Nikita Sergeevič Chruščëv

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Nikita Sergeevič Chruščëv

Foto a colori di Nikita Chruščëv
Nome Ufficiale Ники́та Серге́евич Хрущёв
Nome Intero Nikita Sergeevič Chruščëv
Data di nascita 15 Aprile 1894
Luogo di nascita Kalinovka, Impero Russo
Data di morte 11 Settembre 1971
Luogo di morte Mosca, Unione Sovietica
Cariche politiche
  • Primo Segretario del Partito Comunista dell' Unione Sovietica
    (07/09/1953 - 14/10/1964)
  • Presidente del Consiglio dei Ministri dell'Unione Sovietica
    (27/03/1958 - 14/10/1964)
  • Deputato del Soviet dell'Unione del Soviet Supremo dell'URSS
    (I, II, III, IV, V, VI Legislatura)
  • Primo Segretario del Partito Comunista dell'Ucraina (bolscevico)
    (27/01/1938 - 03/03/1947)
Partito politico

Nikita Sergeevič Chruščëv (pronuncia: Krusciòv) è stato un politico ideologicamente revisionista che servì come Segretario Generale del PCUS dal 1953 al 1964 e come Primo Ministro dell'URSS dal 1958 al 1964. Durante il suo governo, oltre ad essere responsabile di numerosi errori tattici e pratici, sintomo della sua genuina inettutidune come governante e "capo" politico, primo tra tutti la "coesistenza pacifica" con gli USA che cementificò definitivamente la "stasi" della Guerra Fredda a dispetto dell'avanzata della rivoluzione socialista nel mondo, è stato anche il primo ad attaccare pubblicamente (sulla base di pure congetture e pregiudizi ideologici, senza alcuna vera fonte storiografica o di archivio a favore di anche solo una delle sue dichiarazioni) l'operato del suo ben più capace e valido successore, Stalin, riprendendo gran parte delle calunnie e della propaganda contro Stalin utilizzate in passato dalla propaganda trotzkista, nazifascista e più genericamente anticomunista, prima tra tutte l'asserzione secondo cui Stalin avrebbe agito da "dittatore sanguinario" e avrebbe instaurato un "culto della personalità", menzogne confutabili tramite una semplice analisi dell'operato dello stesso Chruščëv durante il governo di Stalin. Lo scopo di questa voce, oltre che di analizzare i de-meriti del "leader" sovietico, è di fare luce sulla sua figura e sul suo operato, smentire le sue menzogne tramite le diverse fonti a disposizione (d'archivio, ricerche tramite materiale d'archivio de-secretato e reso pubblico dagli anni '90, confutazioni da parte di altri ben più validi rivoluzionari e capi socialisti suoi contemporanei e successivi a lui) e, in ultima istanza, spiegare la realtà dei fatti in merito ad argomenti "controversi" e su cui la propaganda mainstream e dei media capitalisti ha ingiustamente blaterato con menzogne alla cui base non vi è mai stato niente se non un pregiudizio anticomunista e in gran parte russofobo e antisovietico (e quindi razzista).

Primi anni e carriera

Nato nel 1894 da una famiglia di agricoltori nella cittadina di Kalinovka, nel governatorato di Kursk, suo padre lavorava come scalpellino, minatore e operaio di ferrovia; nel 1911 la sua famiglia si trasferì nel Donbas, nell'odierna Donetsk, dove, dopo un breve periodo come minatore, riuscì a conseguire un apprendistato in metallurgia, divenendo operaio di una fabbrica metalmeccanica. Escluso per questo dalla leva della Prima Guerra Mondiale, il giovane Chruščëv si iscrisse al Partito Comunista Russo (Bolscevico) nel 1918, ma non ebbe veri e propri avanzamenti nella sua carriera politica prima del 1929, quando fu inviato dal partito a frequentare l'Accademia Industriale di Mosca per conseguire il diploma, che fino a quel momento non aveva ancora ottenuto[1]. Secondo la ricostruzione degli storici e sovietologi Roger Keeran e Thomas Kenny, dal loro libro "Il Socialismo Tradito":

«Il modo migliore per comprendere le differenze tra la spinta delle politiche di Chruščëv e quelle dei suoi critici, come Molotov [...] era vederle come polarità, anche se in pratica le differenze a volte equivalevano a questioni di enfasi. Ad esempio, Chruščëv credeva in un percorso rapido e facile verso il comunismo, mentre i suoi critici prevedevano una strada più lunga e difficile. Chruščëv cercava un "allentamento della contesa" con gli Stati Uniti e i suoi alleati all'estero e un "rilassamento politico" e un "comunismo dei consumatori" in patria. I suoi critici vedevano una continuazione della lotta di classe all'estero e la necessità di vigilanza e disciplina in patria. Chruščëv vedeva in Stalin più cose da condannare che da lodare; Molotov e altri più cose da lodare che da condannare. Chruščëv era favorevole all'incorporazione di una gamma di idee capitaliste o occidentali nel socialismo, tra cui meccanismi di mercato, decentramento, una certa produzione privata, la forte dipendenza dai fertilizzanti e la coltivazione del mais e un aumento degli investimenti in beni di consumo. Molotov era favorevole a una migliore pianificazione centralizzata e alla proprietà socializzata, e al mantenimento della priorità dello sviluppo industriale. Chruščëv era favorevole all'ampliamento dell'idea della dittatura del proletariato e del ruolo di avanguardia proletaria del Partito Comunista per mettere altri settori della popolazione su un piano di parità con i lavoratori; i suoi critici non lo erano. Chruščëv nacque in una famiglia di contadini e dal 1938 al 1949 fu Segretario del Partito dell'Ucraina, dove divenne un'autorità sulle questioni agricole e sotto Stalin sostenne la subordinazione dell'agricoltura all'industrializzazione del paese. Il Partito aveva censurato la leadership di Chruščëv in Ucraina (e su questo Stalin era d'accordo) per aver ammesso troppe persone, principalmente contadini, nel Partito, per essere stato lassista sugli standard del Partito e per aver tollerato il ristretto nazionalismo ucraino. Anche dopo essersi trasferito a Mosca per diventarne il segretario del partito nel 1949, Chruščëv mantenne i suoi legami con l'agricoltura e, in quanto capo della politica agricola nazionale, fu l'unico membro del Politburo di Stalin a visitare frequentemente la campagna. Dopo il 1954, le sue politiche agricole avrebbero svolto un ruolo di primo piano nel crescente dibattito del partito[2]

Morte di Stalin, possibile coinvolgimento, salita al potere

Secondo molti critici di Chruščëv, sia marxisti-leninisti che non, egli, insieme al suo entourage, fu responsabile della morte di Stalin, oltre che della liquidazione della "prima generazione" di capi rivoluzionari dell'est-Europa dell'immediato post-bellico. Scrive nelle sue memorie Enver Hoxha, Segretario del Partito Comunista d'Albania (poi Partito del Lavoro d'Albania, cambio di nome suggerito da Stalin):

«I kruscioviani, questi nuovi trotzkisti, buchariniani, zinovievisti e seguaci di Tuchacevski, instillarono perfidamente negli uomini che avevano fatto la guerra il sentimento della presunzione e della superiorità; incoraggiarono i privilegi a favore dell’élite, spalancarono le porte del Partito e dello Stato al burocratismo e al liberalismo, violarono le autentiche norme rivoluzionarie e, un po’ alla volta, riuscirono a diffondere nel popolo lo spirito del disfattismo. Diedero ad intendere che tutti i misfatti frutto delle loro azioni erano dovuti invece all’"atteggiamento brutale e settario, ai metodi e allo stile di lavoro" di Stalin. Con il diabolico metodo di gettar la pietra e di nascondere la mano, essi puntavano a ingannare la classe operaia, le masse contadine colcosiane, gli intellettuali, a mettere in moto tutti gli elementi dissidenti fino ad allora nascosti. Agli elementi dissidenti, carrieristi e degenerati dicevano che era venuto per loro la «vera libertà» e che questa «libertà» era stata portata a loro da Nikita Chruščëv e dal suo gruppo. Questo era un modo per preparare il terreno alla liquidazione del socialismo in Unione Sovietica, all’abolizione della dittatura del proletariato e all’instaurazione di uno Stato di «tutto il popolo», che in realtà non doveva essere altro che uno Stato dittatoriale di tipo fascista, come è effettivamente oggi. Queste infamie non tardarono a venire a galla dopo la morte di Stalin, o piuttosto dopo l’assassinio di Stalin. Dico l’assassinio, poiché lo stesso Mikojan ci disse che insieme a Chruščëv e ai loro complici avevano deciso di ordire un "pokuchenie", un attentato, per uccidere Stalin, ma che in seguito, come lui stesso lo ammise, avevano rinunciato a questo piano. E’ un fatto notorio che i kruscioviani aspettavano impazientemente la morte di Stalin. D’altronde le circostanze della sua morte sono poco chiare. Sotto questo aspetto anche l’affare dei «ca mici bianchi», il processo cioè contro i medici del Cremlino, i quali, Stalin vivente, erano stati accusati di aver tentato di uccidere parecchi dirigenti dell’Unione Sovietica, è un enigma non ancora chiarito. Appena morto Stalin, questi medici furono riabilitati e l’affare archiviato. Ma perché mai l’affare fu chiuso?! Fu provata o no l’attività criminale di questi medici all’epoca in cui furono giudicati? L’affare dei medici fu archiviato perché se fossero proseguite le indagini, se si fosse rovistato più profondamente, sarebbero venute a galla molte sporcizie, molti crimini e complotti perpetrati dai revisionisti mascherati, guidati da Chruščëv e Mikojan. In tal modo si sarebbero spiegate forse le morti improvvise in un periodo di tempo relativamente breve di Gottwald, Bierut, Foster, Dimitrov, e di qualche altro, che soffrivano di malattie guaribili [...] Forse ciò avrebbe chiarito anche la vera causa della morte improvvisa di Stalin[3]

Grazie alle prove degli atti processuali dei processi di Mosca degli anni '30, in particolare grazie alle confessioni di Jagoda e del suo entourage nel processo contro il complotto dei destri e il "Blocco dei Destri e dei Trotzkisti" del 1938, riportate nell'opera del 1946 dei giornalisti statunitensi Sayers e Kahn, già citata ampiamente in questa wiki, sappiamo che in passato i dissidenti antisovietici e i cospiratori utilizzarono la coercizione tattica nei confronti dello staff medico del personale politico del partito per provocare le morti dei leader sovietici governativi a loro più "scomodi" tramite la negligenza dei medici corrotti, per cui tale congettura portata avanti dall'anziano "capo" comunista albanese, per quanto impossibile da dimostrare, a meno che non escano fuori altri documenti d'archivio, è certamente esistente nel reame delle possibilità. Anche il figlio Vasilij, come testimoniato dalla sorella Svetlana, pare ritenesse che il padre fu avvelenato dai suoi rivali politici:

«Mio fratello Vasilij era un pilota, dopo la seconda guerra mondiale era un generale e il comandante dell'aeronautica militare distrettuale di Mosca. Dopo la morte di mio padre lasciò l'esercito e fu presto arrestato. Questo accadde perché aveva minacciato il governo, disse che "mio padre era stato ucciso dai suoi rivali" e cose del genere, e c'era sempre molta gente intorno a lui, così decisero di isolarlo[4]

Nikita Chruščëv, lungi dall'essere il santino di qualche "comunismo buono e democratico" dal sapore liberal-capitalista e occidentale, è in realtà salito al potere in Unione Sovietica tramite quello che fu in tutto e per tutto un golpe politico-militare, fregandosene altamente delle istituzioni democratiche dei soviet e del partito che egli, nella sua propaganda demagogica, affermava di "difendere". I primi passi per questo golpe avvennero poco prima della morte di Stalin, quando le sue due principali guardie del corpo, Aleksandr Poskrëbyšev e Nikolaj Vlasik, furono allontanate da questi con accuse di violazione di segretezza di documenti e "inaffidabilità". Questo viene confermato dalla già citata figlia di Stalin, Svetlana Allilueva:

«Poco prima che mio padre morisse, anche alcuni dei suoi intimi furono disonorati: il perenne Vlasik fu mandato in prigione nell'inverno del 1952 e il segretario personale di mio padre, Poskrebyshev, che era stato con lui per vent'anni, fu rimosso[5]

Questo fatto viene confermato anche dall'ex agente di intelligence sovietico, poi disertore e collaborazionista per i servizi statunitensi, Peter Deriabin, che scrive:

«Ciò completò il processo di privazione di Stalin di ogni sicurezza personale, fatta eccezione per la relativa facciata degli ufficiali minori dell'Ochrana nel suo ufficio e nella sua casa. Era stato un affare studiato e gestito molto abilmente: l'incastrazione di Abakumov, il licenziamento di Vlasik, il discredito di Poskrebyshev, l'evirazione dell'Ochrana e la sua forzata sottomissione all'MGB, l'"infarto" di Kosynkin, la sostituzione di Shtemenko e la rimozione dello stato maggiore dalle ultime vestigia del controllo dell'Ochrana. [...] Cinque giorni dopo la morte di Kosynkin, la campagna stampa sul "Complotto dei dottori" si concluse all'improvviso come era iniziata. Non si sa cosa abbia portato quel progetto caro a Stalin a fermarsi. I cospiratori sopravvissuti si sono astenuti dal rivelare tali dettagli, senza dubbio perché erano troppo direttamente coinvolti negli ultimi giorni del loro padrone. Né, così spogliata di effettivi era stata l'Okhrana a quel tempo, se ci fossero state delle guardie del corpo, che in seguito disertarono verso l'Occidente, in una posizione abbastanza autorevole da saperlo. E persino quegli uomini dell'Okhrana ancora con il dittatore nei suoi ultimi giorni non sono più esistenti per fornire alcuna illuminazione. Trascurando le false piste e le invenzioni prodotte dai suoi successori, è logico presumere che una volta eliminati Kosynkin e Shtemenko, i cospiratori abbiano trovato il coraggio di affrontare Stalin. Sapevano che per la loro stessa sopravvivenza dovevano reprimere il "Complotto dei dottori", o in seguito essere portati a "processo" loro stessi, individualmente o come gruppo. Le accuse lanciate avanti e indietro sarebbero state orribili. E sembra ragionevole presumere che al culmine di quella scena il georgiano ormai apoplettico barcollò improvvisamente e cadde sul pavimento del suo ufficio del Cremlino, vittima di un infarto e probabilmente di un ictus. A quel punto, sembrerebbe dai resoconti dei terrorizzati subordinati dell'Ochrana alla periferia di quel gruppo, i conniventi, terrorizzati a loro volta dal crollo improvviso del padrone, si precipitarono come topi dal Cremlino. Gli uomini dell'Ochrana, ancora più spaventati, probabilmente si erano già fatti da parte. Poskrebyshev potrebbe essere stato fatto uscire prima ancora che iniziasse lo scontro, perché la sua ubicazione divenne sconosciuta dopo che il "Complotto dei dottori" fu sedato. L'attacco subito da Stalin non fu fatale e non lo divenne per alcuni giorni. Sembrerebbe che dopo che i conniventi e le guardie se ne furono andati, il georgiano si riprese abbastanza da rialzarsi a fatica e prendere una sedia alla sua scrivania dove crollò di nuovo. Da quel momento in poi, le supposizioni non sono più necessarie. Gli uomini dell'Ochrana fornirono il resto. Più tardi, non si può più stabilire quanto tempo dopo, un subordinato dell'Ochrana osò sbirciare nell'ufficio del dittatore. Vide il georgiano privo di sensi alla sua scrivania. Lanciò l'allarme e si mise in contatto con gli altri membri del Presidium. Ma solo la mattina presto del giorno dopo, e nella massima segretezza, il dittatore malato fu trasferito nella sua dacia a Kuntsevo, a circa sette miglia di distanza, alla periferia di Mosca. E solo dopo che Stalin fu arrivato a Kuntsevo, i dottori furono convocati al suo capezzale. Erano tutti funzionari dell'MGB, non molto più bravi professionalmente di Timashuk. Non fu fatta alcuna chiamata per l'abile Vinogradov. Come ci si poteva aspettare, gli uomini dell'MGB non poterono (o non vollero?) fare nulla per aiutare lo Stalin colpito. Così, chiamarono il Ministro della Salute, che gli somministrò gli ultimi riti medici. Ufficialmente, Iosif Vissarionovič Džugašvili (Stalin) morì il 5 marzo 1953[6]

Ci sono un sacco di elementi nella morte di Stalin che fanno in modo che essa venga definita, in termini da scienza forense, come una morte "sospetta". In primis, la salute di Stalin sembrava eccellente, prima di Marzo del 1953, come è stato testimoniato dal giornalista Salisbury:

«E che dire di Stalin stesso? In piena forma. Di ottimo umore. Questa è stata la parola di tre stranieri che lo hanno visto a febbraio: Bravo, l'amassador argentino; Menon, l'indiano, e il dottor Kitchlu, un indiano attivo nel movimento per la pace[7]

In secundis, dando anche per buona la "ricostruzione ufficiale", è innegabile che l'assistenza medica vera e propria non arrivò a Stalin nella notte tra il 1 e il 2 Marzo 1953 (facendo quindi ragionevolmente pensare ad una replica della tattica della già menzionata "negligenza medica" usata da Jagoda e dal blocco dei Destri contro Kujbyšev e Menžinskij), come confermano gli studi di diversi sovietologi:

«Il terzo inganno nel bollettino ufficiale è l'implicazione che Stalin stava ricevendo cure mediche in una fase iniziale. Le dichiarazioni sulla sequenza dei sintomi suggeriscono che un medico competente abbia osservato il corso dell'attacco. Ma le memorie della figlia e dell'erede politico chiariscono che in realtà nessun medico avrebbe potuto arrivare prima che la notte tra il 1 e il 2 marzo fosse finita o quasi finita. Chruščëv non menziona orari specifici, ma la sua narrazione rende incredibile che i dottori siano arrivati ​​molto prima delle 5 del mattino del 2 marzo. Sono molte ore, forse più di dodici, dopo l'attacco. Sia il secondo che il terzo inganno notati sembrano essere motivati ​​dal desiderio naturale di mostrare al pubblico sovietico che gli uomini che avrebbero potuto guadagnare dalla sua morte avevano fatto fin dall'inizio tutto il possibile per fornire assistenza medica al Leader malato. Anche se Stalin fosse effettivamente morto per cause del tutto naturali, anche se nessuna quantità di cure mediche avrebbe potuto influenzare le conseguenze mortali del suo ictus, non è vero che fosse sotto cure mediche subito dopo l'attacco[8]

«C'è un mistero su cosa sia successo a Stalin. Le sue guardie si erano allarmate quando non aveva chiesto il suo spuntino serale alle 23:00 [...] Gli uomini della sicurezza lo presero e lo misero su un divano, ma i dottori non furono chiamati fino al mattino. Stalin rimase inerme e senza cure per la maggior parte della giornata, rendendo molto più difficile il trattamento riabilitativo [...] Perché i leader del partito prolungarono il ritardo? Alcuni storici vedono prove di omicidio premeditato[9]

«Stalin stava morendo. Sdraiato sul pavimento della sala da pranzo della sua dacia a Kuntsevo, aveva rinunciato a rialzarsi, sollevando solo di tanto in tanto la mano sinistra, come se implorasse aiuto. I suoi occhi semichiusi non riuscivano a nascondere il suo sguardo di disperazione mentre guardava verso la porta. Debolmente, le sue labbra pronunciavano parole silenziose. Erano trascorse diverse ore dall'ictus, eppure non c'era nessuno con lui. Infine, allarmati dall'assenza di qualsiasi segno di vita all'interno della casa, le sue guardie del corpo entrarono cautamente nella sala da pranzo. Non avevano il potere di chiamare subito i dottori. Una delle figure più potenti della storia umana non poteva contare su di loro per questo, perché era necessario l'intervento personale di Berija. Quando alla fine Berija fu trovato, pensò che Stalin stesse semplicemente dormendo profondamente dopo una cena tardiva e pesante, e fu solo dopo dieci o dodici ore che i medici terrorizzati furono portati a visitare il leader morente [...] Vlasik fu arrestato e condannato a dieci anni di prigione e all'esilio. Quando tornò dopo la morte di Stalin, disse di essere totalmente convinto che Berija avesse "aiutato" Stalin a morire dopo avergli prima rimosso i medici. Vlasik lo scrisse nelle memorie che dettò alla moglie poco prima di morire. [...] Solo Berija, Poskrëbyšev e Vlasik avevano accesso diretto a Stalin, e solo loro potevano essere a conoscenza di queste note, ma Poskrëbyšev e Vlasik furono compromessi da Berija poco prima della morte di Stalin e quindi si allontanarono da lui. In altre parole, al momento della morte di Stalin, solo Berija gli rimase vicino, e quando i medici furono finalmente portati dal leader in coma, dopo un intervallo di dodici o quattordici ore, Berija capì che anche per lui la partita era finita. Lasciando Chruščëv, Malenkov e gli altri membri del Politburo alla dacia con Stalin morente. Berija si precipitò al Cremlino dove è ragionevole supporre che abbia svuotato la cassaforte, prendendo gli appunti personali del capo e con essi, si suppone, il quaderno nero. Berija doveva essere consapevole che l'atteggiamento di Stalin nei suoi confronti si era notevolmente raffreddato negli ultimi anni o diciotto mesi. Da parte sua, Stalin doveva anche essere a conoscenza delle intenzioni di Berija. Forse Stalin aveva lasciato delle istruzioni o una sorta di ultima volontà che l'entourage sempre disponibile sarebbe stato più che pronto a eseguire? Berija aveva una buona ragione per affrettarsi. Solo lui aveva il permesso di entrare nell'ufficio di Stalin e, naturalmente, le guardie di Stalin erano in servizio, eppure quando la cassaforte fu aperta ufficialmente, fu trovata vuota, a parte la tessera del partito del suo proprietario e alcuni documenti insignificanti. Avendo distrutto il quaderno di Stalin, se davvero era lì, Berija avrebbe spianato la strada alla sua ascesa. Forse la verità non verrà mai a sapere, ma Epišev era convinto che Berija avesse svuotato la cassaforte prima che gli altri potessero arrivare[10]

Si può quindi ragionevolmente pensare che la morte di Stalin, per quanto non sia dimostrabile essere un attentato alla vita o un assassinio, è una morte avvenuta in circostanze misteriose, e con le medesime caratteristiche di altre morti che furono poi dimostrate essere assassini da parte di cospiratori. Ciò che è certo è che la morte di Stalin, se naturale, fu una "fortuita" coincidenza in un momento in cui una considerevole fetta del Politburo sovietico aveva interesse nella sua morte e nella successione. Questo fu valido tanto, come è stato appena dimostrato, per Chruščëv quanto per Malenkov, Berija e altri uomini definiti dalla propaganda anticomunista come dei "boia di Stalin", ma che nei fatti, dimostrati dalle prove indiziarie e dalle fonti d'archivio, furono in realtà degli opportunisti che si finsero dei "fedelissimi" solo per salvare le proprie natiche da delle procedure legali per alto tradimento non dissimili dai processi degli anni '30.

Il vero motivo dietro le azioni della cricca di Chruščëv: i tentativi di "riforma democratica" e anti-burocratica di Stalin e Ždanov

Ma perché una tale ipotesi dovrebbe corrispondere a realtà, sarebbe la (in questo caso legittima) domanda da parte anticomunista? Per comprendere tutto ciò, è necessario tenere a mente che nel 1947 da parte di Stalin e di Ždanov venne rilasciata una proposta per la trasformazione del PCUS, da organo di fatto governativo e principale deliberativo dell'Unione Sovietica, ad un organismo più "simbolico", un "partito guida" nel vero senso del termine, un "principato civile" contemporaneo, per rimanere in tema con il paragone "machiavellico" sul ruolo del partito fatto da Antonio Gramsci nei suoi scritti. Ciò è stato confermato anche dal (fu) storico e sovietologo russo Aleksandr Pyzikov (anticomunista e anti-Stalin), come riportato dallo storico marxista-leninista Grover Furr:

«Probabilmente c'è di più nei piani di democratizzazione della leadership di Stalin di quanto sappiamo oggi. Aleksandr Pyzhikov, uno storico molto anticomunista e anti-Stalin, ha citato selezioni allettanti di una bozza del 1947 di un programma del partito per promuovere ulteriormente la democrazia e l'egualitarismo nell'URSS. Questo piano affascinante e finora del tutto sconosciuto non è mai stato pubblicato e, evidentemente, non è ancora disponibile per altri ricercatori. Ecco la sezione citata alla lettera da Pyzhikov: "Lo sviluppo della democrazia socialista sulla base del completamento della costruzione di una società socialista senza classi convertirà sempre di più la dittatura del proletariato nella dittatura del popolo sovietico. Man mano che ogni membro dell'intera popolazione viene gradualmente coinvolto nella gestione quotidiana degli affari di stato, la crescita della coscienza e della cultura comunista della popolazione e lo sviluppo della democrazia socialista porteranno alla progressiva scomparsa delle forme di coercizione nella dittatura del popolo sovietico e a una progressiva sostituzione delle misure di coercizione con l'influenza dell'opinione pubblica, a un progressivo restringimento delle funzioni politiche dello stato e alla conversione dello stato, in generale, in un organo di gestione della vita economica della società". Pyzhikov riassume altre sezioni di questo documento inedito come segue: "In particolare [la bozza] riguardava lo sviluppo della democratizzazione dell'ordine sovietico. Questo piano riconosceva come essenziale un processo universale di coinvolgimento dei lavoratori nella gestione dello Stato, nell'attività statale e sociale quotidiana sulla base di uno sviluppo costante del livello culturale delle masse e di una semplificazione massima delle funzioni di gestione statale. Proponeva in pratica di procedere all'unificazione del lavoro produttivo con la partecipazione alla gestione degli affari statali, con la transizione allo svolgimento successivo delle funzioni di gestione [statale] da parte di tutti i lavoratori. Si dilungava anche sull'idea dell'introduzione di un'attività legislativa diretta da parte del popolo, per la quale erano considerati essenziali i seguenti punti: a) attuare il voto universale e il processo decisionale sulla maggior parte delle questioni più importanti della vita governativa sia nella sfera sociale che in quella economica, nonché in questioni di condizioni di vita e sviluppo culturale; b) sviluppare ampiamente l'iniziativa legislativa dal basso, mediante la concessione alle organizzazioni sociali del diritto di sottoporre al Soviet Supremo proposte di nuova legislazione; c) confermare il diritto dei cittadini e delle organizzazioni sociali a presentare direttamente proposte al Soviet Supremo sulle questioni più importanti della politica internazionale e interna. Né è stato ignorato il principio dell'elezione dei dirigenti. Il piano del programma del partito ha sollevato la questione della realizzazione, secondo il grado di sviluppo verso il comunismo, della selezione di tutti i membri responsabili dell'apparato statale tramite elezione, di cambiamenti nel funzionamento di una serie di organi statali nella direzione di convertirli sempre più in istituzioni incaricate della contabilità e della supervisione dell'economia nel suo complesso. Per questo è stato visto come importante il massimo sviluppo possibile di organizzazioni volontarie indipendenti. Si è prestata attenzione al rafforzamento del significato dell'opinione sociale nella realizzazione della trasformazione comunista della coscienza della popolazione, dello sviluppo, sulla base della democrazia socialista tra le grandi masse popolari, della "cittadinanza socialista", dell'"eroismo del lavoro" e del "valore dell'Armata Rossa". [...] Questo piano audace riecheggia molte delle idee di "estinzione dello Stato" previste nell'opera fondamentale di Lenin Stato e Rivoluzione, che a sua volta sviluppa idee che Lenin trovò in Marx ed Engels. Nel proporre la partecipazione democratica diretta a tutte le decisioni statali vitali da parte del popolo sovietico e delle sue organizzazioni popolari, e il "rinnovamento" -- con almeno la possibilità di sostituzione -- di non meno di 1/6 del Comitato Centrale ogni anno attraverso una Conferenza del Partito, questo piano del Partito prevedeva lo sviluppo della democrazia dal basso sia nello Stato che nel Partito stesso. [...] Sembra che la dirigenza di Stalin abbia fatto un ultimo tentativo di separare il Partito dal controllo diretto sullo Stato al 19° Congresso del Partito nel 1952 e al Plenum del Comitato Centrale immediatamente successivo. A partire da Chruščëv, la nomenklatura del Partito ha cercato di distruggere ogni ricordo di questo Congresso e si è mossa immediatamente per sradicare ciò che vi era stato fatto. Sotto Brežnev sono state pubblicate le trascrizioni di tutti i Congressi del Partito fino al 18°. Quella del 19° Congresso non è mai stata pubblicata fino ad oggi. Stalin ha tenuto solo un breve discorso al Congresso, che è stato pubblicato. Ma ha tenuto un discorso di 90 minuti al Plenum del Comitato Centrale che lo ha seguito immediatamente. Quel discorso non è mai stato pubblicato, tranne che per estratti molto brevi, e nemmeno la trascrizione di questo Plenum. [...] Senza dubbio suggeriva anche meglio un organismo che governa solo il Partito, non il partito e lo Stato. Il Politburo era stato un organismo di membri misti. Comprendeva il Presidente del Consiglio dei Ministri (il capo dell'organo esecutivo dello Stato, ovvero il capo dello Stato); il Presidente del Presidium del Soviet Supremo (capo dell'organo legislativo); il Segretario Generale del Partito (Stalin); uno o due segretari del Partito in più; e uno o due ministri del governo. Le decisioni del Politburo erano efficaci sia per il governo che per il partito. [...] Furono apportate altre modifiche: la carica di Segretario Generale, la carica di Stalin, fu abolita. Ora Stalin era solo uno dei 10 segretari del Partito, tutti presenti nel nuovo Presidium, che ora conteneva 25 membri e 11 candidati-membri. Questo era molto più grande dei 9-11 membri del precedente Politburo. Le sue grandi dimensioni lo avrebbero reso più un organo deliberativo e provvisorio, piuttosto che uno in cui molte decisioni esecutive potevano essere prese di routine e rapidamente. La maggior parte di questi membri del Presidium sembravano essere funzionari governativi, non alti dirigenti del Partito. Khrushchev e Malenkov in seguito si chiesero come Stalin potesse aver sentito parlare delle persone che aveva suggerito per il primo Presidium, dal momento che non erano noti leader del Partito (vale a dire non Primi Segretari). Presumibilmente, Stalin li aveva nominati per le loro posizioni nella leadership dello Stato, in contrapposizione a quella del Partito. Stalin fece seguire le sue dimissioni da Segretario generale del Partito, avvenute al 19° Congresso, con la sua proposta, al Plenum del CC subito dopo, di dimettersi completamente dal Comitato centrale, rimanendo solo Capo di Stato (Presidente del Consiglio dei ministri). Se Stalin non fosse stato nel Comitato centrale, ma solo Capo di Stato, i funzionari governativi non avrebbero più ritenuto di dover rispondere al Presidium, l'organismo supremo del Partito. L'atto di Stalin avrebbe rimosso l'autorità dai funzionari del Partito, il cui ruolo di "supervisione" nello Stato era inutile, in termini di produzione. Senza Stalin come capo del Partito, la dirigenza del Partito, la nomenklatura, avrebbe avuto meno prestigio. I membri di base del Partito non si sarebbero più sentiti obbligati a "eleggere" -- cioè, a confermare semplicemente -- i candidati raccomandati dai Primi segretari e dal Comitato centrale. Viste in questa luce, le dimissioni di Stalin dal Comitato centrale potrebbero essere un disastro per la nomenklatura. Potrebbero aver pensato di essere protetti dalle critiche spietate dei comunisti di base solo dall'"ombra di Stalin". Ciò significherebbe che, in futuro, solo persone intelligenti e capaci sopravvivrebbero nella nomenklatura del Partito, come nell'apparato statale. La mancanza di una trascrizione pubblicata suggerisce che a questo Plenum siano accadute cose, e Stalin abbia detto cose nel suo discorso, che la nomenklatura non desiderava rendere pubbliche. Indica anche - ed è importante sottolinearlo - che Stalin non era "onnipotente". Ad esempio, la seria critica di Stalin a Molotov e Mikojan in questo Plenum non fu pubblicata fino a molto tempo dopo la sua morte. Il famoso scrittore sovietico Konstantin Simonov era presente come membro del CC. Registrò la reazione scioccata e in preda al panico di Malenkov quando Stalin propose un voto per liberarlo dall'incarico di segretario del Comitato Centrale. Di fronte a una veemente opposizione, Stalin non insistette. Non appena fu possibile, la dirigenza del Partito prese provvedimenti per annullare le decisioni del 19° Congresso del Partito. Alla riunione del 2 marzo, con Stalin ancora vivo ma incosciente, un Presidium abbreviato - essenzialmente, i vecchi membri del Politburo - si riunì nella dacia di Stalin. Lì presero la decisione di ridurre il Presidium a 10 membri, invece di 25. Questo era, fondamentalmente, di nuovo il vecchio Politburo. Il numero dei segretari del Partito fu ridotto ancora una volta a cinque. Chruščëv fu nominato "coordinatore" del segretariato e poi, cinque mesi dopo, "primo segretario". Infine, nel 1966, il nome Presidium fu cambiato di nuovo in Politburo. Per il resto della storia dell'URSS, il Partito continuò a governare la società sovietica, i suoi ranghi superiori divennero uno strato corrotto, autoselezionato e autocelebrativo di elitari privilegiati. Sotto Gorbacëv, questo gruppo dirigente abolì l'URSS, dandosi la ricchezza economica e la leadership politica della nuova società capitalista. Allo stesso tempo, distrusse i risparmi e rubò i benefici sociali alla classe operaia e ai contadini sovietici, il cui lavoro aveva costruito tutto, mentre si appropriava dell'immensa ricchezza creata pubblicamente dall'URSS. Questa stessa ex nomenklatura continua a governare gli stati post-sovietici oggi[11]

Primi tentativi di golpe e breve parentesi di potere di Berija

Con la morte di Stalin, avvenuta "ufficialmente" il 5 Marzo del 1953, un primo tentativo di golpe da parte dei revisionisti fu attuato la mattina del giorno successivo, il 6 Marzo 1953. Come testimonia il già menzionato giornalista Harrison Salisbury, corrispondente da Mosca e quindi testimone oculare della vicenda:

«Convogli di camion fluidi e silenziosi scivolavano nella città. Seduti a gambe incrociate su panche di legno nei camion dipinti di verde c'erano distaccamenti di truppe del MVD con i cappelli blu e rossi, ventidue per camion, le truppe speciali del Ministero degli Interni. . . . Mi passò per la mente il pensiero fugace che, forse, un colpo di stato potesse essere in atto. [...] Alle nove... le truppe degli Affari Interni erano ovunque nel centro della città [...] Nella parte alta di Gorky Street fecero la loro comparsa colonne di carri armati [...] Tutte le truppe e tutti i camion e tutti i carri armati appartenevano ai distaccamenti speciali del MVD. Non si vedeva un solo distaccamento di forze dell'esercito regolare. Più tardi scoprii che il MVD aveva, di fatto, isolato quasi tutta la città di Mosca [...] Alle dieci o alle undici del mattino del 6 marzo 1953 nessuno poteva entrare o uscire dal cuore di Mosca se non con il permesso del MVD [...] Le forze del MVD avevano preso il controllo della città [...] Potevano altre truppe entrare in città? No, a meno che non avessero il permesso del MVD o fossero pronte a farsi strada combattendo, strada per strada, barricata per barricata[12]

«Pertanto, prima ancora che il corpo di Stalin fosse freddo, Berija ordinò alle truppe dell'MGB, principalmente alla Prima Divisione di fanteria motorizzata Dzeržinskij (di designazione speciale) e alla sua gemella Seconda Divisione di fanteria motorizzata, di entrare a Mosca dai loro quartieri nei dintorni della città. Nel giro di poche ore, quelle unità non solo istituirono controlli e bloccarono il traffico, incluso quello pedonale, su ogni principale arteria della capitale, ma avevano anche circondato il Cremlino. La città, il partito, il governo e la leadership dell'esercito erano virtualmente sotto assedio. Con le sue truppe così al comando della situazione, Berija permise la formalità di una rapida divisione del bottino. Malenkov, l'erede apparente, assunse la guida del partito e del governo. La sicurezza tornò a Berija, le forze armate a Bulganin e gli affari esteri a Molotov. Prima ancora che quella divisione diventasse ufficiale, la politica era dilagante tra tutti i cospiratori, tranne Berija. Era troppo impegnato a riaffermare il suo controllo sulle forze di sicurezza. Unì l'MVD e l'MGB in un unico ministero, di cui era il capo. Così facendo, commise quello che in seguito si rivelò essere il suo più grande errore: mantenne come vice Kruglov, ex capo dell'MVD e uomo di Malenkov, e Serov, creatura di Chruščëv dall'Ucraina[13]

Questo primo tentativo di golpe, guidato principalmente dall'intelligence e da Berija, andò in fumo per via dell'ostruzionismo da parte del partito e in particolare dei marxisti-leninisti che in quel momento avevano ancora la maggioranza relativa nel Politburo. Una piccola deviazione va fatta sulla figura di Berija: definito da alcuni, come lo storico Grover Furr o Finnish Bolshevik, come una vittima della propaganda revisionista di Chruščëv, una figura politica ingiustamente demonizzata e quindi priva di colpe, è invece ritenuto da altri, come il già citato "presidente" dell'Albania socialista Enver Hoxha, alla pari degli altri cospiratori e revisionisti, tanto nelle idee quanto nei piani d'azione che voleva attuare. Non avendo, ovviamente, né la possibilità di intervistare il diretto interessato, in quanto morto, né le prove d'archivio che definiscano concretamente la posizione dell'allora capo dell'intelligence sovietica, è per noi impossibile stabilire una sentenza definitiva, pertanto sia in questa voce che in un'eventuale voce sul personaggio storico e politico in sé, sarà opportuno limitarsi ai fatti e a riportare entrambe le interpretazioni della sua figura per una maggiore obiettività.

Enver Hoxha, che in quei giorni fu personalmente inviato a Mosca come rappresentante del Partito del Lavoro d'Albania e della Repubblica Popolare Socialista d'Albania, scrisse nelle sue memorie del 1976, pubblicate nel 1980:

«In quanto comunista e dirigente del Partito, anch’io ho dovuto partecipare attivamente e dare il mio contributo a questa grande lotta eroica del nostro Partito. Incaricato dal Partito e dalla sua direzione fin dalla Liberazione dell’Albania, e soprattutto durante gli anni 1950-1960, ho più volte guidato le delegazioni del Partito e dello Stato negli incontri ufficiali con i dirigenti sovietici e con i principali dirigenti degli altri partiti comunisti e operai. Ci siamo anche scambiati visite, e ho preso parte a consultazioni e a incontri intemazionali dei partiti comunisti dove ho esposto e difeso la giusta linea del nostro Partito, le sue decisioni e le sue raccomandazioni. Durante tutti questi incontri e queste visite ho conosciuto da vicino gloriosi e indimenticabili dirigenti come Stalin, Dimitrov, Gottwald, Bierut, Pieck ed altri, ma ho dovuto entrare in contatto e conoscere anche i traditori kruscioviani, i quali, attraverso un processo lungo e complesso, hanno gradualmente usurpato il potere sia in Unione Sovietica che nei paesi che erano un tempo democrazie popolari. [...] Il giorno successivo alla morte di Stalin, il 6 marzo 1953, il Comitato Centrale del Partito, il Consiglio dei Ministri e il Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica convocarono in fretta un’adunanza congiunta. In caso di gravi perdite, come quella di Stalin, riunioni urgenti come questa sono una cosa utile e indispensabile. Ma i numerosi e importanti rimpasti comunicati attraverso la stampa il giorno seguente, dimostrarono che questa riunione urgente aveva avuto luogo unicamente per procedere... alla spartizione delle cariche! Stalin era appena morto, la sua salma non era stata portata ancora nella sala in cui gli sarebbero stati resi gli ultimi omaggi, non era stato preparato nemmeno il programma per l’organizzazione degli omaggi e della cerimonia funebre, i comunisti e il popolo sovietico erano in lacrime per la grande perdita, e invece il vertice della direzione sovietica riteneva opportuno proprio quel giorno per procedere alla spartizione dei portafogli! Malenkov fu designato presidente del Consiglio dei Ministri, Berija primo vicepresidente del consiglio e ministro degli interni, mentre Bulganin, Kaganovič, Mikojan, Molotov si spartirono le altre principali cariche. Quello stesso giorno si procedette a importanti cambiamenti in tutti gli organi supremi del partito e del potere. Il Presidium e l’Ufficio del Presidium del Comitato Centrale del Partito si fusero in uno solo organo, furono eletti nuovi segretari al Comitato Centrale del Partito, si procedette alla fusione di vari ministeri, furono fatti cambiamenti nella composizione del Presidium del Soviet Supremo ecc. [...] Ma se all’inizio tutto ciò suscitava in noi solo interrogativi che ci sconvolgevano e ci stupivano, l’evolversi degli avvenimenti, le vicende e i fatti che avremmo appreso in seguito ci avrebbero maggiormente convinti che da tempo mani segrete tramavano la congiura e aspettavano solo l’occasione per avviare il processo di distruzione del Partito Bolscevico e del socialismo in Unione Sovietica. [...] Noi, e molti altri come noi, ritenevamo che Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica sarebbe stato eletto Molotov, il più stretto collaboratore di Stalin, il bolscevico più vecchio, più maturo, dotato di maggiore esperienza e meglio conosciuto in Unione Sovietica e all’estero. Ma non fu così. Malenkov fu messo alla testa e Berija si aggrappò a lui. In quei giorni dietro di loro, un po’ più nell’ombra, stava una «pantera» che si apprestava a divorare e liquidare i primi due. Questi era Nikita Chruščëv. La sua ascesa, per il modo in cui avvenne, era veramente strana e destava sospetti: all’inizio fu designato solo capo della commissione centrale per l’organizzazione della cerimonia dei funerali di Stalin e il 7 marzo, quando la spartizione dei posti fu resa di pubblica ragione, non gli fu assegnata nessuna carica; egli fu solo esonerato dalle funzioni di Primo Segretario del Comitato di Partito di Mosca dato che «sarebbe stato incaricato a lavo rare principalmente presso il Comitato Centrale del Partito». Appena pochi giorni dopo, il 14 marzo 1953, Malenkov «dietro sua richiesta» fu esonorato dalla funzione di Segretario del Comitato Centrale del Partito (!) e nella composizione del nuovo Segretariato, eletto lo stesso giorno, Nikita Chruščëv figurava alla testa. Simili atti, benché non ci riguardassero, non ci piacquero affatto. Rimanemmo molto delusi per quanto riguarda l’idea che c’eravamo fatti della stabilità al vertice della direzione sovietica, ma pensammo che non eravamo affatto al corrente del modo in cui si sviluppava la situazione all’interno del Partito e della direzione dell’Unione Sovietica. Dai contatti che avevo avuto con lo stesso Stalin, con Malenkov, Molotov, Chruščëv, Berija, Mikojan, Suslov, Vorošilov, Kaganovič ed altri principali dirigenti, non avevo notato la benché minima spaccatura o discordanza fra loro. Stalin ha combattuto in modo coerente ed è stato uno dei fattori decisivi dell’unità marxista-leninista del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Questa unità nel partito, per la quale aveva lavorato Stalin, non era stata raggiunta con il terrore, come sostennero più tardi Chruščëv e i kruscioviani, facendo eco alle calunnie degli imperialisti e della borghesia capitalista mondiale, che lottavano per rovesciare e distruggere la dittatura del proletariato in Unione Sovietica, ma poggiava sulle conquiste del socialismo, sulla linea e l’ideologia marxista-leninista del Partito Bolscevico, sulla somma e indiscutibile personalità di Stalin. [...] Se in tutta questa titanica e giusta lotta c’è stato anche qualche eccesso, non fu Stalin a farlo, ma Chruščëv, Berija e soci, i quali, per fini oscuri e segreti, al tempo in cui non si sentivano abbastanza potenti, si mostrarono fra i più zelanti a fare epurazioni. Essi agirono in questo modo per acquistarsi credito come «fervidi difensori» della dittatura del proletariato, dimostrandosi «spietati con i nemici», con il proposito di dare la scalata al potere e di impadronirsene in seguito. I fatti dimostrano che quando Stalin venne a scoprire l’attività ostile di un Jagoda o di un Ežov, il tribunale della rivoluzione li condannò senza esitare. Simili elementi, come anche Chruščëv, Mikojan, Berija e i loro aparatciki nascondevano la verità a Stalin. In un modo o nell’altro essi bluffavano, ingannavano Stalin, che non aveva fiducia in loro, perciò aveva apertamente detto: "-... dopo di me, voi venderete l’Unione Sovietica". E’ stato lo stesso Chruščëv ad ammetterlo. E avvenne proprio come aveva previsto Stalin. Finché lui era vivo, anche questi nemici parlavano di unità, ma dopo la sua morte stimolarono la scissione. Questo processo andò via via sviluppandosi. [...] Alcuni mesi dopo la morte di Stalin, nel giugno 1953, mi recai a Mosca alla testa di una delegazione del nostro Partito e del nostro governo per chiedere un credito economico e militare. Era il tempo in cui Malenkov sembrava essere il principale dirigente. Egli era presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica. Chruščëv, benché dal marzo 1953 figurasse in testa all’elenco dei segretari del Comitato Centrale del Partito, a quanto pare non si era ancora impadronito totalmente del potere, non aveva preparato ancora il suo putsch. [...] Malenkov era sempre quello di prima — grasso e con una faccia gialla da imberbe. L’avevo conosciuto tanti anni prima a Mosca, durante gli incontri che avevo avuto con Stalin, e mi aveva fatto una buona impressione. Egli adorava Stalin e sembrava che Stalin pure lo apprezzasse. Al 19° Congresso fu Malenkov a presentare il rapporto in nome del Comitato Centrale. Egli era uno dei quadri relativamente giovani che erano giunti alla direzione, e che più tardi fu eliminato dal revisionista mascherato Chruščëv e dai suoi seguaci. Ma allora egli era a capo del paese, rivestiva la carica di presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica. Accanto a lui stava Berija, con gli occhi scintillanti dietro i suoi occhiali e le mani in continuo movimento. Dopo Berija veniva Molotov, calmo, simpatico, uno dei più serii e dei più rispettati dirigenti per noi, in quanto vecchio bolscevico fin dai tempi di Lenin e intimo compagno di Stalin. Continuavamo a considerare tale Molotov anche dopo la morte di Stalin. Dopo Molotov veniva Mikojan dal volto bruno e cupo, tetro come la notte. Questo trafficante teneva in mano una di quelle grosse matite rosso e blu (un oggetto che in Unione Sovietica si poteva vedere in tutti gli uffici), e stava facendo dei «calcoli». Ora egli aveva maggiormente esteso le sue competenze. Il 6 marzo, giorno in cui si procedette alla distribuzione delle cariche, era stato deciso che il Ministero del Commercio Estero e quello del Commercio Interno si fondessero in uno solo, e l’armeno aveva strappato il portafoglio del ministro commerciante. [...] Incominciai a parlare dei problemi che ci preoccupavano, specie delle questioni militari ed economiche. Prima feci un preambolo della situazione politica interna ed estera del nostro paese, che noi giudicavamo preoccupante. Dovevo senz’altro motivare le nostre necessità e le nostre richieste sia per quanto riguardava il settore economico che quello militare. Riguardo quest’ ultimo, gli aiuti forniti dai sovietici al nostro esercito erano sempre stati insufficienti, minimi, sebbene noi li avessimo apprezzati molto anche pubblicamente. Nella mia esposizione dei fatti ebbi cura di essere il più possibile conciso e concreto, cercai di non dilungarmi e stavo parlando da appena venti minuti quando sentii Berija, dagli occhi di vipera, dire a Malenkov che stava immobile come una mummia ad ascoltarmi: "Non sarebbe meglio dirgli ciò che abbiamo da dirgli e farla finita?" [...] Berija prese la parola. Con aria preoccupata, irritato, muovendo gli occhi e le mani, egli inco minciò a dire che, secondo le informazioni di cui disponevano, noi avevamo non solo ell’esercito, ma anche negli apparati dello Stato e dell’economia degli elementi poco buoni e sospetti (!), e citò perfino una cifra in percentuale. Bulganin tirò un respiro di sollievo e guardò intorno senza nascondere la sua soddisfazione, ma Berija gli stroncò il sorriso sulle labbra. Si oppose apertamente al "consiglio" di Bulganin a proposito delle epurazioni rilevando che "gli elementi con un passato oscuro, ma che in seguito si erano incamminati sulla giusta via, invece di essere epurati dovevano essere perdonati". L’ostilità e le profonde contraddizioni che esistevano fra questi due si manifestavano del tutto apertamente. Come risultò più tardi, le divergenze Bulganin-Berija non erano semplicemente divergenze personali, ma il riflesso delle contraddizioni, dei dissidi e dei profondi contrasti che covavano fra gli organi di Sicurezza dello Stato sovietico e gli organi d’informazione dell’esercito sovietico. Ma questo lo dovevamo apprendere più tardi. Nel caso concreto si trattava di una grave accusa contro di noi, accusa che non potevamo in nessun modo accettare. [...] Da ciò si poteva indovinare che nel Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica era cominciato fra i capi il gioco di gomiti. Malgrado la loro preoccupazione di non dare fuori l’impressione che al Cremlino stava per aver luogo il "cambio della guardia", essi non potevano nascondere tutto. Nel Partito e nel Governo erano stati fatti e venivano fatti ancora dei cambiamenti. Chruščëv, dopo aver fatto lo sgambetto a Malenkov, lasciandogli solo la carica di primo ministro, nel settembre del 1953 assunse personalmente il posto di Primo Segretario del Comitato Centrale. Si capiva che Chruščëv e il gruppo dei suoi stretti seguaci tramarono bene l’intrigo al Presidium, seminando la discordia fra gli oppositori, eliminando Berija, mentre gli altri, a quanto pare, furono messi «a dovere». Quanto all’arresto e all’esecuzione di Berija, esistono parecchie versioni in merito. Si è detto, tra l’altro, che Berija fu arrestato da uomini dell’esercito, con a capo il generale Moskalenko, nel corso stesso di una riunione del Presidium del Comitato Centrale del Partito. Pare che Chruščëv e compagni, non avendo fiducia negli organi di Sicurezza dello Stato, dal momento che erano stati per anni interi nelle mani di Berija, incaricarono l’esercito dell’esecuzione di questa "missione speciale". Il piano era stato predisposto in precedenza: Mentre era in corso la riunione del Presidium del Comitato Centrale del Partito, Moskalenko e i suoi uomini si erano introdotti, senza essere visti, in una stanza attigua. In un certo momento Malenkov preme il bottone di un campanello e, pochi istanti dopo, Moskalenko entra nell’ufficio in cui aveva luogo la riunione e si avvicina a Berija per arrestarlo. Questi, si dice, avrebbe allungato la mano verso la borsa che teneva vicino, ma Chruščëv, «vigilante», al suo fianco, si era mostrato più «lesto» e gli aveva strappato la borsa dalle mani. L’«uccello» non poteva prendere il volo, l’azione fu coronata di successo! Proprio come in un film poliziesco, ma non in un film qualsiasi: gli attori erano membri del Presidium del CC del PC dell’Unione Sovietica! Questa è la versione dei fatti che fu data, e Chruščëv stesso l’ha confermata. Più tardi un generale, consigliere militare sovietico, di nome Sergatskov, se ricordo bene, quando venne a Tirana ci raccontò qualche cosa a proposito del processo di Berija. Egli ci disse di essere stato chiamato come testimone per dichiarare al processo di Berija che questi si sarebbe comportato con arroganza nei suoi confronti. In quest’occasione, Sergatskov aveva detto in confidenza ai nostri compagni: "Berija si è difeso molto bene durante il processo, non ha ammesso nulla e ha respinto le accuse."[14]»

Liquidazione di Berija, golpe di Chruščëv, "discorso segreto"

La vicenda della liquidazione di Berija è poco chiara. La versione ufficiale del governo sovietico diede come giustificazione ufficiale il fatto che Berija fu imputato in quanto, presumibilmente, un "agente dei servizi britannici". Il fatto che nessun verbale di tale processo sia mai stato "redatto" e/o reso pubblico, e la testimonianza indiretta, tramite le memorie di Hoxha, di tale generale Sergatskov, fa pensare che tale processo fu una vera e propria farsa architettata da Chruščëv (il quale, ironicamente, ha poi accusato Stalin, a torto, di aver attuato dei "processi farsa" pubblici e accessibili a tutti, al contrario dei suoi "legittimi" processi privati e tenuti nascosti per mesi). Ciò non scagiona necessariamente Berija dall'accusa di essere stato anch'egli un cospiratore, come hanno già dimostrato le precedenti ricostruzioni che tutte sono unanimemente convinte nell'attribuirgli qualche responsabilità nella morte di Stalin, ma soprattutto in quanto nessuno dei principali collaboratori di Stalin ebbe parole lusinghiere anche dopo la sua morte e anche dopo la loro "caduta" politica, come ad esempio Molotov:

«Poco prima che Beria venisse liquidato dai suoi colleghi timorosi, si prese il merito della morte di Stalin. Confidò a Molotov di averli "salvati tutti", sottintendendo di aver ucciso Stalin o almeno di aver fatto in modo che il colpito Stalin non ricevesse cure mediche adeguate e tempestive[15]

Indipendentemente dalla "santità" o meno della figura storica e politica di Berija, ex capo dell'NKVD, poi MGB, ciò che è certo è che tanto la sua figura (post mortem) quanto quelle di altri collaboratori di Stalin durante il suo governo (in vita) furono soggette ad una sorta di damnatio memoriae, effettuata da Chruščëv e dai suoi uomini per poter dare una legittimità ideologica non solo al suo colpo di mano, ma anche alla sua politica di parziale restaurazione di forme economiche e amministrative tipiche del capitalismo in URSS. Tali accuse furono legittimate dal fatto che Chruščëv si trovasse in una condizione di potere, a differenza di Kaganovič, Malenkov e Molotov, e che quindi questi ultimi, pur sapendo che in qualche misura il nuovo "liberatore" Chruščëv stesse mentendo (come dimostrano le memorie di Molotov, con tanto di data per le dichiarazioni, moltissime delle quali avvenute dopo la "caduta" dello stesso Chruščëv), ma non avendo più l'accesso diretto agli archivi, non potevano dimostrarlo. Nel 1957 Malenkov si riunì alla "vecchia guardia" capitanata da Malenkov e Kaganovič e votarono una "mozione di sfiducia" contro Chruščëv nel Presidium della presidenza del Soviet Supremo (l'organo collegiale che fungeva da capo di stato sovietico), con una maggioranza dei voti di 7 a 4. Chruščëv, però, confutò la loro mozione affermando che solo un voto da parte del Plenum, cioè del Politburo del Partito, potesse effettivamente rovesciarlo; è importante precisare che le sue dichiarazioni furono rafforzate da un discorso del maresciallo Zukov, il quale, minacciando addirittura di usare il potere militare contro tutti gli oppositori (di fatto rivelando la natura da golpe militare della cricca kruscioviana). È interessante notare, nonostante tutto, che un "penitente" Zukov, prima di morire, ebbe da riconoscere il revisionismo di Chruščëv, la validità di Stalin come "capo" politico e ideologico, e il suo "errore" nell'avere supportato l'ala revisionista del PCUS. Finnish Bolshevik, in merito, conclude che molto probabilmente l'ipocrita maresciallo, eroe sì della Grande Guerra Patriottica, ma traditore tardivo della Rivoluzione d'Ottobre, supportò Chruščëv per puro opportunismo: quest'ultimo promosse il maresciallo a ministro della difesa, mentre Stalin lo degradò perché implicato in dei procedimenti per corruzione. Le "tesi" di Chruščëv furono confutate apertamente dai contemporanei cinesi alla guida del Partito Comunista Cinese di Mao Tse Tung e dagli albanesi alla guida del Partito del Lavoro d'Albania di Enver Hoxha, a partire dal 1960, e con loro anche "dissidenti" all'interno di partiti comunisti occidentali, come Bill Bland, marxista-leninista britannico vicino alle posizioni degli albanesi. Tutte le loro principali tesi sono reperibili, in documenti integrali come dichiarazioni ufficiali, studi approfonditi e memorie, nella sezione bibliografica di questa voce.

La disonestà di Chruščëv in merito alle accuse rivolte a Stalin

Chruščëv, come è già stato dimostrato nei precedenti paragrafi, col suo "discorso segreto" ha di fatto praticato una damnatio memoriae, sia ai danni di individui che in quel momento erano morti, e quindi non potevano rispondere delle accuse, come Stalin e Berija, sia ai danni di individui che aveva, con poteri, ironicamente, dittatoriali e tirannici, isolato e marginalizzato dalla politica sovietica, come Malenkov, Kaganovič e Molotov. Ma in cosa consistevano le "accuse" mosse a Stalin, e in che misura sono state smentite? In questa voce ci concentreremo principalmente sull'accusa più infamante, quella di "culto della personalità". Le altre "accuse", di circostanza, inevitabilmente legate ad essa, vengono smentite dallo storico G. Furr nella sua opera (reperibile in inglese nella sezione bibliografica), intitolata "Chruščëv mentì". Le accuse in merito Processi di Mosca#Omicidi politici: l'assassinio di Sergej Kirov (1934)!all'assassinio di Kirov, e la validità delle "riabilitazioni" della sua amministrazione, oltre che di quella di Gorbacëv, sono state smentite dal medesimo autore insieme ad altri (come lo storico di ideologia liberale-borghese anticomunista Arch. Getty), e approfondimenti in merito si possono trovare nelle relative sezioni della voce sui Processi di Mosca.

Accusa di "Culto della Personalità"

Quali sono i principali motivi dietro questa tanto infamante quanto falsa e ridicola accusa? Chruščëv ha accusato Stalin e gli "stalinisti" (ossia i suoi rivali al governo) di aver praticato un "culto della personalità" per i seguenti motivi:

  • Confutare le accuse di "culto della personalità" da parte di anticomunisti
  • Attaccare i propri rivali politici con l'accusa di essere "stalinisti"
  • Riabilitare Tito e la Iugoslavia
  • Giustificare la propria politica di revisione storica, politica ed economica

Ma quello che i dati storici dimostrano è che in realtà Stalin ha sempre osteggiato, rinnegato e rifiutato un "culto della personalità" a lui rivolto. Ciò è dimostrato dalle seguenti dichiarazioni[16]:

«Devo dire in tutta coscienza, compagni, che non merito neanche la metà delle cose lusinghiere che sono state dette qui su di me.»
-Stalin, Risposta al saluto degli operai delle principali officine ferroviarie di Tblisi

«Parlate della vostra devozione verso di me... Vi consiglierei di scartare il "principio" di devozione alle persone. Non è il modo bolscevico. Siate devoti alla classe operaia, al suo partito, al suo stato. Questa è una cosa bella e utile. Ma non confondetela con la devozione alle persone, questa vana e inutile cianfrusaglia di intellettuali deboli di mente.»
-Stalin, Discorso pronunciato al primo congresso pan-sindacale dei brigadieri d'assalto delle fattorie collettive

«Sono assolutamente contrario alla pubblicazione di "Storie dell'infanzia di Stalin". Il libro abbonda di una massa di inesattezze di fatto, di alterazioni, di esagerazioni e di elogi immeritati... la cosa importante risiede nel fatto che il libro ha la tendenza a imprimere nella mente dei bambini sovietici (e della gente in generale) il culto della personalità dei leader, degli eroi infallibili. Ciò è pericoloso e dannoso. La teoria degli "eroi" e della "folla" non è una teoria bolscevica, ma una teoria social-rivoluzionaria. Suggerisco di bruciare questo libro.»
-Stalin, Lettera sulle pubblicazioni per bambini indirizzata al Comitato centrale della Gioventù comunista dell'Unione Sovietica

«Robins: In tutta la Russia ho trovato i nomi Lenin-Stalin, Lenin-Stalin, Lenin-Stalin, collegati tra loro. Stalin: Anche questa è un'esagerazione. Come posso essere paragonato a Lenin?»
-Stalin, Colloquio con il colonnello Robins, 13 maggio 1933

«MOLOTOV (ha dichiarato che è e sarà sempre un fedele discepolo di Stalin.) STALIN (interrompendo Molotov): Questa è una sciocchezza. Non ho studenti. Siamo tutti studenti del grande Lenin.»
-Verbale non pubblicato del discorso di Stalin al Plenum del Comitato Centrale, 16 Ottobre 1952

Ma quindi, chi è che ha promosso effettivamente il "culto della personalità" di Stalin? I suoi nemici, i cospiratori, e più in genere tutti coloro che, con adulazioni e ruffianeria, cercavano di nascondere le loro vere intenzioni ostili e anti-sovietiche. Uno di essi fu, ad esempio, Radek, in quel momento "ex" trotzkista, ma in realtà, come è già stato dimostrato dalle prove fuoriuscite dall'archivio di Harvard delle lettere di Trotskij, oppositore del governo ancora in contatto con Trotskij nonché uno dei principali leader del "Blocco Unito delle Opposizioni" in quel momento. Come riporta lo storico (anticomunista, che nelle medesime pagine si lascia a parole poco lusinghiere, oltre che poco professionali, in merito a Stalin) Roy A. Medvedev:

«Dopo il plenum del Comitato centrale del gennaio 1933, ci fu una straordinaria intensificazione del culto di Stalin. C'era una certa sincerità in questo flusso di elogi per Stalin, ma la maggior parte di essi era un'adulazione attentamente incoraggiata. Il semplice fatto che i membri del Politburo (in particolare Molotov e Kaganovich) fossero stati i primi a esaltare Stalin conferì immediatamente a tali elogi il carattere di politica ufficiale, e come tale dovette essere approvata anche da coloro che in precedenza non avevano considerato Stalin un genio infallibile. Ex oppositori si unirono al coro generale di elogi: in effetti le loro voci spesso risuonavano più forti delle altre. Uno dopo l'altro Zinoviev, Kamenev, Bukharin e altri leader dell'opposizione pubblicarono articoli in cui confessavano ancora una volta di aver sbagliato mentre il "grande capo dei lavoratori di tutto il mondo", il compagno Stalin, aveva sempre avuto ragione. Il primo numero della Pravda del 1934 conteneva un enorme articolo di due pagine di Radek, che riversava elogi orgiastici su Stalin. Questo ex trotskista, che aveva guidato l'opposizione attiva a Stalin per molti anni, ora lo chiamava "il miglior allievo di Lenin, il modello del partito leninista, osso delle sue ossa, sangue del suo sangue". Stalin, secondo l'articolo, si distingueva per "la massima vigilanza contro l'opportunismo" unita a "compostezza adamantina"; personificava "l'intera esperienza storica del partito"; "più di ogni altro allievo di Lenin, si è fuso con il partito, con i suoi quadri di base". Era "lungimirante come Lenin", e così via. Questo sembra essere stato il primo grande articolo sulla stampa specificamente dedicato all'adulazione di Stalin, e fu rapidamente ripubblicato come opuscolo in 225.000 copie, una cifra enorme per l'epoca. Ai suoi ex soci nell'opposizione Radek offrì la seguente spiegazione delle lodi che aveva profuso su Stalin: "Dovremmo essere grati a Stalin. Se noi [l'opposizione] fossimo vissuti al tempo della Rivoluzione francese, saremmo stati molto tempo fa più bassi di una testa". Gli eventi dimostrarono presto quanto poco Radek conoscesse Stalin[17]

Come dimostra la ricostruzione dello storico Medvedev, quindi, uno dei principali sostenitori del "culto della personalità", definito dallo storico stesso come in gran parte una "insincera adulazione", era un comprovato leader dell'opposizione a Stalin e al governo sovietico, che altro non faceva se non dissimulare in pubblico il proprio comportamento nella speranza che le proprie azioni cospiratorie non venissero a galla. Un simile atteggiamento si è avuto da parte di un altro oppositore e traditore anti-sovietico, Ežov, come testimoniato dalla ricostruzione dei due storici (anch'essi chiaramente di pregiudizi anticomunisti, da come si può evincere dalla loro opera) Marc Jansen e Nikita Petrov, i quali riportano:

«Il nome di Ežov fu dato a tutto, dal piroscafo Dal'stroi, a una fabbrica in Ucraina, allo stadio Dinamo di Kiev, a un distretto di Sverdlovsk, alla scuola per ufficiali delle truppe dell'NKVD, alla scuola superiore di agricoltura di Krasnodar e a centinaia di altre istituzioni educative, kolchoz, truppe dei pionieri e così via; il 15 luglio 1937 il Politburo votò per rinominare la città di Sulimov, capoluogo della provincia autonoma dei Circassi nel Caucaso settentrionale, Ežovo-Čerkessk. (All'inizio del 1938 Ežov propose che Mosca venisse rinominata Stalinodar, ma Stalin respinse l'idea.)small>[18]»

Una testimonianza simile è data dalla ricostruzione storica dell'editoriale Russia Beyond:

«Il secondo tentativo [di cambiare nome alla città di Mosca] avvenne nel 1938 e fu proposto da Nikolay Ežov (1895-1940), allora Commissario del popolo per gli affari interni, anche lui uno spietato scagnozzo e carnefice, che stava iniziando a perdere potere e fiducia agli occhi di Stalin. Nel tentativo di riconquistare il favore del leader, Ežov ordinò ai suoi sudditi di creare un progetto per rinominare Mosca in Stalinodar (tradotto come "dono di Stalin"). Il progetto di Ezhov citava persino lettere e poesie di "semplici moscoviti". Ma Ežov non tenne conto del fatto che Stalin odiava le semplici adulazioni. Respinse il suggerimento come "sciocco". Ežov non sopravvisse a lungo dopo, essendo stato giustiziato due anni dopo[19]

Ma, oltre ai cospiratori prossimi ad essere scoperti, vi era una seconda categoria di "promotori del culto della personalità", una categoria parecchio scomoda a Chruščëv e alla sua cricca: il suo entourage e Chruščëv stesso. Ebbene sì, a dispetto delle accuse di "culto della personalità" mosse a Stalin, fu proprio Chruščëv il primo a pubblicare sempre più pamphlet da adulatore e leccaculo, per poter meglio nascondere le sue vere intenzioni, manifestate, da vero codardo, solo dopo la morte di Stalin e la sua presa di potere illegale delle istituzioni sovietiche, insieme soprattutto ai suoi uomini e futuri collaboratori, come il già citato Mikojan:

«Mikojan, almeno, ha francamente posto l'America come modello da emulare per le industrie leggere e i servizi pubblici sovietici. All'ultimo congresso del partito nel 1939, fu l'unico oratore, in effetti, a essere entusiasta dei risultati dell'industria americana. Nello stesso discorso, per inciso, ha elogiato il nome di Stalin più di quaranta volte nelle prime 2.000 parole[20]

Inoltre, Mikojan, che dal 1929 proponeva la pubblicazione di una "Biografia di Stalin", ebbe l'avallo a tale proposta dopo 20 anni, un tempo incredibilmente breve per una dittatura personalistica come quella che Chruščëv pare dipingere di Stalin, nel 1948. Chruščëv, "dimenticando" il nome del "compagno" che aveva per molto tempo proposto la pubblicazione di tale biografia, nel suo discorso segreto, senza vergogna e senza remora definisce tale opera "un'opera della più dissoluta adulazione". Peccato che tale "dissoluta adulazione" fu fatta dal suo amicone e "compagno" di merende Mikojan, e che l'unico "contributo" di Stalin fu una continua modifica per rimuovere proprio le parti più "adulanti" ad egli sgradite. Come testimonia Furr:

«Le modifiche apportate da Stalin a questa biografia sono state ora pubblicate, prima in lzyestiia TsK KPSS n. 9, 1990, e poi ampiamente ristampate. Ciò ci consente di vedere come Krusciov abbia mentito sulle modifiche apportate da Stalin a questa biografia. Persino l'editore anti-Stalin di queste selezioni per la rivista, V.A. Belianov, ha ammesso che molte delle correzioni di Stalin erano nella direzione di rimuovere le lodi esagerate che gli autori gli avevano fatto e di far apparire Stalin modesto. Chruščëv ha deliberatamente distorto il carattere di alcune delle citazioni che lui stesso cita. [...] Stalin criticò fortemente il "carattere socialista-rivoluzionario" degli elogi tributatigli dagli autori della "Breve biografia", rimproverandoli come .. l'educazione degli idolatri". Stalin rifiutò qualsiasi credito per gli insegnamenti attribuitigli nella bozza, dando invece credito a Lenin. Maksimenkov conclude che Krusciov distorse completamente la natura dei cambiamenti apportati da Stalin a questa biografia, e sottolinea che anche altri scrittori del periodo sovietico di Krusciov e post-Chruščëv non li corressero. Altri passaggi omessi dagli autori originali e inseriti da Stalin includono un lungo passaggio sull'importanza delle donne nella rivoluzione e nella società sovietica[21]

Lo stesso Chruščëv pare abbia avuto un "record personale" nel numero di articoli e dichiarazioni in cui ha disperatamente cercato di arruffianarsi Stalin, come riportato in una biografia pubblicata nel 1961 (e quindi quando Chruščëv era ancora al potere in URSS) di Lazar Pistrak:

«Ciò che Krusciov non disse al suo pubblico fu che l'auto-elevazione di Stalin era il risultato di anni di servilismo, sottomissione e "la più assoluta adulazione", che i compagni di Stalin avevano iniziato mentre era in vita. Come mostrato sopra, l'adulazione iniziò già nel 1925 e negli anni Trenta i leader dell'organizzazione del partito di Mosca, Krusciov e Kaganovič, furono gli adulatori "più assoluti". Nei primi anni Trenta l'espressione ozhd non era ancora popolare, ma a Mosca fu intensamente propagata. Alla conferenza del partito di Mosca del gennaio 1932, solo Chruščëv e Kaganovič usarono questo termine. Chruščëv, eletto segretario dell'organizzazione del partito di Mosca in questa conferenza, concluse il suo discorso come segue: "I bolscevichi di Mosca si sono radunati attorno al Comitato centrale leninista come mai prima e attorno al vozhd del nostro partito, compagno Stalin, marciano allegramente e fiduciosamente verso nuove vittorie nelle battaglie per il socialismo, per la rivoluzione proletaria mondiale". Gradualmente, Chruščëv e Kaganovič, in nome dei "bolscevichi di Mosca", elevarono Stalin a "Grande vozhd del partito leninista indurito dalla battaglia e delle moltitudini, il nostro Stalin" e "il nostro insegnante e leader, il nostro vozhd". "Nel giugno 1933, in un discorso a Stalin [...] "il nostro maestro e il nostro vozhd" fu inoltre onorato come "il più grande stratega del bolscevismo" e "il nostro amato amico, il compagno Stalin". Questo discorso fu adottato alla Conferenza del partito della provincia di Mosca, con Krusciov alla presidenza. Non ci vollero più di sei mesi perché una sessione plenaria dell'organizzazione di Mosca, guidata da Kaganovich e Krusciov, approvasse un discorso in cui Stalin e Lenin venivano definiti "vozhd del genio". Questa era un'adulazione prematura, poiché alla fine di gennaio 1934, un editoriale della Pravda aveva usato il termine solo in relazione a Marx, Engels e Lenin, per i quali "il proletariato aveva trovato un degnissimo successore: il grande Stalin, il titano del pensiero e delle azioni rivoluzionarie". Stalin fu anche definito "vozhd del partito, il ferreo brigadiere della rivoluzione internazionale, il grande architetto della prima rivoluzione socialista nel mondo", ma non ancora un genio. Così La promozione di Stalin a genio fu avviata da Chruščëv e Kaganovič, senza dubbio principalmente dal primo perché poco dopo questa promozione, al diciassettesimo congresso del partito nel 1934, fu Chruščëv, e Chruščëv da solo, a chiamare Stalin "vozhd del genio". Anche altri oratori usarono l'aggettivo genialnyi, ma non in questa combinazione. Berija, ad esempio, parlò della "chiarezza brillante" con cui Stalin definì le strade del "nostro movimento verso una società senza classi"; Bulganin e Kaganovič elogiarono il rapporto di Stalin come "brillante", mentre Vorošilov applicò questo aggettivo solo a Lenin. Solo Mikojan e Chruščëv lo collegarono non solo alle azioni di Stalin, ma anche alla sua personalità; Mikojan lo definì "stratega del genio" e Chruščëv espresse la sua adorazione per Stalin con l'appellativo di "genio". È interessante notare che Kirov, il boss di Leningrado ucciso dieci mesi dopo il congresso, era molto indietro rispetto a Chruščëv; l'elogio più grande che Kirov aveva in serbo per Stalin era stato "il più grande stratega della costruzione socialista". [...] Alla fine di ottobre del 1936, rivolgendosi a Stalin, i "bolscevichi di Mosca", di cui Chruščëv era il leader, diedero un ulteriore contributo al culto di Stalin elogiandolo come "il genio dell'umanità". Nel novembre del 1936, al quarto congresso dei Soviet della provincia di Mosca, Chruščëv disse al "più grande vozhd di tutti i lavoratori" che "amore ardente e fedeltà illimitata" riempiono il cuore di ogni cittadino sovietico. Pochi giorni dopo, in un articolo di Prada, Chruščëv informò il genio che "i lavoratori della capitale sono felici e orgogliosi di vivere e lavorare nella stessa città dell'amato ozhd dei popoli". All'ottavo congresso pan-sovietico dei Soviet, Chruščëv insistette affinché la Costituzione sovietica, che doveva essere adottata dal congresso, fosse chiamata Costituzione stalinista, perché "era stata scritta dall'inizio alla fine dallo stesso compagno Stalin". Questa fu un'altra adulazione inventata da Chruščëv per compiacere il dittatore. Se fosse stata vera, anche altri oratori avrebbero protestato per questa grande conquista del vozhd. Ma non fu così. Piuttosto, Stanislav V. Kosior, a cui Chruščëv era succeduto in Ucraina, affermò semplicemente che la Costituzione era stata "creata sotto la guida diretta del compagno Stalin", mentre Molotov, all'epoca presidente dei commissari del popolo, e Zdanov, il capo del partito di Leningrado, non menzionarono affatto i meriti personali di Stalin nella stesura della Costituzione. Fu nello stesso discorso che Chruščëv coniò l'espressione "stalinismo": "La nostra Costituzione", disse Krusciov, "è il marxismo-leninismo-stalinismo che ha conquistato un sesto del globo. Non dubitiamo che il marxismo-leninismo-stalinismo conquisterà l'intero globo. Adottiamo la nostra Costituzione e celebriamo la vittoria del marxismo-leninismo-stalinismo che non è solo la nostra vittoria ma anche quella dei lavoratori di tutto il mondo". Oggi il termine stalinismo è vietato nella terra dei Soviet: "In realtà, lo 'stalinismo' come insegnamento speciale o sistema sociale non è mai esistito; [lo stalinismo è stato] inventato dalla propaganda imperialista allo scopo di combattere contro il marxismo-leninismo e il movimento comunista mondiale e, in particolare, allo scopo di rivedere i principi dell'internazionalismo proletario", si legge oggi sulla stampa comunista. L'ascesa di Stalin fu strettamente intrecciata con la Grande Purga del 1936-38, e Chruščëv si dimostrò un maestro nello sfruttare questa interconnessione allo scopo di rafforzare il governo di Stalin e il culto della sua personalità. Nell'agosto del 1936, durante il processo Kamenev-Zinoviev, Chruščëv nella sua veste di capo del partito di Mosca, ispirò i suoi "attivisti" a rivolgersi a Stalin nel modo seguente: "Loro [gli imputati] hanno tirato le fila di questo sanguinoso complotto e hanno diretto un colpo al cuore della Rivoluzione, a te, il nostro Stalin, e ai tuoi più intimi discepoli. Dannati degenerati fascisti! Hanno alzato le mani contro uno il cui nome milioni di lavoratori pronunciano ogni giorno, ogni ora, con orgoglio e amore illimitato. ... Miserabili pigmei! Hanno alzato le mani contro il più grande di tutti gli uomini ... il nostro caro amico, il nostro saggio vozhd, il compagno Stalin! La lotta vittoriosa del nostro Partito per il socialismo è indissolubilmente legata al tuo nome. ... Tu, compagno Stalin, hai innalzato la grande bandiera del marxismo-leninismo in alto sul mondo intero e l'hai portata avanti. Ti assicuriamo, compagno Stalin, che l'organizzazione bolscevica di Mosca, fedele sostenitrice del Comitato Centrale stalinista, aumenterà ancora di più la vigilanza stalinista, estirperà i resti trotskisti-zinovieviti e stringerà ancora di più i ranghi dei bolscevichi di partito e non di partito attorno al Comitato Centrale stalinista e al grande Stalin". Il discorso di Chruščëv con cui cercò di scatenare un raduno pubblico di 200.000 persone a Mosca nel gennaio 1937, durante il processo Piatakov-Radek, era sullo stesso tono: "Questi assassini hanno preso di mira il cuore e il cervello del nostro Partito. Hanno alzato le loro mani malvagie contro il compagno Stalin. Alzando le mani contro il compagno Stalin, le hanno alzate contro tutti noi, contro la classe operaia, contro il popolo lavoratore! Alzando le mani contro il compagno Stalin, le hanno alzate contro gli insegnamenti di Marx, Engels e Lenin. Alzando le mani contro il compagno Stalin, le alzarono contro tutto il meglio che l'umanità possiede. Perché Stalin è speranza; è aspettativa; è il faro che guida tutta l'umanità progressista. Stalin è la nostra bandiera! Stalin è la nostra volontà! Stalin è la nostra vittoria!" Nel novembre e dicembre del 1937, la sanguinosa Purga infuriava in tutto il paese. Questo particolare periodo in cui, per usare la formulazione di Krusciov del 1956, "si creò una situazione in cui non si poteva esprimere la propria volontà", 30 fu considerato il momento più appropriato per la "campagna elettorale" al Soviet Supremo. Quanto Chruščëv fosse vicino a Stalin in generale è una questione di speculazione, ma a quanto pare a quel tempo il rapporto personale tra il vozhd e il suo compagno d'armi era piuttosto stretto. L'11 dicembre 1937, a un incontro elettorale in uno dei distretti di Mosca, dove Stalin "si candidò" per il Soviet Supremo, aprì il suo discorso con la seguente osservazione: "Compagni, a dire la verità, non avevo intenzione di parlare. Ma il nostro rispettato Nikita Sergeyevich mi ha trascinato qui con la forza all'incontro: 'Fai un bel discorso', ha detto"[22]

Il drammaturgo Lion Feuchtwanger, già testimone dei processi di Mosca e della loro validità, nel suo diario di viaggio scrisse, in merito a Stalin e al "culto della personalità":

«È palesemente fastidioso per Stalin essere idolatrato come è, [ch]e di tanto in tanto se ne fa beffe. Si racconta che durante una piccola cena che diede il giorno di Capodanno a una cerchia di amici intimi, alzò il bicchiere e disse: "Brindo alla salute dell'incomparabile leader dei popoli, del grande genio compagno Stalin. Ecco, amici; e questa è l'ultima volta che si brinderà in mio onore qui quest'anno". Di tutti gli uomini che conosco che hanno potere, Stalin è il più modesto. Gli ho parlato francamente del culto volgare ed eccessivo che gli si faceva, e lui ha risposto con altrettanta franchezza. Si è lamentato, ha detto, del tempo che aveva da trascorrere in una veste rappresentativa, e questo è facile da credere, perché Stalin è, come molti esempi ben documentati mi hanno dimostrato, prodigiosamente laborioso e attento a ogni dettaglio, così che non ha davvero tempo per la roba e le sciocchezze dei complimenti e dell'adorazione superflui. In media, non accetta di ricevere più di uno su cento telegrammi di omaggio che riceve. Lui stesso è estremamente obiettivo, quasi al punto di essere incivile, e accoglie con favore una simile obiettività dalla persona con cui sta parlando. Scrolla le spalle per la volgarità dell'immoderato culto della sua persona. Scusa i suoi contadini e operai con la motivazione che hanno avuto troppo da fare per essere in grado di acquisire anche loro il buon gusto, e ride un po', per le centinaia di migliaia di ritratti enormemente ingranditi di un uomo con i baffi che gli danzano davanti agli occhi durante le dimostrazioni. Gli ho fatto notare che alla fine anche uomini di gusto ineccepibile hanno installato busti e ritratti di lui, di più che dubbioso merito artistico, in luoghi a cui non appartengono, come, ad esempio, la mostra di Rembrandt. Qui è diventato serio. Supponeva che dietro tali stravaganze ci fosse lo zelo di uomini che avevano sposato il regime solo di recente e che ora stavano facendo tutto ciò che era in loro potere per dimostrare la loro lealtà. Pensa che sia possibile persino che dietro ci siano i "sabotatori" nel tentativo di screditarlo. "Uno sciocco servile", disse irritato, "fa più male di cento nemici". Se tollera tutti quegli applausi, spiegò, è perché conosce la gioia ingenua che il frastuono delle feste procura a coloro che le organizzano, ed è consapevole che non è destinato a lui personalmente, ma al rappresentante del principio secondo cui l'istituzione dell'economia socialista nell'Unione Sovietica è più importante della rivoluzione permanente. Inoltre, nel frattempo, i comitati del partito a Mosca e a Leningrado hanno adottato risoluzioni in cui condannano fermamente "la pratica fuorviante di saluti inutili e privi di senso dei leader del partito", e i telegrammi di omaggio scroscianti sono scomparsi dai giornali. Dopo tutto, la nuova Costituzione che Stalin diede all'Unione Sovietica non può essere liquidata con superficialità e con una scrollata di spalle come un semplice gioco per la galleria. Sebbene i metodi che lui e i suoi aiutanti hanno impiegato siano stati spesso oscuri (l'astuzia era indispensabile nella loro grande lotta tanto quanto il valore), Stalin è onesto quando descrive la realizzazione della democrazia socialista come il suo obiettivo finale[23]

Finnish Bolshevik riporta anche la citazione di un tale Arvo Tuominen, "comunista" poi passato alla socialdemocrazia finlandese, che riporta un episodio simile a quello testimoniato da Feuchtwanger, in cui Stalin pare abbia fatto una parodia dei suoi adulatori:

«Compagni! Voglio proporre un brindisi al nostro patriarca, vita e sole, liberatore delle nazioni, architetto del socialismo (egli snocciolò tutti gli appellativi che gli venivano rivolti in quei giorni), Josef Vissarionovich Stalin, e spero che questo sia il primo e l'ultimo discorso fatto a quel genio questa sera[24]

Anche Hoxha, nelle sue memorie, ricorda l'ipocrisia di Chruščëv e dei suoi seguaci:

«I kruscioviani, con Chruščëv alla testa, che avevano condannato il "culto di Stalin" al fine di coprire i loro crimini contro l’Unione Sovietica e il socialismo in seguito commessi, portarono alle stelle il culto del loro capo. Questi alti dirigenti del partito e dello Stato Sovietico attribuirono a Stalin la crudeltà, la furberia, la perfidia, la bassezza di carattere che erano loro proprie, come pure le carcerazioni e gli assassinii da essi stessi compiuti. Quando Stalin era vivo, erano proprio loro che gli rivolgevano i più grandi ditirambi per nascondere il loro carrierismo, i loro disegni e le loro azioni infami. Nel 1949 Chruščëv qualificava Stalin: "guida e maestro geniale", dichiarava che «il nome del compagno Stalin è la bandiera di tutte le vittorie del popolo sovietico, la bandiera della lotta dei lavoratori del mondo intero». Mikojan stimava le opere di Stalin come «un nuovo gradino storico oltre il leninismo». Kosygin, dal canto suo, diceva che «tutte le nostre vittorie e tutti i nostrisuccessi li dobbiamo al grande Stalin», ecc., ecc. Dopo la sua morte però cambiarono atteggiamento. Furono i kruscioviani che soffocarono la voce del partito, che soffocarono la voce della classe operaia e riempirono i campi di concentramento di patrioti; furono loro che liberarono dal carcere la feccia del tradimento, i trotzkisti e tutti i nemici, che il tempo ed i fatti avevano svelato, così come oggi la loro attività di dissidenti sta dimostrando che sono ostili al socialismo e svolgono il ruolo di agenti al servizio dei nemici capitalisti stranieri. Furono i kruscioviani che, in segreto e in modo misterioso, «giudicarono» e condannarono non solo i rivoluzionari sovietici, ma anche innumerevoli persone di altri paesi. Nei miei appunti parlo di un incontro con i dirigenti sovietici, fra cui Chruščëv, Mikojan e Molotov. Dovendo allora Mikojan recarsi in Austria, Molotov, scherzando, gli disse: "Stai attento a non combinare qualche 'pasticcio' in Austria come hai combinato in Ungheria". Presi la palla al balzo per chiedere a Molotov: "Perché, è stato Mikoian a combinare il 'pasticcio' in Ungheria?". Mi rispose affermativamente, e proseguì dicendo che se Mikoian dovesse recarvisi di nuovo lo impiccherebbero. Mikoian, questo cosmopolita antimarxista camuffato. rispose: "Se impiccano me. dovranno impiccare anche Kadar". Ma anche se li avessero impiccati tutt’e due i loro intrighi e la loro viltà nei confronti di un altro paese rimarrebbero pur sempre contrari ad ogni morale[25]

Definzione di "Culto della Personalità"

Nel suo attacco al “culto di Stalin”, Chruščëv non tratta affatto la questione in modo scientifico o marxista. Non definisce mai correttamente cosa sia il “culto della personalità”. Chruščëv non era un teorico e non capiva quale fosse il ruolo degli individui nella storia secondo la filosofia marxista. Per Chruščëv, il “culto” era qualcosa di vago, come persone che cantavano canzoni su Stalin, davano il suo nome a città, portavano con sé le sue foto e, in generale, esprimevano la loro ammirazione e il loro sostegno a Stalin. Tuttavia, non c'è nulla di intrinsecamente "settario" o di sbagliato nell'ammirare qualcuno che ha legittimamente realizzato qualcosa di grande. Diventa un "culto" solo quando la persona in questione è trattata come un dio infallibile e quando le persone non rispettano semplicemente la sua saggia opinione, ma accettano acriticamente tutto senza nemmeno pensare con il proprio cervello. Chruščëv non è mai stato in grado di dare una spiegazione come questa. Ancora una volta, Stalin aveva dimostrato, invece, la posizione corretta:

«Le decisioni dei singoli sono sempre, o quasi sempre, decisioni unilaterali… In ogni corpo collettivo, ci sono persone la cui opinione deve essere tenuta in considerazione… Dall'esperienza di tre rivoluzioni sappiamo che su ogni 100 decisioni prese da persone singole senza essere verificate e corrette collettivamente, circa 90 sono unilaterali [...] Il marxismo non nega affatto il ruolo svolto da individui eccezionali o che la storia sia fatta dalle persone. Ma le grandi persone valgono qualcosa solo nella misura in cui sono in grado di comprendere correttamente queste condizioni, di capire come cambiarle. Se non riescono a comprendere queste condizioni e vogliono modificarle secondo i suggerimenti della loro immaginazione, si troveranno nella situazione di Don Chisciotte… Con noi personaggi della massima autorità sono ridotti a non-entità, diventano semplici cifre, non appena le masse dei lavoratori perdono fiducia in loro.»
-Stalin, dall'intervista con Emil Ludwig[26]

Come scrisse il giornalista Snow nel 1945:

«Migliaia di persone, nessuno straniero può sapere quante, rimangono in esilio e intere fabbriche, se non intere città, sono gestite dall'NKVD. Ma durante la guerra molti di questi "lavoratori involontari", come Walter Duranty ama chiamarli, hanno ricevuto una specie di amnistia, per arruolarsi nell'esercito, e molti sono stati ora completamente reintegrati, alcuni su ordine personale di Stalin. Un fatto strano raccontatomi da un russo che dovrebbe saperlo è che migliaia di questi esuli hanno scritto volontariamente lettere piene di lodi e gratitudine a Stalin, ringraziandolo per aver epurato i traditori e condotto la nazione alla salvezza. In ogni caso, Stalin non è certamente considerato popolarmente in Russia ora come un tiranno capriccioso, come alcuni critici all'estero immaginano. Comunque sia stato in passato, nessuno che abbia vissuto lì durante la guerra può dubitare che in futuro Stalin sarà rispettato come l'uomo che ha condotto tutti i russi alla più grande vittoria militare della loro storia[27]

Stalin era ed è, allora come oggi, il leader politico e governante più popolare in Russia, oltre che in diversi paesi ex-sovietici, e il motivo è semplice: egli fu un uomo umile, ma risoluto, che seppe fare le scelte giuste in tempo di guerra. Individui come Trotskij, Chruščëv o Gorbacëv sono invece ricordati come dei traditori o come dei pessimi governanti, e anche nel loro caso il motivo è molto semplice: il loro mancato contatto col popolo e le loro teorie (e nel caso di Chruščëv e Gorbacëv prassi) politiche fallimentari, idealiste e che hanno impoverito le masse in favore di quelle "elites burocratiche" che tanto disdegnavano a parole ma di cui in realtà nei fatti facevano parte. Chruščëv fu estromesso nel 1964 dai suoi sostenitori in un golpe di palazzo, ironicamente nel medesimo modo in cui salì al potere, a causa della sua incompetenza. Il prossimo paragrafo tratta nello specifico delle sue politiche e del suo declino.

Chruščëv al governo: poteri dittatoriali e un fallimento dopo l'altro

Chruščëv, che in gioventù fu vicino alle posizioni di Bucharin e Trotskij, riprese soprattutto le idee politiche ed economiche del primo. Riportano gli storici Keeran e Kenny:

«Nel 1953, Chruščëv avviò una serie di politiche che si rivelarono problematiche sia ideologicamente che praticamente. Chruščëv incoraggiò il paese a guardare all'Occidente non solo come fonte di nuovi metodi di produzione, ma anche come standard di paragone per i risultati sovietici. Spostò anche le risorse dall'industria all'agricoltura. Per incoraggiare la produzione agricola, Chruščëv tornò a misure di tipo NEP. Ridusse le tasse sui singoli appezzamenti, eliminò le tasse sul bestiame individuale e incoraggiò le persone nei villaggi e nelle città ad allevare più mucche, maiali e polli di proprietà privata e a coltivare orti privati. Chruščëv ebbe anche un'idea geniale per aumentare la produzione agricola da un giorno all'altro. Nel gennaio 1954, propose una campagna nazionale per coltivare milioni di ettari di cosiddette terre vergini, principalmente in Siberia e Kazakistan. Quell'anno 300.000 volontari si unirono alla campagna per le terre vergini e ararono 13 milioni di ettari di nuova terra. L'anno successivo, gli sforzi aggiunsero altri 14 milioni di ettari di terra coltivata. Chruščëv pose anche una nuova enfasi sull'innalzamento degli standard di vita. Dopo le privazioni della guerra, nessuno si oppose all'innalzamento degli standard di vita sovietici. Le domande erano come farlo e a quale costo. Per i suoi oppositori, l'approccio di Chruščëv aveva due problemi. In primo luogo, richiedeva uno spostamento delle priorità di investimento dall'industria pesante all'industria leggera, ai beni di consumo. Nel primo anno di Chruščëv come Segretario generale, gli investimenti nell'industria pesante superarono quelli nei beni di consumo solo del 20 percento, rispetto al 70 percento prima della guerra. Questo spostamento di priorità andava contro l'avvertimento di Stalin del 1952 secondo cui "cessare di dare la priorità alla produzione dei mezzi di produzione" avrebbe "distrutto la possibilità di una continua espansione della nostra economia nazionale". A lungo termine, lo spostamento delle priorità avrebbe minato l'obiettivo di superare l'Occidente che lo stesso Chruščëv aveva previsto. In secondo luogo, i suoi oppositori pensavano che l'enfasi di Chruščëv ponesse l'Unione Sovietica in competizione con gli Stati Uniti e l'Europa occidentale sui beni di consumo, una gara che l'Unione Sovietica non poteva e probabilmente non doveva vincere. Il comunista tedesco Hans Holz disse in seguito che abbassare gli obiettivi socialisti alla competizione materiale con il capitalismo significava rinunciare a "territorio ideologico". L'obiettivo di raggiungere e superare l'Occidente in cinque o dieci anni si traduceva in "una stimolazione di bisogni e desideri orientati attorno a uno stile di consumo occidentale". Lo slogan incoraggiava il popolo sovietico a ritenere che la "competizione tra sistemi sociali non riguardasse gli obiettivi della vita, ma i livelli di consumo". 53 Più semplicemente, disse Molotov, "Il krusciovismo è lo spirito borghese!" Molotov e altri nel Presidium (come era allora noto il Politburo) si opposero alle politiche di Krusciov su tutta la linea: sulla gestione della destalinizzazione, sulla de-enfasi sulla lotta di classe a livello internazionale, sull'incoraggiamento della produzione agricola privata, sull'iniziativa delle terre vergini, sulla decentralizzazione dell'industria e sul passaggio dall'industria pesante a quella leggera. Ad esempio, Molotov e altri pensavano che a causa del clima problematico e della mancanza di infrastrutture nelle terre vergini, la coltivazione diffusa invitasse al disastro e che il paese potesse usare più proficuamente le sue risorse per aumentare la produzione in aree già coltivate. L'opposizione era a favore di alcune mosse per migliorare lo standard di vita, ma non di un brusco cambiamento di priorità. L'opposizione a Chruščëv crebbe nel giro di un paio d'anni e poi fu spinta all'azione da due eventi nel maggio 1957. Il primo fu la decisione di Chruščëv di decentralizzare l'industria. Il secondo fu un discorso in cui Chruščëv invocava uno “spettacolare balzo in avanti” nella produzione di latte, carne e burro per superare l’Occidente in tre o quattro anni. Ciò divenne parte della convinzione di Chruščëv che l’Unione Sovietica potesse, nelle parole di suo nipote, “scattare verso il comunismo”, un’idea che, verso la fine della sua vita, persino Chruščëv considerò un “concetto sbagliato”. Durante una riunione del Presidium di quattro giorni, dal 18 al 21 giugno 1957, e una riunione del Comitato centrale che seguì immediatamente, si verificò uno scontro decisivo tra Chruščëv e l’opposizione. Come preludio alla richiesta di rimozione di Chruščëv da Segretario generale, l’opposizione attaccò le sue politiche economiche, in particolare le sue politiche agricole e la sua idea di decentralizzare la pianificazione statale. Molotov e altri si opposero al cambiamento delle priorità di investimento da industriali ad agricole, alla corsa a capofitto per catturare l'Occidente nei beni di consumo, all'apertura delle terre vergini, all'allentamento delle restrizioni agricole e alla decentralizzazione del processo decisionale economico. Secondo loro, le politiche di Chruščëv erano sbagliate in linea di principio e avrebbero portato a una crisi economica. Molotov definì il programma delle terre vergini un'"avventura" e disse che avrebbe sottratto risorse all'industrializzazione. Malenkov sostenne che l'obiettivo avrebbe dovuto essere quello di superare l'Occidente in acciaio, ferro, carbone e petrolio, non in beni di consumo. "Noi marxisti", disse Malenkov, "siamo abituati a iniziare con l'industrializzazione". Definiva il programma di Chruščëv una "deviazione contadina di destra", una mossa "opportunistica" che avrebbe reso il popolo sovietico meno interessato alla rapida industrializzazione. L'opposizione aveva una maggioranza di sette a tre (con un neutrale) nel Presidium. Quando la notizia dell'imminente ripudio di Chruščëv trapelò, tuttavia, i membri moscoviti del Comitato centrale (molti dei quali erano stati promossi da Krusciov) assediarono il Presidium e chiesero la convocazione del Comitato centrale. Una riunione del Comitato centrale organizzata in fretta e furia che durò sei giorni si concluse con il sostegno a Chruščëv e l'espulsione di Molotov, Malenkov e Kaganovič dal Comitato centrale e dal Presidium. Dopo aver sbaragliato quella che lui chiamava l'opposizione "anti-partito", Krusciov governò senza seria resistenza per i successivi sette anni. Del percorso di Chruščëv durante questo periodo, due cose spiccarono. In primo luogo, nonostante alcuni aggiustamenti e rigiri, Chruščëv perseguì un percorso interno i cui elementi principali erano tagli alla spesa militare, attacchi a Stalin, decentramento della pianificazione, smantellamento delle stazioni di trattori statali, emulazione dei metodi agricoli americani, la coltivazione di terre vergini, la promozione dei beni di consumo, una certa liberalizzazione delle restrizioni intellettuali e culturali e una de-enfasi ideologica della lotta di classe, della dittatura del proletariato e del partito d'avanguardia. In secondo luogo, tutte le principali politiche interne di Krusciov non riuscirono a produrre i risultati attesi. Come disse il suo biografo, William Taubman, "Troppo spesso Chruščëv rese una brutta situazione ancora peggiore". Al ventiduesimo congresso del 1961, Chruščëv tornò con rinnovata intensità al suo attacco a Stalin. Due aspetti dell'antistalinismo di Chruščëv prefiguravano Gorbacëv. In primo luogo, il trattamento di Stalin da parte di Krusciov fu esagerato, unilaterale e incompleto. In secondo luogo, la denuncia di Stalin servì a fini politici di fazione. Si potrebbe dire molto sulle distorsioni del trattamento di Stalin da parte di Chruščëv. Ad esempio, Chruščëv insinuò che Stalin emerse improvvisamente sulla scena nel 1924, quando in verità Stalin aveva solide credenziali rivoluzionarie risalenti al suo lavoro politico tra i ferrovieri in Georgia nel 1898. Chruščëv citò il cosiddetto ultimo testamento di Lenin criticando la maleducazione di Stalin ma ignorò l'elogio di Lenin a Stalin come leader eccezionale. Nel 1956, Chruščëv si concentrò sulla presunta repressione dei leader del partito da parte di Stalin e affermò che metà dei delegati al diciassettesimo congresso del partito e il 70 percento del comitato centrale furono uccisi. Il biografo di Stalin, Ken Cameron, ha concluso che è "difficile credere che le cifre di Chruščëv siano corrette". (Utilizzando gli archivi sovietici aperti di recente, gli studiosi hanno numerato il totale delle esecuzioni dal 1921 al 1953 a 799.455, ben al di sotto dei milioni stimati da Robert Conquest, Roy Medvedev e altri studiosi antisovietici). Inoltre, Chruščëv ignorò le prove del sabotaggio che servirono come apparente ragione per la repressione. Chruščëv incolpò Stalin di una strategia militare difettosa e di una leadership dittatoriale durante la seconda guerra mondiale, entrambe contraddette dal principale generale sovietico, Georgij Žukov. Ancora più importante, Chruščëv non invitò a un trattamento completo, indagatore ed equilibrato di Stalin. Invece, eliminò Stalin dalla storia sovietica e la discussione sul suo ruolo si interruppe più o meno. Di conseguenza, Chruščëv lasciò la storia, nelle parole di Egor Ligačëv, con "troppe lacune". Oltre alle sue carenze come storia, l'attacco di Chruščëv a Stalin servì a fini partigiani. Dopo aver fabbricato un'immagine mostruosamente distorta di Stalin, Chruščëv accusò coloro che non si unirono alla denuncia di voler far rivivere i metodi di Stalin. Nel 1961, Chruščëv collegò esplicitamente il suo attacco a Stalin ai crimini dei suoi oppositori, che definì un "gruppo di fazionisti guidati da Molotov, Kaganovič e Malenkov". Chruščëv affermò che "resistevano a tutto ciò che era nuovo e cercavano di far rivivere i metodi perniciosi, che prevalevano sotto il culto dell'individuo". Sebbene Molotov e gli altri si opponessero alle politiche di Chruščëv e al trattamento unilaterale di Stalin, non sostennero un ritorno alla repressione di Stalin. Proprio come gli anticomunisti usano lo “stalinismo” per attaccare i comunisti, così Chruščëv impiegò l’idea, se non il termine, per diffamare i suoi oppositori[28]

Lungi dall'essere un "liberatore democratico" o anche più semplicemente un uomo preparato nella posizione governativa che occupava, Chruščëv, buono solo a reprimere il dissenso e a piegare le istituzioni sovietiche al suo volere, ha quindi attuato delle politiche fallimentari, una dopo l'altra, tutte al solo scopo di "imitare l'Occidente". Aderendo ad una mentalità ignorante e incolta da "negro da cortile", come avrebbe detto Malcolm X, Chruščëv basava quindi la sua politica solo e soltanto sulla propria (errata) opinione personale di "superiorità dell'Occidente" rispetto alla propria madrepatria, dimostrandosi di fatto un cosmopolita e un "comunista" molto all'acqua di rose, privo di una vera comprensione della teoria (o ancora peggio della prassi) delle politiche comuniste.

Bibliografia

Note

    1. Chruščëv, citato in Prolewiki
    2. Keeran, Kenny, 2004, p.28-29
    3. Hoxha, 1981, p.31-33
    4. Allilueva, 1969, p.202
    5. Allilueva, 1967, p.216
    6. Deriabin, 1972, p.325-327
    7. Salisbury, 1952, p. 157, citato in Finnish Bolshevik
    8. Mcneal, 1988, p.304
    9. Lewis, Whitehead, 1990, p.179, citato in Finnish Bolshevik
    10. Vogolnikov, 1988, p.XIX,333,513
    11. Furr, 2005, parte 2, p.3-7
    12. Salisbury, 1952, p.163-64, 166, 171, 173, citato in Finnish Bolshevik
    13. Deriabin, 1972, p.328-329
    14. Hoxha, 1980, p.11-12, 13-18, 19-24, 26-27, 30-32
    15. Molotov, Chuev, 1993, p.161
    16. Tutte citate in Finnish Bolshevik
    17. Medvedev, 1989, p.315-316
    18. Jansen, Petrov, 2002, p.118
    19. Russia Beyond, 2020, citato in Finnish Bolshevik
    20. Snow, 1945, p.172
    21. Furr, 2011, p.119-121
    22. Pistrak, 1961, p.159-163
    23. Feuchtwanger, 1937, p.93-96
    24. Tuominen, Bells of the Kremlin, p. 162, citato in Finnish Bolshevik
    25. Hoxha, 1981, p.34-35
    26. Citato in Finnish Bolshevik
    27. Snow, 1945, p.148-149
    28. Keeran, Kenny, 2004, p.30-34