtù del "Paradigma Anti-Stalin" citato dallo storico Grover Furr[2]), che essi furono dei processi farsa. Lo scopo di questa voce, con tanto di bibliografia e citazioni di fonti, è di dimostrare la realtà dei fatti, ben diversa dalla propaganda.

Premessa: Frazionismo, Centralismo Democratico, Opposizione Interna al Partito Comunista Russo (Bolscevico), 1921-27

Durante il 10° Congresso del Partito Comunista Russo (Bolscevico), tenutosi nel marzo del 1921, Lenin propose la messa al bando di eventuali fazioni interne al partito, in quanto questo avrebbe rappresentato una contravvenzione della regola e principio fondamentale del partito bolscevico, ossia il Centralismo Democratico. Il Centralismo Democratico, sintetizzato meglio nella formula "libertà di discussione, unità d'azione", è il principio fondante secondo cui in un partito di ispirazione Marxista-Leninista, o più semplicemente un qualsivoglia partito politico, non necessariamente comunista che adotti il principio di "partito d'avanguardia" di Lenin (alcuni partiti socialdemocratici hanno storicamente adottato il centralismo democratico), pur ammettendo momenti di libertà di discussione interna, non ammette, una volta che, messe ai voti e stabilite delle linee politiche d'azione, queste vengano contraddette. In sostanza, il Centralismo Democratico è una norma che dovrebbe prevenire la spaccatura e l'infinita scissione interna di un partito politico o la formazione di correnti in contraddizione con la linea principale.

    «Nella lotta pratica contro il frazionismo, ogni organizzazione del Partito deve adottare misure rigorose per impedire ogni azione frazionistica… assicurare una rigorosa disciplina all’interno del Partito e in tutto il lavoro sovietico e assicurare la massima unanimità nell’eliminazione di ogni frazionismo.»
    -Lenin, "Discorso di sintesi sull'unità del partito e la deviazione anarco-sindacalista"[3]

Lenin in particolare aveva imposto ai gruppi frazionisti più riottosi, ossia il gruppo anarco-sindacalista, quello dei trotskisti e quello della "sinistra-comunista" di Bucharin, l'accettazione del Centralismo Democratico e della disciplina di partito, se questi ultimi avessero voluto rimanerne membri.

Proseguendo, dal 1921, anno del congresso, al 1927, sei anni dopo, quando ormai Stalin aveva la maggioranza assoluta del partito ad appoggiare la sua linea politica e di governo, con la sconfitta definitiva della sinistra trotskista, in questo momento storico il gruppo guidato da Grigorij Zinovjev e Lev Kamenev, che in passato aveva alternato ostilità e rivalità a una collaborazione obtorto collo con il gruppo di Lev Trotskij, decide di unirsi al gruppo di questi, formando un blocco frazionista unificato che prese il nome di Opposizioni Unite. Tale blocco si sciolse ufficialmente nel medesimo anno, a seguito di una manifestazione tenutasi nell'Ottobre del 1927 in cui Zinoviev, Kamenev e Trotskij, riunitisi ufficialmente per ricordare la Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre, hanno criticato la linea della maggioranza del partito e del governo di Stalin, di fatto contravvenendo alla regola del Centralismo Democratico e della disciplina di partito. Messi di fronte alla scelta di scusarsi e fare autocritica oppure accettare l'espulsione, Zinoviev e Kamenev hanno preferito fare un passo indietro. Altrettanto non fece Trotskij, che fu invece espulso nel medesimo anno, e di lì a poco esiliato dall'Unione Sovietica.

Dall'esilio, Trotskij ha poi iniziato a scrivere diverse lettere e comunicati, asserendo di essere il legittimo leader del movimento comunista sovietico, di essere stato ingiustamente esiliato, di essere perseguitato, e ha accusato il governo sovietico e il segretario del PCR(B), Stalin, di essere un dittatore e di avere adottato metodi di governo repressivi.

Cospirazioni Trotskiste, gruppo "Bolscevichi-Leninisti" di Opposizione (1932)

Ricevuta della lettera ("misteriosamente" scomparsa negli anni della chiusura dell'archivio di Harvard al pubblico) inviata da Trotskij a Radek nel 1932

Gli oppositori guidati da Trotskij sarebbero stati in seguito accusati di spionaggio, sabotaggio e di avere creato un'organizzazione illegale e clandestina di opposizione all'interno dell'Unione Sovietica. Trotskij ha sempre negato queste accuse, ma la corrispondenza tra quest'ultimo e il figlio, Lev Sedov, resa pubblica nel 1980, quando l'archivio delle lettere di Trotskij di Harvard è stato aperto al pubblico, mostra una versione diversa dei fatti. Nel 1980, quando fu de-secretato l'archivio di Harvard di Trotskij, le lettere venute alla luce poterono venire studiate dallo storico trotskista, Pierre Broué, che, a dispetto delle sue migliori intenzioni di dimostrare la validità del suo "maestro" politico, è stato invece costretto, per quanto a denti stretti e sminuendo gran parte delle rivelazioni, ad ammettere che tale blocco delle opposizioni esisteva davvero, e che un'opera di cospirazione era davvero in atto in quegli anni.

    «La lettera di Sedov in inchiostro invisibile rivela che esistevano i seguenti gruppi: il Gruppo trotskista nell'URSS ("Il nostro gruppo"), gli zinovievisti, il gruppo di Ivan Nikitič Smirno], il gruppo Sten-Lominadze, il gruppo "Safar(ov)-Tarkhan(ov), i "destri" e i "liberali". Naturalmente, non tutti questi partecipavano al "blocco", ma tutti sapevano della sua esistenza e, secondo Sedov, avevano contatti con esso.»[4]

Ancora più scioccante della rivelazione che Trotskij e suo figlio Sedov avessero in realtà mentito a tutti i loro seguaci, per il trotskista Broué, è stata la rivelazione che in realtà l'archivio di Harvard delle lettere di Trotskij, lungi dall'essere stato libero da manipolazioni fino alla sua apertura al pubblico nel 1980, era stato in precedenza "purgato" da elementi presumibilmente ancora più incriminanti (l'archivio, prima della sua apertura, fu visitato soltanto dal trotskista Isaac Deutscher, che scrisse una biografia su Trotskij, e dalla moglie di Trotskij, entrambi probabilmente i responsabili di questo atto di "manipolazione" dell'archivio).

A dispetto di queste rivelazioni, per di più avvenute per mano di un trotzkista, ancora oggi la vulgata anticomunista, da destra e da "sinistra", continua a negare l'esistenza di blocchi di opposizione o di cospirazioni. La scoperta di queste rivelazioni tramite le lettere di Trotskij e di Sedov ha, però, permesso la nascita di una nuova scuola di pensiero nell'ambito della sovietologia, guidata dallo storico (borghese e liberale, di certo non libero da pregiudizi anticomunisti) John Archibal Getty (detto anche J. Arch. Getty), che visitò l'archivio e giunse anch'egli alla conclusione che vi furono delle censure durante la sua "chiusura" al pubblico.

Secondo J. Arch. Getty: «Sebbene Trotskij in seguito negò di aver avuto comunicazioni con ex seguaci in URSS dal suo esilio nel 1929, è chiaro che lo fece. Nei primi tre mesi del 1932 inviò lettere segrete agli ex oppositori Radek, Sokol'nikov, Preobraženskij e altri. Sebbene il contenuto di queste lettere sia sconosciuto, sembra ragionevole credere che comprendessero un tentativo di convincere i destinatari a tornare all'opposizione. A un certo punto dell'ottobre del 1932, E. S. Gol'tsman (un funzionario sovietico ed ex trotskista) incontrò Sedov a Berlino e gli diede un memorandum interno sulla produzione economica sovietica. Questo memorandum fu pubblicato sul Biulleten' [giornale degli oppositori guidati da Trotskij, ndr] il mese successivo con il titolo "La situazione economica dell'Unione Sovietica". Sembra, tuttavia, che Gol'tsman portò a Sedov qualcos'altro: una proposta degli oppositori di sinistra in URSS per la formazione di un blocco di opposizione unito. Il blocco proposto avrebbe dovuto includere trotskisti, zinovievisti, membri del gruppo Lominadze e altri. La proposta proveniva da "Kolokolnikov", il nome in codice di Ivan Smirnov. Senza dubbio eccitato da una simile prospettiva, Sedov scrisse immediatamente a Trotskij, che rispose con una lettera che approvava un blocco ma circoscriveva attentamente la partecipazione dei trotskisti a esso. "La proposta del blocco mi sembra del tutto accettabile", scrisse Trotskij, ma "è una questione di blocco, non di fusione". "Come si manifesterà il blocco? Per il momento, principalmente attraverso lo scambio di informazioni. I nostri alleati ci terranno aggiornati su ciò che riguarda l'Unione Sovietica e noi faremo lo stesso su ciò che riguarda il Comintern". [...] Poco dopo, Sedov scrisse a suo padre per informarlo che il blocco era organizzato. "Abbraccia gli zinovievisti, il gruppo Sten-Lominadze e i trotskisti (vecchio '[vuoto]')" "Il gruppo Safarov-Tarchanov non è ancora entrato formalmente - hanno una posizione molto estrema; entreranno presto." Dopo aver trasmesso la lieta notizia che l'organizzazione dell'opposizione aveva raggiunto questa nuova fase, Sedov fu costretto a dare a Trotskij la cattiva notizia. Sembrava che proprio nel momento in cui il blocco si stava formando alcuni dei suoi leader chiave fossero stati arrestati. Ivan Smirnov e quelli intorno a lui erano stati arrestati "per caso". Sembra che un provocatore in mezzo a loro li avesse denunciati per una questione separata. Zinoviev e Kamenev erano stati arrestati e deportati - anche in relazione a una relazione estranea. Sebbene questi eventi avessero certamente sconvolto il blocco, Sedov non era scoraggiato. Era sicuro che la polizia non avesse trovato documenti incriminanti o "letteratura trotskista" su Smirnov e, sebbene "l'arresto degli 'anziani' sia un duro colpo, i lavoratori inferiori sono al sicuro". In quel periodo, Trotskij tentò di contattare direttamente i suoi "lavoratori inferiori". Durante un breve soggiorno a Copenaghen, Trotskij consegnò una lettera a un turista inglese (di nome Weeks) che avrebbe dovuto consegnarla agli oppositori in Russia. La lettera iniziava con: "Non sono sicuro che tu conosca la mia grafia. Se non è così, probabilmente troverai qualcun altro che la conosce". Trotskij continuò invitando gli oppositori leali a diventare attivi: «I compagni che simpatizzano con l'Opposizione di Sinistra sono obbligati a uscire dal loro stato passivo in questo momento, mantenendo, naturalmente, tutte le precauzioni» (enfasi di Trotskij). Proseguì fornendo nomi e indirizzi di contatti sicuri a Berlino, Praga e Istanbul a cui inviare comunicazioni per Trotskij e poi concluse: «Conto decisamente sul fatto che la situazione minacciosa in cui si trova il partito costringerà tutti i compagni devoti alla rivoluzione a riunirsi attivamente presso l'Opposizione di Sinistra». È chiaro, quindi, che Trotskij aveva effettivamente un'organizzazione clandestina all'interno dell'URSS in questo periodo e che manteneva i contatti con essa. È altrettanto chiaro che un blocco di opposizione unito fu formato nel 1932»[5]

Pierre Broué, di tutta risposta, pur non smentendo le rivelazioni inoppugnabili, ha ribattuto così: «Si potrebbe supporre che io non sia d'accordo con il professor Getty su ogni aspetto di questa importante questione. Non è vero. Penso che, in effetti, in ultima analisi, siamo molto vicini nelle nostre conclusioni. Penso che i nuovi dati riguardanti il ​​"blocco di opposizione", l'organizzazione di due blocchi comunisti di opposizioni, il tentativo di unificare l'opposizione comunista, distruggano definitivamente tutte le leggende e le idee preconcette su uno Stalin onnipotente, sanguinario e machiavellico. L'Unione Sovietica negli anni trenta stava attraversando una grave crisi economica e politica. Stalin era sempre più isolato e molte persone, tra cui alcuni appartenenti ai ranghi della burocrazia privilegiata di cui era solo la migliore espressione e l'unificatore, iniziarono a pensare alla necessità di sbarazzarsi di lui. I processi di Mosca non furono un crimine gratuito commesso a sangue freddo, ma un contrattacco in un conflitto che era in realtà, come scrisse Trotskij, "una guerra civile preventiva".»[6]

Omicidi politici: l'assassinio di Sergej Kirov (1934)

Stando a Broué: «La corrispondenza tra Trotskij e Sedov tra ottobre e dicembre 1932, il periodo del “blocco”, costituisce una straordinaria serie di documenti. Ci permettono di seguire quasi giorno per giorno gli sforzi di Trotskij per aggrapparsi il più possibile a ciò che stava realmente accadendo nell’Unione Sovietica e di cogliere il pieno significato del “blocco”, il cui cemento era proprio l’ostilità verso Stalin e il desiderio di cacciarlo dalla carica di Segretario generale. Trotskij aprì la discussione sull’opportunità o meno dello slogan «Sbarazzatevi di Stalin» il 17 ottobre. “Sbarazzatevi di Stalin”, scrisse, «è corretto in un senso ben definito e concreto», ma contrariamente agli «alleati» ed ai «destri», non lo riteneva appropriato. Infatti, scrisse che questo slogan non sarebbe stato pericoloso «se fossimo forti». Ma non rischiava di essere sostenuto dagli emigrati, dai menscevichi e dai «Termidoriani interni»? E continua: «È sempre possibile che tra qualche mese Stalin sia costretto a difendersi dalla pressione termidoriana, e che noi saremo costretti a sostenerlo momentaneamente». Infatti, «questa fase non è ancora superata e, di conseguenza, questa parola d’ordine non corrisponde alle esigenze del movimento».[7]

Nel 1934, due anni dopo questa corrispondenza, in nome dello slogan «Sbarazzatevi di Stalin», fu assassinato Sergej Kirov, capo della sezione di Leningrado del PCR(B), e il suo assassino, tale Leonid Nikolaev, pare avesse tentato il suicidio prima di venire catturato, fallendo nel suo intento. Sebbene durante gli interrogatori presso le autorità Nikolaev avesse affermato di essere un "lupo solitario" e di non avere mandanti, ha poi in seguito affermato di aver fatto parte di una cospirazione più ampia i cui mandanti sarebbero stati i membri del blocco Zinovievita-Trotskista clandestino. Trotskij e i suoi seguaci, e in seguito i detrattori di Stalin come Nikita Chruščëv o Michail Gorbačëv, hanno affermato di continuo, senza alcuna prova alla mano, che in realtà l'assassinio di Kirov fu una specie di operazione psicologica, e che Stalin avesse ordinato l'assassinio di Kirov, uno dei suoi più potenti alleati, per poter avere un pretesto per dare avvio alle sue "politiche dittatoriali". In merito a queste accuse, sia lo storico liberale-borghese J. Arch. Getty che lo storico marxista-leninista Grover Furr, con i loro studi, dimostrandone la falsità, hanno avuto da dire;

Arch. Getty: «Nel corso degli anni, ci sono state tre, e forse quattro, indagini "blue ribbon" sull'omicidio di Kirov... Chruščëv e Gorbačëv volevano attribuirne la responsabilità a Stalin e tutti e tre hanno scelto di conseguenza i loro investigatori. Avendo potuto familiarizzare con i materiali d'archivio di questi sforzi, è chiaro che nessuna delle tre indagini ha prodotto le conclusioni desiderate. In particolare, gli sforzi dell'era Chruščëv e Gorbačëv hanno comportato un'ampia analisi di archivi e interviste e non sono riusciti a concludere che Stalin fosse dietro l'omicidio. Lo sforzo di Stalin, ovviamente, ha concluso che l'opposizione lo aveva fatto ed era la base per i processi di Mosca.»[8]

G. Furr: «Il significato più ampio dell’omicidio di Kirov si rivelò solo gradualmente nel corso dei successivi tre anni. I fili che legavano i cospiratori di Kirov a Zinoviev e Kamenev, seguiti dagli investigatori dell'NKVD, portarono ai tre "processi farsa" di Mosca del 1936, 1937 e 1938 e al processo dei comandanti militari noto come "Affare Tuchačevskij" del 1937. Quest'ultimo portò a sua volta all'"Ežovščina", noto anche come "Grande Terrore" del 1937-1938, durante la quale alcune centinaia di migliaia di cittadini sovietici, certamente innocenti, furono arrestati e giustiziati, mentre molti altri vennero imprigionati. Il 5 marzo 1953 morì Iosif Stalin. Nel giro di pochi mesi Nikita Chruščëv era diventato il leader più potente dell'Unione Sovietica. Prima che Stalin morisse, molti mesi prima che Chruščëv iniziasse a organizzare una campagna per attaccare Stalin. Una parte importante di questo sforzo fu dichiarare che Stalin aveva inventato falsi casi contro tutti gli imputati dei processi di Mosca e dell'affare Tuchačevskij. Chruščëv accennò a queste cose nel suo famoso "Discorso segreto" del 25 febbraio 1956. Nello stesso discorso mise anche in dubbio la versione ufficiale dell'assassinio di Kirov. All'interno della dirigenza del partito Chruščëv e i suoi uomini promossero le "riabilitazioni" di molte persone che erano state giustiziate durante gli anni '30, tra cui alcuni degli imputati del processo di Mosca. Chruščëv e i suoi uomini cercarono con tutte le loro forze di trovare qualsiasi prova possibile per dimostrare che Stalin era dietro l'omicidio di Kirov. Ma non ci riuscirono, e così alla fine si accontentarono di una storia secondo cui Nikolaev aveva agito da solo. La versione secondo cui Stalin aveva causato l'uccisione di Kirov continuò a circolare, diventando ampiamente creduta sia all'interno che all'esterno dell'Unione Sovietica. Fuori dalla Russia la versione "Lo fece Stalin" continuò per un po' grazie ai libri di due noti scrittori anticomunisti: Robert Conquest, che scrisse Stalin and the Kirov Murder nel 1989, e Amy Knight, autrice di Who Killed Kirov? (1997). Entrambe queste opere si basano molto su voci e sentito dire. Durante il periodo di Gorbačëv, funzionari di partito di alto rango fecero un altro tentativo di promuovere la tesi che Stalin avesse ucciso Kirov. Anche questo tentativo fallì a causa della totale mancanza di prove a sostegno. Dal 1990, la tesi ufficialmente accettata in Russia è che Nikolaev agì da solo e che Stalin "usò" l'omicidio di Kirov per incastrare ex o presunti rivali, costringendoli ad ammettere crimini che non avevano mai commesso e giustiziandoli, insieme a molte altre migliaia di persone.»[9].

È importante sottolineare che anche questa "ricostruzione ufficiale" degli eventi del 1934 è contraddittoria con la realtà dei fatti che si può rinvenire dagli studi delle fonti di archivio fatti da entrambi gli storici, in quanto l'esistenza di un "Blocco Unito delle Opposizioni" clandestino, con velleità terroriste e pronto ad atti di sabotaggio, era all'epoca sconosciuto sia a Stalin che al resto del governo sovietico, che scoprirono della sua esistenza solo in seguito all'omicidio di Kirov del 1934. Secondo Getty: «Ci sono due possibilità. Forse Jagoda venne a conoscenza del blocco del 1932 solo all'inizio del 1936. Stalin ed Ežov, sospettosi della tardività di questa scoperta, assegnarono Ežov all'NKVD come cane da guardia. In alternativa, Jagoda potrebbe aver saputo del blocco da un po' di tempo (forse anche dal 1932) ma lo nascose o ne minimizzò l'importanza. Ežov e/o Stalin lo scoprirono all'inizio del 1936 e divennero sospettosi delle motivazioni di Jagoda. In entrambi i casi, Stalin deve aver avviato o almeno sanzionato il procedimento, ma gli eventi successivi avrebbero dimostrato che non aveva né diretto né approvato il corso delle indagini in queste prime fasi.»[10]. Getty ha successivamente confermato queste sue tesi asserendo, in merito, che: «Il capo dell'NKVD Jagoda non è mai stato il burattino di Stalin. Stalin non lo ha mai amato né si è mai fidato di lui, e fu necessario sostituirlo con Ežov nel 1936 per garantire il controllo di Stalin sulla polizia. Nel 1934, dopo l'omicidio di Kirov, Jagoda fu immediatamente rimosso dall'indagine, che fu condotta da due persone che erano critiche e gelose di Jagoda: Jakov Agranov e Nikolaj Ežov. Eventi successivi avrebbero dimostrato che erano in effetti ansiosi di diffamare o persino implicare Jagoda: ci sono buone prove che entrambi in effetti volevano il suo lavoro. I documenti d'archivio ora mostrano che hanno condotto un'indagine di vasta portata, compresi gli interrogatori di decine di uomini dell'NKVD di Leningrado su eventuali collegamenti che potevano avere con l'assassino Nikolaev. Alla fine, Ežov trasferì, declassò o censurò in altro modo più di 200 ufficiali dell'NKVD di Leningrado per incompetenza. Se qualcuno di loro "sapesse troppo del coinvolgimento di Stalin" sarebbe stato messo a tacere in modo permanente e, cosa più importante, immediatamente. Invece, sono stati lasciati liberi per più di due anni di raccontare la storia, qualunque essa fosse. Nessuno lo ha mai fatto, perché non c'era nessuna storia da raccontare.»[11]

A seguito delle confessioni di Nikolaev, furono imputati a processo Zinoviev e Kamenev come mandanti dell'assassinio di Kirov. Le investigazioni, con tanto di testimonianze e confessioni degli stessi imputati, si conclusero con la sentenza definitiva, che li dichiarò colpevoli di cospirazione, terrorismo e alto tradimento. La vulgata anticomunista asserisce che i processi furono una "farsa", e, senza uno straccio di prova, asseriscono o che le confessioni sono state estorte con la tortura o l'inganno, o che comunque le prove sarebbero state "falsificate". A smentire tali asserzioni ci ha pensato, nei suoi ultimi anni di vita, Aleksandr Zinovjev (da non confondere con Grigorij Zinoviev, con cui non era neanche imparentato), processato anch'egli come dissidente e oppositore cospirazionista nel 1939, ma assolto per insufficienza di prove. Nel 1978, dopo aver lasciato l'Europa dell'Est e il socialismo reale, si è stabilito in Europa occidentale e, dopo aver confrontato i due sistemi, nel 1999 ha pubblicato queste dichiarazioni: «Sono stato antistalinista convinto dall'età di diciassette anni. L'idea di un attentato contro Stalin occupava i miei pensieri e i miei sentimenti. Abbiamo studiato la possibilità “teorica” di un attentato. Siamo passati alla preparazione pratica. […] Se mi avessero condannato a morte nel 1939, questa decisione sarebbe stata giusta. Avevo concepito il piano di uccidere Stalin e questo era un crimine, non è vero? Quando Stalin era ancora in vita, avevo una diversa visione delle cose, ma ora che posso avere una visione d'insieme di questo secolo, dico: Stalin è stato la più grande personalità del nostro secolo, il più grande genio politico. Assumere un atteggiamento scientifico nei confronti di un personaggio è cosa diversa dal manifestare un'opinione personale»[12]. Il fatto che fu arrestato, processato, ma dichiarato innocente per insufficienza di prove, dimostra che la pregiudiziale dei tribunali dei processi di Mosca nei confronti degli imputati era "innocente finché non si dimostra il contrario", e che quindi lo svolgimento dei processi era tutt'altro che farsesco: perché "falsificare" prove o "estorcere confessioni false" per il gruppo Zinovievita e non fare altrettanto per un dissidente e cospiratore affermatosi qualche anno più tardi?

Infiltrazioni all'interno dell'NKVD

Getty afferma: «Gli staff di Trotskij e Sedov erano completamente infiltrati e si dice che il più stretto collaboratore di Sedov nel 1936, Mark Zborowski, fosse un agente dell'NKVD. Nel 1936, il blocco del 1932 sarebbe stato interpretato dall'NKVD come un complotto terroristico e avrebbe costituito il pretesto originale per la campagna di Ežov per distruggere l'ex opposizione.»[13]

Confessioni, memorie e ulteriori prove che dimostrano l'esistenza di sabotatori e di un "blocco unito"

Jules Humbert-Droz, amico intimo di Bucharin e comunista svizzero di lingua francese attivo presso il Comintern, nelle sue memorie (pubblicate nel 1971, alla sua morte, ben oltre la destalinizzazione di Chruščëv e la "riabilitazione" di Bucharin) ricorda un particolare episodio avuto nel suo ultimo incontro con questi, prima di partire per l'America Latina: «Prima di partire andai a trovare Bucharin un'ultima volta, non sapendo se lo avrei rivisto al mio ritorno. Abbiamo avuto una lunga e sincera conversazione. Mi ha informato dei contatti presi dal suo gruppo con la frazione Zinoviev-Kamenev per coordinare la lotta contro il potere di Stalin. Non gli ho nascosto che non approvavo non questa connessione delle opposizioni: “La lotta contro Stalin non è un programma politico. [...] A seguito di una vittoria comune contro Stalin, questi problemi politici ci divideranno. Questo blocco è un blocco senza principi, che crollerà prima ancora di riuscire”. Bucharin mi ha anche detto che avevano deciso di usare il terrorismo individuale per sbarazzarsi di Stalin. Anche su questo punto gli ho espresso le mie riserve: l'introduzione del terrorismo individuale nelle lotte politiche nate dalla Rivoluzione russa rischia di rivoltarsi contro coloro che vorrebbero usarlo. Non è mai stata un'arma rivoluzionaria. “La mia opinione è che dobbiamo continuare la lotta ideologica e politica contro Stalin."»[14] È importante notare come Humbert-Droz, pur essendo politicamente vicino alle tesi di Bucharin e quindi opposto a Stalin (nelle medesime pagine delle memorie e nel medesimo episodio raccontato si esprime contro Stalin con tesi non dissimili da quelle trotskiste e disfattiste dell'epoca) e alla maggioranza del PCR(B) e del Comintern, abbia condannato l'opposizione contro Stalin formata con coalizioni, organizzazioni clandestine e piani di assassinio e attentati terroristici, per il semplice motivo pratico che questa strategia sarebbe stata (come poi lo fu) una strategia suicida.

Un'altra confessione importante, simile a quelle di Humbert-Droz e di Zinoviev, è quella di tale Grigorij Aleksandrovič Tokaev, ex militare sovietico e membro di un gruppo di cospiratori interno all'Armata Rossa che ebbe contatti anche con il gruppo clandestino di Bucharin, e seppe in anticipo del piano di assassinio di Kirov. Mai pentitosi, a differenza di Aleksandr Zinoviev, e scappato nel Regno Unito nel 1948 come disertore, Tokaev afferma: «Stalin mirava alla dittatura di un solo partito e alla completa centralizzazione. Bucharin immaginava diversi partiti e persino partiti nazionalisti, e sosteneva il massimo della decentralizzazione. Era anche a favore dell'attribuzione di autorità alle varie repubbliche costituenti e pensava che le più importanti di queste avrebbero dovuto persino controllare le proprie relazioni estere. Nel 1936, Bucharin si stava avvicinando al punto di vista socialdemocratico dei socialisti di sinistra dell'Occidente.»[15] E ancora, in un'altra opera dello stesso autore: «Bucharin voleva che agissimo con maggiore determinazione. Dovevamo strappare l'iniziativa dalle mani del triumvirato Stalin-Molotov-Kirov. Avremmo dovuto stimolare la generazione più giovane di lavoratori e contadini in un movimento di opposizione. Avremmo dovuto far risuonare più forte il nostro Noi, e in effetti ogni nostro Io, perché non eravamo forse cittadini e padroni del nostro paese, e legittimi eredi della Rivoluzione?»[16]. In modo abbastanza grottesco e de-umanizzante, l'impenitente Tokaev, oltre ad attribuire assurdamente la paternità della costituzione del 1936 a Bucharin (e non a Stalin, vero autore), ritiene nella sua opera che Kirov meritasse di essere assassinato, e che se l'era cercata, la sua morte, "tradendo" non si sa bene quali specificati "principi rivoluzionari" tanto sposati da egli, dai trotskisti e più in genere da qualsiasi anticomunista di sinistra "ex comunista": «Se mai Leningrado, per quanto sofferente, raccontasse la sua storia, il secondo carnefice si rivelerà essere Ždanov, ma il primo sarà Kirov. Quindi non è stato sorprendente che gli oppositori di Leningrado abbiano riversato il loro odio su di lui. Quando l'assassino, Nikolaev, al suo primo controinterrogatorio dichiarò che l'opposizione di Leningrado aveva i suoi conti speciali da regolare con Kirov, stava solo dicendo la verità. L'errore risiedeva solo nel metodo di risoluzione.»[17]

Tali citazioni sono riportate in questa voce per un duplice motivo: anzitutto per mostrare la vera natura di tutti i "martiri della dittatura staliniana" tanto osannati dalla propaganda liberal-capitalista, tutt'altro che dei protestanti pacifici e gandhiani (tant'è vero che si potrebbero fare delle similitudini con i dissidenti russi contemporanei come il fu Navalnij), e in seguito, come motivazione di maggiore grandezza, dimostrare quanto gli stessi dissidenti pacifici, a dispetto del loro continuo contraddirsi, abbiano più volte ammesso, in memorie personali reperibili pubblicamente, l'esistenza di complotti e la loro colpevolezza.

La scoperta delle organizzazioni trotskiste (1935-36)

Come già scritto in altri paragrafi di questa voce, la scoperta vera e propria da parte dell'NKVD dell'organizzazione clandestina di opposizione avvenne nel 1936. Per quanto fossero già presenti degli "ex"-trotskisti ed "ex"-oppositori, l'esistenza di un'organizzazione di questo tipo, clandestina, e specializzata in attentati terroristici e azioni di sabotaggio, fu una scoperta nuova. Altrettanto sorprendente fu la scoperta che tra i capi di questa organizzazione c'erano non solo Zinoviev e Kamenev, ma anche molti altri "ex"-trotskisti che in teoria in quel momento avevano fatto "ammenda" e ufficialmente accettato la linea politica del PCR(B). Lo stesso Trotskij ha continuamente negato, dal 1927, di aver continuato ad avere contatti con i futuri imputati, anche se dai contenuti delle lettere tra quest'ultimo e il figlio Sedov è gia stato illustrato come questo sia falso. Come già illustrato nell'opera di Getty del 1987, già citata in precedenti paragrafi di questa voce, Trotskij in realtà mantenne una corrispondenza più o meno regolare con "ex" suoi seguaci come Radek e Sokolnikov, per quanto il contenuto delle lettere sia sparito, probabilmente a causa della già menzionata manipolazione e censura, probabilmente di materiale compromettente, che comunque non impedisce né a Getty ne a chiunque altro possa leggere ulteriori prove archiviali di giungere alla lapalissiana conclusione che il contenuto di tali lettere non fossero solo convenevoli, ma probabilmente anche inviti a "rientrare" nell'opposizione, oppure, più probabilmente, istruzioni su come agire all'interno del nascente blocco d'opposizione clandestino.

Lev Sedov, figlio di Trotskij, ha affermato in seguito ai primi processi di Mosca che: «L'Opposizione di Sinistra è sempre stata un'oppositrice intransigente delle combinazioni e degli accordi dietro le quinte. Per essa, la questione di un blocco poteva consistere solo in un atto politico aperto e in piena vista delle masse, basato sulla sua piattaforma politica. La storia della lotta durata 13 anni dell'Opposizione di Sinistra ne è la prova.»[18]

In merito a questa affermazione (falsa, e smentita da fonti già citate in precedenza in questa medesima voce), Pierre Broué (storico trotskista, è necessario ribadire), che ha potuto esaminare il contenuto delle lettere dell'archivio di Harvard, ha avuto da ridire: «Questo documento, scritto all'indomani del primo processo di Mosca, è in completa contraddizione con il documento in inchiostro simpatico scritto da Sedov nel 1932, a testimonianza dei negoziati con i "trotskisti" in URSS, nonché con la lettera di Trotskij che approva la formazione del "blocco" come alleanza e non come fusione, con i commenti di Trotskij citati sopra.»[19]

Coinvolgimento del "blocco dei destri"

Il coinvolgimento del "blocco dei destri" guidato da Bucharin può essere riassunto in questa breve ricostruzione da parte degli storici e sovietologi britannici Carr e Davies: «Sokol'nikov si presentò nell'appartamento di Kamenev alle 9 del mattino dell'11 luglio 1928 e cominciò a raccontare a Kamenev cosa era successo nel comitato centrale del partito. Kalinin e Vorošilov erano passati alla maggioranza. Bucharin aveva identificato la politica ufficiale con quella di Preobrazenskij; Rykov aveva attaccato Kaganovič. «La linea di Stalin è stata sconfitta». Bucharin aveva detto due volte (presumibilmente in privato a Sokol'nikov) che ora avrebbe "rinunciato a Stalin per Kamenev e Zinoviev"; voleva vedere Kamenev e sperava in "un blocco per rimuovere Stalin".»[20] In realtà, come concluso nella ricostruzione storica da parte dei già citati autori, Stalin era tutt'altro che sconfitto, ed era riuscito, con una strategia di saggio attendismo e dissimulazione, da una parte a prendere il controllo della maggioranza del partito, di organi di informazione come la Pravda, di sezioni di partito di intere repubbliche "contese", come la repubblica sovietica ucraina, e dall'altra parte a non concedere niente alle vecchie opposizioni riunite; di questo era consapevole anche Bucharin, che doveva apparire a Kamenev come un uomo ormai mentalmente sconfitto e fatalista, al punto da definire Stalin, come avversario, alla pari di Gengis Khan; Bucharin era altresì consapevole delle miriadi di divergenze tra le diverse fazioni politiche opposte alla maggioranza di Stalin, che avevano in comune soltanto il fatto di trovarsi all'opposizione, al punto da affermare: «Stalin attenderà che noi iniziamo a discutere per poi tagliarci la gola.» Stalin, politicamente, era addirittura più forte di quanto temesse Bucharin, in quanto era riuscito a rafforzarsi politicamente senza concedere alcuna posizione politica né a Bucharin né a Kamenev.[21] Ritrovandosi più impopolari e irrilevanti che mai nella legalità delle istituzioni politiche rivoluzionarie sovietiche, quindi, tutti gli oppositori della maggioranza, da destra a "sinistra", hanno ritenuto, in un atto, in ultima istanza, di disperazione, di poter "prevalere" politicamente solo e soltanto agendo in clandestinità e ricorrendo al terrorismo e al sabotaggio. Tale ricostruzione sarebbe confermata dalla confessione di Bucharin durante gli interrogatori del suo processo: «Il trio [Bucharin, Rykov, Tomskij, ndr] divenne un centro illegale e quindi, mentre questo trio era stato in precedenza a capo dei circoli di opposizione, ora divenne il centro di un'organizzazione controrivoluzionaria illegale. E nella misura in cui, ripeto, erano illegali in relazione al Partito, divennero quindi illegali in relazione alle autorità sovietiche. Vicino a questo centro illegale c'era Enukidze, che aveva contatti con questo centro tramite Tomskij. Uglanov, la cui influenza nell'organizzazione del Partito era piuttosto considerevole perché solo poco tempo prima aveva guidato l'organizzazione del Partito di Mosca, era anche vicino al centro in quel momento. In questo periodo, approssimativamente verso la fine del 1931, i membri della cosiddetta scuola furono trasferiti a lavorare fuori Mosca - a Voronež, Samara, Leningrado, Novosibirsk - e questo trasferimento fu utilizzato per scopi controrivoluzionari anche allora.»[22]

Coinvolgimento dei militari "vlasoviti" e di Tuchačevskij

Un'altra figura, ovviamente osannata dalla propaganda anticomunista come un "martire" delle "persecuzioni dittatoriali" di Stalin, è il generale Michail Nikolaevič Tuchačevskij. Santificato come un povero innocente vittima di barbarie e di invidia da parte ora di Stalin, ora di altri suoi colleghi come il generale di origine cosacca Budyenny, in realtà all'epoca dei fatti Tuchačevskij era unanimemente accettato, in Oriente come in Occidente, per il traditore quale era. A dispetto della propaganda anticomunista e antisovietica, che bolla la sola ipotesi come assurda, moltissimi generali sovietici in realtà, lungi dall'essere convinti compagni seguaci dell'immortale scienza del Marxismo-Leninismo, hanno agito solo e soltanto avendo in mente la propria carriera personale e l'aumento di rango. Stando a quanto riportato dallo storico e sovietologo russo Jurij Emelianov:

«Ma anche prima della pubblicazione di questi e altri libri russi, un certo numero di autori in Occidente ha presentato alcuni fatti che hanno dimostrato senza dubbio che la cospirazione di Tuchačevskij non era il risultato della creduloneria di Stalin o un frutto della sua immaginazione, ma una cruda realtà. I fatti appropriati furono narrati nelle memorie di un ex capo dell’intelligence tedesca Walter Schellenberg, in un libro di un ex ufficiale del NKVD (Commissariato del popolo per gli affari interni) Alexander Orlov, che fuggì dall’URSS in Occidente nel 1938, in un libro ‘The Conspirators ‘di uno storico americano Geoffrey Bailey. Un breve resoconto di come si è formato e sviluppato il complotto di Tukhachevsky è stato fornito nel libro “Hitler Moves East 1941-1943” da un ex interprete personale di Hitler, Paul Schmidt (il suo nome letterario – Paul Carell). Riassumendo tutti questi fatti narrati e analizzati da autori russi, tedeschi e americani si giunge alla conclusione che l’origine degli eventi del giugno 1937 differisce radicalmente dalla spiegazione data da Chruščëv e dai moderni mass media politici russi. Prima di tutto, questi eventi erano collegati alla lotta in corso all’interno del Partito Comunista Sovietico negli anni ’20. Si dovrebbe tenere conto che dal 1918 L. D. Trotskij era il presidente del Consiglio militare rivoluzionario della Repubblica sovietica e il suo commissario popolare per gli affari militari. Molte delle figure di spicco dell’Armata Rossa furono nominate da Trotskij durante la Guerra Civile. Condividendo le opinioni politiche del loro capo, tendevano a sopravvalutare i metodi di amministrazione militare e il ruolo dell’Armata Rossa nel processo rivoluzionario mondiale. Molti di loro continuarono a occupare posti di comando nell’Armata Rossa dopo che Trotskij fu estromesso dai suoi incarichi nel 1925. Nonostante le loro pubbliche ritrattazioni, molti di loro continuarono a condividere le opinioni e gli atteggiamenti di Trotskij con la loro tipica miscela di avventurismo e disprezzo per i principi ideologici, specialmente quando si trattava dei nemici della rivoluzione sovietica. L’approccio avventuroso ai problemi della strategia militare e dell’organizzazione dell’Armata Rossa era caratteristico di Tuchačevskij e del gruppo dei suoi sostenitori. Le differenze su questi temi portarono a un confronto latente ma crescente di questo gruppo con la maggioranza dei comandanti dell’Armata Rossa. Come lo stesso Trotskij, molti trotskisti dell’Armata Rossa erano inclini a mettere le loro ambizioni personali al di sopra degli interessi della classe operaia e dello stato sovietico. Alcuni di loro sognavano carriere bonapartiste. La tendenza a concludere alleanze con forze politicamente e ideologicamente aliene per amore della lotta personale per il potere (così tipica di Trotskij durante la sua carriera politica) si è rivelata nello stabilire strette relazioni tra alcuni ufficiali sovietici e tedeschi. A quel tempo il trattato di Versailles proibiva alla Germania di avere istituti di istruzione militare. Secondo un accordo segreto sovietico-tedesco concluso su iniziativa del trotskista Karl Radek, allora influente nel governo sovietico, un folto gruppo di ufficiali tedeschi istituì le loro scuole militari nella Russia sovietica aggirando così le clausole del trattato di Versailles. Non solo Radek, ma altri leader sovietici sostenevano questo accordo poiché a quel tempo la cooperazione della Russia sovietica con la Germania era vista come una svolta del fronte antisovietico unito degli stati capitalisti. Le possibili conseguenze negative dell’accordo non sono state prese in considerazione. Mentre esisteva l’accordo sovietico-tedesco, Tukhachevsky e un certo numero di altri comandanti militari sovietici coltivavano relazioni amichevoli con i loro colleghi tedeschi. Quest’ultimo invitava spesso gli ufficiali sovietici in Germania. Purtroppo tali contatti non si sono limitati a scambi di opinioni nel campo di problemi puramente professionali. Alcuni militari di entrambi i paesi tendevano a discutere i vantaggi del governo militare e le possibilità di interferenza congiunta dei militari nella vita dei civili di entrambi i paesi. I piani per l’assistenza reciproca dei militari dei due paesi in caso di cambiamenti politici nei due paesi hanno cominciato ad evolversi. L’acquisizione nazista nel 1933 interruppe l’attiva cooperazione militare tra Germania e Unione Sovietica. Sebbene a quel tempo l’esercito tedesco sostenesse completamente Hitler, erano desiderosi di pensare ai propri interessi ed erano pronti a prendere il potere se il regime nazista avesse vacillato. (I cospiratori militari tedeschi eseguirono quasi un colpo di stato nel settembre 1938. Poi temettero che la Germania avrebbe perso la guerra nel caso in cui Gran Bretagna e Francia avessero preso una posizione risoluta e difendessero la Cecoslovacchia. Solo la capitolazione di Francia e Gran Bretagna a Monaco ha si fatto che i cospiratori scartassero i loro piani. Un altro tentativo di rovesciare il governo Hitler fu intrapreso da loro nel luglio 1944, nel momento in cui il regime nazista era già condannato.) I loro piani di presa del potere militare in URSS furono nutriti da Tukhachevsky e dai suoi sostenitori. Allo stesso tempo Tukhachevsky e altri cercarono di ottenere il sostegno di alcuni ambiziosi leader del partito per la realizzazione dei loro piani bonapartisti. Secondo Paul Carell, “dal 1935 Tukhachevsky aveva mantenuto una sorta di comitato rivoluzionario a Khabarovsk … I suoi membri includevano alti funzionari amministrativi e comandanti dell’esercito, ma anche alcuni giovani funzionari del partito in cariche elevate, come il leader del partito nel Caucaso settentrionale, Boris Sheboldayev ‘. Nonostante la risoluzione dell’accordo militare sovietico-tedesco, Tukhachevsky mantenne una stretta collaborazione con i generali tedeschi. Carell scrisse: “Nella primavera del 1936 Tukhachevsky andò a Londra come capo della delegazione sovietica che partecipò ai funerali del re Giorgio V. Sia i suoi viaggi di andata che quelli di ritorno lo portarono attraverso Berlino. Ha usato l’occasione per colloqui con i principali generali tedeschi. Voleva assicurarsi che la Germania non usasse qualsiasi possibile agitazione rivoluzionaria nell’Unione Sovietica come pretesto per marciare contro l’Oriente. Ciò che gli importava di più era la sua idea di un’alleanza tedesco-russa dopo il rovesciamento di Stalin … Tukhachevsky si convinse sempre più che l’alleanza tra Germania e Unione Sovietica fosse un comandamento ineludibile della storia “. Nel suo libro “The Conspirators” Geoffrey Bailey cita un’osservazione attestata di Tukhachevsky fatta in quel momento al ministro degli Esteri rumeno Titulescu. Ha detto: ‘Hai torto a legare il destino del tuo paese a paesi che sono vecchi e finiti, come Francia e Gran Bretagna. Dobbiamo rivolgerci alla nuova Germania. Per alcuni almeno la Germania assumerà la posizione di leadership nel continente europeo ”. Nel frattempo le dichiarazioni filo-tedesche fatte da Tukhachevsky nei paesi dell’Europa occidentale durante il suo viaggio in Gran Bretagna divennero note in Francia e in Cecoslovacchia. I trattati di mutua assistenza di entrambi i paesi con l’URSS conclusi nel 1935 li unirono in una coalizione anti-nazista congiunta. L’informazione che una figura così importante come Tukhachevsky avesse preso una posizione filo-tedesca ha causato grave preoccupazione a Parigi e Praga. I due governi hanno notificato al governo sovietico le dichiarazioni di Tukhachevsky. [...] A quel punto la Gestapo ebbe notizia dei negoziati di Tukhachevsky con i capi militari tedeschi. Per avere maggiori informazioni sui rapporti tra i capi militari dei due Paesi, agenti della Gestapo sono penetrati negli archivi della Wehrmacht e hanno rubato alcuni dei documenti relativi ai contatti dei militari tedeschi con il Soviet. Gli agenti della Gestapo hanno cercato di nascondere il furto di documenti incendiando gli archivi. Dopo che i documenti rubati furono analizzati, il vice capo della Gestapo Heydrich giunse alla conclusione che c’erano ampie prove della cooperazione segreta tra i leader della Wehrmacht e l’Armata Rossa. La Gestapo informò Hitler dei documenti. Nonostante le dichiarazioni filo-tedesche di Tukhachevsky, Hitler e altri dirigenti nazisti non erano contenti dei contatti clandestini tra i capi militari della Germania e dell’URSS. I leader nazisti ritenevano che l’istituzione della dittatura militare in Russia potesse stimolare sviluppi simili in Germania. E il dittatore militare della Russia Tukhachevsky potrebbe aiutare i suoi colleghi tedeschi durante il futuro colpo di stato. Hitler ha deciso di contrastare la cospirazione congiunta dei capi militari dei due paesi. Ha ordinato l’invio dei documenti rubati a Mosca, ma aggiungendo ad essi falsificazioni per rendere i materiali ancora più scioccanti. Il capo dell’intelligence tedesca Walter Schellenberg scrisse in seguito che le false aggiunte costituivano solo una piccola parte dell’intera collezione, che fu segretamente venduta all’Unione Sovietica. (Più tardi nel 1971 V. M. Molotov affermò che lui, Stalin e altri membri del Politbureau sapevano della cospirazione di Tukhachevsky prima di ottenere i documenti tedeschi.) [...] Stalin ha suggerito che alcuni ufficiali militari siano stati coinvolti in una cospirazione per puro opportunismo. Allo stesso tempo Stalin parlò di alcuni cospiratori che furono intimiditi da Tukhachevsky e altri e furono costretti a unirsi a loro. Stalin ha proposto di perdonare queste persone se fossero venute e avesse detto onestamente della loro partecipazione al complotto. Smentendo la preoccupazione espressa da alcuni degli oratori alla sessione che gli arresti tra i militari potrebbero indebolire l’Armata Rossa Stalin disse : “Abbiamo nel nostro esercito riserve illimitate di talenti … Non bisogna aver paura di promuovere le persone verso l’alto”. Sebbene Stalin esprimesse la speranza che il numero dei cospiratori non fosse grande, presto molti militari, compresi alcuni di coloro che avevano partecipato alla sessione del 2 giugno, furono arrestati. Tra coloro che furono arrestati molti erano innocenti. Innanzitutto i loro arresti sono stati causati dall’atmosfera creata da molti funzionari locali del Partito (e Chruščëv era tra i più attivi) che, invece di cercare ragioni politiche e sociali per la cospirazione militare, hanno iniziato a fomentare l’isteria di massa. Hanno usato la cospirazione Tukhachevsky come pretesto per dimostrare che l’URSS era piena di spie straniere e quindi per mantenere metodi amministrativi tipici della guerra civile. (Successivamente Chruščëv cercò di nascondere la sua partecipazione a questa caccia alle streghe attribuendone tutta la colpa a Stalin.) Il bilancio degli arrestati aumentò anche a causa delle accuse calunniose mosse dai carrieristi nell’NKVD, pronti a ottenere la promozione per i loro successi nell’esporre ‘ nemici del popolo, o da ufficiali militari orientati alla carriera, desiderosi di prendere i posti di coloro che sono stati arrestati. Ora i mass media russi affermano che gli arresti e le esecuzioni degli ufficiali in comando dell’Armata Rossa furono fatali per lo sviluppo della Grande Guerra Patriottica. Si sostiene che il corpo degli ufficiali dell’Armata Rossa sia stato quasi decimato. Alcuni fanno notare che 40mila degli ufficiali in comando furono oggetto di varie rappresaglie nel 1937 – 1939. Infatti su 37mila ufficiali dimessi dall’Esercito in questo periodo circa 9mila furono quelli morti per cause naturali, diventati gravi malattie croniche o sono stati puniti per crimini non politici e comportamenti scorretti. Su 29mila ufficiali licenziati per reati politici 13mila furono successivamente restituiti all’esercito. Molti di loro (come il maresciallo Rokossovsky) hanno combattuto eroicamente nella Grande Guerra Patriottica. Quattromila sono stati giustiziati e circa 12mila hanno scontato le loro pene nei campi di lavoro. Sebbene si tratti di numeri elevati, si dovrebbe essere consapevoli che il numero totale degli ufficiali dell’esercito nel 1941 era di 680 mila. Al posto di Tukhachevsky e dei suoi sostenitori è arrivata una nuova coorte di generali e marescialli che si sono dimostrati abbastanza degni nello svolgere i loro doveri militari. Il riconoscimento di questo fatto venne nientemeno che da Joseph Goebbels. [...] Inavvertitamente il capo della propaganda nazista ha riconosciuto la verità di Stalin quando quest’ultimo ha parlato di “riserve illimitate di talenti” nei ranghi dell’Armata Rossa e ha affermato che Tukhachevsky e altri “non avevano contatti con il popolo” e “avevano paura del popolo” . La vittoria sulla Germania nazista e sui suoi alleati ottenuta principalmente dallo sforzo sovietico non sarebbe stata possibile se la leadership sovietica non fosse riuscita a sbarazzarsi della sua “Quinta Colonna”, simile a quelle che esistevano in molti paesi del mondo e che hanno permesso a Hitler di stabilire il suo controllo su mezza Europa. Sfortunatamente nel 1991 sia l’esercito sovietico che il partito hanno cambiato carattere e hanno perso la maggior parte dei loro stretti legami con il popolo. Questi cambiamenti hanno facilitato il temporaneo trionfo delle forze di restaurazione capitaliste sul socialismo.»[23]

In merito al coinvolgimento di Tuchačevskij e di parte dell'esercito sovietico in piani di cospirazione scrisse anche lo storico Furr, in un breve pamphlet del 1986 in cui analizzò le diverse fonti a sua disposizione (negli anni 80 gli archivi non erano ancora stati aperti) e riuscì a dimostrare, in modo non dissimile da Yemelianov circa 20 anni dopo, la verità dei fatti, ossia la natura traditrice delle azioni di Tuchačevskij:

«Nel 1928 un ex ufficiale francese pubblicò una breve biografia di Tuchačevskij “Pierre Fervacque” — pseudonimo del giornalista francese Remy Roure — era stato compagno di prigionia di Tukhachevsky nel 1917 nel campo ufficiali tedesco di Ingolstadt, in Baviera. Nel suo profilo biografico riportò il contenuto di diverse conversazioni che aveva avuto con il giovane tenente russo durante la prigionia, tra cui le seguenti: — Allora sei un antisemita, gli dissi. Perché? — Gli ebrei ci hanno portato il cristianesimo. Questa è una ragione sufficiente per odiarli. Ma poi sono una razza bassa. Non parlo nemmeno dei pericoli che creano nel mio paese. Non puoi capirlo, tu francese, per te l'uguaglianza è un dogma. L'ebreo è un cane, figlio di un cane, che diffonde le sue pulci in ogni terra. È lui che ha fatto di più per inocularci la peste della civiltà, e che vorrebbe darci anche la sua morale, la morale del denaro, del capitale. — Ora sei un socialista, allora? — Un socialista? Niente affatto! Che bisogno hai di classificare! Inoltre i grandi socialisti sono ebrei e la dottrina socialista è una branca del cristianesimo universale. … No, detesto i socialisti, gli ebrei e i cristiani. Tukhachevsky non protestò mai per il contenuto di questo libro ben noto. Al contrario, fino a poco prima della sua esecuzione, Tukhachevsky mantenne relazioni amichevoli con Roure. Parlò con il giornalista francese a un banchetto a Parigi nel 1936, e poi tre giorni dopo ebbe un'altra conversazione privata con lui. Roure ricordò nel luglio 1937 che, nel suo libro, aveva ritratto il giovane Tukhachevsky come colui che esprimeva orrore e disgusto per la civiltà occidentale e un amore giovanile per la "barbarie" in toni agghiaccianti (che, notiamo, avrebbero potuto provenire dai nazisti più radicali). Vent'anni dopo, Tukhachevsky si era addolcito, era diventato un ammiratore della cultura francese, ma era rimasto un nazionalista e imperialista pan-slavo "patriottico" che sentiva che, servendo il bolscevismo, aveva servito il suo paese. [...] All'inizio del 1937 c'erano due importanti figure militari nell'Unione Sovietica: Tukhachevsky e il Commissario per la Difesa, il Maresciallo Kliment Voroshilov. Era ben noto che le tensioni all'interno della massima dirigenza dell'esercito sovietico erano profonde. Non si dovrebbe dare troppo peso a un argomento e silentio. Ma più avanti nella stessa lettera Neurath potrebbe aver tacitamente fatto sapere a Schacht a quale dei due leader militari sovietici si riferisce: "A questo proposito dovrei anche notare, per tua informazione personale, che, secondo informazioni affidabili che ci sono pervenute in merito agli eventi in Russia, non c'è nulla di strano tra Stalin e Voroshilov. Per quanto si può stabilire, questa voce, che viene diffusa anche dalla nostra stampa, ha avuto origine in circoli interessati a Varsavia". Forse questo passaggio suggerisce che, con Voroshilov ancora un fervente stalinista, la Germania sarebbe interessata a colloqui con la Russia solo in caso di dittatura militare sotto Tukhachevsky. [...] Nel suo famoso libro Ho pagato Hitler, Fritz Thyssen, l'ex magnate tedesco dell'acciaio, uno degli immensamente influenti "Schlotbarone", i magnati dell'industria pesante della Ruhr e uno dei primi membri del partito nazista, associò esplicitamente Tukhachevskii a Fritsch: "Fritsch ha sempre sostenuto un'alleanza con la Russia, anche se non con una Russia comunista. Furono fatti tentativi di stabilire relazioni tra Fritsch e il generalissimo russo, Tukhachevsky. I due avevano un punto in comune: ognuno desiderava rovesciare il dittatore nel proprio paese". [...] Tuttavia, rimane il suo terzo punto: che i documenti potrebbero essere stati collegati al noto complotto dell'SD per falsificare un dossier che incriminasse Tukhachevsky come traditore. L'intera questione di questa presunta falsificazione è molto complessa e non può essere sbrogliata in questo articolo. Inoltre, è in linea di principio impossibile provare un negativo, in questo caso, che non sia stato fatto alcun tentativo di falsificazione tedesco. Si può semplicemente esaminare le prove citate a sostegno dell'esistenza di un simile tentativo di falsificazione e vedere come reggono. Detto questo, diverse considerazioni sono rilevanti per la questione in questione. In primo luogo, le fonti cruciali per la storia della "falsificazione SD-NKVD" non sono affidabili. Nella sua introduzione all'edizione inglese delle memorie di Walter Schellenberg, Alan Bullock conclude: "né sarebbe saggio accettare Schellenberg come testimone affidabile quando la sua testimonianza non può essere corroborata". Erickson sottolinea anche diversi passaggi importanti di Schellenberg che riconosce non possono essere veri. Il racconto di Alfried Naujocks, l'uomo delle SS che sosteneva di essere stato personalmente responsabile dell'organizzazione della falsificazione e che di solito viene preso in parola, è ancora più palesemente falso. In secondo luogo, secondo tutti i resoconti del complotto di falsificazione, Hitler e Himmler ne erano entrambi parte. Ma nulla del genere si poteva dedurre dai loro successivi riferimenti alle purghe militari. Ad esempio, si dice che Himmler abbia discusso dell'Affare Tukhachevsky in una conversazione con il generale sovietico rinnegato A. A. Vlasov il 16 settembre 1944 in un modo che rende chiaro che credeva che Tukhachevskii fosse colpevole di qualche complotto: "Himmler chiese a Vlasov dell'Affare Tukhachevskii. Perché questo era andato storto. Vlasov diede una risposta franca: 'Tukhachevsky ha commesso lo stesso errore che ha commesso il vostro popolo il 20 luglio. Non conosceva la legge delle masse". In un importante discorso a Posen il 4 ottobre 1943 Himmler dichiarò: Quando — credo fosse nel 1937 o nel 1938 — si svolsero a Mosca i grandi processi farsa, e l'ex cadetto militare zarista, in seguito generale bolscevico, Tukhachevskii, e altri generali furono giustiziati, tutti noi in Europa, compresi noi del Partito [nazista] e delle SS, eravamo dell'opinione che qui il sistema bolscevico e Stalin avessero commesso uno dei loro più grandi errori. Nel fare questo giudizio sulla situazione ci siamo ingannati molto. Possiamo affermarlo con sincerità e sicurezza. Credo che la Russia non sarebbe mai durata questi due anni di guerra — e ora è nel terzo anno di guerra — se avesse mantenuto gli ex generali zaristi. Ciò probabilmente rifletteva anche la valutazione di Hitler, poiché, secondo Goebbels (annotazione del diario dell'8 maggio 1943): "Seguì la conferenza dei Reichsleiter e dei Gauleiter... Il Fehrer ricordò il caso di Tukhachevskii ed espresse l'opinione che allora ci sbagliavamo completamente nel credere che Stalin avrebbe rovinato l'Armata Rossa con il modo in cui l'aveva gestita. Era vero il contrario: Stalin si sbarazzò di ogni opposizione nell'Armata Rossa e pose così fine al disfattismo". Infine, la falsificazione tedesca, se davvero ce n'era una, non esclude l'esistenza di un vero complotto militare. Infatti, tutte le fonti SD per la storia della falsificazione lasciano aperta la possibilità che il maresciallo stesse in effetti complottando con lo Stato maggiore tedesco.» [24]

In sostanza, entrambi gli studi, con tanto di fonti citate di diari privati, confessioni, riflessioni, biografie e altre opere dell'epoca in cui si sono svolti i fatti, dimostrano che Tukachesvky, palese larpagano con tendenze nietzscheane anti-cristiane e antisemite non così dissimili da quelle dei nazifascisti, era effettivamente un cospiratore, per di più filo-tedesco. Per quanto soltanto queste due fonti, ampiamente riportate e trascritte nella voce, possano essere sufficienti per comprendere la vera natura del coinvolgimento di Tukachevksy e dei militari nei complotti e nei sabotaggi in URSS degli anni 30, è necessario citare qualche altro riferimento. In primis, è necessario ricordare la vicenda del cosiddetto Rapporto Shvernik, un rapporto commissionato durante il governo di Chruščëv, idealmente per "scagionare" postumamente Tuchačevskij dalle accuse e dalle condanne dei processi, ma in realtà tale rapporto (rimasto inedito per grazia del "democratico" Chruščëv) ha dimostrato il contrario, facendo riaffiorare ancora più prove della colpevolezza del generale in piani e tentativi di golpe militari, come dimostra il rinvenimento di un telegramma di un attaché giapponese ad un suo superiore:

«Durante la verifica del “caso” di Tukhachevsky, nell’Archivio centrale di Stato dell’esercito sovietico è stato trovato un documento importante, un messaggio speciale del 3° dipartimento del GUGB dell’NKVD dell’URSS, che è stato inviato da Yezhov al Commissario del popolo alla difesa Voroshilov contrassegnato “personalmente” il 20 aprile 1937, cioè nel momento immediatamente precedente gli arresti dei principali leader militari sovietici. Su questo documento, oltre alla firma personale di Yezhov, c’è la risoluzione di Voroshilov datata 21 aprile 1937: “Segnalato. Decisioni prese, follow-up. K.V.” A giudicare dall’importanza del documento, si dovrebbe supporre che sia stato segnalato a Stalin. Di seguito è riportato questo messaggio speciale nella forma in cui è stato ricevuto da Voroshilov: MESSAGGIO SPECIALE

Il 3° dipartimento del GUGB ha fotografato un documento in giapponese, in transito dalla Polonia al Giappone tramite posta diplomatica e proveniente dall'addetto militare giapponese in Polonia - Sawada Shigeru, indirizzato personalmente al capo della Direzione principale dello Stato maggiore del Giappone, Nakajima Tetsuzo. La lettera è scritta con la grafia di Arao, addetto militare assistente in Polonia. Il testo del documento è il seguente: Sull'instaurazione di un collegamento con una figura sovietica di spicco. 12 aprile 1937. Addetto militare in Polonia Sawad Siger. Sulla questione indicata nel titolo, è stato possibile stabilire un contatto con l'inviato segreto del maresciallo dell'Armata Rossa Tukhachevsky.

L'essenza della conversazione era discutere (2 geroglifici e un segno sono incomprensibili) del messaggero segreto dell'Armata Rossa relativamente noto a voi n. 30.»[25]

Un'ulteriore fonte a dimostrazione, definitiva, della colpevolezza di Tuchačevskij e dell'esistenza di un complotto da parte dei militari è data da un testo del 1941, un pamphlet scritto negli anni della Seconda Guerra Mondiale in USA per far comprendere al popolo statunitense il perché dell'alleanza e del sostegno all'Unione Sovietica, smentendo quindi i diversi luoghi comuni, tra cui quello dell'URSS di Stalin come "dittatura sanguinaria macelleria di innocenti":

«Il nostro mondo odierno è lacerato da lealtà divise. Le linee di classe attraversano i confini nazionali. Sotto la pressione del conflitto le persone si schierano in base a molti motivi complessi. Il primo ministro Chamberlain indebolì l'Impero britannico per distruggere la democrazia in Spagna. Per quattro anni gli industriali americani hanno inviato petrolio e rottami di ferro per rafforzare il Giappone in vista della guerra contro gli Stati Uniti. Nessuna di queste persone è consapevole di aver commesso tradimento. E probabilmente non lo erano nemmeno Laval e Petain, Quisling o Wang Ching-wei, che per un motivo o per l'altro erano pronti a guidare un governo fantoccio al servizio di un invasore. Secondo gli standard del nazionalismo del diciannovesimo secolo, al cui crepuscolo stiamo probabilmente assistendo, gli atti sono tradimento della nazione. Come li chiamerà il ventunesimo secolo dipenderà da chi saranno i vincitori. I vincitori scrivono sempre i libri di storia. L'Unione Sovietica ha affrontato lo stesso problema in una forma particolare. La base usuale per una quinta colonna era carente poiché non c'erano grandi e contrastanti interessi di proprietà privata. [...] Nella sua forma più semplice, questo sabotaggio non era altro che un piccolo affare di comodo. Un rappresentante di un'azienda di Cincinnati che vendeva macchinari a certe industrie sovietiche fu informato che le sue macchine non andavano bene. Dovette combattere contro una buona dose di burocrazia per organizzare anche solo il viaggio da Mosca a Samara per visitare la fabbrica dove le macchine si supponeva non funzionassero. Alla fine arrivò, si fece strada con l'aiuto della polizia locale e si scontrò con un sovrintendente terrorizzato che ammise che le macchine americane non erano mai state tirate fuori dalle loro scatole. Questo sovrintendente era stato corrotto da un'azienda tedesca per inviare un rapporto negativo sulle macchine americane; aveva preso un accordo con un funzionario di Mosca per impedire la visita dell'americano a Samara. L'incidente non sconvolse particolarmente il mio conoscente americano; lo prese come un naturale trucco commerciale. Per i russi, che costruivano le loro imprese pubbliche a costo di grandi sacrifici, l'azione era un crimine grave. [...] La prima indicazione che la pista aveva portato all'Armata Rossa fu il suicidio, il 1° giugno 1937, del maresciallo Gamarnik, capo dei commissari politici dell'Armata Rossa. Otto giorni dopo Voroshilov annunciò che quattro comandanti importanti, tra cui il maresciallo Tukhachevsky, che era stato da poco vicecommissario della difesa, erano stati rimossi dai loro incarichi. Questi quattro e altri quattro furono processati dalla corte marziale l'11 luglio, di fronte al Collegio militare della Corte suprema, il primo dei grandi processi a essere tenuto in segreto. Si dichiararono colpevoli di alto tradimento e furono condannati a morte. La stampa di Mosca annunciò che erano stati al soldo di Hitler e che avevano accettato di aiutarlo a ottenere l'Ucraina. Questa accusa fu abbastanza ampiamente creduta negli ambienti militari stranieri e fu in seguito corroborata da rivelazioni fatte all'estero. Gli ambienti militari cechi sembravano essere particolarmente ben informati. I funzionari cechi a Praga si vantarono più tardi con me che i loro militari erano stati i primi a scoprire e a lamentarsi con Mosca che i segreti militari cechi, noti ai russi attraverso l'alleanza di mutuo soccorso, venivano rivelati da Tukhachevsky all'alto comando tedesco.»[26]

Ancora in merito al blocco dei cospiratori militari, Radzinski, autore di una biografia su Stalin, ha questo da dire in merito alla principale idea, propinata dagli anticomunisti, secondo cui le "purghe militari" avrebbero indebolito l'URSS all'indomani della Grande Guerra Patriottica:

«La distruzione del vecchio comando continuò per tutto il 1937 e il 1938. Questo massacro all'ingrosso lasciò l'esercito debole. Questa almeno è la visione generalmente accettata. Ma il maresciallo Konyev, uno degli eroi della seconda guerra mondiale, era di un'opinione diversa. Scrisse nelle sue memorie: "Dei comandanti distrutti - Tukhachevsky, Yegorov, Yakir, Kork, Uborevich, Blyukher, Dybenko - solo Tukhachevsky e Uborevich possono essere considerati leader militari moderni... La maggior parte di loro era allo stesso livello di Voroshilov e Budenny. Quegli eroi della guerra civile, uomini dell'esercito di cavalleria, che vivevano del loro passato. Blyukher pasticciò l'operazione Khasan, Voroshilov pasticciò la guerra con la Finlandia. Se fossero rimasti al vertice la guerra sarebbe andata in modo molto diverso". Il Capo, in effetti, sapeva che le repressioni avrebbero indebolito l'esercito per il momento ma lo avrebbero rafforzato a lungo termine. Fu un altro esempio del suo metodo preferito e omicida di selezione del personale. L'assassinio di massa di ex ufficiali fece sì che, alla vigilia della guerra, il comando passasse a uomini molto più aggiornati nella loro formazione e nel loro modo di pensare, uomini per i quali la guerra civile era solo un eroico mito[52]

Tutt'altro che azioni che hanno indebolito l'Armata Rossa, in realtà le "purghe militari" hanno quindi permesso un dovuto ricambio generazionale sbarazzandosi dei carrieristi e cospirazionisti che "pesavano" di più al funzionamento dell'apparato militare.

Cooperazione dei cospirazionisti con Germania, Giappone e altre potenze fasciste dell'epoca

Gli anticomunisti, siano essi trotskisti, liberali o dichiaratamente nazifascisti, ad oggi continuano a negare, forti della vulgata propagandistica occidentale e del già citato paradigma Anti-Stalin, che vi sia mai stata una collaborazione tra i cospirazionisti degli anni 20 e 30 e i servizi della Germania o del Giappone. Le loro affermazioni sono, ancora una volta, smentite dalle fonti dell'epoca. Naheda Krupskaya, moglie e vedova di Lenin, scrive poco dopo lo svolgimento dei primi processi, in cui furono imputati Zinoviev e Kamenev:

«"Il socialismo non può essere costruito con ordini dall'alto. Il suo spirito è estraneo al meccanismo burocratico-formale; è un processo vivo e creativo, costruito dal popolo stesso". - disse Lenin nei primissimi giorni della nostra Rivoluzione socialista d'Ottobre. (Volume XXII, pagina 45). [...] I trotskisti e gli zinoviev non pensavano alle masse. Non vivevano nella realtà. Pensavano solo a come prendere il potere anche a costo di un accordo con la Gestapo, con i più importanti nemici della dittatura del proletariato, sforzandosi così di ristabilire una struttura borghese e lo sfruttamento capitalista delle masse lavoratrici nel paese dei Soviet. [...] E non è una coincidenza che Trotskij, che non ha mai capito l'essenza della dittatura del proletariato, il ruolo delle masse nella costruzione del socialismo, pensando che si possa costruire semplicemente con un ordine dall'alto, ora si trovi sulla strada dell'organizzazione di atti terroristici contro Stalin, Voroshilov e altri membri del Politburo, che stanno aiutando le masse a costruire il socialismo. Non è un caso, quindi, che il blocco senza principi di Kamenev e Zinoviev insieme a Trotskij li abbia spinti da un passo all'altro in un profondo abisso di un tradimento inaudito dell'opera di Lenin, dell'opera delle masse, degli ideali del socialismo. Trotskij, Zinoviev, Kamenev e tutta la loro banda di assassini hanno agito insieme ai fascisti tedeschi, hanno stretto un patto con la Gestapo. [...] Non è una coincidenza che l'Internazionale venga fatta a pezzi, che la banda di assassini Trotskij-Zinoviev stia alzando il suo scudo nel tentativo di distruggere il fronte popolare. I de Brouckère e i Citrine stanno sostenendo tutti i tipi di attività sovversive che i nemici istigano contro la classe operaia dell'URSS, il suo partito e i suoi leader. Occupano il primo posto nel gridare slogan antisovietici, che vengono espressi dal mondo borghese. La Terza Internazionale è stata creata come risultato della lotta con la Seconda Internazionale. La Seconda Internazionale stava portando avanti una violenta propaganda contro la dittatura del proletariato e il potere sovietico con l'aiuto del rinnegato Kautsky e soci. La Seconda Internazionale desidera giustificare e difendere il sistema capitalista, bendare gli occhi delle masse lavoratrici. Ecco perché stanno difendendo l'agente della Gestapo: Trotskij. Non ha funzionato.»[27]

Similmente ebbe da dire Stalin in un rapporto del marzo del 1937 della sessione plenaria del PCR(B), disponibile in italiano nell'archivio del sito del Partito Marxista Leninista Italiano:

«Il processo del "blocco zinovievista-trotskista" allargò le lezioni dei processi precedenti, dimostrando nel modo più evidente che gli zinovievisti e i trotskisti raccolgono attorno a sé tutti gli elementi borghesi nemici, che essi si sono trasformati in un'agenzia di spionaggio, di diversione e terroristica della polizia politica tedesca, che la doppiezza e l'ipocrisia sono l'unico mezzo che gli zinovievisti e i trotskisti impiegavano per penetrare nelle nostre organizzazioni, che la vigilanza e la perspicacia politica sono il mezzo più sicuro per prevenire questa penetrazione, per liquidare la banda zinovievista-trotzkista. [...] Si può dire che il trotskismo del giorno d'oggi, il trotzkismo, diciamo, dell'anno 1937 sia una corrente politica in seno alla classe operaia? No, questo non lo si può dire. Perché? Perché i trotskisti del giorno d'oggi temono di mostrare alla classe operaia la loro vera faccia, temono di svelare i loro scopi e compiti veri, nascondono con cura alla classe operaia la loro fisionomia politica nella tema che, se la classe operaia venga a conoscere le loro effettive intenzioni, li maledica come gente estranea e li cacci dal suo seno. [...] La restaurazione del capitalismo, la liquidazione dei kolkhoz e dei sovkhoz, la restaurazione del sistema dello sfruttamento, l'alleanza con le forze fasciste della Germania e del Giappone per affrettare la guerra contro l'Unione Sovietica, la lotta per la guerra e contro la politica di pace, lo smembramento territoriale dell'Unione Sovietica offrendo l'Ucraina ai tedeschi e il litorale ai giapponesi, la preparazione della disfatta militare dell'Unione Sovietica in caso che essa sia attaccata dagli stati nemici e, come mezzo per raggiungere questi obbiettivi, il sabotaggio, la diversione, il terrore individuale contro i dirigenti del potere sovietico, lo spionaggio a favore delle forze fasciste giapponesi e tedesche - tale è la piattaforma politica del trotzkismo al giorno d'oggi, sviluppata da Piatakov, Radek e Sokolnikov. Si capisce che i trotskisti non potevano non nascondere tale piattaforma al popolo e alla classe operaia. Ed essi non la nascosero soltanto alla classe operaia, ma anche alla massa trotzkista e non solo alla massa trotzkista, ma perfino al piccolo nucleo dirigente trotzkista, composto di un gruppetto di 30-40 persone. Quando Radek e Pjatakov chiesero a Trotskij il permesso di convocare una piccola conferenza di trotskisti di 30-40 persone per informarle sul carattere di questa piattaforma, Trotskij proibì la cosa, dicendo che non era opportuno parlare del vero carattere della piattaforma neanche in un piccolo gruppo di trotskisti, perché una simile "operazione poteva provocare la scissione.»[28]

Lo storico e segretario del Partito Comunista Britannico Andrew Rothstein, nel 1950, ebbe da riportare nella sua opera storiografica sull'URSS: «Nelle due settimane successive, un certo numero di altri trotskisti di spicco – Pjatakov, Radek, Sokolnikov, Serebryakov e Jagoda, capo del Commissariato del popolo per l’interno – furono anch’essi arrestati, in seguito alle confessioni fatte dal gruppo Zinoviev-Kamenev. Furono processati nel gennaio 1937. Le rivelazioni che fecero e le loro confessioni in tribunale dimostrarono che, dopo aver finto per tanto tempo di essere animati dalla preoccupazione per il popolo sovietico, la loro politica era stata al contrario di completa subordinazione ai piani di Hitler. L’organizzazione di saccheggi sulle ferrovie e nei bacini carboniferi, in importanti stabilimenti chimici e centrali elettriche, nell’agricoltura e nell’allevamento del bestiame, si rivelò essere solo sussidiaria al loro scopo principale. Si trattava di chiedere assistenza esterna, dai servizi segreti tedeschi e giapponesi, per ristabilire l'equilibrio quando i loro sforzi all'interno dell'URSS stavano fallendo. Nelle parole di Sokolnikov (che era stato ambasciatore in Gran Bretagna per un certo periodo), "consideravamo che il fascismo fosse la forma di capitalismo più organizzata, che avrebbe trionfato e conquistato l'Europa e ci avrebbe soffocati. Era quindi meglio scendere a patti con esso". Questi termini includevano concessioni territoriali in Ucraina e nell'Estremo Oriente e concessioni economiche agli industriali tedeschi, in cambio di attività sovversive su larga scala in caso di guerra tra l'URSS e la Germania e per l'istituzione di un governo trotskista dopo una vittoria tedesca.»[29]

Chi potrebbe definire questi due esempi di discorsi dell'epoca come poco più che stralci di propaganda per niente obiettiva, difficilmente potrebbe dire lo stesso delle prove che sono venute fuori nelle investigazioni da parte degli studiosi, politologi e storici Burgio, Leoni e Sidoli, autori del libro storico e d'inchiesta "Il volo di Pjatakov". I tre autori, oltre a presentare nel loro testo immagini, tra cui gli scan di ricevute di lettere di Trotskij spedite a persone come Radek (con il quale negava, in quel momento, di avere contatti, mentendo, come già appurato in altre sezioni di questa voce), e diverse fonti di archivio, si concentrano in particolare su un episodio del 1935, quando Pjatakov, già menzionato collaboratore di Trotskij e all'epoca vice-ministro dell'industria pesante sovietica, partendo da Berlino, con la collaborazione degli Hitleriani all'epoca al governo, volò in Norvegia, dove Trotskij abitava come esule in quel momento, ed ebbe un incontro con lui. I tre autori affermano nella loro opera, nella prefazione, che la posizione di Trotskij di totale diniego della vicenda serviva solo ad avvalorare la propria tesi, ossia quella di dipingere i processi di Mosca come una farsa, ma che le sue dichiarazioni di non aver avuto più contatti con gli uomini imputati ai processi di Mosca è stata smentita dal lavoro, svolto da J. Arch. Getty, storico liberale e borghese dichiaratamente anticomunista e anti-Stalin, che ha rinvenuto le ricevute delle lettere spedite a Pjatakov e soprattutto a Radek. Tale studio, unito allo studio di tale Sven-Eric Holmström, che ha smentito nel 2008 un'altra menzogna trotskista secondo cui l'incontro, già citato da Arch. Getty, avvenuto a Copenhagen tra Trotskij e un suo seguace non sarebbe mai avvenuto perché l'Hotel "Bristol" sarebbe stato abbattuto negli anni delle vicende, dimostrando come nel 1932, grazie all'aiuto di materiale fotografico inoppugnabile, esistesse ancora un Bar-caffetteria, adiacente ad un Hotel con cui aveva una porta in comune, denominato "Bristol". A questi studi, e agli studi di Grover Furr, anch'essi già menzionati in altre sezioni di questa voce, si aggiungono elementi forniti dallo stesso Trotskij durante il suo interrogatorio presso una commissione statunitense antisovietica e proto-maccartista, la commissione Dewey, in merito ad una illogica "gita nel ghiaccio".[30] Dopo aver analizzato approfonditamente, nel quarto capitolo[31], la vicenda della lettera spedita nel 1932 a Radek, lettera della cui esistenza da conferma lo storico (trotskista, necessario ribadire) Broué, che tra i primi ha messo mano sull'archivio di Harvard del 1980, come già riportato in altri paragrafi, gli autori, nel nono capitolo, si soffermano su un tassello importante della loro indagine, oggetto di controversie (ossia accuse infamanti da un lato e argomentazioni inoppugnabili misteriosamente senza risposta dall'altro) tra essi e la micro-setta trotskista del "Partito Comunista dei Lavoratori", ossia il "Caso Olberg". Valentin Olberg, individuo misterioso di cui ancora oggi si sa ben poco, appare per la prima volta in modo rilevante nella vicenda dei processi di Mosca, nello specifico nel processo del 1936 contro Zinoviev e Kamenev, in cui agisce come testimone dei rapporti creatisi tra Trotskij, il figlio Sedov e figure del regime Hitleriano come Rudolf Hesse e Alfred Rosenberg. Figlio di tale Paul Olberg, lituano, esponente della fazione dei menscevichi e quindi fuggito in esilio a Berlino con la moglie e i figli Pavel e Valentin, è indiscutibile che si sia presentato come trotskista a Trotskij e Sedov nel 1929. Una fitta e calorosa corrispondenza è reperibile in rete e dall'archivio di Harvard tra Olberg, Trotskij e Sedov, e la tesi secondo cui Olberg era un militante trotskista convinto, oltre a trovare riscontro in una sua dichiarazione riportata più volte dagli autori non solo nel capitolo del testo in questione, ma anche nelle risposte date sulle loro piattaforme alla "dirigenza" della setta "PCL". È inoppugnabile che Olberg sia entrato in URSS nel 1935 con un passaporto falso, di cittadinanza honduregna, garantitogli dal consolato tedesco a Praga, e sono troppe le contraddizioni logiche che bisognerebbe ignorare in caso si voglia ammettere che Olberg non era un trotskista, ma un "infiltrato stalinista", secondo i trotskisti, o un "curioso apartitico" secondo altre tesi, e bisognerebbe anche ignorare il fatto che tale Olberg sia stato interrogato più volte, prima di presentare come testimone al processo del 1936, avvenuto un anno dopo il suo ingresso illegale in URSS, e soprattutto che Olberg, "terribile infiltrato staliniano" tra le fila trotskiste e/o apolitico "curioso" e libertino, non abbia mai dichiarato né la sua natura di infiltrato per la "polizia stalinista", né abbia chiesto di essere liberato. Questo, unito ad altre analisi approfondite della vicenda dell'interrogatorio, della sua "presenza" in URSS per diversi mesi come clandestino, delle diverse contraddizioni logiche che si dovrebbero ammettere se si dovesse dare per buona qualsiasi tesi che non implichi Olberg come un sincero trotskista e cospiratore (ipotesi dinanzi a cui tutte queste contraddizioni invece cadono), non possono che dare come logica conclusione (comprovata dai fatti e dalle fonti storiche) che Olberg, entrato in URSS con un falso passaporto tramite il governo tedesco (di Hitler), fosse un "collaboratore tattico" e un "anello mancante" della collaborazione tra trotskisti e nazisti contro il "nemico comune" sovietico.[32] Come ammesso anche dallo storico trotskista Broué, e riportato dagli autori del testo, inoltre, pare che Trotskij, di ritorno da una conferenza a Copenhagen, nel novembre del 1932, abbia deciso, una volta a Marsiglia, anziché imbarcarsi presso una vecchia e malridotta imbarcazione ("la comodità prima di tutto", come riportano gli stessi autori), di tornare nel suo esilio in Turchia "transitando" da Milano, e quindi dall'Italia di Mussolini, che all'epoca imprigionava, ma per davvero, con processi farsa e con la sola pregiudiziale del reato di opinione politica, i comunisti italiani, tra cui Antonio Gramsci, ottenendo un visto di transito. Essendo improbabile che Trotskij considerava l'Italia fascista di Mussolini come qualcosa di diverso da un nemico della classe operaia con cui non avrebbe mai e poi mai trattato per niente, neanche per il visto di transito poi ottenuto, ed essendo improbabile che non avesse memoria di tale episodio, essendo Trotskij un uomo di ottima memoria per sua stessa ammissione, è certo che abbia mentito, non avendo problemi a "trattare" né con le autorità fasciste italiane, né con le autorità proto-maccartiste degli USA e dell'FBI, rappresentate dall'agente Robert McGregor, con cui ha calorosamente discusso per diverso tempo.[33] Inutile dire che questi fatti inoppugnabili, dimostrati citando diverse fonti, tra cui uno storico trotskista, sono state attaccate in modo calunniante e diffamatorio dalla micro-setta "PCL", che per tutta risposta ha ricevuto non solo una replica ma anche un invito tramite "quattro sfide" a dibattere gli autori. Invito che non ha ricevuto risposte.[34][35] A ulteriore riprova della predilezione di Trotskij per l'Italia sotto il governo Mussolini e della sua noncuranza per il suo essere un "nemico della classe operaia" è la sua presenza a Pompei durante un viaggio d'andata, dalla Turchia, verso la Danimarca, visita confermata, oltre che da un cinegiornale britannico dell'epoca, che non si fa scrupolo a riportare la notizia senza indicare la contraddizione di un sedicente "dissidente di sinistra" in visita in un paese governato da un regime politico radicalmente di destra e repressivo nei confronti di comunisti e democratici, da un'intervista dello stesso Trotskij presso il giornale danese di ispirazione socialdemocratica, il "Politiken", in cui afferma "Noi [Trotskij e la moglie, ndr] abbiamo avuto una grande esperienza", riferendosi a Pompei. Esperienza che non sarebbe certo stata rosa e fiori senza l'assenso delle autorità legali italiane, ossia del regime fascista all'epoca al potere, che ha garantito per lui il transito e la sicurezza della visita guidata presso gli scavi delle rovine dell'antica città.[36] Come ulteriore dimostrazione della continuata collaborazione tattica tra trotskisti e nazifascisti, ben oltre l'epoca delle lotte intestine e dei processi di Mosca, è data dalle dichiarazioni di un trotskista francese, tale H. Molinar, che affermava nel 1940 la necessità per i suoi alleati e compagni politici di collaborare con gli elementi "anticapitalisti" del fascismo e con le organizzazioni fasciste "di sinistra" del regime filo-nazista di Vichy, entrata giustificata, dal 1940 al 1944, dai trotskisti francesi Rodolphe Prager e Pierre Frank, o ancora dalle azioni di Ruth Fischer, nata E. Eisler, che nel medesimo anno iniziò una collaborazione con l'FBI per poter espatriare, dalla Francia occupata, negli USA, per i quali avrebbe continuato a collaborare fino al 1955 nell'opera di infiltrazione nei partiti e movimenti comunisti europei per distruggerli dall'interno; tale Ruth Fischer non era certo una parvenù all'interno del movimento trotskista, essendo conosciuta sia da Sedov che da Trotskij, che nel 1934 avallarono il suo ingresso tra le loro fila e negli stessi anni le affidarono posizioni di rilievo nel loro movimento. Chiunque dichiari che tali azioni siano avvenute dopo l'omicidio di Trotskij ignora, deliberatamente o meno, una sua dichiarazione del 1935 secondo cui «sarebbe assurdo, naturalmente, negare al governo sovietico il diritto di utilizzare gli antagonismi nel campo degli imperialisti o, se fosse necessario, di fare questa o quella concessione agli imperialisti», concessioni che fattivamente attuò nell'estate del 1940 quando divenne brevemente un informatore dell'FBI per la già citata commissione antisovietica e proto-maccartista Dewey, e già nel 1923, velatamente, sia Trotskij che il suo collaboratore Radek proposero un piano di collaborazione con l'estrema destra tedesca. Non mancando certo di pessimismo cosmico, a dispetto delle sconfitte sia politiche che militari del suo movimento, Trotskij, fermamente convinto, non si sa sulla base di quale specificata analisi, della "infallibilità" dell'apparato bellico tedesco hitleriano rispetto a quello sovietico, non vedeva altra "soluzione" per il suo ritorno alla "ribalta" in URSS se non la collaborazione tattica con questi, in un patto faustiano, nella speranza di poterli usare per tornare al governo. A dispetto di tutti i trotskisti che oggi accusano in modo infamante l'URSS di aver stipulato una "alleanza" con la Germania nel Patto Molotov-Ribbentrop, lo stesso Trotskij nel 1939 applaudiva allo scoppio della seconda guerra mondiale, da gufo/iettatore, sperando che provocasse una "rivoluzione proletaria", ossia il crollo del governo sovietico, cui sarebbe, naturalmente (solo nella sua mente bacata e staccata dalla realtà dei fatti), seguito un governo politico basato sulla sua linea d'azione.[37] Lo stesso Trotskij, in un articolo del 1933 firmato con pseudonimo, scrisse che un'eventuale URSS con un redivivo governo anti-Stalin sarebbe stata "costretta" a mantenere rapporti con la Germania Hitleriana, e questo è confermato anche dal già menzionato biografo di Trotskij, Isaac Deutscher, che scrisse: «La vittoria incruenta di Hitler e la distruzione totale della sinistra tedesca facevano pendere la bilancia a sfavore dell’Unione Sovietica, tanto più che il paese era indebolito anche internamente dalla collettivizzazione stalinista. La diplomazia sovietica aveva quindi ildiritto di guadagnare tempo, di parlamentare e persino di cercare un accordo temporaneo con Hitler. Trotskij dichiarò con sconcertante disinteresse che se l’Opposizione avesse assunto il potere nelle circostanze esistenti, non avrebbe potuto agire diversamente: “nei suoi atti pratici immediati l’Opposizione (trotskista) dovrebbe partire dall’attuale equilibrio di forze. In particolare sarebbe costretta a mantenere le relazioni diplomatiche ed economiche con la Germania di Hitler. Al tempo stesso preparerebbe la rivincita. Il suo sarebbe un compito difficile, che richiederebbe tempo: un compito che non potrebbe essere assolto con gesti spettacolari, ma esigerebbe un radicale mutamento di indirizzo politico in ogni campo”. Trotskij era sempre obiettivo nei suoi giudizi e non si lasciava influenzare dai sentimenti personali nei confronti di Stalin.»[37] Risulta ironico constatare in tutto ciò, oltre a quanto fosse errata l'analisi non solo di Trotskij e dei trotskisti, ma dell'opposizione tutta, da destra a "sinistra", come riportata fino a questo punto, in merito allo sviluppo politico ed economico sovietico sotto Stalin come "fallimentare a priori" se confrontato con la macchina bellica hitleriana, ma soprattutto come i trotskisti, nella loro grandeur, allora come oggi convinti di "usare" i reazionari di turno per i loro scopi idealisti (e in ultima istanza sciocchi e fallaci), abbiano sempre storicamente finito per farsi usare da altri ed essere gli utili idioti, i "comunisti buoni" usati come santino dai reazionari.

Il principale motivo della collaborazione e della cospirazione: l'irrilevanza dell'opposizione presso le masse lavoratrici sovietiche

Oltre all'assunto (errato) dei cospirazionisti, sia di destra che di "sinistra", secondo cui l'industrializzazione forzata dei piani quinquiennali non avrebbe mai potuto competere con l'industria bellica tedesca (lo svolgimento della Grande Guerra Patriottica ha invece dimostrato l'esatto contrario), il secondo, e forse più importante motivo, dietro le loro azioni di sabotaggio e terrorismo, è dato dall'incredibile irrilevanza che essi avevano presso i lavoratori e il popolo sovietico. Lo stesso Trotskij ebbe da dire in merito, in una lettera al figlio Sedov del 1932, ritrovata negli archivi di Harvard: «La mia proposta di dichiarazione è evidentemente rivolta alla nostra frazione dell'Opposizione di sinistra nel senso stretto del termine (e non ai nostri nuovi alleati). L'opinione degli alleati, secondo cui dovremmo aspettare che i destri si impegnino più profondamente, non ha il mio consenso, per quanto riguarda la nostra frazione. Si combatte la repressione attraverso l'anonimato e la cospirazione, non con il silenzio. La perdita di tempo è inammissibile: dal punto di vista politico, ciò equivarrebbe a lasciare il campo ai destri[37]

Le azioni di sabotaggio

Gran parte degli imputati minori dei processi di Mosca presenziava sotto l'accusa di sabotaggio. Ad oggi la stragrande maggioranza dei trotskisti, nazifascisti, liberali o più genericamente anticomunisti, specie quelli occidentali, negano che tali azioni di sabotaggio siano avvenute, ma prima della propaganda disinformatrice della guerra fredda, era una verità inoppugnabile che gli imputati fossero prima di tutto dei sabotatori. John Littlepage, un ingegnere statunitense che lavorò in URSS nell'industria mineraria degli Urali dal 1928 al 1937, ha avuto da testimoniare in merito: «La testimonianza a questo processo suscitò molto scetticismo all'estero e tra i diplomatici stranieri a Mosca. Ho parlato con alcuni americani lì che credevano che fosse una montatura dall'inizio alla fine. Bene, non ho assistito al processo, ma ho seguito la testimonianza molto attentamente, ed è stata stampata parola per parola in diverse lingue. Gran parte della testimonianza sul sabotaggio industriale mi è sembrata più probabile di quanto non lo sia sembrata ad alcuni diplomatici e corrispondenti di Mosca. So per esperienza personale che un bel po' di sabotaggio industriale era in corso tutto il tempo nelle miniere sovietiche, e che parte di esso difficilmente avrebbe potuto verificarsi senza la complicità di dirigenti comunisti di alto rango. La mia storia è preziosa, per quanto riguarda questo processo, solo per quanto riguarda l'incidente di Berlino. Ho descritto di cosa si trattava e come, per me, la confessione di Piatakoff ha chiarito cosa era successo. [...] Ho dimenticato di menzionare che gli ingegneri di cui ho parlato non lavoravano più nelle miniere quando sono arrivato lì nel 1937, e ho capito che erano stati arrestati per presunta complicità in una cospirazione nazionale per sabotare le industrie sovietiche che era stata rivelata in un processo ai principali cospiratori in un processo ai principali cospiratori nel Gennaio [dello stesso anno, ndr] [...] Naturalmente, c'è molto bisogno di una stretta supervisione della polizia nell'industria sovietica. Nell'industria dell'oro la polizia sorveglia le spedizioni di oro, che non occupano molto spazio e potrebbero essere facilmente deviate. Ma sono tenuti ancora più impegnati a cercare sabotaggi. Il sabotaggio era qualcosa di strano nella mia esperienza prima di andare in Russia. In tutti i miei quattordici anni di esperienza nelle miniere d'oro dell'Alaska, non mi ero mai imbattuto in un caso di sabotaggio. Sapevo che c'erano persone che a volte cercavano di distruggere impianti o macchinari negli Stati Uniti, ma non sapevo come o perché agissero. Tuttavia, non avevo lavorato molte settimane in Russia prima di imbattermi in casi indiscutibili di distruzione deliberata e dolosa. Un giorno del 1928, entrai in una centrale elettrica nelle miniere d'oro di Kochkar. Mi capitò di far cadere la mano su uno dei cuscinetti principali di un grande motore diesel mentre passavo e sentii qualcosa di granuloso nella parte superiore. Ho fatto fermare immediatamente il motore e abbiamo rimosso dal serbatoio dell'olio circa un quarto di gallone di sabbia di quarzo, che avrebbe potuto essere messa lì solo per progettazione. In diverse altre occasioni, nei nuovi impianti di macinazione di Kochkar, abbiamo trovato sabbia all'interno di apparecchiature come i riduttori di velocità, che sono completamente chiusi e possono essere raggiunti solo rimuovendo i coperchi delle maniglie. Questo piccolo sabotaggio industriale era, ed è ancora, così comune in tutti i rami dell'industria sovietica che gli ingegneri russi possono fare ben poco al riguardo e sono rimasti sorpresi dalla mia preoccupazione quando l'ho incontrato per la prima volta. C'era, e c'è ancora, così tanto di questo genere di cose che la polizia ha dovuto creare un intero esercito di spie professioniste e dilettanti per ridurne la quantità. Infatti, così tante persone nelle istituzioni sovietiche sono impegnate a controllare i produttori per vedere che si comportino correttamente che sospetto che ci siano più osservatori che produttori. Perché, mi è stato chiesto, il sabotaggio di questa descrizione è così comune nella Russia sovietica, e così raro in molti altri paesi? I russi hanno una particolare inclinazione per la distruzione industriale? Le persone che pongono tali domande apparentemente non si sono rese conto che le autorità in Russia hanno combattuto, e stanno ancora commettendo, una serie di guerre civili aperte o mascherate. All'inizio, hanno combattuto e spodestato la vecchia aristocrazia, i banchieri, i proprietari terrieri e i mercanti del regime zarista. Ho descritto come in seguito hanno combattuto e spodestato i piccoli contadini indipendenti, i piccoli commercianti al dettaglio e i pastori nomadi in Asia. Naturalmente, è tutto per il loro bene, dicono i comunisti. Ma molte di queste persone non riescono a vedere le cose in questo modo e rimangono acerrimi nemici dei comunisti e delle loro idee, anche dopo essere stati rimessi al lavoro nelle industrie statali. Da questi gruppi è venuto fuori un numero considerevole di lavoratori scontenti che detestano così tanto i comunisti che danneggerebbero volentieri una qualsiasi delle loro imprese se potessero. Per questo motivo, la polizia ha i registri di ogni lavoratore industriale e ha ricostruito la loro carriera fino al periodo della Rivoluzione, per quanto possibile. Coloro che appartenevano a un gruppo che è stato espropriato vengono marchiati con un marchio nero e tenuti sotto costante sorveglianza. Quando accade qualcosa di grave, come un incendio o un crollo in una miniera, la polizia raduna queste persone prima di fare qualsiasi altra cosa. E nel caso di un qualsiasi crimine politico di grandi dimensioni, come l'assassinio di Kirov, il rastrellamento diventa nazionale. [...] La polizia federale era molto meno presente quando arrivai in Russia nel 1928 rispetto a quando lasciai quel paese nel 1937. Mi sembra che le loro funzioni si siano accumulate come una palla di neve. Per quanto riguarda il loro numero, sembrava espandersi e contrarsi in sintonia con l'atmosfera politica. Dopo l'enorme attività di polizia al momento dell'assassinio di Kirov, ci fu un periodo di relativa calma nel 1935 e nella prima parte del 1936. Poi, con la scoperta della cospirazione "distruttiva" tra i comunisti di alto rango nel 1936 e la rimozione del capo della polizia, Heinrich Yagoda, l'attività della polizia federale divenne più frenetica che in qualsiasi altro momento della mia esperienza, ed era al suo apice quando me ne andai. Per quanto riguarda l'industria, tuttavia, la polizia federale è stata attiva durante tutto il mio periodo in Russia. Sono ritenuti in parte responsabili di qualsiasi cosa vada storta nell'industria, e molte cose vanno naturalmente storte in un paese in cui l'industria moderna su larga scala viene introdotta per la prima volta, con manodopera contadina non qualificata e ingegneri e dirigenti inesperti spesso al comando. A me, come americano, sembra che la polizia federale abbia fin troppo a che fare con l'industria sovietica. La mente della polizia è naturalmente troppo sospettosa e vede crimini deliberati dove non ce ne sono. Sia i lavoratori che i funzionari sovietici sono spesso così inesperti, parlando di industria, che ci vuole un uomo davvero molto saggio per distinguere tra la cosiddetta distruzione e la semplice ignoranza. C'è stata molta distruzione reale nell'industria sovietica, come mi ha dimostrato la mia esperienza. Ma so che gli agenti di polizia, sia professionisti che dilettanti, sono ansiosi di fare bella figura. Quindi segnalano ogni piccolo errore in ogni piccola industria come prova di sabotaggio, e i dirigenti e i lavoratori di tutte le industrie sono tenuti in subbuglio da un'indagine di polizia dopo l'altra, specialmente durante i periodi di tensione politica[40]

La testimonianza data da Littlepage, quindi, dimostra due cose particolari: in primis, che vi erano effettivamente dei sabotatori, sia in malafede e interessati ad un guadagno personale, che in buonafede, incapaci di comprendere i motivi delle politiche industriali governative sovietiche perché "nuove" per loro; in secundis, un clima di isteria (ritenuto comunque dallo stesso Littlepage come giustificato, in parte, dalla realtà innegabile del conflitto interno e dall'effettiva esistenza di sabotatori) che come conseguenza del sabotaggio e del terrorismo si era creato negli organi governativi e nella polizia sovietica. Tale clima, come verrà approfondito in successivi paragrafi di questa pagina, lungi dall'essere voluto da Stalin, fu di proposito acuito, come già menzionato in altri paragrafi, da Chruščëv (che lo avrebbe poi negato e/o attribuito al solo governo di Stalin), da Yezhov, e più in genere da ufficiali corrotti e carrieristi dell'NKVD che agivano in autonomia e contrariamente alle direttive di governo.

Un'altra simile testimonianza è data da un altro ingegnere statunitense che nello stesso periodo ha lavorato nell'industria siderurgica di Magnitogorsk, John Scott, che, similmente al collega Littlepage, pur non avendo certo stima del sistema politico ed economico sovietico (pur riconoscendo i meriti dell'industrializzazione dei piani quinquiennali), riporta la sua testimonianza:

«La purga colpì Magnitogorsk nel 1937 con grande forza. Migliaia di persone furono arrestate, incarcerate per mesi, infine esiliate. Nessun gruppo, nessuna organizzazione fu risparmiata. Questa purga faceva parte di una vasta tempesta che colpì l'intera Unione dal 1935 al 1938. Le cause di questa purga sono state ampiamente discusse: io offro quanto segue: 1. La Rivoluzione d'Ottobre si guadagnò l'inimicizia della vecchia aristocrazia, degli ufficiali del vecchio esercito zarista e dei vari eserciti bianchi, degli impiegati statali dei giorni antecedenti la guerra, degli uomini d'affari di ogni genere, dei piccoli proprietari terrieri e dei kulaki. Tutte queste persone avevano ampie ragioni per odiare il potere sovietico, perché li aveva privati ​​di qualcosa che avevano avuto prima. Oltre a essere internamente pericolosi, questi uomini e queste donne erano potenzialmente un buon materiale con cui lavorare per abili agenti stranieri. 2. Le condizioni geografiche erano tali che, indipendentemente dal tipo di governo al potere nell'Unione Sovietica, paesi poveri e densamente popolati come il Giappone e l'Italia e potenze aggressive come la Germania non avrebbero lasciato nulla di intentato nei loro tentativi di infiltrarsi con i loro agenti, al fine di stabilire le loro organizzazioni e affermare la loro influenza, per fare meglio a farsi dei pezzi. Mandarono quinte colonne di tutti i tipi in Russia, come fecero in ogni altro paese. Questi agenti generarono purghe. 3. Per secoli la Russia fu governata e amministrata con l'aiuto di una polizia segreta. I loro metodi erano tradizionalmente goffi, brutali e inefficienti. Si riteneva che valesse la pena condannare nove imputati innocenti per ottenere un colpevole. A volte interi villaggi di persone innocenti venivano distrutti per ottenere un capo contadino "colpevole". Per secoli l'atteggiamento verso gli stranieri è stato di paura e sfiducia. La Rivoluzione d'Ottobre cambiò molte cose in Russia, ma le tradizioni e le abitudini secolari sopra menzionate sono ancora presenti nell'Unione Sovietica. Condizionarono il carattere e l'esecuzione riuscita della purga, che avrebbe potuto benissimo causare un'insurrezione o una guerra civile in Inghilterra o negli Stati Uniti. Un gran numero di spie, sabotatori e quinte colonne furono esiliati o fucilati durante la purga; ma molti altri uomini e donne innocenti furono costretti a soffrire. 4. L'intolleranza bolscevica verso l'opposizione porta a cospirazioni e purghe. Per ampliare, vent'anni di attività clandestina nelle condizioni dispotiche della Russia zarista, gli arresti, l'esilio siberiano, gli agenti provocatori furono fattori dominanti nel determinare la forma e il carattere del partito di Lenin. Al secondo congresso del partito nel 1903 a Londra, Lenin chiese un "partito di nuovo tipo", che non doveva essere un gruppo di discussione, ma un esercito disciplinato di soldati rivoluzionari; i membri dovevano lavorare attivamente in qualche organizzazione del partito; dovevano obbedire alle decisioni degli organi superiori del partito; dopo una votazione la minoranza doveva smettere di parlare e mettersi al lavoro, eseguendo le decisioni della maggioranza. Il gruppo di Lenin divenne i bolscevichi e questi principi generali hanno dominato il partito bolscevico da allora. In Inghilterra o negli Stati Uniti, se un membro del governo non è d'accordo con la sua politica può fare obiezione, fare appello, protestare, dimettersi. Può quindi portare la questione agli elettori e, almeno in teoria, ha la possibilità di tornare dopo le elezioni con una maggioranza dalla sua parte e di far passare le sue idee. Questa funzione di opposizione è riconosciuta come una caratteristica importante del governo. Ma nel partito bolscevico non c'è appello dopo che è stata presa una decisione. Non c'è protesta, non c'è dimissioni. L'unica possibilità dell'opposizione, dopo che è stata bocciata, è la cospirazione.[41]

Scott, come il collega Littlepage, non ha certo simpatia per la metodologia sovietica di repressione del dissenso, ma non nega affatto che tale dissenso esista, e si manifesti con sabotaggio, terrorismo, e azioni clandestine tipiche di una quinta colonna, che quindi giustificano l'utilizzo di tali pratiche.

Un'ulteriore testimonianza in merito ci viene data da una fonte apparentemente improbabile, ossia il "compagno" Alcide De Gasperi, capo della prima Democrazia Cristiana, che in un discorso tenuto nel luglio del 1944 in una Roma appena liberata dagli Alleati, ebbe da dire a tal proposito: «Mi riferirò adesso anche all’esperimento russo. Con ciò non voglio menomamente diminuire il merito immenso, storico, secolare delle armate organizzate dal genio di Giuseppe Stalin. Lo riconosco questo merito e ho fiducia, ho speranza, che dal concorso delle forze operaie russe e delle forze occidentali, nasca un nuovo mondo. Bisogna però che c’intendiamo su parecchie questioni importanti e pregiudiziali. È stato scritto da parte autorevole comunista che “l’Unione delle repubbliche sovietiche è la prefigurazione vivente della futura unione dei popoli stretti in una economia mondiale unica”. E sia. C’è qualche cosa di immensamente simpatico, qualche cosa di immensamente suggestivo in questa tendenza universalistica del comunismo russo. Quando vedo che mentre Hitler e Mussolini perseguitavano degli uomini per la loro razza, e inventavano quella spaventosa legislazione antiebraica che conosciamo e vedo contemporaneamente i russi composti di 160 razze cercare la fusione di queste razze superando le diversità esistenti fra l’Asia e l’Europa, questo tentativo, questo sforzo verso l’unificazione del consorzio umano, lasciatemi dire: questo è cristiano, questo è eminentemente universalistico nel senso del cattolicesimo. [...] In quanto alle applicazioni pratiche, ci sarebbe da sperare che la presenza di Togliatti in Italia potrebbe in ogni caso servire a evitare gli esperimenti negativi e gli errori del sistema russo. Accenno qui alle varie trasformazioni subite dal comunismo russo, dal comunismo di guerra raggiunto, fra l’altro, non soltanto con la soppressione della moneta e dell’oro, ma anche con la soppressione fisica dei capitalisti alla NEP che ridà il commercio interno ai privati, e fa fiorire la classe dei contadini medi (kulaki) finché la volontà di industrializzare la Russia per farne il paese ideale del socialismo, e, più ancora poi, la minaccia rivelata dal Mein Kampf spingono i capi sovietici alla grande impresa economica coi tre famosi piani del ’28, del ’33 e dell’ultimo ancora in corso quando scoppiò la guerra. Se nel 1917 si erano colpiti tre o quattro milioni di latifondisti, nel 1929 si porta uno sconquasso in tutta la classe dei piccoli e medi proprietari trasformando in poderi collettivi le proprietà private, incaricando la polizia federale della liquidazione dei renitenti che vennero trasportati a distanza di migliaia di chilometri a fare gli operai nelle miniere, sui canali e nelle fabbriche. Altro fenomeno, la denomadizzazione: milioni di nomadi che vengono costretti ad abbandonare il loro secolare sistema di vita. Ed eccovi ad un tratto il sabotaggio nelle miniere. Vi ricordate che noi credevamo che i processi fossero falsi, che le testimonianze fossero inventate, che le confessioni fossero estorte: e invece no. Eccovi che oggettive informazioni americane assicurano che non si trattava di un falso, e che i sabotatori non erano truffatori volgari, ma vecchi cospiratori idealisti, che mal si adattavano ai concetti più democratici della costituzione del ’36 e che affrontavano la morte piuttosto che adattarsi a quello che per loro era tradimento del comunismo primitivo. Accenno a tutto questo per due ragioni: l’una per ricordare che il sistema comunista è stato ed è, economicamente parlando, in continua trasformazione, e quindi non può venir giudicato come una forma definitiva; vi sono errori, rifacimenti, demolizioni e ricostruzioni. La seconda perché in tutte queste trasformazioni quello che rimane costante è l’eccessiva coazione e l’eccessivo intervento dello Stato e della sua polizia. Se la dittatura trova resistenza, diventa violenta e sanguinaria: e non lo fa per capriccio e per istinto brutale, ma lo fa perché è costretta dalla logica interna del suo compito innaturale, che è quello di determinare i destini morali, economici e materiali di tutti i cittadini. Per raggiungere l’ideale comunista ci vuole o un’altissima temperatura morale o una immensa coercizione. La temperatura morale si ebbe solo nelle condizioni straordinarie delle comunità cristiane della Chiesa antica attraverso la povertà volontaria, e si ha ancora nelle comunità monastiche. Per le masse, tolto il periodo di estrema accensione, come può essere la guerra di estrema difesa, non rimane che la coercizione. E il fatto dei sabotaggi compiuti dai vecchi idealisti prova che la morale che si può dedurre dal concetto materialistico della storia è insufficiente a dirigere le coscienze[42]

L'improbabile "compagno" De Gasperi, che in questo discorso ha dimostrato più coscienza di classe non solo di qualsiasi moderno "comunardo" di idee liberali-trotskiste, ma anche di gran parte del movimento storico "comunista" occidentale dal dopoguerra ad oggi, afferma anch'egli, forte della conferma di quelle che lui chiama "oggettive informazioni americane", che quella dei sabotatori non era una mera "ipotesi", o un'accusa "falsa", ma una realtà oggettiva, dettata dall'incomprensibile e anacronistico idealismo dei cospiratori, trotskisti, destri, "ex"-menscevichi e semplici opportunisti, che cozzava con la realtà democratica della costituzione sovietica del 36 e della nuova società sovietica. De Gasperi, tutt'altro che un capitano di Stalin, riconosce l'oggettiva necessità della costruzione di una nuova società, socialista o cristiana che sia, attraverso la coercizione, non trattandosi certo, come ha lui stesso affermato, di realtà come quelle delle comunità monastiche del cristianesimo primitivo.

I Processi (1936-1938)

I Processi di Mosca sono stati una serie di processi separati, ma interconnessi tra loro dai capi di imputazione. Essi furono, in ordine:

  • Il processo tenutosi dal 19 al 24 Agosto 1936, il "Caso del Centro Terrorista Trotskista-Zinovievista", anche noto come il "processo Kamenev-Zinoviev", che ha riguardato principalmente le vicende legate all'assassinio di Kirov nel 1934 e alle operazioni clandestine dell'alleanza Trotskisti-Zinovievisti;
  • Il processo tenutosi dal 23 al 30 Gennaio 1937, il "Caso del Centro Trotskista Anti-Sovietico", anche noto come il "processo Piatakov-Radek", che ha riguardato la continuazione delle investigazioni da parte dell'NKVD sulle operazioni clandestine dei trotskisti;
  • Il processo tenutosi nel Maggio-Giugno del 1937, riguardante l'"Affare Tuchačevskij", riguardante le cospirazioni militari e i generali collaborazionisti delle potenze straniere e dei fascisti;
  • Il processo tenutosi dal 2 al 13 Marzo 1938, il "Caso del Blocco dei Destri e dei Trotskisti", anche noto come il "processo Bucharin-Rykov", che imputò gli ultimi membri cospiratori. A questo punto, durante le indagini, divenne chiaro che tutti i processi e le cospirazioni erano connesse tra di loro.

Ciò che è interessante riguardo gli imputati, i capi di imputazione e le accuse è che tutti coloro che furono coinvolti, pur lavorando per uno scopo comune, non erano necessariamente tutti d'accordo tra di loro. C'erano trotskisti in "collaborazione tattica" con la Germania, trotskisti che collaboravano per motivi personali, nazionalisti borghesi e secessionisti ostili all'URSS, collaboratori di Bucharin, "ex"-menscevichi, "ex"-opposizionisti delle opposizioni di destra, di "sinistra" o riunita, ma non tutti. Alcuni erano reclutati dai trotskisti, ma non erano personalmente trotskisti, altri erano collaboratori personali di Sedov e Trotskij, uomini reclutati da Zinoviev o da Bucharin, ma non tutti. Altri erano reclutati dalle intelligence della Germania e del Giappone e non avevano alcun legame col trotskismo o con altre correnti di opposizione.

Ma le accuse quanto erano legittime? E quanto erano legittimi i processi?

Principali contro-argomentazioni

1) Le accuse mosse non sono credibili

È comune, nell'epoca del post-Guerra Fredda in cui viviamo, che molti asseriscano, replicando come pappagalli dalla propaganda anticomunista e antisovietica, che le accuse di cospirazione fossero troppo "fantasiose", "astratte" e quindi poco credibili. La verità è che, come è già stato dimostrato nei precedenti paragrafi di questa voce, le accuse mosse agli imputati durante i processi erano accettate da tutti, comunisti e non, come credibili e vere, almeno prima della Guerra Fredda e soprattutto delle accuse (menzognere, ma su questo è necessario tornare in seguito) mosse da Chruščëv una volta salito al governo sovietico nel 1956. Oltre alla naturale domanda che verrebbe da fare a tutti coloro che ritengono una cospirazione come un evento "fantasioso" e "impossibile" a priori, se ritengano che le cospirazioni storiche, come quelle contro Giulio Cesare o gli imperatori romani, fossero anche loro una "invenzione fantasiosa", è importante precisare, soprattutto, che prima della Guerra Fredda e del governo di Chruščëv gli unici che rifiutavano a priori qualsiasi accusa mossa dai processi come legittima erano solo i trotskisti e gli anticomunisti più duri. Il motivo per cui Trotskij e i trotskisti, anche nella possibilità in cui fossero colpevoli (ed è stato già dimostrato nei precedenti paragrafi, dalle varie fonti citate, che lo erano), abbiano negato costantemente le accuse loro mosse è semplice: per non tradire se stessi e per continuare a darsi un alone ufficiale di legittimità. Anche nei comuni processi, è raro che un criminale, colto con le mani nella marmellata, ammetta la propria colpevolezza; basti pensare ai capi-mafia che, sotto processo, continuano a negare non solo la loro posizione, ma l'esistenza stessa della criminalità organizzata. La migliore strategia per un imputato di un qualsiasi processo è negare qualunque accusa, e se necessario, anche l'evidenza.

Ma, seguendo un'ulteriore fonte del tempo, ossia la testimonianza dell'ambasciatore statunitense in URSS Joseph E. Davies, che presenziò ai processi, ed ebbe questo da dire in merito alla legittimità degli atti giudiziari:

«Con un interprete al mio fianco, ho seguito attentamente la testimonianza. Naturalmente devo confessare che ero predisposto contro la credibilità della testimonianza di questi imputati. L'unanimità delle loro confessioni, il fatto della loro lunga prigionia (incommunicado) con la possibilità di durezza e coercizione che si estendevano a loro stessi o alle loro famiglie, tutto ciò mi ha fatto sorgere seri dubbi sull'affidabilità che poteva essere attribuita alle loro dichiarazioni. Tuttavia, considerando oggettivamente e basandomi sulla mia esperienza nel processo dei casi e sull'applicazione dei test di credibilità che l'esperienza passata mi aveva offerto, sono giunto alla riluttante conclusione che lo Stato aveva dimostrato il suo caso, almeno nella misura in cui dimostrava l'esistenza di una cospirazione e di un complotto diffusi tra i leader politici contro il governo sovietico, e che in base ai loro statuti aveva stabilito i crimini esposti nell'atto di accusa. Nella mia mente, tuttavia, rimane ancora qualche riserva basata sui fatti, che sia il sistema di applicazione delle sanzioni per la violazione della legge sia la psicologia di queste persone sono così ampiamente diversi dalla nostra che forse i test che applicherei non sarebbero accurati se applicati qui. Supponendo, tuttavia, che fondamentalmente la natura umana sia più o meno la stessa ovunque, sono ancora colpito dalle numerose indicazioni di credibilità ottenute nel corso della testimonianza. Avere supposto che questo procedimento fosse stato inventato e messo in scena come un progetto di finzione politica drammatica significherebbe presupporre il genio creativo di uno Shakespeare e il genio di un Belasco nella produzione teatrale. Anche il contesto storico e le circostanze circostanti conferiscono credibilità alla testimonianza. Il ragionamento che Sokolnikov e Radek hanno applicato per giustificare le loro varie attività e i risultati sperati erano coerenti con la probabilità e del tutto plausibili. I dettagli circostanziali, apparentemente a volte sorprendenti persino per il pubblico ministero e per gli altri imputati, che sono stati portati alla luce dai vari imputati, hanno dato una conferma involontaria al succo delle accuse. Anche il modo di testimoniare dei vari imputati e il loro atteggiamento sul banco dei testimoni hanno avuto peso su di me. La dichiarazione imparziale, logica, dettagliata di Pyatakov e l'impressione di disperato candore con cui l'ha rilasciata, hanno portato alla convinzione. Così, anche, con Sokolnikov. Il vecchio generale Muralov era particolarmente impressionante. Si comportava con una bella dignità e con la schiettezza di un vecchio soldato. Nella sua "ultima difesa" disse: "Rifiuto l'avvocato e mi rifiuto di parlare in mia difesa perché sono abituato a difendermi con buone armi e ad attaccare con buone armi. Non ho buone armi con cui difendermi... Non oso biasimare nessuno per questo; sono io stesso da biasimare. Questa è la mia difficoltà. Questa è la mia sfortuna..." Gli imputati minori, che erano solo strumenti, amplificarono con grande dettaglio circostanziale la loro cronaca del crimine e in molti casi diedero indicazioni che ciò che stavano affermando in quel momento veniva pronunciato per la prima volta. Questi e altri fatti, che ho visto, hanno costretto a credere che ci potesse essere stato molto ricamo ridondante nella testimonianza, ma che la vena coerente della verità scorreva attraverso il tessuto, stabilendo una cospirazione politica definita per rovesciare l'attuale governo.[43]

I media mainstream dei paesi capitalisti, anch'essi inizialmente predisposti a immaginare i processi come dei "processi farsa", sono stati costretti, a denti stretti e obtorto collo, ad ammettere, una volta svoltisi i processi, la legittimità delle accuse e la colpevolezza degli imputati. L'Observer, giornale domenicale legato al Guardian, quotidiano della borghesia industriale britannica, e non di commissari sovietici, ebbe questo da dire in merito al processo, nel suo numero del 23 agosto 1937:

«Stalin è ora il leader riconosciuto del Partito unificato, il cui prestigio nel paese è ormai indiscusso. [...] Gli imputati hanno ammesso francamente di aver fatto ricorso al terrore individuale come ultima risorsa, sapendo pienamente che il malcontento nel paese ora non è sufficientemente forte da portarli al potere in nessun altro modo. [...] È inutile pensare che il processo sia stato inscenato e che le accuse siano state inventate. Il caso del governo contro gli imputati è autentico.[44]

Altri stranieri in visita in URSS commentarono i processi, uno tra questi, tale D.N. Pritt, deputato britannico laburista, anch'egli politicamente lontano dalla definizione di un comunista, ebbe da dire:

«Ho studiato la procedura legale nei casi penali nella Russia sovietica con una certa attenzione nel 1932, e ho concluso […] che la procedura garantiva all'imputato ordinario un processo molto equo […] L'accusa era grave. Un gruppo di uomini […] sotto una certa misura di sospetto per attività controrivoluzionarie o deviazioniste, e la maggior parte di loro aveva avuto tali attività condonate in passato con garanzie di lealtà in futuro, ora erano accusati di una lunga, fredda e deliberata cospirazione per provocare l'assassinio di Kirov (che fu effettivamente assassinato nel dicembre 1934), di Stalin, di Voroshilov e di altri leader di spicco. Il loro scopo, a quanto pare, era semplicemente quello di prendere il potere per sé stessi, senza alcuna pretesa di avere un seguito sostanziale nel paese […] E in nessuna fase è stato fatto alcun suggerimento da parte di nessuno di loro che fosse stato usato un qualche tipo di trattamento improprio per convincerli a confessare. La prima cosa che mi ha colpito, come avvocato inglese, è stato il comportamento quasi disinvolto dei prigionieri. Sembravano tutti in buona salute; si alzavano tutti e parlavano, anche a lungo, ogni volta che volevano farlo (per quanto riguarda questo, uscivano a passeggio, con una guardia, quando volevano). L'uno o due testimoni che erano stati chiamati dall'accusa furono controinterrogati dai prigionieri che erano stati toccati dalla loro testimonianza, con la stessa libertà che sarebbe stata il caso in Inghilterra. I prigionieri rinunciarono volontariamente all'avvocato; avrebbero potuto avere un avvocato senza compenso se avessero voluto, ma preferirono farne a meno. E tenendo conto delle loro dichiarazioni di colpevolezza e della loro capacità di parlare, che ammontava nella maggior parte dei casi a vera eloquenza, probabilmente non hanno sofferto per la loro decisione, abili come lo sono alcuni dei miei colleghi di Mosca. La novità più sorprendente, forse, per un avvocato inglese, era il modo semplice in cui prima uno e poi un altro prigioniero intervenivano nel corso dell'interrogatorio di uno dei loro coimputati, senza alcuna obiezione da parte della Corte o del pubblico ministero, così che si aveva l'impressione di un dibattito rapido e vivace tra quattro persone, il pubblico ministero e tre prigionieri, tutti a parlare insieme, se non addirittura nello stesso momento, un metodo che, sebbene impossibile con una giuria, è certamente utile per chiarire le controversie di fatto con una certa rapidità. Molto più importanti, tuttavia, anche se meno sorprendenti, erano i discorsi finali. In conformità con la legge sovietica, i prigionieri avevano l'ultima parola: 15 discorsi dopo l'ultima possibilità dell'accusa di dire qualcosa. Il pubblico ministero, Vishinsky, parlò per primo. Parlò per quattro o cinque ore. Sembrava un uomo d'affari inglese molto intelligente e piuttosto mite. Parlava con vigore e chiarezza. Alzava raramente la voce. Non inveiva mai, non urlava, non batteva i pugni sul tavolo. Raramente guardava il pubblico o giocava per ottenere effetto. Diceva cose forti; chiamava gli imputati banditi e cani rabbiosi e suggeriva che avrebbero dovuto essere sterminati. Anche in un caso grave come questo, alcuni procuratori generali inglesi potrebbero non aver parlato così duramente; ma in molti casi meno gravi molti procuratori inglesi hanno usato parole molto più dure. Non è stato interrotto dalla Corte o da nessuno degli imputati. Il suo discorso è stato applaudito dal pubblico e non è stato fatto alcun tentativo di impedire gli applausi. [...] Ma ora è arrivata la prova finale. I 15 uomini colpevoli, che avevano cercato di rovesciare l'intero Stato sovietico, ora avevano il diritto di parlare; e hanno parlato. Alcuni a lungo, altri brevemente, alcuni in modo argomentativo, altri con qualche misura di difesa; la maggior parte con eloquenza, alcuni con emozione; alcuni rivolgendosi consapevolmente al pubblico nella sala affollata, alcuni girandosi verso la corte. Ma tutti hanno detto quello che avevano da dire. Si sono incontrati senza interruzioni da parte del pubblico ministero, con non più di una rara parola breve o due dalla corte; e il pubblico stesso è rimasto seduto in silenzio, senza manifestare nulla dell'odio che deve aver provato. Hanno parlato senza alcun imbarazzo o ostacolo. Le autorità esecutive dell'U.R.S.S. possono aver fatto, con il successo dell'accusa in questo caso, un passo molto grande verso lo sradicamento delle attività controrivoluzionarie. Ma è altrettanto chiaro che la magistratura e il pubblico ministero dell'U.R.S.S. hanno fatto almeno un passo altrettanto grande verso l'affermazione della loro reputazione tra i sistemi legali del mondo moderno.[45]

Va precisato che Pritt, per la sua onestà intellettuale, sarà dapprima cacciato dal partito laburista nel 1940, e poi inserito nella famosa "lista di Orwell", una lista di proscrizione che il "libertario" anticomunista pedofilo, propagandista, picchiatore e massacra-crani per la polizia coloniale britannica inviò ai servizi segreti britannici e statunitensi.

Un'altra testimonianza in favore della validità dei processi di Mosca è data da un certo Pat Sloan, militante del Partito Comunista Britannico che ha vissuto in Unione Sovietica dal 1931 al 1937, e la cui breve biografia è reperibile come collegamento nella bibliografia di questa voce. Sloan ebbe da dire a proposito dei processi:

«Ogni volta che c'è stato un grande processo in URSS, c'è stato un sussulto nella stampa mondiale. Ciò è naturale, perché i grandi processi in qualsiasi paese sono notizie e quando il processo ha la caratteristica aggiuntiva di essere "bolscevico" per giunta, le sue possibilità di fare del processo un pretesto per qualsiasi tipo di calunnia antisovietica, credibile o incredibile. [...] Come in tutti i precedenti grandi processi sovietici, questo è stato dichiarato una "montatura". Ma proprio come lo sfogo del signor Alan Monkhouse in tribunale, durante il famoso processo Metro-Vickers, che il processo era una "montatura", non è mai stato supportato da un briciolo di prova; così oggi, l'accusa di "montatura" rimane infondata nel minimo grado. Le dichiarazioni più gravi apparse sulla stampa, e le più fuorvianti, sono: (a) che Stalin ora è solo, avendo "assassinato" tutta la "Vecchia Guardia bolscevica"; (b) che il processo era una "montatura" perché tutti gli imputati hanno confessato la loro colpevolezza; e (c) che questo processo sminuisce il significato della nuova bozza di Costituzione. Se esaminiamo solo l'attuale leadership del Partito Bolscevico e le posizioni ricoperte dalle personalità di spicco, scopriamo che praticamente tutti sono bolscevichi con oltre trent'anni di anzianità. Per quasi vent'anni, quindi, hanno lavorato con Lenin. Basta considerare questi: Kalinin, Presidente dell'URSS dal 1922, era originariamente un operaio metalmeccanico. Entrò a far parte del Partito nel 1898 (prima ancora che portasse il nome di "bolscevico"), ed è membro del Comitato Centrale del Partito dal 1919. Molotov, Presidente del Consiglio dei Commissari del Popolo, è membro del Partito dal 1906, è stato membro dell'Ufficio Russo del Comitato Centrale nel 1919, e Segretario del Partito Comunista dell'Unione Sovietica per gli anni successivi al 1920, e uno dei più stretti collaboratori di Lenin. Ordjonikidze, Commissario per l'Industria Pesante, è membro del Partito dal 1903, è stato eletto al Comitato Centrale nel 1912, e ha svolto un ruolo attivo nella guida della Rivoluzione nel Caucaso. Voroshilov, Commissario della Difesa, era un lavoratore che entrò nel Partito nel 1903, ha svolto un ruolo di spicco nella Guerra Civile, ed è stato poi eletto al Comitato Centrale del Partito. Kaganovitch era un operaio di pelletteria, che si unì al Partito nel 1911. Quindi il più giovane di questi leader aveva lavorato sotto la guida di Lenin per almeno dieci anni, e la maggior parte di loro per vent'anni, e ora sono nel Partito da trent'anni. Quindi è giusto dire che Stalin rimane solo, e la "vecchia guardia" è stata uccisa? Ah, ma si potrebbe sostenere che ora rimangono al potere solo coloro che erano in posizioni minori quando Lenin era vivo. Quindi diamo un'occhiata a due individui che, fino al 1917, hanno lavorato a stretto contatto con Lenin per tutto il tempo. Persone che avevano posizioni di comando. Esaminiamo i registri di queste persone. Nel 1917, quando il Partito stava preparando la rivolta armata, i due intellettuali, Kamenev e Zinoviev, si opposero a questa rivolta in una riunione del Comitato Centrale. Quando furono sconfitti, portarono la loro opposizione sulla stampa pubblica e tradirono i piani dei bolscevichi al governo. A quel tempo Lenin scrisse: "Considererei vergognoso da parte mia se, a causa dei miei precedenti stretti rapporti con questi ex compagni, non li condannassi. Dichiaro apertamente che non considero più nessuno dei due compagni e che combatterò con tutte le mie forze, sia nel Comitato Centrale che al Congresso, per ottenere l'espulsione di entrambi dal Partito. Lasciamo che i signori Zinoviev e Kamenev fondano il loro partito tra le decine di persone disorientate. Gli operai non si uniranno a un tale partito". Così scopriamo che due intellettuali, che avevano "precedenti stretti rapporti" con Lenin prima dell'ottobre 1917, e che ora sono salutati dal "Daily Mail" al "Daily Herald" come la "Vecchia Guardia bolscevica", furono condannati da Lenin per il loro tradimento in uno dei momenti più seri della Rivoluzione, e lui cercò di farli espellere dal Partito. D'altro canto, i bolscevichi che oggi lavorano in stretta collaborazione con Stalin sono lavoratori, che sono stati nel partito per 20 o 30 anni e che sono saliti al potere come risultato delle loro attività nella guerra civile, dopo che Zinoviev e Kamenev si erano già screditati. E per quanto riguarda Trotskij, non c'è alcuna affermazione che quest'uomo sia stato con Lenin per anni prima della Rivoluzione. In realtà, ha definito Lenin il "leader dell'ala reazionaria del Partito" nel 1903 e nel 1917 disse che i "bolscevichi si erano debolscevizzati" e che il "settarismo bolscevico" era un "ostacolo all'unità". E oggi, in una recente intervista al "News Chronicle", si riferisce al "nuovo conservatorismo" della dirigenza sovietica, una ripetizione diretta del suo attacco a Lenin risalente al lontano 1903. Ma anche quando era all'interno del partito, tra il luglio 1917, quando era chiaro che solo i bolscevichi potevano guidare le masse al successo, fino alla sua espulsione, Trotskij si oppose a Lenin, che era sempre sostenuto da Stalin, su una questione dopo l'altra. E nella dirigenza dell'Armata Rossa, per la quale Trotskij divenne famoso, ci furono continui conflitti con la dirigenza del partito e con Lenin e Stalin. Ma mentre Trotskij si guadagnava la fama con i suoi discorsi, Stalin fu inviato su un fronte critico dopo l'altro come rappresentante del Comitato centrale e determinò la politica tramite brevi e concisi telegrammi a Lenin. E quando Lenin morì, Trotskij seppellì tutti i suoi vecchi litigi con Lenin. Non fece più riferimento alle sue precedenti accuse secondo cui i bolscevichi erano stati "burocratici" e "reazionari" sotto Lenin, ma introdusse ora i suoi attacchi alla "burocrazia stalinista", accusando Stalin di aver rotto con la politica di Lenin. È quando i fatti sono visti in questa luce che la vera posizione di Trotskij, Zinoviev e Kamenev, per citarne solo tre, può essere compresa. Sono tutti e tre ex dirigenti screditati, che hanno perso la fiducia delle masse e quindi non potrebbero mai essere rieletti alle posizioni di comando nel Partito o nello Stato. [...] Ma nell'URSS, una volta che i lavoratori hanno il potere, un "leader" screditato non ha una classe capitalista che gli dia un lavoro o lo finanzi per una carriera politica contro i lavoratori. Nell'URSS deve sottomettersi al lavoro sotto la guida di quegli stessi dirigenti che lo hanno sostituito. E un lavoratore, di regola, riconoscendo la necessità della disciplina di classe prima di tutto, può riconoscere i suoi errori e lavorare in una posizione minore quando viene sconfitto su una questione. Ma gli intellettuali rivoluzionari, più e più volte nei momenti di crisi, hanno mostrato la loro tendenza a mettere il prestigio personale prima di tutto il resto e a combattere fino in fondo contro gli avversari politici, anche se questo sacrifica gli stessi principi che stavano accettando verbalmente. Kamenev e Zinoviev dovettero accettare la leadership di Stalin, ma ciò li irritava. La loro "indipendenza" richiedeva che non si sottomettessero a questa dominazione da parte di un leader eletto con cui non erano d'accordo. Pertanto, dall'opposizione aperta iniziarono a combattere in segreto. E così entrarono in contatto con altri che combattevano in segreto: gli agenti fascisti nell'URSS. Trotskij fu espulso dal paese. Dopo la sua espulsione non ha mai smesso di attaccare la "burocrazia stalinista". Ma se una burocrazia governa l'URSS, allora rimuovi la burocrazia e Trotskij può tornare come un eroe! È quindi coerente con la teoria di Trotskij secondo cui l'intero popolo dell'URSS è dominato, contro la sua volontà, da una piccola "burocrazia", ​​che solo la "burocrazia" deve essere eliminata, perché lui possa essere accolto di nuovo come un liberatore. È irragionevole supporre che Trotskij, mettendo in pratica questa teoria, stesse lavorando con tutti quanti per porre fine ai pochi individui che componevano la sua "burocrazia", ​​come una via per tornare al potere? Ma poi viene sollevata l'accusa: che Stalin è un dittatore personale, senza il sostegno delle masse, e che questo processo stesso porterebbe a lotte di massa. In realtà, nessuna lotta di massa si è materializzata se non nella stampa fascista tedesca, copiosamente citata dal "Daily Herald" negli ultimi giorni. [...] Bene, ecco le accuse secondo cui Stalin ora sarebbe l'unico, avendo messo fine a tutta la "Vecchia Guardia Bolscevica". Tra l'altro, questa è la prima volta nella sua storia che il "Daily Herald" e il "Daily Mail" hanno pianto lacrime di sale all'unisono per la sorte dei "vecchi bolscevichi". E non per la "montatura". La vera domanda è: perché sedici imputati hanno confessato tutti la loro colpevolezza, hanno partecipato in modo vivace al procedimento giudiziario e hanno mostrato tutta la loro vecchia capacità di parlare in pubblico e di fare battute, e tuttavia si sono dichiarati "colpevoli"? Non è perché erano stati a marcire nelle segrete o qualcosa del genere. In realtà, gli imputati arrestati più di recente erano in libertà nell'URSS fino a maggio di quest'anno. E comunque, se fossero stati maltrattati in prigione, sicuramente alcuni segni di ciò sarebbero stati visibili al pubblico, o almeno uno di loro avrebbe fatto una sorta di dichiarazione sulla questione! No, il fatto è questo: i prigionieri avevano quattro alternative. Primo, dichiararsi innocenti. Secondo, dichiararsi colpevoli, tenendo discorsi politici contro il governo sovietico, la "burocrazia stalinista", e giustificando il loro crimine. Terzo, dichiararsi colpevoli e non dire altro. Quarto, confessare e rendere conto completo delle loro attività. Oltre a queste possibilità, non c'era nessun'altra via aperta per loro, se non il suicidio, la via scelta solo da Tomsky. Dichiararsi innocenti era impossibile perché le prove erano schiaccianti e tutte queste persone lo sapevano. Sapevano quali prove aggiuntive avrebbero potuto essere portate contro di loro se avessero cercato di dimostrare la loro innocenza. Attaccare il governo sovietico e la "burocrazia stalinista" era impossibile, perché da quasi dieci anni queste persone non hanno assolutamente alcuna politica politica da opporre a quella di Stalin. Il fatto è che la politica di Stalin è un successo e questo ha privato i suoi oppositori di ogni scusa per un attacco politico. Questo fatto è apertamente ammesso dall'imputato. Fuori dall'URSS, dal suo rifugio in Norvegia, Trotskij emana una politica "opposta". Si tratta di: (a) proletarizzare gli elementi non proletari nell'URSS; (b) organizzare un Fronte dei lavoratori, in contrapposizione a un Fronte popolare, nei paesi capitalisti. Sembra che tutti gli imputati fossero sufficientemente consapevoli delle tendenze politiche da rendersi conto che presentare una tale linea in tribunale, come giustificazione politica, sarebbe stato peggio che ammettere francamente di non avere una vera politica alternativa; cioè, nessun programma politico. In realtà, la politica di Stalin è stata costantemente quella di "proletarizzare" gli elementi non proletari nella popolazione, e la politica è ora quasi completamente realizzata. E a livello internazionale, suggerire lo smantellamento del Fronte popolare e la formazione di un Fronte dei lavoratori al suo posto, non merita di essere menzionato. E così, di fronte a tutti gli uomini, contro i quali le prove erano schiaccianti, che non avevano una politica, c'era l'unica possibilità di dichiararsi colpevoli, con o senza i dettagli del loro crimine. Ora, accade che nessuno degli individui portati a processo abbia mai rinunciato nella sua carriera politica alla possibilità di fare un discorso davanti al mondo intero. E sono rimasti fedeli al loro tipo. E in tribunale hanno fatto i loro discorsi, hanno mostrato segni della loro vecchia gioia nel "mettere in chiaro" e della loro vecchia brillantezza oratoria, e hanno detto la verità al mondo intero. [...] Bene, ecco le accuse secondo cui Stalin ora sarebbe l'unico, avendo messo fine a tutta la "Vecchia Guardia Bolscevica". Tra l'altro, questa è la prima volta nella sua storia che il "Daily Herald" e il "Daily Mail" hanno pianto lacrime di sale all'unisono per la sorte dei "vecchi bolscevichi". E non per la "montatura". La vera domanda è: perché sedici imputati hanno confessato tutti la loro colpevolezza, hanno partecipato in modo vivace al procedimento giudiziario e hanno mostrato tutta la loro vecchia capacità di parlare in pubblico e di fare battute, e tuttavia si sono dichiarati "colpevoli"? Non è perché erano stati a marcire nelle segrete o qualcosa del genere. In realtà, gli imputati arrestati più di recente erano in libertà nell'URSS fino a maggio di quest'anno. E comunque, se fossero stati maltrattati in prigione, sicuramente alcuni segni di ciò sarebbero stati visibili al pubblico, o almeno uno di loro avrebbe fatto una sorta di dichiarazione sulla questione! No, il fatto è questo: i prigionieri avevano quattro alternative. Primo, dichiararsi innocenti. Secondo, dichiararsi colpevoli, tenendo discorsi politici contro il governo sovietico, la "burocrazia stalinista", e giustificando il loro crimine. Terzo, dichiararsi colpevoli e non dire altro. Quarto, confessare e rendere conto completo delle loro attività. Oltre a queste possibilità, non c'era nessun'altra via aperta per loro, se non il suicidio, la via scelta solo da Tomsky. Dichiararsi innocenti era impossibile perché le prove erano schiaccianti e tutte queste persone lo sapevano. Sapevano quali prove aggiuntive avrebbero potuto essere portate contro di loro se avessero cercato di dimostrare la loro innocenza. Attaccare il governo sovietico e la "burocrazia stalinista" era impossibile, perché da quasi dieci anni queste persone non hanno assolutamente alcuna politica politica da opporre a quella di Stalin. Il fatto è che la politica di Stalin è un successo e questo ha privato i suoi oppositori di ogni scusa per un attacco politico. Questo fatto è apertamente ammesso dall'imputato. Fuori dall'URSS, dal suo rifugio in Norvegia, Trotskij emana una politica "opposta". Si tratta di: (a) proletarizzare gli elementi non proletari nell'URSS; (b) organizzare un Fronte dei lavoratori, in contrapposizione a un Fronte popolare, nei paesi capitalisti. Sembra che tutti gli imputati fossero sufficientemente consapevoli delle tendenze politiche da rendersi conto che presentare una tale linea in tribunale, come giustificazione politica, sarebbe stato peggio che ammettere francamente di non avere una vera politica alternativa; cioè, nessun programma politico. In realtà, la politica di Stalin è stata costantemente quella di "proletarizzare" gli elementi non proletari nella popolazione, e la politica è ora quasi completamente realizzata. E a livello internazionale, suggerire lo smantellamento del Fronte popolare e la formazione di un Fronte dei lavoratori al suo posto, non merita di essere menzionato. E così, di fronte a tutti gli uomini, contro i quali le prove erano schiaccianti, che non avevano una politica, c'era l'unica possibilità di dichiararsi colpevoli, con o senza i dettagli del loro crimine. Ora accade che nessuno degli individui portati a processo abbia mai rinunciato nella sua carriera politica alla possibilità di fare un discorso davanti al mondo intero. E sono rimasti fedeli al loro tipo. E in tribunale hanno fatto i loro discorsi, hanno mostrato segni della loro vecchia gioia nel "mettere in chiaro" e della loro vecchia brillantezza oratoria, e hanno detto la verità al mondo intero. E ora, due questioni finali. In primo luogo, si dice che il processo è stato "inopportuno", è stato un "errore politico" tenerlo proprio ora. Naturalmente, se si fosse trattato di una "montatura", appositamente organizzata dal governo sovietico, quell'accusa sarebbe vera. Ma perché il governo sovietico, in questo momento così delicato negli affari internazionali, dovrebbe organizzare una montatura calcolata per correre il rischio di inimicarsi tutta quell'opinione liberale in tutto il mondo che sta sempre più sostenendo la politica di pace sovietica, ma ha orrore delle condanne a morte, persino contro assassini provati? Sono state avanzate tre ipotesi. La prima, che il governo sovietico volesse dimostrare che sta "diventando rispettabile". Ma i leader sovietici sono abbastanza intelligenti da sapere che i processi per tradimento non hanno mai probabilità di guadagnarsi una reputazione di rispettabilità nei circoli liberali, mentre il bolscevismo in quanto tale non può mai diventare rispettabile per i reazionari, chiunque possa essere ucciso. E la seconda ipotesi è che si trattasse di distogliere l'attenzione dalla Spagna all'interno dell'URSS! Quando i sindacati sovietici hanno raccolto più soldi per i lavoratori spagnoli di quanti ne siano stati raccolti in qualsiasi altro paese! Una terza ipotesi è che nell'URSS stessero crescendo disordini di massa. Ma se così fosse, e se gli uomini che furono processati fossero i leader di questi disordini, allora è assolutamente inconcepibile, con giornalisti stranieri e microfoni radio davanti a loro, che nessun prigioniero abbia detto una parola per mobilitare questi disordini, per dare coraggio alla popolazione scontenta e per accendere quella fiamma di insoddisfazione che stava strisciando nel paese! Solo la consapevolezza che gli imputati sapevano di non avere alcun sostegno di massa, come hanno dichiarato al processo, può spiegare la loro totale mancanza di qualsiasi tentativo di mobilitare opinione e azione contro l'attuale governo sovietico. E infine, sulla nuova Costituzione sovietica. C'è una sola parola in questa Costituzione che dice che i terroristi, che pianificano atti di terrore in cooperazione con i fascisti, contro i leader dello Stato sovietico, non devono essere processati e, se necessario, condannati a morte? No, non una parola. Perché, finché ci saranno stati fascisti e capitalisti, ci saranno agenti fascisti e capitalisti nell'URSS; e finché l'uso della violenza sarà un principio del capitalismo, portato a tutte le forme di terrorismo bestiale sotto il fascismo; così lo Stato operaio deve usare la forza per reprimere la forza. Nel processo di Mosca agli imputati fu offerto il diritto a un avvocato difensore, e loro rifiutarono. Si dichiararono colpevoli e spiegarono i loro crimini, perché non avevano un modo migliore di comportarsi. I vecchi leader screditati dei lavoratori russi, i MacDonald e gli Snowden russi, non avevano una classe capitalista a sostenere la loro futura carriera politica, così fecero ricorso al terrorismo clandestino e si allinearono alla classe capitalista tedesca con i suoi agenti fascisti.[46]

Sloan, che ha assistito di persona ai processi, che ha vissuto per 5 anni in Unione Sovietica, e che ha potuto studiare e apprendere non solo la legislatura sovietica, ma anche i motivi dietro le sue principali caratteristiche, oltre ad aver facilmente demolito i punti principali della propaganda trotskista di allora (e di oggi), dalla menzogna dei "Vecchi Bolscevichi" a quella della "burocrazia senza consenso popolare", ha illustrato la dinamica del processo, e i motivi logici per cui le confessioni degli imputati, politici di opposizione privi di qualsivoglia consenso popolare, che si sono visti costretti solo tramite la cospirazione e il terrorismo ad attaccare lo stato e il governo sovietico. C'è chi potrebbe facilmente bollare tale analisi, per quanto inoppugnabile e bene argomentata, come falsa a priori solo perché "di parte", in quanto scritta da un autore dichiaratamente comunista e filo-sovietico. Tali suggestioni, però, si sciolgono come neve al sole non appena si prende in considerazione il fatto che molti difensori di Trotskij dell'epoca, raggruppati principalmente nell'organizzazione liberale in odore di "diritti umanoidi" nota come "Comitato Americano per la difesa di Leon Trotskij", per molti versi progenitrice di ONG come Amnesty International e Nessuno Tocchi Caino che attaccano solo e soltanto i nemici del Dipartimento di Stato USA, hanno successivamente cambiato idea e pubblicamente affermato anch'essi la validità dei processi e la colpevolezza degli imputati. In particolare, Mauritz A. Hallgren, giornalista dell'epoca dichiaratamente liberale, ha avuto questo da dire:

«Da quando sono entrato a far parte del vostro comitato, ho riflettuto profondamente e seriamente sull'intero problema qui coinvolto. Ho esaminato, per quanto sono stati resi disponibili in questo paese, tutti i documenti relativi al caso. Ho seguito attentamente tutti i resoconti giornalistici. Ho consultato alcuni dei resoconti fatti dai non comunisti che hanno assistito al primo processo. Ho studiato attentamente le argomentazioni pubblicate dai partigiani di entrambe le parti. E ho riesaminato con altrettanta attenzione gli scritti di Trotskij riguardanti il ​​suo caso contro lo stalinismo e la sua teoria della rivoluzione permanente, vale a dire, quei suoi scritti su queste questioni che sono stati pubblicati fino ad oggi. Credevo quando sono entrato a far parte del vostro comitato, e [credo ancora, nel diritto di asilo per le persone esiliate a causa delle loro convinzioni politiche o di altro tipo. A Trotskij è stato concesso asilo in Messico e questa parte del compito del comitato sembrerebbe, quindi, essere stata portata a termine. In secondo luogo, a quel tempo nella mia mente c'erano sufficienti dubbi su certi aspetti del processo Zinoviev-Kamenev da indurmi a supporre che il processo non fosse del tutto autentico. Questo dubbio si basava sulla possibilità che, mentre Zinoviev e i suoi soci erano stati presi in giro per cospirazione (perché non ho mai visto una buona ragione per dubitare della loro colpevolezza), era stata loro promessa una mitigazione delle loro pene in cambio di una confessione pubblica che avrebbe implicato anche Trotskij nei loro crimini. Alla luce di questo dubbio, fui lieto di unirmi al comitato nel tentativo di fornire a Trotskij l'opportunità di rispondere alle accuse mosse contro di lui. [...] Subito dopo il primo processo, Zinoviev e i suoi soci furono giustiziati. È stato affermato che era stato loro promesso un trattamento indulgente se avessero da parte loro accusato pubblicamente Trotskij di aver cospirato con loro per rovesciare Stalin e il governo sovietico. In verità, fu in gran parte su questa supposizione che si basava l'affermazione che il primo processo fosse una "montatura". Ma ora che gli uomini erano stati messi a morte, Trotskij e i suoi seguaci dichiararono che loro, gli imputati, erano stati traditi. Per i trotskisti questa era un'ulteriore prova della loro affermazione che il primo processo era stato "incastrato". Per lo studente disinteressato, tuttavia, avrebbe potuto facilmente dimostrare il contrario. Dopo tutto, è una delle più semplici regole della logica che non si può usare una premessa per provare una tesi e poi usare la negazione di quella premessa per provare la stessa tesi. Logicamente, quindi, si sarebbe dovuto cercare altrove una spiegazione delle esecuzioni, e l'unica altra possibile spiegazione era che gli uomini erano stati effettivamente messi a morte nel normale corso della giustizia e per l'unica ragione che erano colpevoli dei crimini a loro imputati. Tuttavia era possibile, nonostante l'insorgere di questo contro-dubbio, che fossero stati traditi. Ora siamo giunti al secondo processo. Qual è la situazione? Gli uomini ora sotto processo non possono assolutamente essere sotto l'illusione di quale sia il loro destino. Devono sapere e sanno che saranno condannati a morte. Nonostante questo non esitano a confessare i loro crimini. Perché? L'unica risposta plausibile è che sono colpevoli. Di sicuro non si può e non si vorrà sostenere anche questa volta che c'è stato un "accordo", perché uomini come Radek non sono ovviamente così stupidi da credere che salveranno le loro vite in quel modo dopo quello che è successo a Kamenev e Zinoviev. È stato detto che sono stati torturati per confessare. Ma quale tortura più grande ed efficace può esserci della consapevolezza di una morte certa? In ogni caso, gli uomini in aula non hanno mostrato la minima prova di essere stati torturati o di essere stati sotto costrizione. Alcuni dicono che sono stati ipnotizzati per confessare, o che l'accusa, lavorando sulla sua conoscenza della psicologia slava, ha in qualche modo intrappolato questi uomini per confessare azioni di cui non sono colpevoli. Ad esempio, l'unanimità con cui gli uomini hanno confessato è considerata una prova che le confessioni sono false e sono state ottenute con qualche mezzo misterioso. Eppure queste affermazioni non si basano su alcuna prova tangibile o logica. L'idea che sia stata usata una qualche forma inspiegabile di mesmerismo orientale è un'idea che la sana ragione deve respingere come del tutto fantastica. La stessa unanimità degli imputati, lungi dal dimostrare che questo processo è anche una "montatura", mi sembra dimostrare direttamente il contrario. Perché se questi uomini sono innocenti, allora certamente almeno uno delle tre dozzine, sapendo che avrebbe affrontato la morte in ogni caso, avrebbe spifferato la verità. È inconcepibile che di questo gran numero di imputati, tutti debbano mentire quando le bugie non farebbero alcun bene a nessuno di loro. Ma perché guardare oltre l'ovvio per la verità, perché cercare nel misticismo o nella magia oscura i fatti che sono sotto il nostro naso? Perché non accettare il semplice fatto che gli uomini sono colpevoli? E questo fatto, se accettato per quanto riguarda gli uomini ora sotto processo, deve essere accettato anche riguardo agli uomini giustiziati dopo il primo processo. [...] È un fatto curioso, che sembra essere sfuggito ai liberali sia in questo paese che in Inghilterra, che il governo sovietico si sta danneggiando molto più di quanto potrebbe evitare tenendo questi processi, specialmente in questo momento. Il fatto stesso che i liberali e i socialisti siano stati risvegliati da questo evento, il fatto stesso che questo comitato di difesa sia stato formato, rivela la grande misura in cui l'Unione Sovietica sta subendo danni. Cosa ha da guadagnare Stalin nell'intraprendere azioni che tendono ad alienare questi elementi? È ovvio che non ha nulla da guadagnare. Al contrario, rischia di perdere molto. Al momento c'è un grave pericolo di intervento. Il governo sovietico ha bisogno di tutto il sostegno possibile da parte di lavoratori, liberali e democratici di altri paesi. Senza tale sostegno, la crescente ondata di fascismo potrebbe presto travolgere la Russia sovietica, dopodiché, naturalmente, Stalin e il suo governo scomparirebbero inevitabilmente. Dobbiamo supporre, quindi, che Stalin abbia stupidamente gettato ogni cautela al vento solo per vendicarsi dei suoi nemici personali? Dobbiamo supporre che egli sia ansioso di erigere fronti popolari per proteggere l'Unione Sovietica da un pericolo esterno e allo stesso tempo sia così cieco da intraprendere azioni che potrebbero distruggere questi fronti popolari per soddisfare qualche capriccio o ambizione puramente personale? Dobbiamo supporre che sia così ottuso da non rendersi conto della gravità di questo pericolo esterno non solo per l'Unione Sovietica ma anche per se stesso? Ora, nessuno dirà che Stalin è stupido. Perfino i trotskisti si lamentano che la minaccia dello "stalinismo" non risiede nella stupidità ma nell'intelligenza diabolica. Ne consegue che, poiché il governo di Stalin sta apparentemente rischiando molto tenendo questi processi, ha scoperto un pericolo interno non meno grave del pericolo esterno. In breve, ne consegue che il governo ha scoperto una cospirazione contro se stesso, le cui prove sono così abbondanti e il cui pericolo è così evidente che non osa trattenersi, anche se nel distruggere la cospirazione potrebbe alienare il suo sostegno democratico all'estero e quindi aumentare il pericolo esterno. Finora abbiamo preso in considerazione solo i cospiratori di Mosca. Si è detto poco di Leon Trotskij. È colpevole anche lui? I cospiratori dicono di sì. Lui lo nega con enfasi (e muove altre accuse di pari gravità contro Stalin). Abbiamo le prove di Mosca. Dove sono le prove di Trotskij? Si può ammettere che non abbia avuto il suo giorno in tribunale. E si può ammettere che verso la fine del suo soggiorno in Norvegia sia stato letteralmente heid incommunicado. Eppure è fuori dalla Norvegia da diverse settimane e non ha ancora ricevuto alcuna prova tangibile delle sue affermazioni, nessun documento, nemmeno dichiarazioni circostanziali. Non ha rilasciato altro che smentite negative. Anche alcune di queste smentite sono di tipo discutibile. Il suo attacco gratuito a D. N. Pritt, offerto senza alcun fatto a sostegno, di certo non lo ha aiutato. [...] È un fatto curioso, che sembra essere sfuggito ai liberali sia in questo paese che in Inghilterra, che il governo sovietico si sta danneggiando molto più di quanto potrebbe evitare tenendo questi processi, specialmente in questo momento. Il fatto stesso che i liberali e i socialisti siano stati risvegliati da questo evento, il fatto stesso che questo comitato di difesa sia stato formato, rivela la grande misura in cui l'Unione Sovietica sta subendo danni. Cosa ha da guadagnare Stalin nell'intraprendere azioni che tendono ad alienare questi elementi? È ovvio che non ha nulla da guadagnare. Al contrario, rischia di perdere molto. Al momento c'è un grave pericolo di intervento. Il governo sovietico ha bisogno di tutto il sostegno possibile da parte di lavoratori, liberali e democratici di altri paesi. Senza tale sostegno, la crescente ondata di fascismo potrebbe presto travolgere la Russia sovietica, dopodiché, naturalmente, Stalin e il suo governo scomparirebbero inevitabilmente. Dobbiamo supporre, quindi, che Stalin abbia stupidamente gettato ogni cautela al vento solo per vendicarsi dei suoi nemici personali? Dobbiamo supporre che egli sia ansioso di erigere fronti popolari per proteggere l'Unione Sovietica da un pericolo esterno e allo stesso tempo sia così cieco da intraprendere azioni che potrebbero distruggere questi fronti popolari per soddisfare qualche capriccio o ambizione puramente personale? Dobbiamo supporre che sia così ottuso da non rendersi conto della gravità di questo pericolo esterno non solo per l'Unione Sovietica ma anche per se stesso? Ora, nessuno dirà che Stalin è stupido. Perfino i trotskisti si lamentano che la minaccia dello "stalinismo" non risiede nella stupidità ma nell'intelligenza diabolica. Ne consegue che, poiché il governo di Stalin sta apparentemente rischiando molto tenendo questi processi, ha scoperto un pericolo interno non meno grave del pericolo esterno. In breve, ne consegue che il governo ha scoperto una cospirazione contro se stesso, le cui prove sono così abbondanti e il cui pericolo è così evidente che non osa trattenersi, anche se nel distruggere la cospirazione potrebbe alienare il suo sostegno democratico all'estero e quindi aumentare il pericolo esterno. Finora abbiamo preso in considerazione solo i cospiratori di Mosca. Si è detto poco di Leon Trotskij. È colpevole anche lui? I cospiratori dicono di sì. Lui lo nega con enfasi (e muove altre accuse di pari gravità contro Stalin). Abbiamo le prove di Mosca. Dove sono le prove di Trotskij? Si può ammettere che non abbia avuto il suo giorno in tribunale. E si può ammettere che verso la fine del suo soggiorno in Norvegia sia stato letteralmente tenuto in incommunicado. Eppure è fuori dalla Norvegia da diverse settimane e non ha ancora ricevuto alcuna prova tangibile delle sue affermazioni, nessun documento, nemmeno dichiarazioni circostanziali. Ha rilasciato solo smentite negative. Anche alcune di queste smentite sono di tipo discutibile. Il suo attacco gratuito a D. N. Pritt, offerto senza alcun fatto a sostegno, di certo non lo ha aiutato. Se Trotskij è innocente e ha la prova documentale della sua innocenza che dice di avere, perché non la produce? La stampa Hearst sarebbe stata ben felice di pubblicarlo e pagare Trotskij favolosamente bene per i suoi documenti. Il New York Times, il London Times e altre riviste borghesi sarebbero stati altrettanto felici di dare spazio ai suoi documenti. Il Manchester Guardian gli è stato accanto nella buona e nella cattiva sorte negli ultimi mesi: non lo abbandonerebbe nemmeno ora. Si è detto che intende mettere le sue prove nel nuovo libro che sta scrivendo sullo stalinismo. E si potrebbe anche sostenere che sarebbe meglio per lui presentare le sue prove alla commissione internazionale progettata che gli darà udienza. Ma considerate l'assurdità, lo sbalorditivo cinismo di un simile atteggiamento. Ecco uomini che aspettano la morte per accuse che Trotskij dice essere totalmente false, ed ecco Trotskij che sostiene di poter dimostrare che sono false, e tuttavia trattiene questa prova indispensabile per il bene di un libro o per il bene di un'inchiesta internazionale non ancora organizzata! E qui ci sono innumerevoli liberali e socialisti che credono fermamente che la giustizia venga distrutta per ordine di Stalin, ma che non hanno un briciolo di prova a sostegno di questa convinzione, a parte le loro paure e i loro sospetti, e qui c'è Trotskij che ha le prove essenziali, e tuttavia non riesce a produrle quando sono più necessarie. Considerate un'altra cosa. Trotskij negli ultimi anni ha scritto molti libri e opuscoli esponendo la sua dottrina della rivoluzione permanente e pretendendo di smascherare Stalin e lo stalinismo. Sostiene, non una volta ma più e più volte, che Stalin deve essere rovesciato se si vuole salvare la rivoluzione. Ora, o gli argomenti e le esortazioni di Trotskij sono del tutto passivi e accademici, nel qual caso potrebbero essere dimenticati, oppure intende che si dovrebbe agire in base a essi. È ovvio, tuttavia, che Trotskij non sta svolgendo alcun ruolo passivo, che sta coscientemente facendo l'agitatore, e che si considera il leader attivo del movimento contro Stalin. Ciò emerge da ogni riga che ha scritto sul problema ed è evidente da tutte le sue attività. Ma come si può rovesciare Stalin? È chiaro, persino ai seguaci di Trotskij, che non ci può essere alcuna speranza di provocare una rivolta popolare all'interno dell'Unione Sovietica. Potrebbe essere fatto solo con un intervento straniero, o con una cospirazione all'interno del governo sovietico, o con una combinazione dei due. Attraverso chi potrebbe essere intrapresa una cospirazione del genere? Ovviamente, attraverso persone all'interno del governo che hanno avuto esperienza in tale lavoro in passato. Ancora più ovviamente, da vecchi cospiratori che credono, o una volta credevano, nella dottrina di Trotskij. E cosa hanno rivelato i processi di Mosca? Hanno rivelato esattamente questo tipo di cospirazione. Hanno rivelato proprio il tipo di complotto contro il governo sovietico che gli insegnamenti di Trotskij richiedono! Di certo, questo di per sé non dimostra che Trotskij abbia cospirato con gli imputati di Mosca. Tuttavia, l'uomo ragionevole è costretto ad ammettere che, data la nota disposizione all'azione di Trotskij e la sua presentazione energica del suo caso contro Stalin, le prove circostanziali contro di lui sono davvero molto forti. Si potrebbe ben dire, e non si può negare, che il caso del governo sovietico contro Trotskij non è perfetto. Ha commesso degli errori. Ha fatto affermazioni apparentemente contrarie ai fatti. Ma poi, non c'è mai stata una controversia in cui i fatti da una parte fossero tutti neri e quelli dall'altra completamente bianchi. Si devono giudicare queste questioni, non secondo standard rigidi o assoluti, ma soppesando le prove. E nel caso presente la preponderanza delle prove è dalla parte del governo sovietico e chiaramente contro Trotskij. Sono prontamente d'accordo che Stalin ha i suoi difetti. Sono ben lontano dall'essere d'accordo con tutto ciò che il governo sovietico e il Comintern hanno fatto o stanno facendo. Eppure ogni persona imparziale deve ammettere che sotto la sua attuale leadership l'Unione Sovietica ha compiuto notevoli progressi verso l'istituzione del socialismo. È solo tra i nazisti, i fascisti e i reazionari di altri paesi, tra alcuni gruppi all'interno della Seconda Internazionale e tra i trotskisti che si sostiene che l'Unione Sovietica sotto Stalin e i suoi soci si stia muovendo, non verso il socialismo, ma verso il capitalismo o il bonapartismo o qualcosa chiamato "fascismo rosso". Le persone a conoscenza dei fatti devono e considerano assurde queste accuse. Chi ha una minima comprensione dell'economia può facilmente vedere che è il socialismo e nient'altro che si sta sviluppando nella Russia sovietica. Fare qualsiasi affermazione contraria è, alla luce dei fatti accertati, un mero pio desiderio o una distorsione deliberata. Stando così le cose, qualsiasi attacco alla leadership comunista nell'Unione Sovietica, per quanto imperfetta possa essere, che abbia come scopo il rovesciamento del governo sovietico deve essere considerato un attacco deliberato e malizioso al socialismo stesso. Ciò non significa che io consideri il governo sovietico al di sopra delle critiche. Tutt'altro. Ma significa che considero la critica disonesta o qualsiasi tentativo di andare oltre la critica (ad esempio, uno sforzo per distruggere piuttosto che aiutare lo sviluppo del socialismo nell'Unione Sovietica) come un tradimento del socialismo. E questo, a parte il clamore contro i processi di Mosca, è lo scopo oggettivo degli scritti e delle attività di agitazione di Trotskij. Forse Trotskij può sostenere le sue accuse. Non dovrebbe certamente essere negata l'opportunità di produrre le prove che dice di avere. Ma la sua riluttanza o incapacità di produrre le sue prove quando sono più necessarie deve contare contro di lui. Inoltre, e questo è un punto di estrema importanza, bisogna tenere a mente che Trotskij non è una parte disinteressata. Non si presenta in tribunale con le mani pulite. È un avversario giurato del governo di Stalin. Si deve presumere, quindi, che egli sia almeno altrettanto interessato, e con ogni probabilità molto di più, a portare avanti la sua campagna per distruggere il governo di Stalin quanto lo è a ottenere giustizia astratta per se stesso. Lasciate che affermi che è solo giustizia ciò che desidera, e poi lasciate che prometta pubblicamente che, nel caso in cui non riesca a comprovare le sue accuse contro il governo sovietico, cesserà prontamente i suoi sforzi per distruggere quel governo. Se rifiuta di impegnarsi in questo particolare, l'uomo ragionevole deve concludere che sta usando la sua richiesta di giustizia unicamente come un mezzo per arruolare ulteriore sostegno per la sua campagna contro il socialismo nell'Unione Sovietica. Cronologicamente, in effetti, le prove su questo punto sono già contro di lui. Il clamore contro i processi di Mosca è venuto per primo dai trotskisti. [...] In ogni caso, almeno finché Trotskij non si presenterà in tribunale con le mani pulite, rimarrò convinto che l'attuale movimento liberale per ottenere giustizia per lui non è altro che una manovra trotskista contro l'Unione Sovietica e contro il socialismo. Sono altrettanto convinto, come devo essere date le circostanze, che l'American Committee for the Defense of Lev Trotskij sia diventato, forse inconsapevolmente, uno strumento dei trotskisti per l'intervento politico contro l'Unione Sovietica. In effetti, a parte le considerazioni citate sopra, è fin troppo chiaro che l'intero approccio e la fraseologia del comitato sono stati radicalmente modificati da quando il comitato è stato formato. [...] Forse i membri liberali non sono consapevoli della vera natura del comitato. Ma questo non può essere vero per i membri politici, dei trotskisti e di altri, che hanno un solo scopo, ovvero quello di usare il comitato come trampolino di lancio per nuovi attacchi contro l'Unione Sovietica. Non intendo in nessun caso permettermi di diventare parte di alcun accordo che abbia come scopo oggettivo (qualunque possa essere la sua giustificazione soggettiva) il deterioramento o la distruzione del sistema socialista attualmente in costruzione nella Russia sovietica. Pertanto, ritirerete il mio nome come membro del comitato.[47]

Hallgreen, giornalista di ispirazione liberale, che, a differenza del già citato Sloan, tende nel suo scritto, oltre ad esprimere delle critiche abbastanza condivisibili, anche da socialisti e/o comunisti, sul governo di Stalin, a voler comunque dare il beneficio del dubbio a Trotskij e ai trotskisti, non può che concludere, per logica analisi degli atti processuali, del fatto che le confessioni siano avvenute tutte all'unanimità, e del fatto che soprattutto Trotskij, che asseriva di essere innocente, continuava comunque a produrre scritti di agitazione contro il governo sovietico non dissimili, nella teoria, dalla prassi degli inoppugnabilmente colpevoli cospirazionisti, senza produrre, invece, prove (che dichiarava di avere alla mano, e che tramite gli studi delle fonti di archivio dagli anni 80 in poi, più volte riportati in questa voce, sappiamo non essere mai esistite, ed essere solo menzogne) della sua "incontrovertibile innocenza", che Trotskij è più vicino ad essere colpevole che innocente, che i processi di Mosca sono stati legittimi, che gli imputati furono effettivamente colpevoli dei propri crimini e che, soprattutto, tutte le organizzazioni in odore di "diritti umani e individuali" di tipo liberale che si erano costituite per i diritti di Trotskij come "esule" erano ormai organizzazioni cooptate da Trotskij solo e soltanto per promuovere la sua narrativa unidimensionale e unidirezionale. Ciò che è più interessante in merito alla pubblicazione di questo documento è che ha ispirato altri giornalisti, trattasi di Carleton Beals, Lewis Gannett e Freda Kirchwey.

2) Gli imputati hanno subito tortura e/o minacce

Un'altra "argomentazione" comunemente ripetuta dalla propaganda anticomunista è quella secondo cui gli imputati dei processi avrebbero subito tortura. Tale ipotesi, già ritenuta da molti all'epoca dei fatti, a processi avvenuti, una falsità, e nelle fonti riportate è già stato riportato il principale argomento contro tale ipotesi, per di più da tre punti di vista differenti (socialdemocratico, comunista e liberale rispettivamente), tende ad essere spesso ripetuta, ignorando queste ed altre argomentazioni del tempo, perlopiù provenienti soprattutto da gente totalmente estranea e in parte anche critica del governo di Stalin. Ma in merito a tale specifica accusa rispetto alla validità dei processi, una fonte e testimonianza importante a dimostrazione che non vi furono torture sugli imputati è quella del romanziere e drammaturgo tedesco Lion Feuchtwanger, tra le tante cose anche amico intimo di Berthold Brecht, che ebbe da scrivere nel suo diario personale della sua visita a Mosca durante il processo a Piatakov e Radek:

«La condotta dei processi viene attaccata non meno ferocemente dell'accusa. Se avevano documenti e testimoni, chiedono gli scettici, perché hanno tenuto i documenti nel cassetto e i testimoni dietro le quinte, accontentandosi di confessioni incredibili? È vero, risponde il popolo sovietico, che nel procedimento principale abbiamo in una certa misura mostrato solo il distillato, il risultato preparato dell'inchiesta preliminare. Abbiamo esaminato le prove in anticipo e le abbiamo confrontate con gli imputati. Nel procedimento principale ci siamo accontentati delle loro confessioni. [...] Pertanto abbiamo fatto tutto nel modo più semplice e trasparente possibile. I dettagli delle prove indiziarie, dei documenti e delle deposizioni possono interessare giuristi, criminalisti e storici, ma avremmo solo confuso i nostri cittadini sovietici se avessimo tirato fuori tutti i tipi di dettagli. Le semplici confessioni erano più comprensibili per loro di qualsiasi quantità di prove indiziarie ingegnosamente assemblate. Non abbiamo condotto questa azione a beneficio dei criminalisti stranieri; l'abbiamo fatto a beneficio del nostro stesso popolo. Non si può negare che la caratteristica più impressionante delle confessioni sia la loro precisione e coerenza, e così gli scettici hanno costruito ipotesi fantastiche sui metodi impiegati per ottenerle. La prima e più ragionevole supposizione è, naturalmente, che le confessioni siano state estorte ai prigionieri con la tortura e con la minaccia di torture ancora peggiori. Tuttavia questa prima congettura è stata confutata dall'evidente freschezza e vitalità dei prigionieri, dal loro intero aspetto fisico e mentale. Quindi, per spiegare le confessioni "impossibili", gli scettici hanno dovuto brancolare per trovare altre cause. Ai prigionieri, hanno proclamato, erano stati dati tutti i tipi di veleni; erano stati ipnotizzati e drogati. Se questo è vero, allora nessun altro al mondo è mai riuscito a ottenere risultati così potenti e duraturi, e lo scienziato che ci è riuscito difficilmente si accontenterebbe di agire come il misterioso tuttofare delle forze di polizia. Presumibilmente userebbe i suoi metodi al fine di aumentare il suo prestigio scientifico. Ma coloro che sollevano obiezioni sullo svolgimento del processo preferiscono aggrapparsi alle più assurde ipotesi nascoste piuttosto che credere a ciò che hanno sotto il naso, ovvero che i prigionieri siano stati condannati correttamente e che le loro confessioni siano fondate sui fatti. Quando si parla di ipotesi come queste al popolo sovietico, si limitano ad alzare le spalle e sorridere. Perché dovremmo, dicono, se volessimo falsificare i fatti, ricorrere a espedienti così difficili e pericolosi come le confessioni fasulle? Non sarebbe stato più semplice falsificare i documenti? Pensate che, invece di lasciare che Trotskij tenesse discorsi altamente traditori per bocca di Piatakov e Radek, non avremmo potuto portare molto più facilmente davanti agli occhi del mondo le sue lettere altamente traditrici e i documenti che avrebbero dimostrato la sua associazione con i fascisti molto più direttamente? Avete visto e sentito gli imputati: avete avuto l'impressione che le loro confessioni fossero state estorte? In effetti non l'ho avuta. Gli uomini che si sono presentati davanti alla corte non erano persone torturate e disperate di fronte al loro carnefice. Non c'era alcuna giustificazione di alcun tipo per immaginare che ci fosse qualcosa di costruito, artificiale o persino impressionante o emozionante in questi procedimenti[48]

Anche il giornalista John Gunther scrisse in merito ai processi:

«Nell'agosto del 1936 iniziò una serie di processi per tradimento nell'URSS, che lasciarono perplessi e anzi stupefatti il ​​mondo occidentale [...] Lasciamo da parte subito alcune delle favole. Stalin, secondo alcuni sussurratori, era mortalmente malato e stava estirpando gli ultimi resti dell'opposizione mentre era ancora in vita; secondo altri "rapporti" era improvvisamente diventato "pazzo". Si diceva che i prigionieri fossero torturati, ipnotizzati, drogati (per fargli rilasciare false confessioni) e - dettaglio di scelta - impersonati da attori del teatro d'arte di Mosca. Ma i processi si svolsero subito dopo la conclusione delle indagini preliminari e si svolsero di fronte a centinaia di testimoni, molti dei quali corrispondenti esperti, in tribunale aperto. I prigionieri testimoniarono di essere stati trattati bene durante le indagini. Radek, in effetti, dice che fu lui a torturare il pubblico ministero, rifiutandosi di confessare mese dopo mese. La pressione c'era sicuramente, come nelle indagini della polizia in tutto il mondo, ma nessuna prova di tortura. I processi, affermano i trotskisti, erano una colossale montatura. I prigionieri furono indotti a confessare, dicono, con la promessa di immunità e grazia dopo il processo, se avessero parlato liberamente, e poi tradirono e fucilarono. Ciò è difficilmente concepibile da una lettura attenta della testimonianza. Non avrebbe potuto facilmente accadere nel secondo processo, quando gli imputati devono aver saputo che il primo gruppo, nonostante le loro confessioni, era stato condannato a morte e debitamente giustiziato. D'altra parte, gli imputati probabilmente speravano che chiunque si fosse comportato meglio potesse cavarsela con una condanna leggera. Un punto importante da tenere a mente è la peculiarità della procedura legale russa. Differisce drasticamente dalla nostra [statunitense, ndr] e assomiglia in una certa misura al sistema francese, dove il vero "processo" è l'indagine preliminare; l'udienza finale del tribunale non determina tanto la colpevolezza quanto la pena da infliggere al colpevole. In Russia, un prigioniero non viene portato a quello che chiamiamo un "processo" finché non ha confessato. Entro le circoscrizioni della procedura russa i processi erano abbastanza equi. Gli imputati avevano il diritto alla difesa legale; avevano il privilegio di controinterrogare i testimoni; parlavano con la massima vivacità e libertà. L'atteggiamento della corte era severo ma non coercitivo. I discorsi conclusivi del pubblico ministero, A. Y. Vyshinsky, erano violenti, ma durante la testimonianza ha trattato gli imputati con ragionevole considerazione. Ad esempio: Vyshinsky: Imputato Pyatakov, forse sei stanco.
Pyatakov: No, posso continuare.
Il Presidente: Propongo di aggiornare alle 3 in punto.
Vyshinsky: Non ho obiezioni, ma forse è stancante per l'imputato?
Pyatakov: Quanto ancora?
Il Presidente: Cinquanta minuti.
Vyshinsky riprende quindi l'interrogatorio.
Le confessioni, sia nel primo che nel secondo processo, hanno sconcertato gli osservatori perché sembrava letteralmente inconcepibile che uomini come Sokolnikov Smimov, Radck, Serebryakov e così via potessero essere dei traditori e che fossero andati così docilmente alla condanna senza lottare. [...] Gli imputati hanno lottato. È durato per tutto l'interrogatorio preliminare che è stato prolungato. Radek ha resistito due mesi e mezzo. Muralov, un vecchio trotskista, ha resistito otto mesi. Radek dice di lui "Ero convinto che avrebbe preferito morire in prigione piuttosto che dire una sola parola"[49]

Tra i "martiri" della propaganda anticomunista che vengono elencati tra le presunte vittime di tortura spicca tra tutti Bucharin, il capo del "blocco dei destri" su cui già si è approfondito in altri paragrafi. Ma la nozione secondo cui Bucharin avrebbe subito torture mentre era imprigionato viene contraddetta dallo stesso principale biografo di Bucharin, Steven Cohen, che scrive: «Sembra che non siano state usate torture fisiche contro di lui [Bucharin] in prigione.[50] In merito alla vicenda di Bucharin, tra l'altro, pare che gran parte dell'opera di Stephen Cohen sia stata smentita dalla pubblicazione di un pamphlet di ricerca, scritto a quattro mani dagli storici Grover Furr e Vladimir Bobrov, che smentisce in gran parte la principale biografia dell'ex capo del "blocco dei destri". È fortemente consigliata la lettura dell'intero pamphlet, a cui è stato aggiunto un collegamento nella parte bibliografica di questa voce. Furr e Bobov, nello specifico, affermano nella loro introduzione, che viene qui riportata:

«In questo saggio sosteniamo che il paradigma dominante della storia politica dell'Unione Sovietica negli anni '30 è falso. I documenti degli archivi sovietici, in precedenza segreti, che dalla fine dell'URSS sono stati resi pubblici, forniscono prove più che sufficienti per confutare la visione di questo periodo che dai tempi di Chruščëv in poi ha incontrato un'accettazione quasi universale. [...] Per brevità definiamo questo paradigma storico, o versione ufficiale, il paradigma "anti-Stalin". Un termine più corretto, ancorchè rozzo, sarebbe il paradigma "Trotskij-Kruščëv-Guerra fredda-Gorbačëv-postsovietico". Dal momento dell'esilio nel gennaio 1929 fino al suo assassinio nell'agosto 1940, Leon Trotskij attribuì alla personalità di Josif Stalin la responsabilità di tutti quelli che considerava i difetti e i crimini del socialismo sovietico. Nel 1956 Nikita Chruščëv riprese lo stesso schema e, nel periodo in cui governò l'URSS, fino alla sua destituzione nellottobre 1964, gli attacchi contro Stalin furono enormemente amplificati. A cominciare dal 1987, Mikhail Gorbacev patrocinò un assalto contro Stalin, e quelli a lui associati, che surclassò perfino il periodo di Kruscev. La figura di Stalin fu praticamente "demonizzata" e un trattamento analogo venne riservato ad altri bolscevichi del suo tempo e allo stesso Kruscev. [...] Dopo la fine dell'URSS nel 1991 sono stati pubblicati moltissimi documenti originali degli archivi sovietici e, nel tentativo di rielaborare e rimaneggiare il paradigma anti-Stalin per conformarlo a parte di questa documentazione, sono stati scritti molti libri, ma nessuno si è proposto di confutare le posizioni divenute praticamente canoniche delle opere di quarant'anni fa di Conquest e Medvedev. [...] Grazie alla focalizzazione assai più ristretta sul solo Bucharin e non su tutta la storia politica dell'URSS, Cohen ha potuto presentare un quadro accademicamente documentato del periodo 1930-1938 in sole 45 pagine, in un capitolo abbastanza breve da consentire un esame dettagliato delle prove addotte, ma abbastanza ben documentato, con le sue 207 note, per poter rappresentare il "paradigma anti-Stalin" nella sua interezza. [...] Il libro di Cohen è importante anche per un altro motivo. Mikhail Gorbacev ne fece la prima opera di un sovietologo occidentale pubblicata da una casa editricee sovietica. A quanto pare Gorbacev riferì anche a Cohen di essere stato fortemente influenzato dal libro nei primi anni '80 quando lo aveva letto in traduzione russa. Alla fine del 1987 a Mosca si tenne una conferenza su Bucharin, ispirata in parte dall'opera di Cohen, e non solo Cohen fu invitato tra i relatori, ma Gorbacev tenne insieme a lui una conferenza stampa. Questo episodio e la pubblicazione, alla fine del 1988, della traduzione russa da parte della casa editrice governativa Progress inaugurò il "Boom di Bucharin", col regime di Gorbacev che promuoveva l'entusiasmo per Bucharin come "vero" erede di Lenin. [...] Se fosse stata opinione comune che Bucharin si era realmente macchiato anche solo di una delle principali imputazioni di cui si era confessato colpevole: cospirazione per rovesciare il governo sovietico e intesa con lo Stato Maggiore tedesco per aprire la strada all'esercito tedesco in caso di guerra - per non parlare della partecipazione a un piano per assassinare Lenin nel 1918, accusa di cui si dichiarò innocente ma per la quale fu condannato - non avrebbe potuto essere di alcuna utilità per Gorbacev. E poi Bucharin stesso al processo aveva ammesso che la politica che propugnava negli anni '30 comportava "la restaurazione del capitalismo" e questo Gorbacev non poteva certo ammetterlo - almeno non nel 1988. [...] Per il "Boom di Bucharin" sponsorizzato da Gorbacev emerse presto un problema, di cui però venimmo a conoscenza solo nel 2004. La commissione del Comitato Centrale, istituita per studiare e in sostanza per trovare le prove che Bucharin era stato condannato ingiustamente, non era riuscita a trovare la minima prova. I verbali della commissione pubblicati nel 2004 evidenziano la costernazione dei commissari per questo fallimento. Il risultato fu che il decreto (Postanovlenie) del Plenum della Corte Suprema Sovietica emesso il 4 febbraio 1988, in cui si dichiarava che Bucharin fu costretto a rendere una falsa confessione non è mai stato pubblicato e rimane segreto ancor oggi. Il suo testo, solo recentemente scoperto, permette di vedere che la prova chiave che vi si cita a sostegno dell'innocenza di Bucharin è in realtà una deliberata falsificazione. La confessione-dichiarazione di Mikhail Frinovsky, un documento che ha costituito una prova importante della colpevolezza di Bucharin, viene citata falsandola deliberatamente in modo da poter essere utilizzata come prova della sua innocenza. In realtà gli esperti di Gorbacev non sono riusciti a trovare nessun appiglio a sostegno della loro teoria innocentista[51]

Dato che nella loro introduzione i due autori menzionano che la "riabilitazione" (malriuscita, perché andando a scavare sono state, ironicamente, trovate ancora più prove di colpevolezza) di individui come Bucharin doveva servive come pretesto ideologico per aprire alla capitolazione definitiva del comunismo nei confronti del capitalismo, che però non poteva essere ammessa ("Almeno non nel 1988", citando Furr e Bobrov) è necessaria una piccola digressione: Gorbaciov stesso, nel 2000, in un'intervista rilasciata durante il suo soggiorno ad Ankara, in Turchia, come ospite di un seminario dell'Università Americana, e pubblicata su un giornale della Repubblica Ceca chiamato "Dialog". In tale intervista, reperibile qui oltre che nella bibliografia di questa voce e possibile fonte di una futura voce su questa wiki sulla figura di Gorbaciov, l'ex presidente sovietico si lascia a delle dichiarazioni sconcertanti: afferma che il suo scopo sin dall'inizio del suo governo è stato quello di abbattere il comunismo, ritenendo che "dal 2000 il mondo sarà un posto migliore senza il comunismo e con la democrazia", attaccando con del razzismo spicciolo e grottesco la Cina, "colpevole" di essere rimasta ancorata al comunismo, e afferma di "non aver pianto" quando Yeltsin gli ha soffiato la presidenza, perché ormai il suo scopo di "liquidare il comunismo" (sue parole usate nell'intervista) si era ormai compiuto.

Continuando invece con la vicenda di Bucharin e il suo avere o meno subito atti di tortura, lo storico Edvard Radzinsky scrive nella sua biografia su Stalin in merito:

    «Bucharin, quindi, mentre era in prigione, divenne uno dei leader di una cospirazione politico-militare. Tutto ciò che restava da fare era ottenere il suo consenso. Perché, a differenza dei soldati, che furono processati a porte chiuse, a Bucharin sarebbe stato concesso il favore di un magnifico processo pubblico. Ci sono molte leggende sulle torture che lo indussero a prendere parte a questa farsa ignominiosa. È un peccato smentire una buona leggenda, ma lasciamo che le lettere di Bucharin parlino da sole. Notte del 15 aprile 37. "Koba! ... Ho intenzione di scriverti da diverse notti ormai. Semplicemente perché voglio scriverti, non posso fare a meno di scriverti, dal momento che ora ti sento qualcuno così vicino a me (lascia che chi vuole si faccia una risata sotto i baffi)... Tutto ciò che è più sacro è stato trasformato in un gioco da me (così è stato detto al plenum). Nella mia disperazione ho giurato sull'ora della morte di Il'ič. E mi è stato detto che stavo commerciando sul suo nome, e persino che stavo mentendo quando ho detto che ero stato presente quando è morto... Riuscivo a malapena a stare in piedi e mi hanno accusato di pagliaccio e di recitare. [...] Tutti i miei sogni di recente si sono ridotti a una cosa: restare strettamente attaccato alla leadership, e a te in particolare... lavorare con tutte le mie forze, subordinandomi completamente ai tuoi consigli, istruzioni e richieste. Ho visto lo spirito di Il'ič riposare su di te. Chi altro avrebbe potuto decidere sulle nuove tattiche del Comintern? La risoluta attuazione del Secondo piano quinquennale, armamento dell'Estremo Oriente,... l'organizzazione della riforma, la nuova costituzione? Nessuno [...] Così com'è, sto morendo qui. Le regole sono molto rigide, non puoi nemmeno parlare ad alta voce nella tua cella, o giocare a dama o a scacchi, quando esci nel corridoio non ti è permesso parlare affatto, non puoi dare da mangiare ai piccioni alla tua finestra, non puoi fare assolutamente nulla. D'altra parte, le guardie, anche quelle più giovani, sono sempre educate, riservate, corrette. Siamo ben nutriti. Ma le celle sono buie. Eppure le luci sono accese giorno e notte. Strofino i pavimenti, pulisco il mio secchio della spazzatura. Niente di nuovo in questo. Ma mi spezza il cuore che questo sia in una prigione sovietica. Il mio dolore e la mia angoscia non conoscono limiti". Con la lettera c'era una richiesta che "nessuno la leggesse prima di I. V. Stalin". Ma Stalin ci scrisse sopra "circolare" e lo spedì tramite un messaggero speciale a tutti i membri del Politburo. Era come se il benevolo Capo chiedesse: "Dovremmo perdonarlo nonostante tutto?" I suoi scagnozzi non potevano sbagliarsi. Ogni giorno cadevano teste. Facevano il loro dovere, gareggiavano tra loro in spietatezza:
    "Leggilo. Secondo me è stato scritto da un truffatore" - Molotov.
    "Il discorso del truffatore" - Chubar.
    "Io non sono io e il cavallo non è mio!" - Kaganovič, Kalinin.
    "Senza dubbio la lettera di un truffatore" - Čuba.
    Ancora una volta, il Capo fu costretto a inchinarsi al collettivo.
    Il piccolo Bucharin continuò a scrivergli, quarantatré lettere, quarantatré dichiarazioni d'amore senza risposta. "Saluti, Iosif Vissarionovič! [Il familiare "Koba" era scomparso.] ... Ti ho parlato per ore in uno stato allucinatorio, ho periodi come questo. (Eri seduto sul mio letto, così vicino che potevo toccarti.) Sfortunatamente, era solo il mio delirio... Volevo dirti che sarei stato disposto a soddisfare qualsiasi tua richiesta senza la minima esitazione o riserva. Ho già scritto (oltre a un libro accademico) un grande volume di versi. Tutto sommato, è un'apoteosi dell'URSS... Byron disse che per diventare un poeta devi innamorarti o essere un mendicante. (Entrambe le cose sono vere per me.) I miei primi sforzi ora sembrano infantili (ma li sto riscrivendo, tranne per la mia "Poesia su Stalin")... Non ho visto né mia moglie né mio figlio negli ultimi sette mesi. Ho fatto diverse richieste, ma senza successo. Ho perso la vista due volte a causa di problemi ai nervi e ho avuto due o tre attacchi di allucinazioni delirio... I. V! Date loro il permesso di farmi visita! Lasciatemi vedere Anjuta e il mio piccolo! Tutto può succedere! Quindi lasciatemi vedere i miei cari... O se questo è impossibile almeno lasciate che Anjuška mi porti una fotografia di sé e del nostro bambino. So che può sembrarti ridicolo quando dico che ti amo con tutta l'anima, ma non posso farci niente. Devi pensare quello che vuoi di me." Quindi il regime carcerario era severo, ma erano perfettamente educati e il cibo era buono. No, non c'era tortura. E sembra improbabile che il delicato e isterico Bucharin avrebbe scritto così tante opere letterarie negli intervalli della tortura. Si torturava da solo, con la sua disperazione, la sua paura di essere fucilato, l'angoscia che provava per la sua famiglia. Il suo era un organismo troppo delicato per la vita in prigione. Era un poeta, non un politico. La tensione nervosa gli dava allucinazioni e gli faceva perdere la vista. Sapeva già che non avrebbe potuto resistere, che avrebbe acconsentito, come aveva fatto Kamenev, a "mentire su se stesso", anche senza essere torturato. "Volevo dirti che sarei disposto a soddisfare qualsiasi tua richiesta senza la minima esitazione o riserva." Quasi parola per parola ciò che aveva detto quell'altro sfortunato, Zinoviev. All'inizio di giugno Bucharin accettò e firmò tutte le accuse mosse contro di lui. Sua moglie, Anna Larina, era convinta, e in seguito scrisse, che in cambio il Capo gli aveva promesso la vita e poi si era rimangiato la parola data. Non sapeva che esiste una lettera in cui lo sventurato Bucharin raccontava tutta la storia da solo. È la quarantatreesima e ultima lettera di Bucharin a Stalin. "Top Secret, Personale, Si prega di non leggere senza il permesso di J. V. Stalin. 10.12.37. Sto scrivendo quella che potrebbe essere la mia ultima lettera prima di morire. Lasciatemi quindi scriverla senza formalità, soprattutto perché sto scrivendo a voi da soli... l'ultima pagina del mio dramma, e forse della mia vita fisica, sta per essere voltata. [“Forse” mostra che aveva ancora qualche speranza, ricordando che al processo precedente né Radek né Sokolnikov erano stati condannati a morte.] Sto tremando tutto per l'agitazione e per mille emozioni. Riesco a malapena a controllarmi. Ma proprio perché la fine potrebbe essere vicina voglio salutarvi prima che sia troppo tardi... Per evitare ogni malinteso lasciatemi dire subito che per amore della pace (pace sociale) (1) non ho intenzione di ritrattare nessuna delle cose che ho firmato (2) non ho intenzione di chiedervi nulla, di implorarvi nulla che potrebbe far deragliare l'intera faccenda dai binari lungo i quali sta scorrendo. Scrivo solo per tua informazione personale. Non posso lasciare questa vita senza scriverti queste ultime righe, perché sono preda di tormenti di cui dovresti essere a conoscenza. Ti do la mia parola d'onore che sono innocente dei crimini che ho riconosciuto durante l'interrogatorio." Perché allora li ha riconosciuti? Come capita, è stato il primo di tutti quegli auto-calunniatori a spiegare in dettaglio il perché. [...] "Non sono cristiano. Ma ho alcune idee strane... e una di queste è la convinzione che sto pagando per gli anni in cui ho davvero combattuto contro di te... è ciò che mi pesa di più. Quando ero con te una volta nell'estate del 1928, mi hai detto: "Sai perché sono tuo amico? È perché sei incapace di intrighi, non è vero?" Ho detto di sì. Ed è stato proprio il momento in cui stavo correndo da Kamenev. Questo fatto mi perseguita come il peccato originale perseguita un ebreo osservante. Dio, quanto ero infantile e idiota, e ora lo sto pagando con il mio onore e la mia vita. Per questo, perdonami, Koba. Piango mentre scrivo, non ho più bisogno di niente. Quando avevo le allucinazioni ti ho visto diverse volte, e in un'occasione Nadezhda Sergeevna. È venuta da me e mi ha detto: "Cosa ti hanno fatto, Nikolai Ivanovich? Ho detto a Joseph di farti pagare la cauzione". Era così reale che sono quasi saltato su per scriverti e chiederti di farmi pagare la cauzione. So che N.S. non crederebbe mai che io abbia mai voluto farti del male, e non sorprende che il mio subconscio abbia prodotto questa allucinazione". Spera contro ogni speranza che Koba lo perdonerà! Se solo avesse saputo quanto si sarebbe infuriato Koba nel vedere parole messe in bocca alla moglie morta in una lettera dal suo "assassino". [...] "Se la mia vita deve essere risparmiata, la mia richiesta è: o mandatemi in America per x anni. Argomenti a favore: potrei organizzare una campagna pubblicitaria sui processi, muovere guerra a morte a Trotskij, conquistare ampie fasce dell'intellighenzia vacillante. Sarei di fatto un anti-Trotskij e farei tutto questo con grande energia ed entusiasmo. Potreste mandare con me un cekista addestrato e, come ulteriore garanzia, lascerei mia moglie qui per sei mesi mentre mostro quanto sono bravo a criticare Trotskij. O se c'è il minimo dubbio su questo, banditemi, per 25 anni se volete, a Pechora o Kolyma, in un campo, dove potrei fondare un'università, istituti eruditi, una pinacoteca, musei zoologici e fotografici. Anche se a dire il vero ho poche speranze in questo. Joseph Vissarionovich! Avete perso in me uno dei vostri generali più abili e uno di quelli veramente devoti a voi. Ma mi sto preparando spiritualmente a lasciare questa valle di lacrime e provo, verso di voi, verso il Partito, verso la causa nel suo insieme, solo un amore grande e sconfinato. Vi abbraccio nei miei pensieri, addio per sempre, e penso bene al vostro infelice N. Bucharin." Questa lettera ci fornisce la chiave finale dei processi. Ci dice tutto. No, Stalin non aveva promesso di perdonarlo. Bucharin continuava a sperare, ma il Capo taceva. Bucharin aveva acconsentito a tutto, aveva professato all'infinito il suo amore per il suo torturatore, e il Capo era rimasto in silenzio. Così vediamo Bucharin [...] inventare volontariamente una giustificazione per i processi per conto di Stalin [...] Aver agito semplicemente per paura sarebbe stato troppo vergognoso. E così collaborò pienamente con il suo interrogatore, sebbene il Dio Stalin non promettesse nulla. Dobbiamo cercare di comprendere la mentalità di questo intellettuale russo: il bugiardo onesto, l'uomo forte indifeso, il nobile mascalzone, il codardo audace e allo stesso tempo immensamente talentuoso persino nella sua umiliazione. Incapace di dire: "Temo semplicemente l'ira di queste persone orribilmente crudeli", deve inventare un "grande idea” per giustificare il suo comportamento. Quanto bene lo capisco e—sì—lo amo. Perché anch’io sono un figlio della paura. Tutta la mia vita cosciente è stata vissuta in quella terra di paura. Abbi pietà di me. “Tu, che mi conosci così bene, capirai.” Sì, Stalin li conosceva tutti così bene. Ecco perché aveva ideato i processi[52]

Gli studi di Radzinsky in merito alla figura di Bucharin durante la sua prigonia, oltre ad illustrarci, tramite le sue lettere, la sua condizione di prigonia, certamente più "privilegiata" rispetto a quella di altri imputati comuni (può scrivere lettere, libri, poesie, mantenere una limitata corrispondenza con la moglie) e il (debole) carattere del principale oppositore del governo di Stalin (Trotskij, a dispetto di quanto egli volesse far credere, è stato in realtà, come dimostrato più volte in questa voce, semmai, l'oppositore più "rumoroso" e "lagnoso", di certo non il più potente, titolo che spetta a Bucharin, o il più pericoloso, titolo che spetta ai cospiratori militari come Tuchačevskij e Vlasov), il quale, dinanzi alla semplice prospettiva della prigonia indefinita (qualcosa a cui gli intellettuali idealisti come lui non erano abituati, a differenza del giovane Koba, cioè Stalin, che sin da quando aveva circa vent'anni veniva spedito di continuo in carceri zariste in Siberia da cui evadeva più volte) stava "crollando" e si ritrovava pronto a confessare. In ultima istanza, lungi dall'essere torturati, la gran parte dei cospiratori sovietici (con qualche eccezione, come ad esempio l'ex generale poi passato alla fazione dell'Opposizione Trotskista, Muralov, o lo stesso Kamenev che durante la sua esecuzione rimase impassibile, a differenza del suo compagno Zinoviev) erano uomini dalla tempra debole, "intellettuali" e/o intellettualoidi, poco abituati al sacrificio e a dure pene come quelle, invece, subite non solo da Stalin, ma anche da altri membri del gabinetto di governo sovietico degli anni, come Kalinin, Kaganovic e Molotov, e quindi per questo uomini per cui era facile "crollare" alla minima difficoltà e confessare i propri crimini.

Le "riabilitazioni" di Chruščëv e Gorbačëv

Aleksandr Shelepin, direttore del KGB dal 1958 al 1961, fece un pubblico elogio di Chruščëv citando da una lettera scritta da Iakir, generale golpista coinvolto nella cospirazione di Tuchačevskij, e indirizzata a Stalin, datata 9 Giugno 1937:

«Una serie di ciniche risoluzioni di Stalin, Kaganovich, Molotov, Malenkov e Voroshilov sulle lettere e le dichiarazioni fatte dai prigionieri testimoniano il trattamento crudele delle persone, dei compagni leader, che si sono trovati sotto inchiesta. Ad esempio, quando fu il suo turno, Iakir, ex comandante di una regione militare, si appellò a Stalin in una lettera in cui giurò la sua completa innocenza. Ecco cosa scrisse: "Sono un nobile guerriero, devoto al Partito, allo Stato e al popolo, come lo sono stato per molti anni. Tutta la mia vita cosciente è trascorsa in un lavoro disinteressato e onesto agli occhi del Partito e dei suoi leader... Ora sono onesto in ogni mia parola..."»
–Discorso al 22° Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Pravda, 27 ottobre 1961

In realtà Shelepin aveva di proposito citato tale lettera fuori dal suo contesto, per di più omettendo gran parte del suo contenuto, che fu pubblicato per intero solo nel 1994: «Caro, caro compagno Stalin. Oso rivolgermi a te in questo modo perché ho detto tutto, ho rinunciato a tutto, e mi sembra di essere un nobile guerriero, devoto al Partito... Poi la caduta nell'incubo, nell'orrore irreparabile del tradimento... L'indagine è completata. Sono stato formalmente accusato di tradimento verso lo Stato, ho ammesso la mia colpa, mi sono pentito completamente. Ho una fede illimitata nella giustizia e nella correttezza della decisione della corte e dello Stato... Ora sono onesto in ogni mia parola»
-La lettera di Iakir ristampata in [“Rehabilitation. How It Happened”] volume 2 (2003)

In precedenti paragrafi di questa voce si è già analizzato come i tentativi di "riabilitazione", al di fuori della mera retorica e propagandistica, non hanno prodotto alcun risultato. Il dossier della commissione Shvernik, di cui si sono già citati alcuni stralci in precedenti paragrafi, documento che in teoria avrebbe dovuto dimostrare l'"innocenza" degli imputati dei processi di Mosca e la "colpevolezza" del "dittatore Stalin", altro non hanno fatto che confermare le tesi "staliniste", per di più ritrovando negli archivi ulteriori documenti che dimostrano ancora di più la colpevolezza degli imputati e l'esistenza di "quinte colonne". Sembra che l'unico modo in cui Chruščëv e i suoi uomini siano riusciti a "riabilitare" i "compagni perseguitati" sia stato solo con omissioni, censura e letture parziali. Metodologie non proprio tipiche di un governante democratico, ma di un dittatore senza scrupoli e senza peli sulla lingua, cosa che Chruščëv era. Le riabilitazioni dell'epoca di Gorbaciov, invece, si dimostrano ancora più "menefreghiste" nei confronti dei ritrovamenti delle "commissioni" che vennero istituite. Si è già scritto di come i dossier e le dichiarazioni complete non fossero state pubblicate dal governo di Gorbaciov, in quanto non solo incapaci di dimostrare l'"innocenza" degli imputati presi arbitrariamente come "santini", ma ancor più dei dossier di epoca kruscioviana documenti che fanno riaffiorare ulteriori prove della colpevolezza dei condannati dei processi di Mosca degli anni 1930. Il dittatore Chruščëv, e ancora di più il dittatore Gorbaciov, tutt'altro che interessati alla verità storica, ma piuttosto alla validazione delle loro narrative politiche, hanno rilasciato dichiarazioni che sembrano un copia e incolla di un qualsiasi pamphlet anticomunista, e si è giunti alla situazione paradossale in cui uno storico occidentale, liberale e leggermente influenzato da pregiudizi anticomunisti come Arch Getty[5], nella sua onestà intellettuale, sia stato nei fatti più "comunista" dei "comunisti" del governo di Gorbaciov, che nel 1989 attraverso la "commissione di riabilitazione" del Politburo rilasciarono questa dichiarazione congiunta, fregandosene altamente dei ritrovamenti storici dell'archivio di Harvard avvenuti solo 9 anni prima, di cui sia Getty che Broué avevano all'epoca scritto e approfondito, rivelando al mondo che esisteva effettivamente una cospirazione:

«È stato quindi accertato che dopo il 1927 gli ex trotskisti e zinovievisti non hanno condotto alcuna lotta organizzata contro il partito, non si sono uniti tra loro né su base terroristica né su altre basi, e che il caso del “Centro terroristico unito trotskista-zinovievita” è stato inventato dagli organi del NKVD su ordine diretto e con la partecipazione diretta di J. V. Stalin.»

È necessario ribadire di nuovo che, due anni prima di questa dichiarazione, nel 1987, Arch Getty pubblicò il suo libro in cui, spiegando i suoi studi dell'Archivio di Harvard di Trotskij, dimostrò come in realtà fosse vero l'ESATTO CONTRARIO, e come quindi già per quell'epoca tale dichiarazione fosse menzognera e in malafede.[5] Questo però non dovrebbe stupire affatto, visto che Gorbaciov già in quegli anni si riteneva anticomunista e riteneva il suo scopo quello di "distruggere il comunismo", come ha rivelato nella già citata intervista.[55]

A tal proposito si espresse anche Molotov, amico intimo di Stalin, suo collaboratore, nonché ministro degli esteri sovietico dal 1939 al 1949, in una raccolta di interviste pubblicata postuma nel 1993, nello specifico in un dialogo con il biografo Felix Chuev avvenuto il 22 luglio del 1982, quando ormai era escluso da tempo dalla politica sovietica, a causa di Chruščëv, e non era certo nel suo interesse rilasciare certe dichiarazioni:

«Sono stato oggi alla commissione di controllo del partito. Sulla questione della reintegrazione nel partito. Questa è stata la mia seconda visita. La decisione precedente è rimasta ancora una volta invariata. Il 15 luglio sono stato convocato alla commissione in relazione alla richiesta che ho indirizzato al congresso [...] L'accusa contro di me è la stessa: abuso di potere. Il rapporto scritto da quel membro della commissione (non ricordo il suo nome, era russo ma suonava strano) dice che negli anni '30 furono effettuati 1.370.000 arresti. Sono troppi. Ho risposto che le cifre dovevano essere riviste a fondo e che si verificarono arresti ingiustificati, ma che non saremmo potuti sopravvivere senza ricorrere a misure severe. Prendiamo Tukhachevsky, per esempio. In base a quali basi fu riabilitato? Hai letto i verbali del processo al blocco di destra e trotskista nel 1938? Bucharin, Krestinsky, Rozengolts e altri erano sotto processo allora. Hanno dichiarato senza mezzi termini che nel giugno del 1937 Tukhachevsky aveva premuto per un colpo di stato. Le persone che non hanno letto il verbale continuano dicendo che la testimonianza è stata resa sotto costrizione dai cekisti. Ma io dico che se non avessimo fatto quegli arresti a tappeto negli anni '30, avremmo subito perdite ancora maggiori nella guerra[56]

La Commissione Dewey (1937)

Come già accennato in precedenza, nel 1937 fu creato un organo, nella sua struttura simile in tutto e per tutto alle future commissioni maccartiste e anticomuniste, denominato "Commissione Dewey", dal nome del suo presidente, e guidato principalmente dal Comitato Americano per la Difesa di Lev Trotskij, che a suo tempo già a molti suoi ex membri era sembrato un organismo interessato più alla promozione di narrative in favore del suo eponimo piuttosto che un ente intellettuale e libertario effettivamente a difesa della verità e dei diritti di un perseguitato politico vero o presunto. Lo scopo di questa commissione proto-maccartista, in teoria quello di "scagionare" Trotskij dalle accuse mosse in absentia dai processi di Mosca, in realtà era quello di creare una narrativa ufficiale e unidirezionale che "assolvesse" definitivamente Trotskij, a dispetto della verità effettiva delle cose, e quindi di fatto promuovendo disinformazione e falsità, all'epoca con (discreto) successo, successo che ai nostri giorni, con tutti gli studi fatti sin dall'apertura degli archivi, prima di Harvard nel 1980 e poi gli archivi sovietici nel post 1991, è sublimato in men che non si dica. Il principale "cavillo" cui si è appigliata tale commissione è la questione dell'esistenza o meno dell'Hotel Bristol di Copenhagen; secondo la commissione, creata ad arte per difendere Trotskij, tale Hotel non sarebbe esistito nel 1932, anno in cui Trotskij (come dimostrato dallo studio compiuto da Arch Getty) si è incontrato nella capitale danese con un suo stretto collaboratore per chiedergli di fargli da "postino" nello spedire le ben note lettere a Radek e Sokolnikov, "ex" trotskisti[5]. Come già accennato nella sezione che ha trattato la "collaborazione tattica", come è stata definita dagli autori del libro-inchiesta Il Volo di Piatakov, tra Trotskij e la Germania di Hitler, uno studio del 2008 da parte di Sven-Eric Holmström, menzionato anche nell'introduzione del libro-inchiesta, ha in realtà dimostrato che un edificio denominato "Bristol", nello specifico un bar con un'insegna con scritto "Bristol", adiacente e collegato ad un Hotel senza alcuna insegna, presumibilmente dello stesso nome, esisteva ed era attivo nel 1932. Si è a lungo pensato, prima dell'apertura degli archivi di Trotskij di Harvard nel 1980, che, per quanto improbabile, non fosse totalmente impossibile l'ipotesi trotskista di una possibile "manipolazione" del primo processo di Mosca, ossia quello del 1936 in cui furono imputati Zinoviev e Kamenev, a causa dell'opera di disinformazione che fino ad allora aveva portato gran parte degli accademici ad essere convinti che un "Hotel Bristol" non esistesse a Copenhagen nel 1932. L'apertura degli archivi, e la scoperta della mezza "censura" di essi tramite rimozione di materiale quasi sicuramente compromettente, opera di cui furono probabilmente responsabili Deutscher, biografo di Trotskij, o il suo segretario personale Van Heijenoort, o ancora più probabilmente entrambi[57], ha riaperto le indagini sin dai primi anni 1980, come già dimostrato più volte in questa voce enciclopedica. Il primo processo, nel 1936, che ebbe come imputati Zinoviev e Kamenev, vide gli imputati dichiararsi colpevoli, allo stesso modo il processo del 1937 di Piatakov e Radek, e il processo del 1938 di Bucharin, Rykov e Tomsky. Se nel primo processo, escludendo il suicidio di Tomsky, furono condannati a morte tutti gli imputati, nel secondo processo, che vide diciassette imputati, ne condannò a morte solo tredici, lasciando i rimanenti quattro, tra cui Radek, in vita ma condannati ai lavori forzati con pene dagli 8 ai 15 anni, e nel terzo processo, dei ventuno imputati diciotto vennero condannati a morte e i rimanenti tre ai lavori forzati con pene dai 15 ai 25 anni. I principali deputati in absentia dei tre processi furono Trotskij e il figlio Sedov (in realtà risultante imputato solo nei primi due), e per i primi due processi fu stabilito nella sentenza che se gli individui si fossero trovati su suolo sovietico sarebbero stati arrestati immediatamente[58]. Come già approfondito in altri paragrafi, per quanto vi fosse una reazione mista ai processi di Mosca all'estero, i verbali dei processi furono tradotti in diverse lingue, tra cui Inglese e Francese, e pubblicati per poter essere letti da tutti, e, ad eccezione degli organi di propaganda più spinti, una buona fetta dell'opinione pubblica, incluse anche, come già accennato, personalità di ispirazione politica socialdemocratica, liberale o comunque estranee al comunismo, reputò i processi come tutto sommato legittimi. Da 1937, vale a dire da poco dopo le sentenze del secondo processo, divenne interesse di Trotskij "rispondere" pubblicamente ai processi con un suo "contro-processo". I lavori furono organizzati dal già menzionato Comitato Americano per la Difesa di Leon Trotskij (CADLT) a partire dal Marzo del 1937, e, su richiesta di Trotskij, fu deciso che la sede del comitato dovesse avere luogo in Messico, dove Trotskij ormai viveva in esilio. La commissione iniziò ad essere "operativa" dal 10 al 17 Aprile del 1937, la sua sede fu la residenza di Trotskij a Coyoacan, in Messico, il presidente della commissione fu il filosofo e pedagogo John Dewey, il suo segretario fu l'autrice femminista Suzanne La Follette, e gli altri membri furono Carleton Beals, autore specializzato sull'America Latina, l'ex deputato socialdemocratico tedesco Otto Ruehle, e l'autore e giornalista Benjamin Stolberg. Dal punto di vista "giudiziario" avrebbero presenziato Albert Goldman come avvocato di Trotskij e John F. Finerty, avvocato che aveva difeso Sacco e Vanzetti. Dewey, La Follette, Stolberg e Goldman erano membri del CADLT. Gli unici veri e propri "testimoni" furono, oltre allo stesso Trotskij, il suo ex segretario personale Jan Frankel. Fu inviato un "invito" all'ambasciata sovietica negli USA a inviare un loro rappresentante alla "commissione", ma l'ambasciatore, Aleksandr Trojanovskij, rispose condannando la commissione come una farsa ideata ad arte per difendere Trotskij a priori. Furono allestite altre due sub-commissioni, una a Parigi per occuparsi del caso del figlio di Trotskij, Sedov, e un'altra a New York per presenziare per i membri presenti a New York in quel momento. I "lavori" si conclusero il 21 settembre del 1937, con una (prevedibile) sentenza di assoluzione per Trotskij e il figlio Sedov da tutte le accuse, in 247 paragrafi. I trascritti della commissione furono pubblicati in un libro intitolato The Case of Leon Trotskij, e successivamente i trascritti delle "sentenze" furono pubblicati in un libro intitolato Not Guilty[59]. I lavori di questa "commissione", e in particolare il nodo gordiano dell'Hotel Bristol, sono stati alla base dei principali lavori di studi di storia dell'Unione Sovietica e dei Processi di Mosca nelle accademie occidentali, da sempre, come è ben noto, influenzate da pregiudizi politici (si pensi al già citato paradigma anti-Stalin identificato da Furr, o ancora al paradigma totalitario come definito da Getty). Oltre a non avere senso l'appigliarsi alla memoria personale di un individuo, in quanto è fatto comune non ricordare precisamente i dettagli di questo o quel viaggio avvenuti anni addietro rispetto al momento in cui se ne ha memoria, ha ancora meno senso il fatto che la narrativa della vulgata anticomunista in merito alla questione dell'Hotel Bristol e dei processi di Mosca si basi esclusivamente su due fonti, palesemente parziali, di parte, e quindi inaffidabili, ossia la Commissione Dewey in questione e l'opera del disertore sovietico, ex trotskista poi divenuto sostenitore dei neocon americani, Alexander Orlov, ossia The Secret Story of Stalin's Crimes, pubblicata solo nel 1953, dopo la morte di Stalin e all'indomani della cosiddetta "de-stalinizzazione". La credibilità di questo Orlov, tra l'altro, è venuta meno ancora di più non appena il suo file personale, rilasciato dal KGB nel 1990, è divenuto di pubblico dominio. J. Arch. Getty, in particolare, scrisse nelle conclusioni del suo primo testo di studio sui processi di Mosca e le "grandi purghe":

«I lettori che hanno familiarità con gli scritti precedenti sulle Grandi Purghe degli anni Trenta avranno notato che il presente lavoro si basa su una base di fonti piuttosto diversa. Qui predominano fonti di archivio e di stampa, e il vasto corpus di memorie di emigrati e di scritti clandestini sovietici (samizdat) ha avuto un ruolo marginale nel presente resoconto. Questa scelta è stata deliberata e si basava su basi metodologiche. La storia sovietica non ha una tradizione di critica responsabile delle fonti. Gli studiosi si sono presi pochi impegni per valutare pregiudizi, autenticità o paternità. Gli specialisti hanno accettato "fonti" che, per comprensibili ragioni, sono attribuite in forma anonima ("Memorie inedite di '__________'"), e le trattano come primarie. Date le difficoltà di fonte, questa tendenza è comprensibile ma non difendibile. Poiché gran parte della scrittura sulle "Grandi purghe" discende da, e si basa su, un'accettazione piuttosto acritica di questi resoconti, è importante esaminare in dettaglio alcuni di quelli più influenti. Probabilmente la "fonte" più fondamentale e basilare sui piani di Stalin e sui meccanismi interni dell'NKVD di Yezhov è quella di Alexander Orlov. The Secret History of Stalin's Crimes è il suo resoconto "interno" delle Grandi purghe. Orlov è la fonte del primo e più citato resoconto della partecipazione di Stalin e della direzione dell'assassinio di Kirov e dei successivi processi farsa ed è la "pistola fumante" dell'omicidio di Kirov. Orlov era un agente dell'NKVD nel "Dipartimento Esteri" dell'organizzazione, e ci si aspetterebbe quindi che il suo informazioni di prima mano. Tuttavia, durante l'intero periodo delle "Grandi purghe", Orlov era un capo dell'NKVD in Spagna durante la guerra civile. Fu in Unione Sovietica solo due volte per brevi visite di pochi giorni ciascuna, e le sue "informazioni" si basano su pettegolezzi di corridoio che raccolse tra alcuni dei suoi amici dell'NKVD durante quelle brevi visite. Per sua stessa ammissione, sapeva poco di ciò che stava accadendo al Cremlino. Aveva sentito dell'esecuzione di Tukhachevsky alla radio francese. Tutto questo a parte qualsiasi considerazione di possibile pregiudizio politico. Nel caso di Orlov, persino un difensore ammetterebbe che la sua credibilità è passibile di impeachment. Innanzitutto, non c'è nulla nelle memorie di Orlov sulla sua principale occupazione all'epoca: le operazioni dell'NKVD in Spagna. Il ruolo piuttosto sordido della polizia in Spagna nell'esecuzione di oppositori e devianti tra le forze repubblicane è ben noto e un osservatore ha suggerito che le mani di Orlov erano rosse come quelle di Yezhov. Dopo che Orlov disertò negli Stati Uniti, lavorò per l'intelligence americana, testimoniando davanti a vari comitati del Congresso nei primi anni '50 sulle tecniche di spionaggio sovietico nell'Europa della Guerra Fredda. Poiché il suo libro fu scritto in questo periodo, ci si potrebbe legittimamente chiedere se i suoi nuovi amici, le sue lealtà e le sue prospettive abbiano influenzato il suo racconto. Normalmente, la testimonianza di un agente stalinista, assassino di massa ed ex spia sarebbe stata sottoposta almeno a un minimo di attenzione critica e dubbio. Ma la questione della faziosità politica non fa che aggravare il problema principale della fonte Orlov: la mancanza di prossimità agli eventi.[60]»

Sin dagli anni 80 è quindi stata smentita la validità di una delle principali "fonti" delle accademie anticomuniste di "storiografia" propagandistica occidentale liberal-capitalista, per di più da parte di uno storico borghese di ideologia liberale. Per quanto riguarda invece la seconda "fonte" usata dalla propaganda anticomunista per difendere Trotskij e negare la validità dei processi di Mosca, essa ha avuto origine dalla Commissione Dewey, e nello specifico dalla risposta di questo organismo in merito alla testimonianza di Eduard Gol'tsman (chiamato "Holtzman" nella traduzione inglese dei verbali del processo), già citato, anche da Getty[60], come collaboratore di Trotskij con cui ebbe un incontro a Copenhagen nel 1932, incontro di cui da conferma durante il processo in cui risulta imputato nel 1936.

«Proseguendo, Holtzman dice: "Siamo partiti. Non ricordo la strada. Sedov mi ha portato in un appartamento. Non c'era nessuno. Era al quarto piano. Lì gli ho dato il rapporto e il codice segreto... Così l'ho incontrato sei o otto volte nel corso di quattro mesi. A novembre ho telefonato di nuovo a Sedov e ci siamo incontrati ancora una volta. Sedov mi ha detto: 'Dato che stai andando in URSS, sarebbe una buona cosa se venissi con me a Copenaghen dove si trova mio padre'".

Vyshinsky: Cioè?

Holtzman: Cioè, Trotskij.

Vyshinsky: Ci sei andato?

Holtzman: Accettai, ma gli dissi che non potevamo andare insieme per motivi di segretezza. Mi accordai con Sedov per essere a Copenaghen entro due o tre giorni, per alloggiare all'Hotel Bristol e incontrarlo lì. Sono andato direttamente all'hotel dalla stazione e nella sala d'attesa ho incontrato Sedov.

Verso le 10 del mattino siamo andati da Trotskij. Quando siamo arrivati ​​Trotskij mi ha chiesto innanzitutto dei sentimenti e dell'atteggiamento della massa dei membri del Partito nei confronti di Stalin. Gli ho detto che avevo intenzione di lasciare Copenaghen quel giorno e sarei partito per l'URSS entro diversi giorni. Poi Trotskij, camminando su e giù per la stanza in uno stato piuttosto eccitato, mi ha detto che stava preparando una lettera per Smirnov, ma poiché stavo partendo quel giorno non l'avrebbe scritta. Devo dire che durante questa conversazione sono rimasto solo con Trotskij. Molto spesso il figlio di Trotskij, Sedov, entrava e usciva dalla stanza.[61]»

Posizione ufficiale della disinformazione trotskista in merito all'Hotel Bristol

Trotskij, non potendo negare di aver visitato Copenhagen su invito dei socialdemocratici danesi il 23 novembre del 1932, in virtù di una già citata intervista che egli stesso rilasciò, menzionata nel testo di Burgio, Leoni e Sidoli, ha intelligentemente confermato di essere stato a Copenhagen nel 1932, ma ha negato l'esistenza di un Hotel Bristol nella capitale danese. Non potendovi essere strumenti, all'epoca, per poter dimostrare il contrario, a seguito della pubblicazione dei "lavori" della Commissione Dewey nel 1937 il primo processo di Mosca, quello del 1936, subì un piccolo colpo alla sua credibilità. L'efficacia di tale azione di disinformazione trotskista mostrò la sua efficacia quando il principale giornale dei socialdemocratici danesi, il Social-Demokraten, pubblicò in prima pagina, nel numero del 1 settembre 1936, un articolo in difesa di Trotskij in cui affermava che l'Hotel Bristol a Copenhagen avesse chiuso i battenti dal 1917[62].

Prime contro-investigazioni da parte del Partito Comunista Danese

Il 29 Gennaio 1937, sull'Arbejderbladet, organo del Partito Comunista Danese, fu pubblicato un articolo dal suo redattore, Martin Nielsen, che criticò il pamphlet del socialdemocratico austriaco Friedrich Adler intitolato The Witchcraft Trial in Moscow. Nell'articolo Nielsen sottolineava che c'era un hotel, il Grand Hotel, vicino alla stazione ferroviaria di Copenaghen. Affermava inoltre che collegato all'hotel nel 1932 c'era il "Konditori Bristol", o caffè Bristol. L'articolo dell'Arbejderbladet riproduceva un diagramma che pretendeva di mostrare che dal 1929 al 1936 il caffè Bristol aveva una porta interna che collegava direttamente con il Grand Hotel. Fu anche pubblicata una foto che mostrava il caffè Bristol come appariva nel gennaio 1937 al momento dell'articolo di Nielsen. Nielsen ha concluso:

«Con riferimento a questi fatti non è difficile concludere che almeno tra gli stranieri era accaduto che il nome internazionalmente noto del caffè "Bristol" fosse diventato sinonimo del nome dell'hotel, e non dubito affatto che quando l'imputato Gol'tsman all'interrogatorio disse: "Sono andato all'hotel direttamente dalla stazione e nella sala ho incontrato Sedov", era nella sala del Grand Hotel che si erano incontrati!»

Nel marzo 1937 la rivista Soviet Russia Today (una rivista pubblicata a New York da un'organizzazione chiamata "Friends of the Soviet Union") pubblicò la foto del 1937 sopra menzionata con il seguente commento:

«I trotskisti hanno fatto un'ottima osservazione sul fatto che un certo "Hotel Bristol" menzionato da Holzman nel processo Zinoviev-Kamenev come luogo del suo incontro con Sedov, non esiste. In realtà, tuttavia, nel 1932 c'era e c'è oggi, proprio di fronte alla stazione centrale di Copenaghen, un "Café Bristol". Il Bristol è proprio accanto al Grand Hotel e al momento dell'incontro tra Sedov e Holzman aveva un ingresso in comune con esso[62]»


La questione dell'Hotel Bristol presso la Commissione Dewey

La commissione Dewey, ignorando la fonte diretta dell'articolo dei comunisti danesi con la fotografia del Bar Bristol, si accanì invece contro la pubblicazione della fotografia di Soviet Russia Today. Goldman, l'avvocato di Trotskij, affermo, sulla base di nessuna prova ma solo di assunti a priori, che la foto pubblicata fosse un falso, un fotomontaggio. Questo però risulta in contraddizione con le stesse dichiarazioni della commissione, nello specifico la dichiarazione scritta dei coniugi Esther e B.J Field, che affermarono, sì, di aver soggiornato insieme a Trotskij a Copenhagen, ma presso il "Grand Hotel". Esther Field nello specifico dichiarò:

«Proprio accanto all'entrata dell'hotel, e quello che appare come una grande macchia nera nella foto, è in realtà la posizione del bar accanto al Grand Hotel; e non è il Konditori Bristol! Il Konditori Bristol non è accanto, ma in realtà a diverse porte di distanza, a una certa distanza dall'hotel, e non ne faceva parte in alcun modo, e non c'era nessuna porta che collegasse il Konditori ("negozio di dolciumi" come verrebbe chiamato qui) e il Grand Hotel! Sebbene ci fosse un tale ingresso al bar che è oscurato nella foto, e che non era il Bristol. [...] In effetti, una volta abbiamo comprato dei dolciumi al Konditori Bristol, e possiamo affermare con certezza che non aveva un vestibolo, una hall o una sala in comune con il Grand Hotel o qualsiasi altro hotel, e non poteva essere scambiato per un hotel in alcun modo, e l'ingresso all'hotel non poteva essere ottenuto attraverso di esso.[63]»


Pertanto, secondo le dichiarazioni giurate scritte della coppia Field in merito alla posizione di Bristol, abbiamo la seguente situazione: prima abbiamo il Grand Hotel, poi un altro bar "accanto al Grand Hotel", poi "diverse porte" (diverse attività) e infine il Konditori Bristol. Interrogato su questo punto da Benjamin Stolberg, Goldman non è stato in grado di nominare questo presunto altro bar, ma ha indirizzato la questione alla prossima udienza a New York con la coppia Field. Tuttavia, durante l'udienza a New York non è stato fornito alcun nome di questo presunto secondo bar da parte loro. Holmström usa il termine "presunto" deliberatamente, come sarà presto chiaro. La Commissione Dewey presentò anche una lettera e una dichiarazione giurata scritta di A. Vikelsø Jensen che si identificò come membro del gruppo studentesco socialdemocratico che aveva invitato Trotskij a Copenaghen:


«(d) Due fotografie del Konditori Bristol e del Grand Hotel, trasmesse alla Commissione da A. Vikelsø Jensen di Copenaghen, che mostrano un'edicola e due negozi tra la pasticceria e l'hotel, dove la fotografia citata sopra è nera; inoltre, sopra l'ingresso dell'hotel, un'insegna elettrica orizzontale, "Grand Hotel", e tra due grandi finestre un ingresso al bar, che non compaiono nella fotografia di Soviet Russia Today. (Ibid., S II, Allegato 7, b. c.) Queste due fotografie corroborano la testimonianza del signor e della signora Field in merito alla relazione tra il Grand Hotel e il Bristol Café o Confectionery. Tuttavia, Jensen ci scrive che nel 1932 la Confectionery era, come lui ricorda, situata dove si trovano oggi i due negozi. [Enfasi aggiunta] (e) . . . Jensen fa riferimento a una planimetria della Bristol Confectionery e del Grand Hotel apparsa su Arbeiderbladet (organo del Partito Comunista di Copenaghen) il 29 gennaio 1937, che, a suo dire, travisa completamente la relazione tra i due. Afferma che l'ingresso della Confectionery non era immediatamente accanto all'edicola dei giornali mostrata tra quell'ingresso e l'ingresso dell'hotel, ma più a destra, così che per raggiungere la Confectionery era necessario passare attraverso i negozi sulla destra che si potevano vedere dalla strada. A quel tempo c'era una porta che collegava la hall dell'hotel con i locali di servizio della Confectionery; ma era usata principalmente dal personale dell'hotel e solo raramente dagli ospiti. Secondo l'ispettore dell'hotel, afferma, una persona normale non avrebbe mai potuto confondere le due preoccupazioni e quindi nessun "Hotel Bristol" poteva derivare da una tale confusione. Nel 1936, afferma, la Confetteria fu spostata di una casa a destra, facendo spazio a tre negozi. (Ibid., S II, Allegato 6) [enfasi aggiunta][64]»

Nella sua deliberazione del settembre 1937 la Commissione Dewey commentò la questione del Grand Hotel e del caffè Bristol come segue:


«Il fatto che nel 1932 non ci fosse un Hotel Bristol a Copenaghen è ormai di dominio pubblico. Sarebbe stato ovviamente impossibile per Holtzman incontrare Sedov nella hall di un Hotel Bristol. Eppure Holtzman ha chiaramente dichiarato di aver organizzato di "alloggiare" all'Hotel Bristol e di incontrarvi Sedov; e che si sono incontrati nella lounge... Ci sono le seguenti possibili spiegazioni: (1) Holtzman potrebbe aver organizzato di incontrare Sedov in qualche hotel che ricordava erroneamente come il Bristol. (2) Potrebbe aver organizzato di incontrarlo nella Bristol Confectionery. Ma se la versione inglese del verbale è corretta, ha organizzato di "alloggiare" all'Hotel Bristol, e non si organizza di "alloggiare" in una confectionery. Inoltre, ha dichiarato di aver incontrato Sedov nella lounge... (3) C'è anche la possibilità che Holtzman abbia confuso il Grand Hotel con il Bristol Café. Ma un simile errore deve aver sconcertato Sedov, che non era mai stato a Copenaghen. ... In tali circostanze, come sostiene correttamente Trotskij, Holtzman avrebbe potuto commettere un simile errore solo prima della riunione. Dopo la riunione, la confusione si sarebbe impressa nella sua mente e non avrebbe potuto, al processo, parlare di una riunione al Bristol Hotel.[65]»


Questo paragrafo è un'evasione. Vedremo che c'è almeno un'altra spiegazione che si adatta meglio alle prove di queste tre ipotesi.


Esame delle prove

Articoli del Social-Demokraten e dell'Arbejderbladet

Il primo esame delle prove fatto da Holmström, in merito all'articolo del Social-Demokraten, ha avuto esito "positivo": c'è effettivamente stato un "Hotel Bristol" a Copenhagen, che chiuse i battenti nel 1917, salvo poi riaprire una volta venduto ad una compagnia assicurativa che trasformò l'edificio nella sede dei suoi uffici. Il secondo esame delle prove di Holmström, riguardante l'articolo dell'Arbejderbladet, invece, è stato più complesso, in quanto ha richiesto di comprendere principalmente due punti: in primis, se vi fosse effettivamente un "Bar Bristol" adiacente al Grand Hotel di Copenhagen nel 1932, in secundis se il bar adiacente al Grand Hotel si chiamasse "Bristol", o se il "Bar Bristol" si trovasse a diversi edifici di distanza dall'albergo.

Elenchi telefonici e degli indirizzi di Copenhagen

Fortunatamente, Holmström ha potuto consultare gli archivi storici degli elenchi telefonici e degli indirizzi di Copenhagen. Nello specifico, consultando l'archivio degli indirizzi, ossia il Kraks Vejviser, nell'edizione del 1933 stampata nel tardo 1932, Holmström ha potuto constatare che il Grand Hotel e il Konditori Bristol risultavano allo stesso indirizzo, ossia Vesterbrogade 9A, cosa che non risultava per altri bar o attività simili nell'area. Al contrario, nell'edizione del 1937 di Kraks Vejviser, stampata alla fine del 1936, il Konditori Bristol si trova a un indirizzo diverso: Vesterbrogade 9B. Secondo l'articolo di Nielsen, ciò avvenne perché il Grand Hotel subì una ricostruzione nel 1936, che ebbe come conseguenza lo spostamento del Bristol più avanti lungo la strada, verso Colbjørnsensgade. Questi fatti sono corroborati dalle dichiarazioni giurate presentate alla Commissione Dewey. Kraks Vejviser del 1936, stampato alla fine del 1935, mostra il Bristol in Vesterbrogade 9A alla fine del 1935. Entro la fine del 1936 il bar si era trasferito in Vesterbrogade 9B, come si può vedere nella figura sottostante. Ciò corrobora l'affermazione di Nielsen. Il Konditori Bristol rimase a questo indirizzo fino alla chiusura, avvenuta alla fine degli anni '60. Alla fine del 1936, in Vesterbrogade 9A c'erano anche tre negozi: un'edicola, un barbiere e un negozio fotografico. Holmström ha consultato anche l'elenco telefonico di Copenaghen, Telefon Haandbog. Nell'edizione del 1933 stampata nel gennaio 1933 - due mesi dopo il presunto incontro tra Trotskij e Gol'tsman - è anche evidente che il Konditori Bristol si trovava in Vesterbrogade 9A. Nell'edizione del 1937 possiamo vedere che Bristol si è trasferita a Vesterbrogade 9B. L'elenco telefonico conferma l'elenco stradale. Vi è solo una piccola discrepanza tra gli elenchi telefonici e gli elenchi stradali, nei primi, l'indirizzo del Grand Hotel, anziché essere riportato come Vesterbrogade 9A, è semplicemente riportato come Vesterbrogade 9. Fortunatamente vi sono anche materiali fotografici a disposizione a dimostrare la verità storica in merito all'esistenza di un "Hotel Bristol". Abbiamo una foto del 1929 e una seconda del 1931 che è stata stampata nell'edizione del 1932 di Kraks Vejviser. Iniziamo con una vista dettagliata di una parte della foto del 1929. Fa parte della collezione del Københavns Bymuseum (il Museo di Copenaghen) ed è stata scattata nel giugno 1929. Non c'è alcun cartello che indichi l'ingresso del Grand Hotel, che si trova sotto la freccia. Ulteriori indagini hanno rivelato che a quel tempo era gestito come una pensione. Il Grand Hotel è menzionato nell'edizione del 1931 di Kraks Vejviser ma non in quella del 1930. Ciò riflette il fatto che nel 1930 l'hotel è stato trasformato da pensione in un normale hotel di passaggio.

Passiamo ora a confrontare le dichiarazioni giurate presentate alla Commissione Dewey con le nostre fonti primarie. È chiaro che la dichiarazione giurata di Esther Field è errata. La sua affermazione che nel 1932 ci fosse un altro bar, ma non il Bristol, collegato all'hotel, è completamente incoerente con i fatti. Possiamo vedere dalle fonti primarie che nessun altro bar, tranne il Bristol, era collegato al Grand Hotel nel 1932, quando i Field affermarono di essere lì. Nel 1937 non c'era nessun bar collegato all'hotel. Esther Field sta descrivendo una situazione che non esisteva né nel 1937 né nel 1932. Ciò è sostanzialmente vero anche per quanto riguarda la dichiarazione giurata di Vikelsø Jensen. Vikelsø Jensen ha scritto che tra l'hotel e Bristol c'erano un chiosco di giornali e due negozi. Ciò è coerente con la situazione esistente nel 1937. L'elenco stradale ci mostra che nel 1937 c'erano un chiosco, un barbiere e un negozio di fotografia in Vesterbrogade 9A. Tuttavia, Gol'tsman affermò di aver incontrato Trotskij nel 1932, e nel 1932 la situazione era diversa. Vikelsø Jensen lo ammette nella sua dichiarazione giurata. Ma più tardi, quando commenta il diagramma in Arbejderbladet, confonde ancora una volta la situazione nel 1932 con quella del 1937. L'affermazione di Vikelsø Jensen secondo cui il proprietario del Grand Hotel era sposato con il proprietario del Bristol è confermata da Kraks Vejviser, dove il proprietario del Grand Hotel, il signor Axel Andresen, è menzionato anche come proprietario del Bristol[66].

Possibili spiegazioni in merito alla frase di Gol'tsman sull'"Hotel Bristol"

Ci sono tre ipotesi (possibili spiegazioni) per l’affermazione di Gol’tsman sull’incontro con Sedov all’“Hotel Bristol”:

  • L'NKVD lo inventò e mise le parole in bocca a Gol'tsman;
  • Lo stesso Gol'tsman lo inventò per qualche ragione sconosciuta;
  • Gol'tsman disse la verità ma ricordò male il nome del Grand Hotel come "Hotel Bristol".

Consideriamo la prima ipotesi. Secondo Alexander Orlov (che è già stato appurato da Getty essere una fonte inattendibile e menzognera), l'errore dell'"Hotel Bristol" è avvenuto perché nel fabbricare la storia l'NKVD ha confuso Oslo e Copenaghen, credendo erroneamente che l'Hotel Bristol di Oslo si trovasse a Copenaghen. Ora, grazie al Kraks Vejviser del 1933 possiamo escludere questa possibilità. Se l'NKVD avesse creato questa storia e l'avesse messa in bocca a Gol'tsman, significherebbe che:
1) L'NKVD inventò un albergo fittizio chiamato Bristol
2) Lo hanno localizzato vicino alla stazione ferroviaria principale di Copenaghen dove, per puro caso, si è verificata la seguente situazione:
3) C'era un vero hotel che aveva un bar
(a)Subito accanto;
(b)Che si chiamava "Bristol"; e
(c)C'era un grande cartello proprio accanto e sopra la porta con la parola "BRISTOL" sopra; mentre
(d)L'ingresso dell'hotel proprio accanto non aveva alcun cartello chiaramente visibile, inoltre
(e)L'hotel e il bar Bristol condividevano anche un passaggio interno comune; e
(f)Appartenevano allo stesso proprietario, in modo che qualsiasi confusione di nomi tra l'hotel e il bar non gli avrebbe causato alcun inconveniente.

Questa è una coincidenza troppo grande. Per la logica del Rasoio di Ockham possiamo scartare l'ipotesi che l'NKVD abbia inventato questa storia. Naturalmente non ci sono mai state prove che l'NKVD abbia inventato la storia di Gol'tsman. Questa "teoria" è stata un'invenzione di Alexander Orlov, che ha mentito molte volte nel suo libro. Allo stesso modo non ci sono prove che Gol'tsman abbia inventato la storia da solo. In ogni caso valgono le stesse obiezioni: sarebbe stata una coincidenza altrettanto grande per Gol'tsman inventare questa storia quanto per l'NKVD. Ci resta da indagare l'ipotesi che Gol'tsman abbia detto la verità. Poiché questa è l'unica possibilità rimasta, saremmo costretti per la logica dell'esclusione a giungere a questa conclusione in ogni caso. Tuttavia, ora possiamo supportare questa conclusione anche su basi probatorie.

I cartelli con scritto "Grand Hotel"

La testimonianza di Gol’tsman sulle circostanze in cui incontrò Sedov significa che egli avrebbe potuto arrivare a Copenaghen solo da Berlino con il treno notturno. Questo treno, se fosse stato puntuale, sarebbe arrivato a Copenaghen alle 6.05 del mattino. Fuori sarebbe stato ancora buio; il sole non sorge a Copenaghen in questo periodo dell'anno prima delle 8 del mattino. La stazione ferroviaria principale di Copenaghen si trova proprio di fronte al Grand Hotel. Non sappiamo se l'insegna dell'hotel in alto sull'edificio sul lato di Reventlowsgade fosse illuminata o meno. Anche se lo fosse, è abbastanza possibile che Gol’tsman non abbia visto l'insegna o che non se la ricordasse. La cosa fondamentale è questa: l'insegna dell'hotel non indicava l'ingresso dell'hotel. Confrontando le foto del Bristol del 1937 con quelle precedenti, possiamo vedere che nel 1937 c'era un cartello luminoso dell'hotel vicino all'ingresso dell'hotel che non c'era nelle foto del 1929 e del 1931. Sappiamo già che fino al 1936 gli ingressi del Bristol Café e dell'hotel erano adiacenti. È improbabile che questi due fatti non siano collegati. Il cartello fu probabilmente installato quando il Bristol Café si trasferì a due porte di distanza dall'hotel. Secondo Vikelsø Jensen, testimone della Commissione Dewey, e Nielsen, autore dell'articolo sul giornale comunista Arbejderbladet, ciò avvenne nel 1936; le loro dichiarazioni sono inoltre coerenti con le prove che abbiamo addotto da Kraks Vejviser e dall'elenco telefonico. A quel tempo divenne necessario installare il cartello che sporgeva ad angolo retto o quasi dal muro del Grand Hotel vicino alla porta, per informare i potenziali ospiti dove si trovava l'ingresso dell'hotel. Quando l'hotel era una pensione, prima del 1930, non c'era bisogno di un cartello vicino alla porta. I residenti di lunga data della pensione sapevano dove si trovava l'ingresso proprio come qualsiasi residente sa dove si trova il suo condominio senza bisogno di un cartello. Quando l'hotel e il bar erano adiacenti l'uno all'altro, chiunque entrasse nel Bristol Café poteva facilmente passare attraverso la porta interna per entrare nella hall dell'hotel. Senza dubbio non solo Gol'tsman, ma anche altre persone - cosa che Nielsen nota nel suo articolo - confondevano regolarmente l'ingresso dell'hotel con l'ingresso del bar Bristol. Ma non era un problema finché l'hotel e il bar erano collegati tra loro tramite questa porta, e di proprietà dello stesso proprietario. Ma una volta che il bar fu spostato in modo che non fosse più adiacente all'hotel nel 1936, la grande insegna "Bristol" non si trovava più accanto all'ingresso del Grand Hotel. Per riassumere: dopo il 1936, quando il bar si era trasferito a poche porte di distanza dall'hotel e l'hotel aveva eretto un cartello accanto alla porta, non era più possibile confondere l'ingresso dell'hotel con quello del bar. Ma prima era stato facile e, in effetti, naturale confonderli. La fotografia del giugno 1929 del Museum of Copenhagen chiarisce che il grande cartello “Bristol” sopra e a destra dell’entrata del Konditori è di gran lunga il cartello più in vista sul lato di questo edificio. Solo questo può essere letto facilmente dall’altra parte della strada, vicino alla stazione ferroviaria, dove il fotografo si trovava nel giugno 1929. Nel giugno 1929, il cartello “Bristol” era l’unico punto di riferimento che consentiva di individuare l’entrata del Grand Hotel. Non abbiamo prove che la situazione fosse cambiata entro il 1932, quando Gol’tsman disse di aver fatto il suo viaggio. Sedov avrebbe potuto dire a Gol’tsman qualcosa del tipo: «Quando arrivi a Copenaghen, esci dalla stazione ferroviaria attraverso l’ingresso di Vesterbrogade. Poi vai a sinistra e attraversa la strada dalla stazione ferroviaria. Vedrai un grande cartello con il nome BRISTOL. A sinistra di quel cartello c’è una porta girevole. Quello è l’ingresso dell’hotel. Ti aspetterò lì.» Secondo la ricostruzione di Holmström, Sedov deve averlo fatto. Non c’era nessun altro punto di riferimento vicino all’ingresso dell’hotel, nessun altro modo di identificare quell’ingresso se non con riferimento all’unica caratteristica importante di questo edificio: il cartello “Bristol”. La teoria più plausibile è che Gol'tsman abbia incontrato Sedov alla porta girevole vicino al cartello. Quattro anni dopo ricordava l'hotel come Hotel Bristol. Questo è il tipo di errore che chiunque può fare, soprattutto dopo un viaggio in treno di tutta la notte, al buio e quando si è eccitati o agitati perché il viaggio è clandestino e illegale. La prova del nuovo cartello presente nelle fotografie del 1937 discusse sopra suggerisce che molti altri viaggiatori potrebbero aver fatto la stessa confusione prima e dopo Gol'tsman. L'argomentazione di Nielsen secondo cui Gol'tsman ha confuso il nome dell'hotel con il nome del bar quattro anni dopo deve essere considerata non solo plausibile, ma è l'unico scenario plausibile. Pertanto questa è una forte prova che Gol'tsman ha detto la verità[67].

Le menzogne di Trotskij e dei suoi testimoni in merito alla questione dell'"Hotel Bristol"

Il 9 febbraio 1937, Trotskij fece la seguente dichiarazione in un discorso che tenne telefonicamente al New York Hippodrome Meeting:

«A differenza degli altri imputati, Holtzman indicò la data: 23-25 ​​novembre 1932[68]»

In realtà, Gol’tsman non ha mai indicato alcuna data nella sua testimonianza. Ha solo detto che l’incontro ha avuto luogo nel novembre 1932. Anche un tentativo superficiale di controllare ciò che Trotskij ha detto con la trascrizione del processo rivela questo errore. Com'è possibile che Trotskij si sia tradito come un pollo nei riguardi di una materia di così vitale importanza per lui? Era così disperato nel cercare una confutazione da limitarsi ad aggrapparsi a un filo di paglia? O aveva capito correttamente che la Commissione Dewey e i mass media, desiderosi di incriminare l’Unione Sovietica, non avrebbero esaminato troppo da vicino i tentativi di Trotskij di provare la sua innocenza, come, in effetti, si è rivelato essere il caso? I fatti che abbiamo scoperto da fonti primarie sono incompatibili con le dichiarazioni fatte dinnanzi alla Commissione Dewey. Nella sua testimonianza del 12 aprile 1937, Trotskij negò di aver avuto contatti con Gol'tsman dal 1927:

«GOLDMAN: Ha avuto in qualche modo comunicazioni con un certo Holtzman da quando hai lasciato la Russia?
TROTSKIJ: Mai.
GOLDMAN: Direttamente o indirettamente?
TROTSKIJ: Mai.

»

I documenti conservati nell'archivio Trotskij di Harvard smentiscono questa ipotesi:

«A un certo punto nell'ottobre [1932], E. S. Gol'tsman, un ex trotskista e attuale funzionario sovietico, incontrò Sedov a Berlino e gli diede una proposta del veterano trotskista Ivan Smirnov e di altri oppositori di sinistra nell'URSS per la formazione di un blocco di opposizione unito[69]

Questa tesi viene confutata anche da Sedov nel suo Libro rosso sui processi di Mosca:

«Questi due fatti, ovvero che gli incontri di Smirnov e Holtzman con Sedov hanno avuto luogo, sono le uniche gocce di verità nel mare di bugie del processo di Mosca[70]

Sedov mediava le discussioni tra Gol'tsman e Trotskij. Ciò costituisce una "comunicazione indiretta" con Gol'tsman. Pertanto, negando qualsiasi comunicazione tra lui e Gol'tsman dal 1927, Trotskij stava mentendo. Evidentemente si era semplicemente dimenticato che suo figlio aveva già ammesso di aver avuto comunicazioni indirette con Gol'tsman, e i compilatori del rapporto della Commissione Dewey trascurarono di rendersene conto, o se ne resero conto e pensarono che fosse meglio non menzionarlo! Esther Field ha affermato che nel 1932 c'era un altro bar senza nome collegato al Grand Hotel, poi altri negozi e poi il Konditori Bristol. In effetti, questo era in parte il caso nel 1937. Abbiamo dimostrato che non era così nel 1932. Esther Field ha affermato che al momento della sua visita a Copenaghen nel 1932, aveva acquistato caramelle al Konditori Bristol e che non era adiacente al Grand Hotel. Anche questo è palesemente falso. Questi errori sono di tale portata che possiamo escludere qualsiasi "errore onesto" nella sua dichiarazione giurata. Se ha acquistato le caramelle nel posto in cui ha detto di averle acquistate nel 1932, significa che le ha acquistate nella sala espositiva della Citroën. La probabilità di confondere un bar con una sala espositiva di automobili deve essere considerata quantomeno esigua. Sembra probabile che abbiano approfittato del testo fotografico errato in Soviet Russia Today. La rivista ha affermato che lì il Grand Hotel era ancora adiacente al Konditori Bristol nel 1937. Non era così. Ciò potrebbe aver dato ai Fields, o più probabilmente a Trotskij, come sosterremo più avanti, la possibilità di dimostrare che la rivista filosovietica stava mentendo sul fatto che l'hotel e il bar erano adiacenti. Ma i Fields concordarono tacitamente con l'affermazione della rivista secondo cui le posizioni relative dell'hotel e del bar nel 1937 erano le stesse di quelle del 1932, e non era così. Va precisato che i coniugi Fields erano dichiaratamente trotskisti, al punto da aver creato una micro-sezione del movimento trotskista nota come "Field Group", e quindi molto probabilmente hanno mentito per coprire il loro "eroe" politico[71].

La Commissione Dewey come commissione guidata esclusivamente dall'ideologia

Indipendentemente dalla questione dell'esistenza o meno di un "Hotel Bristol" a Copenhagen, la cui dimostrazione definitiva, che è potuta avvenire principalmente grazie ad internet e ai relativi strumenti che permettono di mettere insieme e collegare le diverse fonti a disposizione, che altro non è stata che l'"ultimo chiodo nella bara" della Commissione Dewey, la commissione stessa, già all'epoca, era nota a molti, principalmente ai suoi ex membri, per essere una commissione inaffidabile, traballante e che ha agito solo e soltanto con la pregiudiziale di difendere a priori e a spada tratta Trotskij, indipendentemente dalla coerenza o meno delle dichiarazioni fornite. La commissione, nella sua operatività, era in tutto e per tutto un banco di prova delle future commissioni maccartiste anticomuniste e antisovietiche degli anni 50, e il giornalista Carlton Beals, membro della commissione oltre che del Comitato Trotskij, già menzionato in precedenti paragrafi di questa voce in merito alla defezione dal comitato di un suo collega, Hallgreen, rassegnò le dimissioni dalla commissione e dal comitato il 17 Aprile 1937, lasciando poi al New York Times questa dichiarazione:

«L'adorazione silenziosa degli altri membri del comitato per il signor Trotskij durante le udienze ha sconfitto ogni spirito di indagine onesta. [...] Il primo giorno mi è stato detto che le mie domande erano inappropriate. Il controinterrogatorio finale è stato messo in uno stampo che ha impedito qualsiasi ricerca della verità [...] Il controinterrogatorio consisteva nel consentire a Trotskij di sputare accuse di propaganda con eloquenza e denunce selvagge, con solo rari sforzi per fargli provare le sue affermazioni. [...] La commissione può passare il suo controllo negativo sul pubblico se lo desidera, ma non presterò il mio nome alla possibilità di ulteriori infantilità simili a quelle già commesse[72]

Le "Grandi Purghe"

Le cosiddette "Grandi Purghe" furono un periodo di agitazione politica nell'Unione Sovietica che coinvolse principalmente il Partito Comunista Russo (Bolscevico), l'apparato statale, ma anche alcuni elementi dell'esercito e microscopici segmenti della popolazione comune.

Purga dei militari e dei "vlasoviti"

Schema che illustra la percentuale di militari rimossi, la quantità di effettivi "purgati" e il numero totale dei militari sovietici negli anni 1937, 1938 e 1939, schema tratto dal libro di Getty "Stalinist Terror: New Perspectives", citato da Finnish Bolshevik
Schema che illustra la quantità e la percentuale di militari rimossi che sono stati poi reintegrati, inclusi i militari rimossi per motivi politico-morali e medici, in totale e suddivisi in militari rimossi dall'NKO (Ministero della difesa sovietico) e militari rimossi dal loro distretto militare locale o suddivisioni inferiori, p.210 di Getty, "Stalinist Terror: New Perspectives"
Ulteriore schema che illustra le quantità e le percentuali di espulsi e "purgati" dal 1929 al 1939, p.177 di Getty, "Origins of the Great Purges"

La purga dei militari consisteva in una ricerca di tutti gli elementi anti-governativi nell'esercito sovietico, che fossero simpatizzanti filo-nazisti, trotskisti, secessionisti e nazionalisti borghesi o più semplicemente carrieristi corrotti che agivano esclusivamente per il proprio prestigio personale. Nell'apposito paragrafo si è descritta la vicenda dell'"affare Tuchačevskij", tuttavia le purghe dei militari si estesero ben oltre Tuchačevskij e la sua cerchia personale di fedelissimi, portando al declassamento, alla rimozione o all'arresto di un discreto numero di ufficiali minori. Ciononostante, il numero degli ufficiali rimossi o processati è stato enormemente esagerato da parte della propaganda anticomunista, che addirittura arriva a ritenere il 50-75% dei militari siano stati "purgati". Inutile dire che questi numeri sono basati solo su speculazioni e pregiudizi puramente ideologici, senza alcuna vera e propria fonte a confermarli. Gli studi effettuati dallo storico (ideologicamente liberale e quindi anticomunista, necessario ribadire) J. Arch. Getty hanno invece dimostrato che, a dispetto della propaganda, in realtà il numero degli effettivi militari sovietici dal 1937 al 1939 ha continuato ad aumentare (140.000 circa nel 1937, 180.000 circa nel 1938 e 300.000 circa nel 1939), mentre la percentuale di elementi "purgati", da che aveva toccato il massimo picco con circa 10.000 interessati nel 1937, vale a dire il 7,7% degli effettivi militari, è diminuita nel 1939 a poco più di 200 individui interessati, ossia lo 0,08% del personale militare effettivo, come è possibile constatare dagli schemi in questo paragrafo. Inoltre, al 1 Maggio 1940 erano stati re-integrati in totale circa 10.000 individui, lo stesso numero di "purgati" all'inizio del 1937, rendendo quindi gli effetti delle "grandi purghe" nell'esercito sovietico matematicamente trascurabili, per non dire irrilevanti e/o inesistenti. La presenza di membri di "quinte colonne" filo-naziste non era esclusiva soltanto dell'Unione Sovietica, anche le cosiddette "democrazie liberali" borghesi dell'occidente erano interessate da questo fenomeno, basti pensare, ad esempio, al noto aviatore statunitense Charles Lindbergh, che attraversò in un unico volo di 33 ore l'itinerario New York-Parigi nel 1927, che era noto per essere fortemente anticomunista e per sposare visioni razziali ed eugenetiche simili a quelle della Germania Hitleriana, oltre a sostenere l'America First Committee, un comitato isolazionista politicamente eterogeneo, ma dominato perlopiù da filo-nazisti e anticomunisti, e per questo il suo ruolo nella Seconda Guerra Mondiale fu di proposito limitato a pura consulenza tecnica; o ancora a "Lord Haw-Haw", pseudonimo di William Joyce, militare dalla doppia cittadinanza statunitense e britannica, nonché membro del Partito Fascista Britannico di Mosley, che disertò per la Germania di Hitler, per la quale collaborò come propagandista in canali radio filo-nazisti in lingua inglese; un altro disertore filo-nazista britannico, che collaborò anch'egli insieme a "Lord Haw Haw", fu Norman Baillie-Stewart, arrestato nel 1933 per aver venduto segreti militari britannici ai tedeschi, dopo la fine della sua prigionia in 1937 emigrò in Germania, ottenne la cittadinanza onoraria tedesca nel 1940 e tenne in piedi ulteriori canali radio propagandistici filo-nazisti in lingua inglese; un ulteriore militare statunitense noto per le sue simpatie nazifasciste fu Smedley Butler, generale protagonista di un tentato golpe finanziario nel 1933, in cui furono coinvolti anche elementi della borghesia finanziaria e degli investitori di Wall-Street, contrari alle riforme di Roosevelt del New Deal, golpe pianificato ma in ultima istanza mai messo in pratica, il generale Butler sarebbe poi morto nel 1940. Altri elementi filo-tedeschi e filo-nazisti, curiosamente "dimenticati" dalla propaganda anticomunista che vorrebbe attribuire una fantasiosa "isteria collettiva" a tutto lo stato sovietico negli anni 30, furono il francese Jacques Doriot, ex comunista, poi trotskista ed infine filo-fascista che ebbe dei ruoli di rilievo nel governo collaborazionista di Vichy, Philippe Petain, generale veterano della prima guerra mondiale che fu "eletto" dai tedeschi come loro principale uomo del regime collaborazionista francese; durante la guerra, inoltre, intere divisoni delle SS di collaborazionisti furono formate, come il British Free Corps, o la Legione dei Volontari Francesi contro il Bolscevismo, e, a dispetto delle purghe sovietiche, alcuni militari disertarono e si unirono alla Germania Hitleriana, formando la cosiddetta "Armata Russa di Liberazione", formata principalmente da Vlasov, Bunyachenko e Meandrov, generali che sarebbero poi stati catturati e processati come traditori alla fine della seconda guerra mondiale.

Purga della burocrazia

Gli anticomunisti e i trotskisti amano ripetere nella loro propaganda che le "grandi purghe" furono principalmente un'azione repressiva da parte di Stalin, o dei suoi collaboratori per lui, ma questa ovviamente non è nient'altro che disinformazione che non corrisponde affatto alla realtà dei fatti. Mettendo un attimo da parte l'incoerenza della vulgata anticomunista e trotskista secondo cui il governo sovietico sotto Stalin sarebbe divenuto una "dittatura della burocrazia", salvo poi affermare che Stalin avrebbe represso anche elementi della burocrazia, le "purghe", come già menzionato, oltre ad essere una rimozione da parte dello stato di elementi avversi e quinte colonne, che fossero essi filo-nazisti, trotskisti, "ex" menscevichi o secessionisti e nazionalisti borghesi, erano anche una rimozione di elementi carrieristici e puramente opportunisti tra le fila stesse dello stato sovietico. A dispetto della narrativa anticomunista che, come sempre, sulla base di pura speculazione e pregiudizi ideologici e zero fonti vere e proprie, ritene queste delle azioni svoltesi "dall'alto verso il basso", la realtà dei fatti, come testimoniata dallo studio delle fonti di archivio e come riportata dallo storico J. Arch. Getty (liberale, borghese, di pregiudizi anti-comunisti), è diversa. Sembra infatti che, in parallelo alle azioni dell'NKVD per la ricerca di eventuali nemici interni, vi fosse un'intera ondata di movimenti populisti e anti-burocratici dal basso che chiedevano la rimozione di tutti gli elementi carrieristi corrotti e di destra da parte dei ranghi più bassi e degli esterni al partito. Come riporta Getty:

«Chiaramente, nella preparazione della campagna elettorale, il centro stava cercando di scatenare la critica dell'apparato di medio livello da parte degli attivisti di base. Senza la sanzione ufficiale e la pressione dall'alto, sarebbe stato impossibile per la base, da sola, organizzare e sostenere un tale movimento contro i propri superiori immediati. [...] Le due correnti radicali degli anni '30 si erano incontrate nel luglio 1937 e la turbolenza risultante aveva distrutto la burocrazia. La campagna di rinascita del partito di Ždanov e la caccia ai nemici di Ežov si erano fuse per creare un caotico "terrore populista" che ora travolse il partito. [...] Il potere dei segretari era stato tolto e molti di loro erano stati imprigionati o fucilati. [...] Ogni esercizio di potere, ogni errore, poteva portare ad accuse di "burocratismo" o "tradimento" dall'alto o dal basso. Il populismo antiburocratico e il terrore della polizia hanno distrutto gli uffici e i titolari. Il radicalismo aveva capovolto la macchina politica e distrutto la burocrazia del partito. [...] Le prove suggeriscono che l'Ežovshchina, che è ciò che la maggior parte delle persone intende realmente con "Grandi purghe", dovrebbe essere ridefinita. Non è stata il risultato di una burocrazia pietrificata che ha represso il dissenso e annientato i vecchi rivoluzionari radicali. In effetti, potrebbe essere stato proprio il contrario. Non è incoerente con le prove sostenere che l'Ežovshchina sia stata piuttosto una reazione radicale, persino isterica, alla burocrazia. I titolari di cariche radicati sono stati distrutti dall'alto e dal basso in un'ondata caotica di volontarismo e puritanesimo rivoluzionario. Il radicalismo degli anni Trenta non è durato. Sebbene la kritika/samokritika ritualizzata divenne una parte regolare della pratica del partito, non avrebbe mai più avuto l'impatto che ebbe nel 1937. Sebbene la politica negli anni Trenta fosse spesso populista e persino sovversiva, le esigenze della seconda guerra mondiale combinate con le richieste pratiche di gestione di un'economia sempre più complicata significavano che il radicalismo e l'antiburocratismo sarebbero svaniti nel passato e sarebbero stati sostituiti da un nuovo rispetto per l'autorità. Negli anni Trenta, Stalin era spesso un populista scandalista e la sua immagine, come ricordava Avtorkhanov, era quella di qualcuno che odiava le cravatte. La vera pietrificazione del sistema stalinista iniziò durante e dopo la guerra, quando i commissariati divennero ministeri, quando il leader del partito divenne premier e quando l'uomo che odiava le cravatte divenne il generalissimo[73]

Le "Grandi Purghe" quindi, lungi dall'essere un qualcosa di controllato e ordinato direttamente da Stalin, o un'azione da parte della "burocrazia stalinista" di preservare se stessa, altro non erano che un sentimento, dal basso verso l'alto, di partecipazione politica e di volontà di sbarazzarsi di tutti i carrieristi e gli opportunisti presenti tra le fila dello stato sovietico per puro interesse personale anteposto all'interesse della collettività; il fenomeno degli anni 30 in URSS, quindi, potrebbe anche essere definito come un movimento anti-burocratico (l'esatto contrario di quanto descritto dalla propaganda anticomunista e trotskista) antesignano in tutto e per tutto della Rivoluzione Culturale avvenuta in Cina 30 anni dopo sotto Mao Tse-Tung. Che questo sentimento di "isteria popolare" nei confronti delle parti corrotte dell'"establishment" sia stato poi cavalcato da individui come Jagoda o Ežov per i loro interessi, a scapito di vittime innocenti, tra cui, ad esempio, il leader della rivoluzione ungherese del 1919-20, Bela Kun, è indubbio, ma su ciò è necessario concentrarsi in ulteriori sezioni in merito a tale argomento.

Jagoda e il complotto dei destri

«Kirov a Leningrado deve essere rimosso… Fratelli fascisti, se non potete arrivare a Stalin, uccidete Gorky, uccidete il poeta Demiyan Bieni, uccidete Kaganovich.»
-Za Rossiyu, 1 novembre 1934 (Organo della Lega nazionale russa fascista della nuova rigenerazione)[74]

I Kulaki, gli ex-capitalisti e i secessionisti avrebbero dovuto fare da "base popolare" per un eventuale golpe antisovietico. Ma le forze antisovietiche non erano solo presenti in queste tre classi sociali ostili al sistema socialista della democrazia sovietica: esse avevano formato quinte colonne e infiltrato, come abbiamo già visto, settori dei militari, dell'apparato dello stato, ma anche le forze di polizia, inclusa la polizia segreta. L'"infiltrato" di più alto rango, all'epoca del processo contro il complotto del "blocco dei Destri e dei Trotskisti", fu Genrich Jagoda, che fu direttamente coinvolto nel piano del trio Bucharin-Tomskij-Rykov, e fu indirettamente complice del complotto del gruppo di Leningrado dei Trotskisti-Zinovievisti che portò all'assassinio di Sergej Kirov. I due giornalisti e ricercatori Michael Sayers e Albert E. Kahn, nel 1946, scrissero in merito, forti delle fonti giornalistiche, probatorie, processuali, e delle testimonianze deposte ai processi di Mosca che erano disponibili in quell'epoca:

«Nel maggio del 1934, sei mesi prima dell'assassinio di Sergej Kirov, un infarto causò la morte di Vjačeslav R. Menžinskij, il presidente dell'OGPU da tempo malato. Il suo posto fu ricoperto dal vicepresidente dell'OGPU, Genrich G. Jagoda, un uomo basso, silenzioso, dall'aspetto efficiente, con un mento sfuggente e dei baffetti curati. Genrich Jagoda era un membro segreto del Blocco dei Destri e dei Trotskisti. Si era unito alla cospirazione nel 1929, come membro dell'Opposizione di Destra, non perché credesse nel programma di Bukharin o Trotsky, ma perché pensava che gli oppositori fossero destinati a salire al potere in Russia. Jagoda voleva stare dalla parte dei vincitori. Nelle sue stesse parole: "Ho seguito il corso della lotta con grande attenzione, avendo deciso in anticipo che mi sarei unito alla parte che sarebbe uscita vittoriosa da questa lotta... Quando iniziarono ad essere prese misure di repressione contro i trotskisti, la questione su chi ne sarebbe uscito vincitore, i trotskisti o il Comitato Centrale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, non era ancora stata definitivamente risolta. In ogni caso, questo era ciò che pensavo. Pertanto, io, come Vicepresidente dell'OGPU, nell'eseguire la politica punitiva, l'ho fatto in modo tale da non suscitare la rabbia dei trotskisti contro di me. Quando mandavo i trotskisti in esilio, creavo per loro tali condizioni nei loro luoghi di esilio che consentissero loro di continuare la loro attività". Il ruolo di Jagoda nella cospirazione era inizialmente noto solo ai tre principali leader della Destra: Bucharin, Rykov e Tomskij. Nel 1932, quando fu formato il Blocco dei Destri e dei Trotskisti, il ruolo di Jagoda divenne noto a Pjatakov e Krestinskij. Come vicepresidente dell'OGPU, Jagoda fu in grado di proteggere i cospiratori dall'esposizione e dall'arresto. "Ho preso tutte le misure, nel corso di diversi anni", dichiarò in seguito, "per proteggere l'organizzazione, in particolare il suo centro, dall'esposizione". Jagoda nominò membri del Blocco dei Destri e dei Trotskisti come agenti speciali nell'OGPU. In questo modo, un certo numero di agenti dei servizi segreti stranieri furono in grado di penetrare nella polizia segreta sovietica e, sotto la protezione di Jagoda, svolgere attività di spionaggio per i rispettivi governi. Gli agenti tedeschi, Pauker e Volovich, che Yagoda inviò per arrestare Zinoviev e Kamenev, furono nominati alle loro posizioni OGPU da Yagoda stesso. "Li consideravo", disse Yagoda in seguito, riferendosi alle spie straniere, "come una forza preziosa nella realizzazione dei piani cospirativi, in particolare lungo le linee del mantenimento dei collegamenti con i servizi segreti stranieri". Nel 1933, Ivan Smirnov, il principale organizzatore del Centro terroristico trotskista-zinovievita, fu inaspettatamente arrestato da agenti del governo sovietico. Jagoda non riuscì a impedire l'arresto. Con il pretesto di esaminare il prigioniero, Jagoda visitò Smirnov nella sua cella e lo "istruì" su come comportarsi durante l'interrogatorio. Nel 1934, prima dell'omicidio di Kirov, il terrorista Leonid Nikolaev fu prelevato dagli agenti dell'OGPU a Leningrado. In suo possesso trovarono una pistola e una mappa che mostrava il percorso che Kirov percorreva ogni giorno. Quando Jagoda fu informato dell'arresto di Nikolaev, ordinò a Zaporozjets, vice capo dell'OGPU di Leningrado, di rilasciare il terrorista senza ulteriori accertamenti. Zaporozjets era uno degli uomini di Jagoda. Fece ciò che gli era stato ordinato. Qualche settimana dopo, Nikolaev assassinò Kirov. Ma l'omicidio di Kirov fu solo uno dei tanti omicidi compiuti dal Blocco dei Destri e dei Trotskisti con l'aiuto diretto di Genrich Jagoda. Dietro il suo aspetto silenzioso ed efficiente, Jagoda nascondeva un'ambizione, una ferocia e un'astuzia smisurate. Con le operazioni segrete del Blocco dei Destri e dei Trotskisti che dipendevano sempre di più dalla sua protezione, il Vicepresidente dell'OGPU iniziò a concepire se stesso come la figura centrale e la personalità dominante dell'intera cospirazione. Jagoda sognava di diventare l'Hitler russo. Lesse il Mein Kampf. "È un libro che vale la pena leggere", confidò al suo devoto scagnozzo e segretario, Pavel Bulanov. Era particolarmente colpito, disse a Bulanov, dal fatto che Hitler fosse "passato dall'essere un sergente maggiore all'uomo che è". Lo stesso Jagoda aveva iniziato la sua carriera come sergente maggiore nell'esercito russo. Jagoda aveva le sue idee sul tipo di governo che sarebbe stato istituito dopo il rovesciamento di Stalin. Sarebbe stato modellato su quello della Germania nazista, disse a Bulanov. Jagoda stesso sarebbe stato il Leader; Rykov avrebbe sostituito Stalin come segretario di un partito riorganizzato; Tomskij sarebbe stato il capo dei sindacati, che sarebbero stati sottoposti a stretto controllo militare come i battaglioni di lavoratori nazisti; il "filosofo" Bucharin, come disse Jagoda, sarebbe stato il "dottor Goebbels". Quanto a Trotskij, Jagoda non era sicuro se gli avrebbe permesso di tornare in Russia. Sarebbe dipeso dalle circostanze. Nel frattempo, tuttavia, Jagoda era pronto a sfruttare i negoziati di Trotsij con la Germania e il Giappone. Il colpo di stato, disse Jagoda, doveva essere programmato in modo da coincidere con lo scoppio della guerra contro l'Unione Sovietica. [...] La decisione del Blocco dei Destri e dei Trotskisti di adottare il terrorismo come arma politica contro il regime sovietico ebbe l'approvazione di Jagoda. La decisione gli fu comunicata da A. S. Enukidze, un ex soldato e funzionario della segreteria del Cremlino, che era il principale organizzatore del terrorismo per i Destri. Jagoda aveva una sola obiezione. I metodi terroristici impiegati dai cospiratori gli sembravano troppo primitivi e pericolosi. Jagoda si mise a escogitare un mezzo più sottile di omicidio politico rispetto alle bombe, ai coltelli o ai proiettili tradizionali degli assassini. All'inizio, Jagoda sperimentò con i veleni. Allestì un laboratorio segreto e mise al lavoro diversi chimici. Il suo scopo era escogitare un metodo di uccisione che rendesse impossibile l'esposizione. "Omicidio con garanzia", ​​era il modo in cui Jagoda lo definiva. Ma persino i veleni erano troppo rozzi. In poco tempo, Jagoda sviluppò la sua speciale tecnica di omicidio. La raccomandò come arma perfetta ai leader del Blocco dei Destri e dei Trotskisti. “È molto semplice,” disse Jagoda. “Una persona si ammala naturalmente, o è malata da un po’ di tempo. Quelli che la circondano si abituano, come è anche naturale, all’idea che il paziente morirà o guarirà. Il medico che cura il paziente ha la volontà di facilitare la guarigione del paziente o la sua morte... Bene? Tutto il resto è una questione di tecnica.” Bisognava solo trovare i medici giusti. Il primo medico coinvolto nel suo singolare piano di omicidio fu il dottor Leo Levin, un uomo corpulento, di mezza età e ossequioso, che amava vantarsi del suo disinteresse per gli affari politici. Il dottor Levin era il medico di Jagoda. Ancora più importante per Jagoda era il fatto che il dottor Levin fosse un membro di spicco dello staff medico del Cremlino. Tra i suoi pazienti abituali c'erano diversi importanti leader sovietici, tra cui il superiore di Jagoda, Vjačeslav Menžinskij, il presidente dell'OGPU. Jagoda iniziò a colmare di favori speciali il dottor Levin. Gli mandò vini importati, fiori per sua moglie e vari altri regali. Mise a disposizione del dottore una casa di campagna, gratuitamente. Quando il dottor Levin viaggiò all'estero, Jagoda gli permise di riportare indietro acquisti stranieri senza pagare i normali dazi doganali. Il medico fu lusingato e un po' perplesso da queste insolite attenzioni da parte del suo influente paziente. Presto, sotto le manipolazioni di Jagoda, l'ignaro dottor Levin aveva accettato quello che equivaleva a una serie di tangenti e aveva commesso alcune infrazioni minori alle leggi sovietiche. Poi Jagoda arrivò senza mezzi termini al punto. Disse al dottor Levin che un movimento segreto di opposizione, di cui lui stesso era uno dei leader, stava per arrivare al potere in Unione Sovietica. I cospiratori, disse Jagoda, avrebbero potuto fare buon uso dei servizi del dottor Levin. Certi leader sovietici, tra cui alcuni pazienti del dottor Levin, dovevano essere tolti di mezzo. Il Dott. Levin descrisse in seguito la sua reazione alle parole di Jagoda. Affermò: "Non devo trasmettere la reazione psicologica, quanto sia stato terribile per me sentire questo. Penso che questo sia sufficientemente compreso. E poi l'incessante angoscia mentale... Ha detto inoltre: "Sei consapevole di chi ti sta parlando, il capo di quale istituzione ti sta parlando!"... Ha ribadito che il mio rifiuto di portare a termine questa cosa avrebbe significato la rovina per me e la mia famiglia. Ho pensato che non avevo altra via d'uscita, che dovevo sottomettermi a lui." Il dott. Levin aiutò Jagoda ad arruolare i servizi di un altro medico, che aveva curato anch'egli frequentemente Menžinskij. Questo medico era il dott. Ignaty N. Kazakov, i cui metodi terapeutici decisamente non ortodossi furono causa di un'accesa controversia nei circoli medici sovietici all'inizio degli anni '30. Il dott. Kazakov sosteneva di aver scoperto una cura quasi infallibile per un'ampia gamma di malattie mediante una tecnica speciale che chiamava "lisatoterapia". Il presidente dell'OGPU Menžinskij, che soffriva di angina pectoris e asma bronchiale, aveva grande fiducia nei trattamenti di Kazakov e li assumeva regolarmente[75]. Su istruzioni di Jagoda, il dott. Levin andò a trovare il dott. Kazakov. Il dott. Levin gli disse: "Menžinskij è un cadavere vivente. Stai davvero sprecando il tuo tempo". Il dott. Kazakov guardò il suo collega con stupore. [...] Più tardi, il dottor Levin arrivò al punto. "Pensavo fossi più intelligente. Non mi hai ancora capito", disse a Kazakov. "Sono sorpreso che tu abbia intrapreso la cura di Menžinskij con così tanto zelo e che tu abbia persino migliorato la sua salute. Non avresti mai dovuto permettergli di tornare al lavoro". Poi, con crescente stupore e orrore del dottor Kasakov, il dottor Levin continuò: "Devi renderti conto che Menžinskij è in realtà un cadavere e, ripristinando la sua salute, consentendogli di tornare al lavoro, stai inimicando Yagoda. Menžinskij è sulla strada di Jagoda e Jagoda è interessato a toglierselo di mezzo il prima possibile. Jagoda è un uomo che non si ferma davanti a nulla. [...] Non una parola di questo a Menžinsky! Ti avverto che, se lo dici a Menžinsky, Jagoda ti distruggerà. Non gli sfuggirai, non importa dove ti nascondi. Ti prenderebbe anche se fossi sottoterra." Nel pomeriggio del 6 novembre 1933, il dottor Kazakov ricevette una chiamata urgente da casa di Menzhinsky. Quando il dottor Kazakov arrivò a casa del presidente dell'OGPU, fu accolto da un odore pesante e soffocante di trementina e vernice. Nel giro di pochi minuti si ritrovò senza fiato. Una delle segretarie di Menžinsky lo informò che la casa era stata appena dipinta e che alla vernice era stata aggiunta "una sostanza speciale" per "farla asciugare più rapidamente". [...] Il dottor Kazakov salì le scale. Trovò Menžinsky in grande agonia. Le sue condizioni bronchiali erano state terribilmente aggravate dai fumi. [...] Il dottor Kazakov fece immediatamente un'iniezione a Menžinsky per alleviare le sue condizioni. Quindi spalancò tutte le finestre della stanza e ordinò alla segretaria di Menzhinsky di aprire tutte le porte e le finestre in tutta la casa. A poco a poco l'odore svanì. Il dottor Kazakov rimase con Menžinsky finché il suo paziente non si sentì meglio. Quando l'attacco fu passato, il dottor Kazakov tornò a casa. Era appena entrato in casa quando squillò il telefono. Era una chiamata dal quartier generale dell'OGPU. Il dottor Kazakov fu informato che Genrich Jagoda desiderava vederlo subito. Un'auto era già in viaggio per prendere il dottor Kazakov e portarlo nello studio di Jagoda... "Bene, come trova la salute di Menžinsky?" fu la prima cosa che disse Jagoda quando lui e il dottor Kazakov furono soli nel suo studio. Il basso, ordinato e bruno vicepresidente dell'OGPU era seduto dietro la sua scrivania, osservando freddamente l'espressione del dottor Kazakov. Il dottor Kazakov rispose che con l'improvviso ritorno degli attacchi d'asma, le condizioni di Menžinsky erano gravi. Yagoda rimase in silenzio per un momento. "Ha parlato con Levin?" "Sì, l'ho fatto", rispose il dottor Kazakov. [...] "Cosa vuoi da me?" chiese il dottor Kazakov. "Chi ti ha chiesto di dare assistenza medica a Menžinsky?" chiese Jagoda. "Ti stai agitando con lui senza scopo. La sua vita non serve a nessuno. È d'intralcio a tutti. Ti ordino di elaborare con Levin un metodo di cura con cui sarà possibile porre fine rapidamente alla vita di Menžinsky". Dopo una pausa, Yagoda aggiunse: "Ti avverto, Kazakov, se fai qualsiasi tentativo di disobbedirmi troverò il modo di liberarmi di te! Non mi sfuggirai mai..." [...] Il dottor Levin, che lo vedeva spesso durante questo periodo, raccontò a Kazakov dell'esistenza di una vasta cospirazione segreta contro il governo sovietico. Famosi e potenti funzionari statali come Jagoda, Rykov e Pjatakov facevano parte della cospirazione; vi si erano uniti brillanti scrittori e filosofi come Karl Radek e Bucharin; uomini dell'esercito vi erano segretamente dietro. Se lui, il dottor Kazakov, avesse reso un servizio prezioso a Jagoda ora, Jagoda se ne sarebbe ricordato quando sarebbe salito al potere. C'era una guerra segreta in corso all'interno dell'Unione Sovietica e i dottori, come altre persone, dovevano scegliere da che parte stare. Il dottor Kazakov cedette. Disse a Levin che avrebbe eseguito gli ordini di Yagoda. [...] La notte del 10 maggio 1934, Menzhinsky morì. L'uomo che prese il suo posto come capo dell'OGPU era Genrich Jagoda. "Nego che nel causare la morte di Menžinsky fossi guidato da motivi di natura personale", dichiarò in seguito Yagoda. "Aspiravo alla carica di capo dell'OGPU, non per considerazioni personali, ma nell'interesse della nostra organizzazione cospirativa". [...] Un giorno, verso la fine di agosto del 1934, un giovane membro segreto dell'opposizione di destra fu convocato nell'ufficio di Yenukidze al Cremlino. Il suo nome era Venjamin A. Maksimov. Nel 1928, da studente, Maksimov aveva frequentato la speciale "scuola marxista" che Bukharin dirigeva a Mosca. Bukharin lo aveva reclutato nella cospirazione. Giovane intelligente e senza scrupoli, Maximov era stato addestrato attentamente dai leader di destra e, dopo la laurea, aveva ricoperto vari incarichi di segreteria. All'epoca in cui fu convocato nell'ufficio di Yenukidze, Maximov era il segretario personale di Valerian V. Kujbyšev, presidente del Consiglio supremo dell'economia nazionale, membro dell'ufficio politico del partito comunista e amico intimo e collaboratore di Stalin. Enukidze informò Maksimov che "mentre in precedenza i Destri calcolavano che il governo sovietico potesse essere rovesciato organizzando alcuni degli strati della popolazione più antisovietici, e in particolare i kulaki, ora la situazione era cambiata... ed è necessario procedere a metodi attivi per prendere il potere". Enukidze descrisse le nuove tattiche della cospirazione. In accordo con i trotskisti, disse, i Destri avevano adottato la decisione di eliminare un certo numero di loro oppositori politici con mezzi terroristici. Ciò doveva essere fatto "rovinando la salute dei leader". Questo metodo, disse Enukidze, era "il più conveniente perché in superficie sarebbe apparso nella natura di un problema sfortunato di una malattia e quindi avrebbe reso possibile che questa attività terroristica dei Destri fosse camuffata". "I preparativi per questo sono già iniziati", aggiunse Enukidze. Disse a Maksimov che dietro tutto questo c'era Jagoda e che i cospiratori avevano la sua protezione. Maksimov, in quanto segretario di Kujbyšev, doveva essere utilizzato in relazione all'assassinio del Presidente del Consiglio economico supremo nazionale. Kujbyšev soffriva di gravi problemi cardiaci, e i cospiratori progettarono di trarne vantaggio. [...] Pochi giorni dopo, Maksimov fu nuovamente chiamato nell'ufficio di Enukidze. Questa volta, mentre l'assassinio di Kujbyšev veniva discusso più in dettaglio, un terzo uomo sedeva in un angolo della stanza. Non pronunciò parola durante l'intera conversazione; ma l'implicazione della sua presenza non passò inosservata a Maksimov. L'uomo era Genrich Jagoda. [...] Verso l'autunno del 1934, la salute di Kujbyšev improvvisamente peggiorò bruscamente. Soffriva intensamente e riusciva a lavorare con molta difficoltà. Il dott. Levin descrisse in seguito la tecnica che, su istruzioni di Jagoda, impiegò per provocare la malattia di Kujbyšev: "Il punto vulnerabile del suo organismo era il cuore, ed è stato questo che abbiamo colpito. Sapevamo che il suo cuore era in cattive condizioni da un considerevole periodo di tempo. Soffriva di un'affezione dei vasi cardiaci, miocardite, e aveva lievi attacchi di angina pectoris. In tali casi, è necessario risparmiare il cuore, evitare potenti stimolanti cardiaci, che stimolerebbero eccessivamente l'attività del cuore e porterebbero gradualmente al suo ulteriore indebolimento... Nel caso di Kujbyšev abbiamo somministrato stimolanti per il cuore senza intervalli, per un periodo prolungato, fino al momento in cui fece il suo viaggio in Asia centrale. A partire da agosto, fino a settembre o ottobre del 1934, gli furono somministrate iniezioni senza interruzione di speciali estratti di ghiandole endocrine e altri stimolanti cardiaci. Ciò si intensificò e causò attacchi più frequenti di angina pectoris". Alle due del pomeriggio del 25 gennaio 1935, Kujbyšev subì un grave infarto nel suo ufficio al Consiglio dei commissari del popolo a Mosca. Maksimov, che era con Kujbyšev in quel momento, era stato precedentemente informato dal dottor Levin che in caso di un simile attacco la cosa giusta da fare per Kujbyšev era sdraiarsi e rimanere assolutamente tranquillo. A Maksimov fu detto che il suo compito era assicurarsi che Kujbyšev facesse esattamente l'opposto. Convinse l'uomo gravemente malato a tornare a casa a piedi. Pallido come un fantasma e muovendosi con estrema difficoltà, Kujbyšev lasciò il suo ufficio. Maksimov chiamò prontamente Enukidze e gli raccontò cosa era successo! Il leader dei Destri ordinò a Maksimov di mantenere la calma e di non chiamare alcun medico; Kuibyshev si diresse dolorosamente a casa dall'edificio del Consiglio dei commissari del popolo alla casa in cui viveva. Lentamente e con crescente agonia, salì le scale fino al suo appartamento al terzo piano. La sua cameriera lo accolse sulla porta, gli diede un'occhiata e telefonò immediatamente al suo ufficio, dicendo che aveva urgente bisogno di cure mediche. Quando i dottori arrivarono a casa, Valerian Kujbyšev era morto[76]

Una piccola digressione va fatta sugli autori di questa ricostruzione (e dell'opera da cui è stata tratta), ossia Michael Sayers (scrittore e giornalista politico irlandese, personalmente apolitico, al punto da essere stato per un periodo della sua gioventù di studente compagno di stanza del futuro pedofilo, spacca-crani e spione per i servizi anglo-americani George Orwell) e Albert E. Kahn (giornalista statunitense di tendenze liberali, negli anni 30 simpatizzante del Partito Comunista degli Stati Uniti, di cui fu anche brevemente membro, salvo poi ritrattare e rinnegare le sue simpatie, rimanendo però ostile allo stesso modo alla retorica anticomunista della Guerra Fredda), che, per la loro onestà intellettuale (avendo semplicemente ricostruito gli avvenimenti sulla base di confessioni, memorie, altre opere di inchiesta giornalistica e spionaggio, verbali dei processi, articoli di giornale e altre fonti considerate valide all'epoca della scrittura e stesura del testo) furono messi in tutte le liste nere maccartiste, in modo non dissimile dal già menzionato deputato laburista socialdemocratico britannico D. N. Pritt.

Da questa ricostruzione dei due autori si ha un ritratto di Jagoda che pare confermare quanto già affermato da Getty nelle sue ricerche riportate nei paragrafi iniziali di questa voce; ossia di un uomo che agiva in autonomia, attirandosi i (meritati) sospetti di Stalin oltre che dei suoi colleghi della polizia politica, che era salito ai massimi ranghi della polizia sovietica tramite sotterfugi e inganni; con una metodologia, quella della negligenza medica con medici complici, che pare essersi ripetuta anche dopo il suo processo e la sua condanna a morte, attuata dai suoi successori del dopo-Stalin, stando ai sospetti sollevati dal leader socialista albanese Enver Hoxha, e probabilmente anche durante gli ultimi anni di Stalin, facendo quindi presagire che la sua morte fu un probabile assassinio tramite la tecnica della "negligenza medica" già attuata dal Blocco dei Destri per cui Jagoda agiva. Da questa ricostruzione esce soprattutto l'unica logica conclusione, ossia che Jagoda, tutt'altro che una "povera vittima" o un "boia di Stalin", come viene alternativamente dipinto dalla propaganda anticomunista a seconda del momento in cui è più conveniente questa o quella definizione, era un cospiratore che agiva dall'interno della polizia politica sovietica, indebolendola e favorendo in ogni modo i suoi co-cospiratori, al solo scopo del guadagno personale, del carrierismo e dell'opportunismo.

Il già menzionato impenitente cospiratore Tokaev, che nelle sue opere, da decenni di pubblico dominio ma chissà perché ignorate dalle accademie occidentali e dall'informazione mainstream, aveva dato ampi dettagli della sua partecipazione, con il suo piccolo gruppo militare clandestino e cospiratorio, al blocco dei Destri e, indirettamente, all'assassinio di Kirov, ci da conferma anche delle macchinazioni attuate da Jagoda ed Enukidze:

«Non che il nostro movimento fosse completamente in sintonia con il gruppo Šeboldajev-Enukidze, ma sapevamo cosa stavano facendo [...] consideravamo nostro dovere rivoluzionario aiutarli in un momento critico [...] Non eravamo d'accordo sui dettagli, ma erano comunque uomini coraggiosi e onorevoli, che avevano salvato molte volte membri del nostro gruppo e che avevano una notevole possibilità di successo. [...] L'NKVD [...] fece un altro passo avanti. Il Piccolo Politbureau era penetrato nelle cospirazioni Enukidze-Šeboldajev e Jagoda-Zelens'kyj e aveva spezzato i legami dell'opposizione all'interno delle istituzioni centrali della polizia politica [...] Jagoda fu rimosso dall'NKVD e perdemmo un forte legame nel nostro servizio di intelligence dell'opposizione[77]

Lo Zelens'kyj menzionato da Tokaev, da non confondere con l'attuale "presidente" dello stato fallito post-sovietico della cosiddetta "Ucraina", è stato anch'egli un imputato del processo al Blocco dei Destri e dei Trotskisti, nello specifico coinvolto da vicino come collaboratore di Bucharin. In merito a questa curiosa e simpatica omonimia si è già espresso Francesco Alarico della Scala sulla sua pagina Facebook.

L'Ežovshchina (Terrore di Ežov)

«Come può qualcuno ora permettersi la stupidità di criticare Stalin per la repressione e i crimini? Questa era una psicosi che è stata abilmente istituita da Yezhov e altri nemici dello Stato [...] questa psicosi ha preso il sopravvento sulle menti di milioni di persone. Praticamente tutti erano coinvolti nella ricerca di "nemici" [...] la risoluzione di fare queste cose che sono state intraprese dai VERI NEMICI del popolo sovietico. Nessuna direttiva di Stalin, Molotov o Voroshilov si trovava in tutti questi documenti[78]
-Aleksej Rybin, Accanto a Stalin: Appunti di una Guardia del Corpo

Un'ulteriore complicazione nello studio delle "Grandi Purghe" è data dalla cosiddetta Ežovshchina, ossia la campagna di terrore personale avviata dall'allora capo dell'NKVD Nikolaj Ežov, a sua volta un cospiratore, in parallelo ai processi e agli arresti ai danni dei cospiratori veri e propri attuati dalle istituzioni sovietiche. Mentre venivano arrestati diversi cospiratori, Ežov approfittò della situazione di isteria per arrestare e condannare arbitrariamente diverse persone innocenti, come ad esempio il già menzionato rivoluzionario ungherese Bela Kun, che abitava come esule in URSS da ormai quasi due decenni, mentre fece di tutto per proteggere i suoi co-conspiratori nelle sue migliori abilità. Una quantità considerevole di nemici infiltratisi nel partito attuò, tra l'altro, una serie di considerevoli espulsioni ed estromissioni dal partito per il medesimo motivo, ossia creare un clima di isteria e sfiducia che avrebbe favorito un rovesciamento di potere in favore del capo della polizia segreta Ežov. Getty ci riporta, in particolare:

«Caos e confusione caratterizzavano l'Ežovshchina. I funzionari del partito tentarono di proteggersi dai sospetti denunciando gli altri. Alcuni potrebbero anche aver pensato di frenare l'Ežovshchina (o forse di indebolire il regime) gonfiando il numero delle vittime. Un segretario del partito (che fu lui stesso arrestato) disse: "Ci siamo sforzati di espellere dal partito quante più persone possibile. Abbiamo espulso persone quando non c'erano motivi per l'espulsione. Avevamo un obiettivo in vista: aumentare il numero di persone amareggiate e quindi aumentare il numero dei nostri alleati"[79]

La vulgata anticomunista, trotskista e di "sinistra" soprattutto, tende ad addossare alla figura di Stalin, o di chi per lui, le "colpe" delle "Grandi Purghe", per poi contraddittoriamente dis-attribuirgli oggettivi meriti come la vittoria sulla Germania nella Grande Guerra Patriottica. Tralasciando l'evidente comportamento della stragrande maggioranza dei soggetti appartenenti a quell'area politica, i quali (tranne qualche eccezione di pochi intellettualmente onesti, come i più volte già citati Getty, liberale, o Broué, trotskista), pur di negare l'evidenza, o in genere qualsiasi cosa che smentisca le loro narrative da liberali che per qualche motivo larpano come "comunisti", arrivano a rifiutare a priori qualsiasi fonte come "falsa" e "sbagliata" a prescindere (spesso con fallacie logiche come l'"appello all'autorità" o la "verità della maggioranza"), ecco cosa ha avuto da dire Stalin, invece, in quell'esatto momento storico, come riportato dallo storico statunitense Robert Thurston:

«Stalin cambiò tono, anche se non è chiaro il perché. Il suo discorso del 5 marzo fu notevolmente più mite delle sue prime osservazioni, per quanto ambivalenti. Distogliere troppa attenzione dall'economia al "lavoro ideologico del partito" era sbagliato e "non ci sarebbe costato meno vittime" che ignorare la minaccia interna. Era necessario dare la caccia ai trotskisti attivi, ma non a tutti coloro che erano stati casualmente coinvolti con loro, annunciò Stalin. Infatti, un approccio così rozzo avrebbe potuto "solo danneggiare la causa della lotta con i sabotatori e le spie trotskisti attivi". Ancora più sorprendente, dati i suoi primi commenti, ma parallelamente al suo telegramma del dicembre 1936 in difesa di un ex trotskista, Stalin ammise che alcune persone avevano abbandonato i loro simili molto tempo fa e ora "conducono la lotta contro il trotskismo non peggio, ma persino meglio di alcuni dei nostri rispettati compagni .... Sarebbe stupido screditare tali compagni". Ogni caso di espulsione dal partito per collegamenti con le ex opposizioni dovrebbe essere trattato con attenzione[80]

Anche Getty conferma questo atteggiamento da parte di Stalin:

«Così, mentre proclamava la vittoria e implicava la fine della repressione di massa, Stalin lasciò aperta la porta teorica per l'uso continuato della repressione su una base più selettiva. [...] Tuttavia, i rimedi specifici che propose per i restanti "problemi" erano nelle aree benigne dell'istruzione e della propaganda del partito piuttosto che nella repressione. Gli ascoltatori della nomenklatura di Stalin [...] erano certamente lieti di soffocare ogni discorso di "disarmamento". D'altra parte, devono essere stati meno contenti della seconda parte delle sue osservazioni, "Questioni di leadership organizzativa". Qui si lamentava dei "burocrati" di alto rango che si adagiavano sugli allori ed erano negligenti riguardo al "rispetto delle decisioni". I "burocrati incorreggibili" che castigò erano membri della nomenklatura[81]

Ancora Thurston conferma che la maggior parte degli espulsi furono poi reintegrati:

«Malenkov ha sottolineato che la Commissione di controllo del partito, ancora presieduta da Ezhov, aveva scoperto che "moltissimi" appelli per la reintegrazione "si opponevano correttamente" all'espulsione. Nella maggior parte dei casi esaminati dalla commissione, dal 40 al 60 percento di coloro che erano stati espulsi dal partito erano stati reintegrati[82]

Nel 1938 le azioni di Ežov furono scoperte e fu processato in quanto traditore. Ebbe da scrivere in merito all'Ežovshchina il giornalista e sinologo statunitense Edgar Snow:

«I sadici Jagoda ed Ežov, che per un periodo governarono uno stato nello stato, la GPU, furono i principali responsabili di questi oltraggi. Secondo lo stesso racconto di Jagoda, i suoi mercenari falsificarono migliaia di documenti e mescolarono così tanto i registri che era impossibile distinguere un dossier autentico da uno fasullo. Curiosamente, l'opinione pubblica non sembra biasimare Stalin per aver permesso che si sviluppasse un simile Frankenstein, ma gli attribuisce invece il merito di aver ripulito la banda di Jagoda e riportato la polizia segreta sotto il pieno controllo del Politburo, cosa che fece quando la GPU fu annientata. Stalin nominò poi il suo connazionale georgiano, Lavrenti Beria, capo delle nuove truppe di sicurezza interna sotto l'NKVD. Migliaia di persone, nessuno straniero può sapere quante, rimangono in esilio e intere fabbriche, se non intere città, sono gestite dall'NKVD. Ma durante la guerra molti di questi "lavoratori involontari", come Walter Duranty ama chiamarli, hanno ricevuto una specie di amnistia, per arruolarsi nell'esercito, e molti sono stati ora completamente reintegrati, alcuni su ordine personale di Stalin. Un fatto strano raccontatomi da un russo che dovrebbe saperlo è che migliaia di questi esuli hanno scritto volontariamente lettere piene di lodi e gratitudine a Stalin, ringraziandolo per aver epurato i traditori e condotto la nazione alla salvezza. In ogni caso, Stalin non è certamente considerato popolarmente in Russia ora come un tiranno capriccioso, come alcuni critici all'estero immaginano. Comunque sia stato in passato, nessuno che abbia vissuto lì durante la guerra può dubitare che in futuro Stalin sarà rispettato come l'uomo che ha condotto tutti i russi alla più grande vittoria militare della loro storia.[83]

Anche quando Stalin, come tutto il resto del governo sovietico, era convinto che le espulsioni fossero avvenute a causa di errori in buona fede, si oppose ad esse, come testimoniato da Getty:

«Le espulsioni all'ingrosso basate su questo "atteggiamento spietato" alienarono i membri del partito e quindi servirono alle esigenze dei nemici del partito. Secondo Stalin, tali compagni amareggiati potevano fornire riserve aggiuntive per i trotskisti "perché la politica errata di alcuni dei nostri compagni sulla questione dell'espulsione dal partito e della reintegrazione delle persone espulse... crea queste riserve". Un gran numero di membri è stato espulso in modo errato "per cosiddetta passività". Tali passivi sono stati espulsi perché non avevano padroneggiato il programma del partito. "Se dovessimo proseguire su questa strada, dovremmo lasciare nel nostro partito solo intellettuali e persone colte in generale". L'accettazione del programma è sufficiente, soprattutto per coloro che lavorano per padroneggiarlo[84]

Il Comitato Centrale rilasciò un decreto che altro non era che un dispositivo giuridico per limitare il potere dell'NKVD; tale documento fu rilasciato per via della preoccupazione che il gabinetto di governo aveva nei confronti di un eventuale senso di risentimento che si sarebbe creato tra la popolazione. Quello che in quel momento era a loro ignoto era che le azioni di Jagoda prima e di Ežov poi avevano proprio quello scopo. Getty ci riporta nella sua opera tale dispositivo giuridico:

«Il Comitato centrale del Partito comunista di tutta l'Unione (bolscevico) e il Consiglio dei commissari del popolo decretano:
I. SULLA CESSAZIONE DELLE ESPULSIONI DI MASSA DEI CONTADINI
Tutte le espulsioni di massa dei contadini devono cessare immediatamente. Le espulsioni devono essere consentite solo caso per caso e su base parziale e solo per quanto riguarda quelle famiglie i cui capi stanno conducendo una lotta attiva contro i kolchoz e stanno organizzando un'opposizione contro la semina dei raccolti e il loro acquisto da parte dello Stato...
II. SULLA REGOLAMENTAZIONE DELL'EFFETTUAZIONE DEGLI ARRESTI
1) Tutte le persone che non sono pienamente autorizzate dalla legge a effettuare arresti, vale a dire i presidenti dei comitati esecutivi distrettuali (RIK), i commissari distrettuali e territoriali, i presidenti dei soviet di villaggio, i presidenti delle associazioni dei kolchoz e dei kolchoz, i segretari delle cellule e altri, hanno il divieto di farlo. Gli arresti possono essere eseguiti esclusivamente da organi della procura, da organi dell'OGPU o da capi della polizia. Gli investigatori possono effettuare arresti solo con la sanzione preliminare del procuratore. Gli arresti eseguiti dai capi della polizia devono essere sanzionati o revocati dai commissari distrettuali dell'OGPU o dalla procura corrispondente entro 48 ore dall'arresto.
2) Agli organi della procura, all'OGPU e alla polizia è vietato di prendere una persona in custodia preventiva prima del processo per reati minori. Possono essere sottoposte a custodia cautelare solo le persone accusate di controrivoluzione, atti terroristici, sabotaggio, gangsterismo, rapina, spionaggio, attraversamento della frontiera e contrabbando di merci di contrabbando, omicidio, lesioni personali gravi, furto aggravato e appropriazione indebita, speculazione professionale su merci, speculazione sui cambi, contraffazione, teppismo doloso e recidiva professionale.
3) Gli organi dell'OGPU devono ottenere il consenso preventivo della direzione della procura quando eseguono arresti, eccetto nei casi che coinvolgono atti terroristici, esplosioni, incendi dolosi, spionaggio, defezione, gangsterismo politico e gruppi controrivoluzionari e antipartitici... .
4) Il procuratore dell'URSS e l'OGPU sono tenuti a garantire la rigorosa attuazione delle istruzioni del 1922 relative al controllo del procuratore sull'esecuzione degli arresti e sul mantenimento in custodia delle persone arrestate dall'OGPU.
Ill. SULLA RIDUZIONE DELLA POPOLAZIONE DEI LUOGHI DI CONFINAMENTO
1) Il numero massimo di persone che possono essere trattenute in custodia nei luoghi di confinamento annessi al Commissariato del popolo per la giustizia (NKYu), all'OGPU e alla Direzione generale della polizia, diversi dai campi e dalle colonie, non deve superare le 400 mila persone per l'intera Unione Sovietica. Il procuratore dell'URSS, insieme all'OGPU, deve determinare entro i prossimi 20 giorni il numero massimo di prigionieri per ciascuna delle repubbliche e regioni (territori). procedendo dalla cifra di base sopra. L'OGPU, il Commissariato del popolo per la giustizia di ciascuna delle repubbliche dell'Unione e la Procura dell'URSS devono procedere immediatamente alla riduzione della popolazione dei luoghi di detenzione. Il numero totale di coloro che sono stati detenuti deve essere ridotto entro i prossimi due mesi dall'attuale cifra di 800.000 a 400.000 persone. La Procura dell'URSS è incaricata della responsabilità di eseguire questo decreto alla lettera.
2) Deve essere stabilito un numero massimo di persone trattenute in ogni dato luogo di detenzione, procedendo dalla cifra di base di 400.000 di cui sopra. Ai sovrintendenti dei luoghi di detenzione è vietato prendere prigionieri in eccesso rispetto al numero massimo che è stato stabilito.
3) Il periodo massimo per tenere una persona in custodia nelle celle di sicurezza della polizia deve essere di tre giorni. Agli incarcerati devono essere fornite razioni di pane senza eccezioni.
4) L'OGPU e il Commissariato del popolo per la giustizia di ciascuna repubblica, nonché la Procura dell'URSS, devono riesaminare immediatamente i casi degli arrestati e degli indagati, al fine di sostituire il loro stato di custodia con un'altra misura preventiva (come il rilascio su cauzione, su cauzione o su loro stessa garanzia). Ciò vale per tutti i casi, eccetto quelli che coinvolgono elementi particolarmente pericolosi.
5) Le seguenti misure devono essere prese nei confronti dei condannati:
a) Tutte le persone condannate a una pena detentiva fino a 3 anni devono avere la loro pena commutata in 1 anno di lavori forzati [prinuditel'nye raboty], con i restanti 2 anni di libertà vigilata.
b) Le persone condannate a una pena detentiva da 3 a 5 anni, inclusi, devono essere assegnate agli insediamenti di lavoro dell'OGPU.
c) Le persone condannate a una pena superiore a 5 anni devono essere assegnate ai campi dell'OGPU.
6) I kulaki condannati a pene detentive da 3 a 5 anni, inclusi, devono essere assegnati agli insediamenti di lavoro insieme ai loro familiari...
Presidente del Consiglio dei commissari del popolo dell'URSS
V. Molotov (Skriabin)
Segretario del Comitato centrale del VKP(b)
I. Stalin
8 maggio 1933[85]»

Ancora Getty riporta in merito a questo periodo:

«Nel 1937 e nel 1938, Stalin e soci cercarono di contenere il radicalismo attraverso articoli di stampa, discorsi, piani elettorali rivisti e deglorificazione della polizia. Il fatto che dovessero adottare tali misure dimostra la loro mancanza di controllo rigoroso sugli eventi. Niente di tutto ciò significa che il terrore politico e la violenza siano esplosi indipendentemente dalle azioni dei massimi dirigenti del partito. È chiaro, ad esempio, che Stalin sanzionò la distruzione dell'opposizione. Ma le prove limitate suggeriscono che Stalin, come Mao Zedong trent'anni dopo, trovò più facile avviare campagne che controllarle[86]

Nel 1938 Stalin e il politburo divennero decisamente più sospettosi nei confronti di Ežov e quindi incaricarono Berija come secondo in comando dell'NKVD per mantenere un occhio su Ežov, e verso la fine dell'anno Ežov fu definitivamente rimosso:

«Nell'autunno del 1938 la leadership di Ezhov dell'NKVD era sotto costante fuoco da varie direzioni. Il regime rispose ufficialmente il 17 novembre, con una risoluzione congiunta del Sovnarkom e del Comitato centrale del partito. Questo documento arrivò a migliaia di funzionari in tutta l'URSS nell'NKVD, nella Procura e nel partito, fino al livello di raion. Così, il riconoscimento che si erano verificati errori grotteschi e ingiustizie si diffuse ampiamente, difficilmente l'azione di un governo che voleva continuare a spaventare i suoi cittadini. La risoluzione iniziò affermando che nel 1937-38 l'NKVD aveva svolto un "lavoro importante" per distruggere i nemici del popolo. [...] Nemici del popolo e spie straniere erano penetrati nella polizia di sicurezza e nel sistema giudiziario e avevano "consapevolmente ... eseguito arresti massicci e infondati". L'NKVDisty aveva completamente abbandonato le attente operazioni investigative e aveva recentemente adottato "i cosiddetti 'limiti' [quote]" per gli arresti. Gli agenti volevano solo ottenere confessioni dagli arrestati, indipendentemente dalle prove o dalla loro mancanza. La risoluzione continuava dicendo che molti prigionieri non erano stati interrogati fino a molto tempo dopo il loro arresto. I verbali delle loro dichiarazioni spesso non venivano tenuti o, se rimossi, erano pieni di modifiche apportate dalla polizia. [...] Quando si richiedeva la sanzione di un procuratore per l'arresto, l'NKVD doveva produrre materiale incriminante, che la Procura era tenuta a verificare. Ai procuratori distrettuali era stato specificamente ordinato di non consentire arresti infondati. L'NKVD doveva seguire rigorosamente le procedure del codice penale sulle indagini, incluso l'interrogatorio entro ventiquattro ore. [...] La risoluzione si concludeva con un avvertimento a tutti i membri dell'NKVD e della Procura: "non importa chi fosse la persona", qualsiasi parte colpevole della "minima violazione" della direttiva e delle leggi sovietiche sarebbe stata sottoposta alla "più severa contabilità legale"[87]

Ežov il traditore

«Berija [...] in una seduta congiunta a porte chiuse del Comitato centrale e del Comitato centrale di controllo del partito, tenutasi nell'autunno del 1938 [...] dichiarò che se Ežov non era un agente nazista deliberato, lo era certamente involontariamente. Aveva trasformato gli uffici centrali dell'NKVD in un terreno fertile per agenti fascisti»
-Tokaev[88]

«Ežov ha una grande responsabilità personale per la distruzione della legalità, per la falsificazione dei casi investigativi. Secondo le sue stesse istruzioni, i responsabili dell'NKVD preparavano personalmente coloro che erano stati arrestati per gli scontri, considerando con loro le possibili domande e le varie risposte. Questa preparazione consisteva nel leggere le precedenti testimonianze fornite sulle persone con cui era stato pianificato lo scontro. Dopo di che, di norma, Ežov mandava a chiamare il prigioniero, andava personalmente nella stanza dell'investigatore, chiedeva alla persona interrogata se avrebbe confermato la sua testimonianza e, come se di sfuggita, annunciava che membri del governo avrebbero potuto essere presenti allo scontro. Se la persona arrestata ritrattava la sua testimonianza, Ežov se ne andava e lasciava che l'investigatore "riabilitasse" il prigioniero, il che significava ottenere dall'imputato la sua precedente testimonianza. Prima degli scontri con la partecipazione di membri del Politburo, Ežov mandava a chiamare gli investigatori e preparava di nuovo il caso. Secondo le testimonianze fornite da persone che lavoravano per l'NKVD, non gli importava molto del merito del caso, ma temeva solo di finire a faccia in giù nel fango di fronte ai membri del Politburo e che i prigionieri ritrattassero la loro testimonianza[89]

Bibliografia

Note

    1. De Gasperi, 1944.
    2. Furr, 2013, p. 10
    3. Lenin, 1921
    4. Broué, 1980
    5. Getty, 1987, p.119-121
    6. Broué, 1990, p.16
    7. Broué, 1980
    8. Getty, 2000, n.1
    9. Furr, 2013, p.4-5
    10. Getty, 1987, p.122
    11. Getty, 2000, n.2
    12. Zinoviev, 1999
    13. Getty, 1987, p.129
    14. Humbert-Droz, 1971, p.379-380
    15. Tokaev, 1956, p.43, citato in Finnish Bolshevik
    16. Tokaev, 1955, p.23
    17. Ibidem, p.241-242
    18. Sedov, 1936, cap.9
    19. Broué, 1980
    20. Carr, Davies, 1969, p.65
    21. Ibidem, p.66
    22. Interrogatorio a Bucharin, sessione serale, 5 marzo 1938
    23. Yemelianov, 2007
    24. Furr, 1986
    25. Shvernik Commission, 1961-63, p.83
    26. Strong, 1941, p.77-85
    27. Krupskaya, 1936
    28. Rothstein, 1950, p.245-246
    29. Stalin, 1937, citato da Partito Marxista Leninista Italiano
    30. Burgio, Leoni, Sidoli, 2017, p.11-14
    31. Ibidem, p.107
    32. Ibidem, p.273-288
    33. Ibidem, p.329-330
    34. Burgio, Leoni, Sidoli, 2018
    35. Burgio, Leoni, Sidoli, 2019
    36. Burgio, Leoni, Sidoli, 2017, p.447
    37. Ibidem, p.448-451
    38. Isaac Deutscher, "Il Profeta Esiliato", p.281-282, citato in Burgio, Leoni, Sidoli, 2017, p.421-422
    39. Trotsky, 1932, citato in Broué, Appendix, 1980
    40. Littlepage, 1937, p.104,114,198-200,203-204
    41. Scott, 1942, p.135-136
    42. De Gasperi, 1944
    43. Davies, 1945, p.30-31
    44. The Observer, 23 agosto 1937, citato in CPGB, 1937, e in Finnish Bolshevik
    45. D.N. Pritt, citato in CPGB, 1937
    46. Pat Sloan, ibidem
    47. Hallgreen, 1937,p.3-14
    48. Feuchtwanger, 1937, p.141-144
    49. Gunther, 1940, p.552-553
    50. Cohen, Bukharin na Lubianke, Svobodnaia Mysl’ 21, No. 3 (2003), p. 60-61, citato in Finnish Bolshevik
    51. Furr, Bobrov, 2010, introduzione
    52. Radzinsky, 1997, p.433-440
    53. Ibidem, p.432
    54. Reabilitatsia. Kak Eto Bylo [“Rehabilitation. How It Happened”] vol. 2 (2003), p. 688., citato in Furr (2019), Finnish Bolshevik
    55. Gorbaciov, 2000
    56. Chuev, Molotov, 1993, p.285
    57. Holmström, 2008, p.1-2
    58. Ibidem, p.3-4
    59. Ibidem, p.4-5
    60. Getty, 1987, p.211-212, menzionato in ibidem, p.6
    61. Il caso del Centro Terrorista Zinovievita-Trotskista, 21 Agosto, p.100 della traduzione inglese, citato in Holmström, 2008, p.7
    62. Holmström, 2008, p.7
    63. Ibidem, p.7-9
    64. Ibidem, p.11-12
    65. Ibidem, p.12
    66. Ibidem, p.13-24
    67. Ibidem, p.24-28
    68. Trotsky, 1937, citato in ibidem, p.28
    69. Getty, “Trotsky in Exile: The Founding of the Fourth International,” Soviet Studies, vol. XXXVIII, no. 1, January 1986, p. 28, citato in ibidem, p.29
    70. Sedov, 1936, citato in ibidem, p.29
    71. Holmström, 2008, p.29-32
    72. New York Times, 19 Aprile 1937, p.6, citato in Finnish Bolshevik
    73. Getty, 1987, p.155,170-171,206
    74. Citato in Finnish Bolshevik
    75. Su questo "Dottor Kazakov" gli autori citano una nota di un tale Dr. Henry E. Sigerist, professore di Storia della Medicina all'Università Johns Hopkins di Baltimora, inviatagli il 23 Dicembre 1943: «Ho trascorso un giorno intero con il professor Ignaty N. Kazakov nella sua clinica nel 1935. Era un uomo grande con una criniera selvaggia che sembrava più un artista che uno scienziato e che ti ricordava un cantante d'opera. Parlando con lui, ti dava l'impressione di essere un genio o un truffatore. Affermava di aver scoperto un nuovo metodo di trattamento che chiamava lisatoterapia ma si rifiutava di rivelare come stava preparando i lisati con cui curava una grande varietà di pazienti. Motivava il suo rifiuto con l'argomento che il metodo avrebbe potuto essere screditato se fosse stato utilizzato con noncuranza o acriticamente da altri prima che fosse stato completamente testato. Le autorità sanitarie sovietiche assunsero un atteggiamento estremamente liberale e gli diedero tutte le strutture cliniche e di laboratorio possibili per testare e sviluppare il suo metodo. Il professor Kazakov si aspettava la mia visita e il giorno in cui sono arrivato aveva invitato un gran numero di suoi ex pazienti per mostrarmeli... Era un vero circo e fece una pessima impressione. Avevo visto guarigioni miracolose compiute da ciarlatani in altri paesi... Qualche anno dopo era evidente che il suo metodo non era valido e che lui non era solo un truffatore, ma un criminale.», citato in Sayers, Kahn, 1946, p.234
    76. Ibidem, p.230-240
    77. Tokaev, 1956, citato in Finnish Bolshevik
    78. Citato in Finnish Bolshevik
    79. Getty, 1987, p.177
    80. Thurston, 1996, p.48
    81. Getty, Naumov, 1999, p.129
    82. Thurston, 1996, p.107
    83. Snow, 1945, p.148-149
    84. Getty, 1987, p.147
    85. Getty, Naumov, 1999, p.116-118
    86. Getty, 1987, p.195
    87. Thurston, 1996, p.114-115
    88. Citato in Finnish Bolshevik
    89. Getty, Manning, 1993, p.29