Tentativo di Contro-Rivoluzione in Ungheria del 1956

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Il tentativo di contro-rivoluzione in Ungheria del 1956, comunemente definito dall'agiografia anticomunista con il titolo inesatto di rivoluzione ungherese del 1956, noto anche come "fatti d'Ungheria", fu un tentativo di stravolgimento politico del regime di democrazia popolare instauratosi in Ungheria dal 1949, avvenuto col sostegno delle intelligence occidentali, del Vaticano, della Jugoslavia titista ma soprattutto delle nuove dirigenze revisioniste dell'Unione Sovietica e del nascente Patto di Varsavia all'indomani del "discorso segreto" di Nikita Chruščëv. Lo scopo di questa voce, forte delle diverse fonti a disposizione (molte delle quali, tra l'altro, scritte da storici con una pregiudiziale ideologica kruscioviana e revisionista), è di dimostrare la verità dei fatti avvenuti nel 1956 in Ungheria, a dispetto della propaganda agiografica anticomunista, sia da destra che da "sinistra", che tende a dipingerla come una "rivoluzione pacifica di socialismo dal volto umano stroncata dalla dittatura totalitaria stalinista carrista sovietica". Come si può leggere nei seguenti paragrafi, è chiaro ed evidente non solo che non vi fu alcuna "mano stalinista", ma che tali fatti, sotto Stalin, non sarebbero mai potuti avvenire, in quanto frutto solo e soltanto degli errori e delle concessioni ideologiche e pratiche fatte da Chruščëv e i suoi accoliti una volta al potere.

Premessa

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Ungheria, come altri paesi dell'Est Europa, si alleò con il Terzo Reich e partecipò all'invasione dell'Unione Sovietica, commettendo crimini di guerra. Dezső Nemes, storico e giornalista ungherese, afferma che con l'avanzata sovietica, le autorità ungheresi, pur esitanti, iniziarono a cercare un armistizio. Il 11 ottobre 1944, fu firmato un accordo preliminare di cessate il fuoco, ma Horthy non attuò le necessarie misure militari. Il 15 ottobre, il governo di Horthy cedette al controllo tedesco, mentre molti soldati ungheresi iniziarono a disertare per unirsi all'Armata Rossa. Il Partito Comunista lanciò un appello per una resistenza armata contro i nazisti. Con la disintegrazione dell'esercito di Horthy, emerse un fronte antifascista unito, culminando nella creazione del Comitato di Liberazione dell'Insurrezione Nazionale Ungherese per coordinare gli sforzi di liberazione del paese[1].

In Ungheria, per opporsi al governo collaborazionista e preparare la liberazione nazionale, vennero creati comitati di liberazione e un "fronte unito nazionale", principalmente dominato dai comunisti, ma includente anche democratici borghesi e socialdemocratici di sinistra. L'Assemblea nazionale provvisoria si riunì a Debrecen il 21 dicembre 1944, con una maggioranza comunista e rappresentanti di vari partiti, e funse da base per una nuova Ungheria democratica. Dopo la liberazione di Pest, il 18 gennaio 1945, l'Armata Rossa assediò Budapest, dove le forze fasciste, intrappolate, utilizzarono i civili come scudi. L'Assemblea di Debrecen e le autorità a Budapest iniziarono a coordinarsi, rafforzando la cooperazione tra il Partito Comunista Ungherese (PCU) e il Partito Socialdemocratico (PSD), con accordi per affrontare insieme la reazione e promuovere la democrazia. Nella riorganizzazione dei sindacati, i due partiti cercarono di moderare le rivalità interne e garantirono il riconoscimento dei comitati di fabbrica, concedendo loro poteri significativi. Questa cooperazione rafforzò l'influenza del proletariato nella vita politica e contribuì alla costruzione di una nuova società[2].

La lotta del Partito Comunista Ungherese contro i Socialdemocratici di destra e i reazionari del Partito dei Piccoli Proprietari

In Ungheria, il Partito Comunista mantenne il dominio sulla coalizione di governo. Dopo la liberazione, emersero problemi di cooperazione tra il Partito Comunista Ungherese (PCU) e i socialdemocratici, culminati nelle elezioni municipali di Budapest, dove il blocco di destra, guidato dal Partito dei Piccoli Proprietari Terrieri, ottenne la maggioranza. Questo successo incoraggiò la speculazione economica e il sabotaggio delle consegne agrarie. Nei successivi eventi elettorali nazionali, il Partito dei Piccoli Proprietari Terrieri ottenne una percentuale significativa di voti, mentre il PCU e il Partito Socialdemocratico ricevettero risultati simili. Ciò portò a tensioni interne tra le forze democratiche e il blocco reazionario. I socialdemocratici furono messi di fronte a una scelta: allearsi più strettamente con i comunisti o cedere al blocco di destra. Si sviluppò così un'alleanza tra il PCU e i socialdemocratici, congiuntamente impegnati a combattere le forze reazionarie. Nonostante il successo del Partito dei Piccoli Proprietari, la loro leadership non riuscì a distaccarsi completamente dalla coalizione democratica, influenzati dalla presenza sovietica e dalle difficoltà economiche. Si formarono nuovi governi con una maggiore rappresentanza dei Piccoli Proprietari, ma anche il PCU e i socialdemocratici mantennero il loro ruolo chiave.

Il Partito Comunista lanciò un contrattacco contro la reazione, sollecitando un movimento di massa e chiedendo l'epurazione dei funzionari reazionari. Una risoluzione del PCU richiese anche la dichiarazione dell'Ungheria come repubblica, per evitare qualsiasi tentativo di restaurare la monarchia, particolarmente da parte di elementi clericali. Il 1° febbraio 1946, l'Assemblea Nazionale proclamò ufficialmente l'Ungheria repubblica, eleggendo Zoltán Tildy come Presidente. Questo rappresentò una vittoria per le forze rivoluzionarie, nonostante il rafforzamento della posizione del Partito dei Piccoli Proprietari[3].

Tra le principali forze reazionarie in Ungheria vi erano soprattutto diversi ufficiali del precedente regime collaborazionista di Horty prima e delle Croci Frecciate poi, che continuavano ad esercitare regolarmente le loro cariche anche nel nuovo regime post-bellico. A differenza dell'Italia, dove, grazie all'Amnistia Togliatti, essi poterono circolare liberamente senza alcun problema e addirittura ri-formare un partito dichiaratamente fascista, in Ungheria (come nel resto delle democrazie popolari dell'Est Europa), forte della presenza sia delle truppe sovietiche che del Partito Comunista Ungherese, un partito forte guidato dalla vecchia guardia del Comintern e dai veterani della Repubblica Sovietica Ungherese del 1919 di Bela Kun, la presenza continuata di questi funzionari fu fortemente contestata, e ne fu richiesta la rimozione immediata dai loro uffici[4].

La vittoria del Partito Comunista Ungherese nel mantenere la sua egemonia fu facilitata dalla divisione interna dei partiti rivali, in particolare il Partito dei Piccoli Proprietari, e dal forte sostegno popolare per i comunisti. Tra il 1946 e il 1949, in Ungheria e in altri paesi con regimi di democrazia popolare, vennero implementate politiche di nazionalizzazione e industrializzazione, seguendo i piani quinquennali dell'Unione Sovietica. Inoltre, si rafforzò l'egemonia delle fazioni di sinistra dei partiti borghesi, come il Partito Contadino e il Partito dei Piccoli Proprietari[5]. Allo stesso tempo, i Socialdemocratici inglobarono nella loro base elettiva gran parte degli elettori disillusi dalla "trasformazione" dei partiti borghesi in partiti gradualmente sempre più a sinistra, rafforzando quindi l'ala anticomunista e di destra del PSD[6].

La vittoria del comunismo in Cina con Mao Zedong e il declino delle forze antifasciste in Occidente, come in Francia e Regno Unito, posero i socialdemocratici ungheresi in una situazione difficile. A differenza del PSI in Italia, che continuò a collaborare con i comunisti, i socialdemocratici ungheresi si trovarono isolati. Le forze anglo-americane, che avevano contribuito alla sconfitta dei comunisti in Grecia, tentarono manovre simili contro le democrazie popolari, ma senza successo. Nel settembre del 1947, una conferenza dei partiti comunisti denunciò apertamente il tradimento dei socialdemocratici, accusandoli di sostenere forze antagoniste all'Unione Sovietica e alle Democrazie Popolari, ovvero il Blocco NATO e gli Stati Uniti[7].

Le elezioni del 1947 in Ungheria confermarono l'egemonia del Partito Comunista, mettendo in difficoltà i Socialdemocratici e il Partito dei Piccoli Proprietari. Questo scenario favorì un'alleanza tra comunisti e agrari, mentre i dirigenti del Partito dei Piccoli Proprietari, inizialmente intenti a pianificare un colpo di stato, furono costretti a rinunciare a causa del forte supporto popolare per i comunisti. Dopo discussioni interne, i socialdemocratici nominarono una dirigenza di destra e anticomunista, e il 23 settembre si formò una nuova maggioranza di governo con un rappresentante dei Piccoli Proprietari, ma con una presenza comunista accentuata. Le politiche di nazionalizzazione di banche, industrie e risorse economiche furono facilmente implementate[8]. In questo contesto, iniziarono a emergere le posizioni dissidenti di Imre Nagy nel partito comunista. Nagy sostenne che, sebbene la nazionalizzazione fosse avvenuta sotto il potere popolare, non avrebbe cambiato il carattere capitalista del modo di produzione. Espresse dubbi sul reale progresso verso il socialismo, ritenendo che il paese fosse intrappolato nel capitalismo di stato. Tuttavia, il Comitato centrale del Partito comunista respinse le sue posizioni, affermando che l'economia ungherese si stava muovendo verso relazioni di produzione socialiste, nonostante la presenza di un settore capitalista ancora significativo[9].

Tra il 1947 e il 1948, si intensificarono le discussioni per unificare i partiti comunista e socialdemocratico in Ungheria, spingendo a un conflitto tra l'ala destra anticomunista e l'ala sinistra social-comunista. Nel congresso del Partito Socialdemocratico, tenutosi dal 6 all'8 marzo 1947, prevalse l'ala sinistra, avviando negoziati per formare il Partito Ungherese dei Lavoratori. Durante questo periodo si unirono anche le organizzazioni femminili e giovanili, formando rispettivamente la Federazione Democratica delle Donne Ungheresi e la Federazione Popolare della Gioventù Ungherese. Inoltre, fu promulgata una legge di nazionalizzazione della Chiesa nello Stato, ma non si raggiunse un'intesa con la Chiesa cattolica a causa dell'opposizione del Cardinale Mindszenty[10]. Le politiche di edificazione del socialismo continuarono, e il 20 Agosto 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Ungherese.

La Repubblica Popolare e l'impatto del "cambio della guardia" kruscioviano

Tra il 1949 e il 1953, la Repubblica Popolare Ungherese attuò il primo piano quinquennale, completato un anno prima del previsto. Tuttavia, la morte di Stalin nel 1953 portò a un cambio di leadership con l'uscita di scena di Mátyás Rákosi, sostituito dal più moderato Ernő Gerő, mentre Imre Nagy divenne primo ministro con il supporto di destri e socialdemocratici. Enver Hoxha, segretario del Partito del Lavoro d'Albania, descrisse la situazione come intrighi contro Rákosi, evidenziando le pressioni di Chruščëv e Tito. Hoxha criticò la riabilitazione dei nemici interni e la debolezza della direzione ungherese, che non mobilitò il popolo contro la crescente controrivoluzione. Durante un incontro a Budapest nel 1956, Hoxha notò la confusione tra i dirigenti ungheresi e il loro atteggiamento passivo di fronte ai segnali di insurrezione. I sovietici, preoccupati per la situazione, cercarono una soluzione attraverso Nagy, segnando l’inizio di una fase critica per l'Ungheria[11].

Enver Hoxha attribuisce parte della responsabilità per la crisi ungherese alla debolezza di Rákosi, Gerő e di altri dirigenti. Giovanni Apostolou riassume gli eventi in Ungheria tra il 1953 e il 1956, evidenziando un processo di involuzione capitalistica e l'imborghesimento del Partito dei Lavoratori, a causa della debolezza dei sostenitori del socialismo. Dopo una fase di successo economico e industrializzazione, il governo Rákosi fu costretto a dimettersi nel 1953 a causa della crescente opposizione parlamentare e dell'alleanza tra forze revisioniste e socialdemocratiche, portando all'instaurazione del primo governo Nagy. Questo governo invertì le politiche socialiste, riducendo la produzione industriale e aumentando i prezzi, impoverendo ulteriormente i contadini. Il governo Nagy fu anche responsabile della riabilitazione di burocrati corrotti. Le tensioni sociali culminarono in proteste popolari contro la sua politica, portando infine all'espulsione di Nagy dal Partito dei Lavoratori nel 1955 e alla formazione di un nuovo governo sotto Hegedüs, a seguito delle pressioni popolari[12].

Enver Hoxha racconta di un incontro con Michail Suslov a Mosca, dove espresse preoccupazioni sulla situazione in Ungheria. Suslov minimizzò le inquietudini, sostenendo che non c'erano segnali di controrivoluzione e che la situazione stava migliorando. Hoxha contestò l'uso del termine "compagno" per Imre Nagy, poiché era stato ripudiato dal Partito dei Lavoratori Ungheresi. Suslov replicò che Nagy si era pentito e aveva fatto autocritica, mostrando una lettera in cui Nagy ammetteva i suoi errori e chiedeva supporto ai sovietici. Hoxha dubitò dell'autenticità dell'autocritica, avvertendo che Nagy era un traditore e che aiutare un traditore rappresentava un grave errore[13].

Avvenimenti nel 1956

Nel periodo immediatamente successivo alla "sfiducia" del primo governo Nagy, per quanto il governo successivo tentasse di risanare i conti, il danno della controriforma pro-kulak di Nagy, unito alla già citata debolezza dei funzionari di partito ungheresi, inclusi coloro che aderivano alla giusta linea di opposizione alla restaurazioen, parziale o totale, del capitalismo, era ormai già evidente: molti dei "riabilitati", criminali comuni che secondo la legge ungherese avrebbero dovuto servire ai lavori forzati per poi essere reintegrati come liberi lavoratori, si ritrovarono disoccupati, e ingrossarono di nuovo le fila del sottoproletariato e della criminalità di strada. Molti di questi criminali di strada furono poi reclutati dai servizi di intelligence, e, stando a quanto riportato da un dossier del governo ungherese del 1957 (disponibile sull'archivio online di internet, in uno scan che pare recuperato dalla biblioteca dell'Università di Chicago, eppure tale fonte è periodicamente "ignorata" dal mainstream capitalista di destra e di "sinistra"):

«L'Ungheria è diventata l'arena di eventi tragici. La politica Rakosi-Gero ha portato lo sviluppo socialista del paese a un punto morto. I risultati di questa politica criminale hanno suscitato profonda indignazione e un ampio movimento popolare. Centinaia di migliaia di lavoratori hanno chiesto l'espurgazione del potere popolare, l'eliminazione della burocrazia diffusa e la fine di una politica che era gravemente offensiva del sentimento nazionale. L'obiettivo perseguito in tutto questo era il consolidamento e l'ulteriore sviluppo genuinamente libero del sistema democratico popolare che stava seguendo la strada del socialismo. Perché la classe operaia non è disposta a restituire le fabbriche ai capitalisti, i contadini non tollereranno il ritorno dei magnati terrieri, il popolo non ha intenzione di rinunciare al suo potere e non desidera essere nuovamente posto sotto il giogo dei capitalisti e dei proprietari terrieri. Tuttavia, le forze oscure della controrivoluzione hanno cercato fin dall'inizio di trarre vantaggio dal movimento, che si era sviluppato sotto lo slogan di richieste giustificate, popolari e nazionali, per rovesciare il potere del popolo. Non è lo scopo di questo opuscolo fornire un resoconto dettagliato dello spargimento di sangue che ha avuto luogo in quei giorni deplorevoli. Si limiterà a far emergere alcuni fatti che si sono verificati in quei giorni in cui le forze controrivoluzionarie erano supreme nelle strade di Budapest, nelle città di provincia e in molti villaggi. Il piano della ribellione armata era stato preparato in anticipo dai controrivoluzionari e attentamente elaborato dal punto di vista militare. Una testimonianza di ciò è che la prima sera delle dimostrazioni di massa è stato effettuato un attacco pianificato alle stazioni radio, alla sezione delle comunicazioni internazionali della centrale telefonica di Jozsef, agli arsenali e ai depositi di trasporto. Tutto ciò ricordava in modo sorprendente per molti aspetti l'azione controrivoluzionaria contro la Repubblica sovietica ungherese nel 1919. Allen Dulles, fratello del Segretario di Stato americano e capo dell'intelligence americana, dichiarò di essere a conoscenza della preparazione della rivolta in Ungheria. Il 25 ottobre, due giorni dopo l'inizio della rivolta, il corrispondente del Daily Mail scrisse: "Nei giorni scorsi ho pranzato con persone libere che avevano lavorato per un anno intero per preparare l'insurrezione scoppiata questa settimana". La risposta alla domanda: chi ha preparato e organizzato la rivolta e come, sarà data nel materiale documentario che sarà pubblicato in seguito. Non c'è dubbio, tuttavia, che il 30 ottobre, quando il governo ordinò il cessate il fuoco, le forze controrivoluzionarie erano già uscite allo scoperto. Erano iniziate rappresaglie di massa e sanguinose. Questo opuscolo fornisce una serie di fatti, testimonianze di testimoni oculari e diverse fotografie. Per dare un'idea della portata delle atrocità commesse dalla controrivoluzione, non sarà superfluo citare, oltre ai fatti pubblicati in questo opuscolo, i resoconti dei corrispondenti di Budapest dei giornali borghesi occidentali. Gordon Shepherd, corrispondente del Daily Telegraph, scrisse il 30 ottobre: ​​"Al calare della notte, la violenza popolare, incontrollata da unità militari o di polizia regolari, ha tenuto Budapest nella morsa... Il regime sembrava completamente impotente nel controllare la situazione...". S. Delmer scrisse sul Daily Express il 31 ottobre: ​​"Ora arriva il terrore della folla... La polizia ausiliaria... si è unita alla folla nell'imporre a Budapest un sistema di legge sul linciaggio". (Il corrispondente si riferisce qui a distaccamenti della cosiddetta Guardia Nazionale.) Il governo era completamente impotente. Tutto ciò che fece fu di rimescolare quasi ogni giorno e di spostarsi sempre più a destra. Quando il pericolo della controrivoluzione divenne evidente, dal 29 al 30 ottobre, non si udì una parola, non si udì un appello a combattere contro il pericolo della controrivoluzione, quando operai e contadini comuni, comunisti, ufficiali, funzionari, ufficiali della sicurezza dello Stato e soldati nei distaccamenti di sicurezza furono impiccati, fucilati o torturati a morte per le strade, i locali delle organizzazioni del partito furono assaliti, le abitazioni furono scassinate, bambini e anziani furono assassinati. In un articolo pubblicato il 20 novembre dal New York Herald Tribune, Barrett McGurn diede la seguente valutazione della situazione in Ungheria: "Gli ungheresi, secondo molti esperti occidentali, avrebbero dovuto accontentarsi almeno per un po' di una coalizione di comunisti e non comunisti, guidata dal premier comunista ma nazionalista Imre Nagy..." Ben presto divenne chiaro, continuò il giornale, che l'ordine del giorno in Ungheria era la linea seguita da Adenauer. Approfittando degli eventi del 23 ottobre, in parte secondo un piano preparato in precedenza, in parte su iniziativa di avventurieri emersi nel frattempo, vennero creati uno dopo l'altro vari distaccamenti controrivoluzionari. A Budapest si divisero i quartieri della città e iniziarono a radunare i figli del popolo. Pertanto, le principali caratteristiche tattiche della rivolta controrivoluzionaria e le attività dei controrivoluzionari furono le seguenti: 1) Fu avviata una campagna per distruggere tutti i membri della Sicurezza dello Stato al fine di eliminare completamente le unità del Servizio di Sicurezza dello Stato, il cui dovere era quello di difendere il potere del popolo. Il governo accolse la richiesta di abolizione del Servizio di Sicurezza dello Stato. Ciò era corretto, poiché un'unica polizia di Stato è meglio in grado di svolgere l'importante compito di difendere la legge socialista e il potere popolare. Tuttavia, la tattica elaborata dai controrivoluzionari consisteva nell'attribuire la responsabilità dei crimini effettivi commessi da poche centinaia, al massimo, di membri della Sicurezza dello Stato, la maggior parte dei quali erano già stati licenziati, e molti arrestati, a migliaia di membri della Sicurezza dello Stato, principalmente soldati semplici che prestavano servizio militare nelle unità di sicurezza, e nell'attirare ostilità nei loro confronti. 2) I controrivoluzionari liberarono fascisti e criminali di guerra e comuni. Così, dalla prigione di Marianosztra liberarono gli ex ministri di Horthy e criminali di guerra Istvan Antal, Antal Kunder e altri. Ma un fattore più importante per i ribelli furono le migliaia e migliaia di criminali comuni, che si unirono ai distaccamenti controrivoluzionari. 3) Avviarono una caccia universale alla forza trainante del potere popolare, il partito della classe operaia, con lo scopo di distruggerlo completamente. Durante questa campagna, il 30 ottobre, l'edificio del Comitato del Partito di Budapest in Piazza della Repubblica fu distrutto dal fuoco dell'artiglieria. Ex ufficiali di Horthy, ex gendarmi e altri, che erano riusciti a entrare in varie imprese negli anni precedenti, indossarono la coccarda nazionale e cercarono di passare per rivoluzionari, agitandosi contro i funzionari del Partito di fabbrica, al fine di distruggere le organizzazioni del Partito in quelle imprese o almeno di paralizzarle. 4) Fu avviata un'ampia campagna di calunnie contro i rappresentanti locali delle autorità, i lavoratori nei consigli locali e dirigenti economici, In molti casi i controrivoluzionari applicarono la tattica di "unirsi al movimento per l'espurgazione del potere popolare". Ma pochi giorni dopo, quando le forze controrivoluzionarie si sentirono vittoriose a Budapest e nelle province marittime, gettarono via la loro maschera "socialista" e iniziarono a minare l'intero sistema statale della democrazia popolare con l'obiettivo dichiarato di ripristinare il sistema borghese. Una di queste persone era un uomo noto come "zio Szabo", che aveva accettato un lavoro presso la Ganz Electric Engineering Works. Questo "zio Szabo", un ex ufficiale della gendarmeria Horthysta, divenne l'organizzatore e il leader di un gruppo di ribelli in piazza Szena. Karoly Tibolda, figlio dell'ex caporedattore del giornale filo-hitleriano, Uj Magyarorszdg, riuscì a diventare membro del consiglio dei lavoratori della stessa fabbrica e in seguito persino il suo segretario; così fecero Maté Denes, ex guardia del corpo di Horthy, e altri. 5) Una delle caratteristiche tattiche più importanti dei controrivoluzionari era quella di penetrare il più rapidamente e su larga scala possibile nell'apparato governativo, in particolare nel comando delle forze armate, per impossessarsene o almeno paralizzarne l'attività. Mentre il governo Imre Nagy era al potere, il parlamento era pieno di ex politici di Horthy, aristocratici, monarchici, ufficiali delle guardie di palazzo e altri lotteria. Sotto la loro pressione, il governo nominò comandante in capo delle forze armate l'ex ufficiale dello stato maggiore di Horthy Béla Kiraly, un parente (marito della nipote) del famigerato leader fascista Gyula Gémbés. Ex ufficiali di Horthy affluirono al ministero della Difesa. L'afflusso aumentò man mano che la composizione del governo virò sempre più apertamente verso il consolidamento dei sostenitori di una restaurazione borghese. 6) L'invasione da Occidente di emigrati fascisti ebbe un ruolo importante nell'accrescimento delle forze controrivoluzionarie. Le organizzazioni di emigrati, sostenute da dollari, trovarono il modo di penetrare in certi organismi della Croce Rossa Internazionale e di servirsi di alcuni aerei e veicoli della Croce Rossa che trasportavano medicinali e medicamenti, per contrabbandare armi e munizioni e anche per portare controrivoluzionari in Ungheria. Dei cento aerei della Croce Rossa che arrivarono a Budapest prima di novembre, più di quaranta portarono circa 500 controrivoluzionari. Altri grandi gruppi armati "penetrarono nel nostro paese attraverso il confine occidentale. Il governo ungherese, sperando di vedere una situazione internazionale pacifica più favorevole e desiderando promuoverla, aveva precedentemente dato ordine di rimuovere tutte le barriere tecniche alle nostre frontiere e di bonificare i campi minati. Ciò fu completato sulla frontiera occidentale nella seconda metà di settembre. Nei loro preparativi per la cospirazione, le organizzazioni sovversive occidentali trassero immediatamente profitto da questo gesto importante e pacifico del governo ungherese per portare un numero crescente di loro agenti nel paese attraverso quella frontiera e per accelerare i preparativi per la ribellione. Nei primi giorni della ribellione si avvalsero dell'opportunità di un attraversamento facilitato della frontiera per portare gruppi organizzati più grandi per rafforzare le forze interne della controrivoluzione. 7) Come risultato dell'impotenza del governo di Imre Nagy, del suo continuo spostamento a destra e poi della sua disintegrazione, l'ampia, sebbene inizialmente mascherata, attività della controrivoluzione divenne sempre più aperta a causa del rapido aumento delle sue forze armate. I vari partiti e organizzazioni* che sostenevano una restaurazione borghese spuntarono come funghi e nell'ultima settimana del governo di Imre Nagy divennero dominanti nella vita politica del paese. Ciò si rifletteva nella comparsa di una serie di nuovi giornali. Il 29 ottobre uno dei gruppi ribelli, guidato da Dudas, sequestrò la redazione del giornale Szabad Nép e dall'inizio di novembre il giornale non poté essere pubblicato. Tutti gli altri giornali, la stragrande maggioranza dei quali più o meno agitava contro i comunisti e l'Unione Sovietica, furono liberi di apparire. Il 31 ottobre il cardinale Mindszenty fu portato in trionfo a Budapest dal forte di Felsépeteny. Chiese apertamente la completa eliminazione del sistema democratico popolare. La controrivoluzione si sentiva già in sella, sebbene la presenza delle truppe sovietiche allarmasse estremamente i suoi principali politici e questa circostanza li frenasse in una certa misura. Chiesero, aspettarono e sperarono nell'arrivo di forze armate dall'Occidente e di truppe delle Nazioni Unite. Questa sarebbe stata una garanzia importantissima per la restaurazione del regime borghese. La rivolta controrivoluzionaria minacciava l'Ungheria con il rovesciamento del sistema democratico popolare e il pericolo di uno scontro tra il nostro paese e i suoi vicini e di trasformarlo nel campo di battaglia delle prime operazioni militari in una nuova guerra mondiale. L'unica possibilità di salvare il potere popolare ed eliminare la minaccia di una nuova guerra devastante nella valle del Danubio era quella di sopprimere la controrivoluzione[14]

La fonte attribuisce erroneamente a Gero e Rakosi le "colpe", ma, grazie sia all'analisi della crescita economica e sociale dell'Ungheria sotto il loro "governo" che alle testimonianze dirette delle memorie di Hoxha, è chiaro ed evidente che è soltanto un punto di vista propagandistico, da parte del governo ungherese post 1956, aderente a delle politiche ideologicamente vicine al revisionismo kruscioviano. È quindi chiaro che il "pasticcio" ungherese, come lo ha chiamato Hoxha nelle sue memorie, ha inizio nella seconda metà dell'Ottobre del 1956. Prosegue il "dossier" rilasciato dal governo ungherese riportando la testimonianza di un certo Laszlo Oravecz, residente di Budapest:

«Il 31 ottobre 1956, alle 14.30, in piedi all'angolo tra viale Lenin e piazza 7 novembre, ho assistito al seguente evento: un uomo vestito con pantaloni color cachi e una giacca sportiva della società sportiva Dézsa stava camminando lungo viale Lenin di fronte al cinema Miivész. Qualcuno ha urlato: "È della Sicurezza dello Stato!" La folla si è precipitata sull'uomo e ha iniziato a picchiarlo. Nella colluttazione che ne è seguita, qualcuno gli ha gettato al collo un cavo metallico per mezzo del quale l'uomo, che aveva perso conoscenza, è stato impiccato a un albero di fronte a un negozio di ferramenta all'angolo tra viale Lenin e via Aradi. Un cartello è stato attaccato al petto dell'uomo assassinato con la scritta "Capitano Toth del Servizio di Sicurezza dello Stato. La stessa sorte attende ogni membro della Sicurezza dello Stato. Nessuno ha verificato se le persone sequestrate fossero davvero membri della Sicurezza dello Stato. Le persone brutalmente assassinate sono state vittime di una campagna di calunnie e istigazione[15]

Un'altra simile testimonianza viene da un "giovane confuso", tale Csaba Banyai, all'epoca dei fatti quindicenne e "arruolato" in un "dispaccio speciale":

«Il 2 e il 3 novembre ci siamo acquartierati in gruppi di dieci in appartamenti requisiti agli abitanti. Abbiamo anche trascinato lì le nostre vittime. Le abbiamo uccise con iniezioni di veleno e poi gli abbiamo sparato alla testa per salvare le apparenze[16]

Prosegue ancora il dossier:

«Per mostrare chi voleva trarre profitto dagli eventi del 23 ottobre e a quale scopo, citeremo alcuni fatti e illustreremo alcune persone. Il leader di uno dei gruppi armati che operavano nel distretto di Lith era Vera Laskovics che vive in via Illatos 5, è una prostituta molto nota e aveva già scontato pene detentive. Il suo gruppo aveva grandi quantità di armi e munizioni e operava nelle vicinanze di viale Ferenc, via Mester e via Tompa. Laskovics era quasi sempre ubriaca e costringeva i suoi complici a sparare indiscriminatamente. Il sedicenne Janos Szilagyi ha vissuto per diversi anni in una casa per bambini malformati. Nell'ospedale in cui è stato portato dopo essere stato ferito ha detto ridendo: "Mi sono imbattuto in un capitano vestito in borghese. Lui e io siamo andati agli indirizzi che ci erano stati dati per assassinare membri della Sicurezza di Stato e comunisti. Un giorno siamo andati in una casa non lontano dall'hotel e siamo saliti al quarto piano. Il capitano ha detto che saremmo andati da un uomo della Sicurezza di Stato. Lo trovammo a casa, con la moglie e la figlia di sei anni. Prima il capitano lo picchiò, poi gli strappò le orecchie e gli tagliò il naso con le forbici, dopodiché gli sparò una raffica. Nel frattempo la moglie cercò di scappare, ma uno degli uomini del nostro distaccamento le sparò sul posto. Dopo esserci occupati dei genitori, cominciammo a chiederci cosa fare della figlia. Alla fine sparammo anche a lei... Non operavamo solo in quell'appartamento, ogni giorno. Avevamo un nuovo compito". Sz. E., che fu liberato dalla prigione e arrestato l'8 novembre mentre tentava di lasciare il paese, raccontò quanto segue. "Ho fatto la conoscenza dell'ingegnere-montatore Janos Horvath; ha circa 28 anni. Nella casa in cui viveva questo Janos Horvath uccise quattro o cinque uomini della Sicurezza dello Stato che vivevano nella stessa casa. Inoltre, portò altri uomini della Sicurezza dello Stato in cantina dove furono tutti fucilati"[17]

János Berecz, dirigente del Partito Ungherese dei Lavoratori, ricostruisce ulteriormente la vicenda nella sua opera, espandendo sugli antefatti:

«Nel 1953 e nel 1954, il Radio Free Europe Committee aveva già l'esperienza politica, i milioni di dollari e le strutture tecniche che erano considerate necessarie per pianificare e attuare un effettivo programma d'azione e una campagna politica contro i singoli paesi socialisti europei. Vale la pena ricordare i due tentativi precedenti che avevano fornito loro, tra le altre cose, l'esperienza richiesta. [...] Radio Free Europe Press pubblicò pubblicazioni, libri ostili ai paesi socialisti e documenti e volantini istigatori di tanto in tanto. Studi come Svobodna Europa (Europa libera) e Kedy to skoncy? (Quanto durerà tutto ciò?) e volantini furono realizzati sotto i suoi auspici. Inoltre, pubblicò un bollettino aereo quindicinale di dieci pagine con il nome Szabad Magyarorszdg (Ungheria libera). Il materiale stampato veniva inviato e lanciato dietro la "cortina di ferro" principalmente tramite palloncini. [...] Circa duemila persone impiegate da Radio Free Europe e 29 trasmettitori ad alta potenza, sei o sette dei quali trasmettevano programmi in Ungheria, erano impegnati nell'attuazione del programma formulato da Charles D. Jackson. Raccoglievano regolarmente dati sulla situazione e sui problemi interni dei singoli paesi socialisti. L'8 settembre 1954, il Comitato per l'Europa libera pubblicò un documento denominato "Ungheria, istruzione n. 15, Operazione FOCUS". Riassumeva l'essenza e i compiti dell'operazione. La data stabilita per il lancio della campagna era il 1° ottobre. Il programma d'azione denominato "Operazione FOCUS" era un'operazione a lungo termine il cui obiettivo finale era la liberazione finale, come descritto nel suo libro Radio Free Europe dall'esperto di guerra politica Robert T. Holt, l'obiettivo immediato dell'operazione. Era quello di entusiasmare e incoraggiare il nemico interno per motivarlo a organizzarsi, per dare loro un programma e per fargli sapere che il "Mondo libero", prima di tutto gli Stati Uniti, era pronto a dare ogni assistenza alle loro attività. L'8 ottobre 1954 il periodico di estrema destra Uj Hungdria (Nuova Ungheria) pubblicato a Monaco di Baviera affermava: "L'obiettivo principale della nuova azione è quello di offrire assistenza morale e psicologica al movimento di resistenza che è già in corso in Ungheria... per coordinare e focalizzare le sue attività. Ecco perché è stata chiamata Operazione FOCUS." Riguardo al rovesciamento di una democrazia popolare, il Comitato per l'Europa libera era dell'opinione che "...è probabile che ciò avvenga solo come risultato di una convergenza favorevole di eventi all'interno e all'esterno del paese. Internamente, ciò significa che un'opposizione di massa coordinata deve evolversi e acquisire forza durante il periodo precedente alla liberazione. Fuori dal paese, ciò significa che il "Centro di opposizione popolare nel mondo libero" deve fornire iniziativa, simboli tangibili e (in parte) la base ideologica per una resistenza sostenuta. Senza supporto esterno, il Centro di opposizione appassirebbe nell'isolamento. Senza ricettività interna, gli sforzi del mondo libero diventerebbero infatti inutili e non necessari tentativi di interferenza. [...] In Ungheria, una solida base fu stabilita per il potere popolare in seguito allo schiacciamento dello stato feudale-capitalista e del relativo apparato statale, alla distribuzione delle grandi proprietà e delle tenute di proprietà della chiesa tra i contadini, all'espropriazione del capitale e alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione. Sulla scia dell'eliminazione del potere delle ex classi dominanti, i lavoratori emersero come unica fonte di potere. Erano diventati i padroni del paese e i rappresentanti della classe operaia presero nelle proprie mani la direzione degli affari del paese. Nel 1949, 176 dei 402 membri del Parlamento erano lavoratori, 115 erano contadini e 71 erano donne. Tra il 1949 e il 1953, quasi 50 mila lavoratori fisici ottennero posizioni elevate: furono nominati per dirigere aziende e fabbriche e ricoprirono posizioni di comando nei vari ministeri, nelle forze armate, ecc. La quota dell'industria nel reddito nazionale aveva raggiunto quasi il 60 per cento entro il 1956. Rispetto al 1938, la produzione dell'industria meccanica era triplicata. Si erano verificati notevoli cambiamenti anche nella struttura della produzione agricola, la meccanizzazione dell'agricoltura era aumentata. Circa il 33 per cento della terra coltivabile dell'Ungheria, circa un terzo del bestiame e tutte le principali macchine agricole erano di proprietà del settore socialista nel 1956. [...] Non ci fu alcun miglioramento significativo della situazione negli anni successivi, perché invece di implementare obiettivi politici appropriati, scoppiarono lotte di fazione nella leadership del partito, interrompendone l'unità. La fazione guidata da Rakosi non fu in grado di rompere con i suoi errori e usò ogni mezzo per mantenere il potere. Allo stesso tempo, il gruppo revisionista i cui membri si erano radunati attorno a Imre Nagy si era sviluppato e rafforzato dalla metà del 1953. Il loro opportunismo di destra causò gravi danni alla riorganizzazione socialista in agricoltura (una percentuale molto ampia delle cooperative agricole fu sciolta) e causò problemi nella produzione industriale. L'opportunismo della fazione di Nagy iniziò a penetrare nelle attività culturali e ideologiche. Fu caratteristico del tira e molla tra opportunismo di sinistra e di destra che nella seconda metà del 1953 il piano annuale subì 225 modifiche. Non ci fu alcun cambiamento positivo nella situazione per tutto il 1954 e, di conseguenza, la produzione industriale fu inferiore del 2,4 percento rispetto al 1953. Invece di eliminare gli errori, ne furono commessi di nuovi che, insieme a nuovi problemi, portarono a una maggiore delusione. Le cose furono rese ancora peggiori all'interno del partito dal fatto che le ali destra e sinistra non solo erano impegnate nel frazionismo, ma erano pronte a fare compromessi senza principi e occasionalmente tregue. Ad esempio, a causa dell'opportunismo dimostrato nella politica contadina, Imre Nagy fu richiamato dal Comitato politico alla fine del 1949, ma all'inizio del 1951 fu reintegrato per il suo sostegno incondizionato al raddoppio degli obiettivi del primo piano quinquennale e per la sua disponibilità ad accettare il portafoglio di ministro incaricato delle consegne obbligatorie. Nel 1951 e nel 1952, il sistema delle consegne obbligatorie impose oneri del tutto impossibili a una larga parte della classe contadina. Tuttavia, Imre Nagy scrisse diversi articoli a sostegno della necessità del sistema di consegna. [...] I membri della fazione di sinistra guidata da Matyas Rakosi tollerarono per un bel po' di tempo gli errori opportunisti di destra commessi da Imre Nagy, tra cui la cessazione di alcune cooperative agricole. Invece di una lotta ideologica basata sui principi, il Terzo Congresso del Partito dei Lavoratori Ungherese, che si tenne dal 24 al 30 maggio 1954, si concluse con un altro compromesso. Ma questo stato di equilibrio non durò a lungo. Il gruppo revisionista fece gradualmente progressi nell'autunno del 1954 e lanciò un attacco alla riunione di ottobre della Direzione Centrale. In un articolo dopo la riunione, Imre Nagy chiese una revisione "completa" della politica del partito e al primo congresso nazionale del Fronte Popolare Patriottico (23-24 ottobre 1954) emerse come portavoce entusiasta dell'unità nazionale senza contenuti di classe. Ha parlato di come i cuori di nove milioni e mezzo di ungheresi palpitavano insieme, le anime di nove milioni e mezzo di ungheresi si entusiasmavano insieme e le forti braccia di nove milioni e mezzo di ungheresi si tendevano insieme. Dichiarare un programma di unità nazionale senza contenuto di classe durante le fasi iniziali della costruzione del socialismo, in un periodo in cui la continua influenza politica e ideologica delle classi dominanti rovesciate doveva ancora essere eliminata, era sia immaturo che intempestivo, in altre parole, era del tutto fuorviante. [...] Anche in Occidente fu riconosciuta la rottura dell'unità della leadership. Essi individuarono l'insicurezza nelle questioni politiche ed erano consapevoli delle crescenti attività degli elementi ostili interni. Nonostante ciò, tuttavia, fecero i conti con il fatto che i cambiamenti fondamentali che avevano avuto luogo nella struttura della società ungherese godevano del sostegno delle masse e, per questo motivo, non fu elaborato un programma apertamente ostile, ma di "opposizione". Assunse la forma di 12 punti del Movimento di resistenza nazionale. Nel contenuto, i 12 punti del programma erano più o meno identici ai dieci punti elaborati per la Cecoslovacchia. L'unica differenza tra loro era che il programma per l'Ungheria era stato formulato con una riflessione più approfondita. Non chiedeva il rovesciamento del regime, ma si poneva l'obiettivo di andare oltre il "nuovo corso" di Imre Nagy. Richiedeva, tra le altre cose, "il ripristino dell'autonomia locale e dell'autogoverno, la fine della persecuzione dei contadini e la rinascita dell'agricoltura privata, sindacati liberi, la denazionalizzazione del commercio al dettaglio e dei servizi e il passaggio dall'industria pesante a quella leggera". Questa fu la base su cui fu lanciata la prima fase dell'Operazione FOCUS. Il suo obiettivo principale era preparare la "liberazione" ideologicamente e organizzativamente. [...] Nell'ambito dell'Operazione FOCUS, Radio Free Europe e il National Resistance Movement furono attivi durante la preparazione delle elezioni comunali in Ungheria che si tennero il 28 novembre 1954. I loro sostenitori furono incoraggiati a infiltrarsi nei consigli comunali e ad approfittare delle opportunità offerte dall'amministrazione locale e dalla decentralizzazione. Durante la campagna elettorale le attività della reazione interna si intensificarono. Ci furono segnalazioni di iscrizioni sui muri degli edifici pubblici, sui vagoni ferroviari e della distribuzione di volantini scritti a mano con testi simili nel contenuto ai 12 punti del National Resistance Movement. Soprattutto nelle province, durante le riunioni di nomina un numero crescente di persone attaccò il sistema dei consigli comunali. Oltre a esprimere critiche giustificate (ad esempio, opinioni critiche sul funzionamento del sistema di consegna obbligatoria), fu attaccato "il potere della povera gente" e fu adottato un tono ancora più bellicoso contro le cooperative agricole. Dopo le elezioni comunali, volantini e programmi radiofonici separati furono indirizzati ai membri non comunisti dei consigli, dicendo loro cosa "il popolo ungherese si aspettava da loro". Cercarono di generare conflitti tra i consiglieri comunisti e non di partito. Nell'estate del 1955, l'attacco si concentrò sui settari, personalmente su Matyas Rákosi. Centinaia di migliaia di volantini furono lanciati sul territorio ungherese con le parole: "Rákosi scomparirà alla fine?" Anche le organizzazioni reazionarie degli emigrati parteciparono all'attuazione dell'operazione FOCUS. I loro leader fecero giri di conferenze per rivolgersi ai loro sostenitori e dire loro che il momento era vicino e che avrebbero dovuto fare i propri preparativi per rovesciare il potere dei lavoratori in Ungheria. La Fraternal Association of Hungarian Fighters (MHBK) entrò in azione. Il suo leader, il generale Zako, convocò un incontro a Colonia il 1° marzo 1955. [...] È un'affermazione preferita dai nemici del potere popolare che nell'autunno del 1956 gli eventi "portarono spontaneamente alla rivoluzione" e nessuna forza organizzata considerevole prese parte alla preparazione della rivolta. Il ruolo svolto dall'attività organizzativa clandestina fu detto nullo o insignificante. Infatti è caratteristico dell'intensificazione delle attività che le autorità competenti dell'Ungheria abbiano condotto indagini contro 53 agenti dei servizi segreti nel 1953, 162 agenti nel 1955; nel 1955 e nel 1956, 15 organizzazioni ostili principali e 30 minori furono scoperte e gestite dagli organi di sicurezza dello Stato ungherese e 40 spie furono arrestate nella prima metà del 1956. I dati sopra elencati possono essere integrati da altri: durante i tre anni successivi alla controrivoluzione del 1956 furono scoperte 26 organizzazioni ostili. Molti dei loro membri erano stati impegnati in attività sovversive clandestine per 8-10 anni e prima erano stati parte di altre attività organizzative. È anche degno di nota che 10 delle 20 organizzazioni clandestine le cui attività furono concluse nel 1960 e nel 1961 esistevano ed erano attive prima del 1956. Infine, un confronto dei dati sulle organizzazioni clandestine esposte fornisce la prova che circa 250 organizzazioni clandestine più piccole o più grandi hanno partecipato alla preparazione e all'innesco della rivolta armata. La base sociale interna dell'intervento imperialista era costituita dalle classi di sfruttatori che erano stati privati ​​del loro potere e della loro proprietà (capitalisti, proprietari terrieri e kulaki o contadini ricchi), dagli strati sociali che avevano servito la prima categoria (ufficiali dell'esercito, poliziotti e gendarmi del regime precedente e altri gruppi dell'apparato oppressivo di Horthy) e altri elementi fascisti incorreggibili. Odiavano il potere del popolo, la maggior parte di loro non solo era troppo ansiosa di avvalersi di qualsiasi opportunità favorevole per attaccare il potere dei lavoratori, ma sfruttava ogni opportunità per preparare e organizzare una rivolta armata, per un tentativo di riconquistare il potere politico. Lo studio delle esperienze maturate nella lotta contro i movimenti clandestini ostili ha mostrato che condividevano tre caratteristiche generali. Subito dopo la loro perdita di potere, iniziarono, nel 1949 e nel 1950, a intraprendere attività organizzative clandestine con l'obiettivo di riconquistare il potere. Le loro linee guida tattiche e strategiche provenivano da organizzazioni imperialiste internazionali. Una specifica divisione del lavoro si sviluppò tra le organizzazioni. Adottarono metodi e tattiche differenti e lavorarono in ambienti differenti per il raggiungimento di obiettivi sostanzialmente identici. Tra le organizzazioni nazionali l'area di attività più importante fu quella della sovversione militare armata. Ex poliziotti, gendarmi e ufficiali dell'esercito del regime di Horthy e della Croce Frecciata fascista fornirono la base di queste organizzazioni. Ma i loro ranghi includevano anche funzionari pubblici del regime di Horthy e kulaki. Le organizzazioni più significative erano le seguenti: Kardis Kereszt (Spada e Croce), Feher Garda (Guardia Bianca), Botond Hadosztdly (Divisione Botond), Hadaprddok Szervezete (Organizzazione dei Cadetti), tutte fondate sotto l'influenza dell'Associazione Fraterna dei Combattenti Ungheresi. Altri come Feher Partizanok (partigiani bianchi), Virszerzodis (contratto sigillato col sangue), Magyar Ellendlldsi Mozgalom (movimento di resistenza ungherese), Nemzeti Ellendlldsi Mozgalom (movimento di resistenza nazionale) operavano come organizzazioni "indipendenti". Erano attivi sulla base di istruzioni politiche e militari generali trasmesse da Radio Free Europe. Le istruzioni più importanti venivano trasmesse da ufficiali di collegamento. Prendiamo alcuni esempi per illustrare i loro principi operativi. Feher Partizanok (partigiani bianchi) fu fondato nel 1950 da Jozsef Fiala, un detective politico del regime di Horthy e dai suoi compagni con una rete che si estendeva su una vasta parte dell'Ungheria. Alcuni dei suoi membri avevano armi e aveva gruppi composti da esperti di amministrazione locale, un gruppo per donne, ecc. I loro piani si basavano su una guerra futura e sull'aspettativa che le forze armate americane sarebbero arrivate in Ungheria. Le loro attività, pianificate in relazione a un'“invasione” dell'Ungheria, includevano la selezione di aeroporti e altre aree di atterraggio adatte per aerei da trasporto e paracadutisti americani e britannici. Documenti personali in inglese e fasce al braccio furono preparati in vista dell'occasione. La maggior parte dei membri fu smascherata quando l'organizzazione fu sciolta nell'ottobre 1954, ma coloro che fuggirono si riorganizzarono e dalla metà del 1955 si affidarono ai principi fondamentali della “politica di liberazione”. Hadaprddok Szervezete (Organizzazione dei cadetti) fu attiva tra il 1949 e il dicembre 1955. “Come studente di un'ex scuola per cadetti, consideravo mio dovere nell'allora situazione internazionale stabilire un'organizzazione anti-stato” — questo fu affermato da Jeno Sulyanszky, il leader dell'organizzazione, nella sua confessione in tribunale. L'Organizzazione dei cadetti aveva elaborato due piani: uno per lo scoppio di una nuova guerra e l'altro per la situazione successiva alla partenza delle truppe sovietiche dall'Ungheria. I suoi membri avevano pianificato l'occupazione dell'edificio della Radio Ungherese, il sequestro degli arsenali e il rilascio dei prigionieri politici. I gruppi dell'Organizzazione includevano un'unità di intelligence e coloro che si occupavano del posizionamento, dell'acquisizione di veicoli a motore e della fabbricazione di documenti falsi. Nel 1955, organizzò un'esercitazione progettata per intensificare lo spirito combattivo. Il piano dell'esercitazione che era stato elaborato in anticipo conteneva dettagli sul modo in cui gli edifici pubblici dovevano essere occupati. L'Organizzazione dei Cadetti era anche impegnata in attività di spionaggio. Le informazioni ottenute dai suoi membri furono inoltrate da Gydrgy Desaknay, un ufficiale di collegamento di Radio Free Europe. Incoraggiò i membri a elaborare piani per possibili disordini in Ungheria. In risposta, Sulyanszky e i suoi compagni elaborarono quello che descrissero il "Piano di Szeged". La sua essenza era organizzare una rivolta nella città meridionale di Szeged e avviare mosse controrivoluzionarie altrove in Ungheria. In caso di fallimento, pianificarono di lasciare l'Ungheria per la Jugoslavia[18]

Berecz, che, in quanto dirigente del revisionista Partito Socialista dei Lavoratori Ungheresi, porta necessariamente acqua al proprio mulino, attribuendo falsamente le colpe iniziali alla (in realtà corretta, come si è potuto osservare) linea "stalinista" attuata da Rakosi e da Gero in Ungheria, ammette, però, esplicitamente, le responsabilità delle concessioni di Nagy e del suo oggettivo tradimento nei confronti della causa socialista (e quindi implicitamente ammette le responsabilità dei kruscioviani, sovietici e ungheresi, come Kadar, che favorirono la sua "riabilitazione", oltre che quella di molti prigionieri politici ex-collaborazionisti fascisti), che aprirono le porte alla propaganda e alla contro-rivoluzione da parte dei servizi atlantisti e dei loro collaborazionisti e quinte colonne interne all'"anello debole" del Patto di Varsavia, ossia l'Ungheria. Lo stesso Berecz con la sua ricostruzione conferma, tra l'altro, quando già concluso sia da Hoxha nelle sue memorie che da Apostolou nella sua più recente ricostruzione storica degli avvenimenti; ossia che un altro dei principali motivi dei "fatti d'Ungheria", delle violenze, degli attentati, dei pogrom (intesi anche in senso letterale ed etimologico, avendo anche una forte matrice anti-semita basata sul mito e falso storico del "giudeo-bolscevismo", come viene approfondito di seguito) è stato la sostanziale debolezza interna al partito ungherese e all'inettitudine della dirigenza di Rakosi e Gero di porre fine alle continue azioni contro-rivoluzionarie, dittatoriali e capitolazioniste di Nagy.

L'eventuale "contraddizione schizofrenica" tra il revisionismo di Kadar, Berecz e Chruščëv e il più aperto capitolazionismo di Nagy (e del suo principale sostenitore Tito) nei confronti del capitalismo è approfondita ulteriormente da Apostolou:

«Il partito degenerò completamente per colpa dell’accettazione delle frazioni al suo interno e per aver ancor prima (1948) permesso una fusione in blocco col Partito Socialdemocratico. Un partito quest’ultimo che andava lasciato “morire per dissanguamento”, vista la repentina fuga della sua base nel Partito Comunista Ungherese, e non fuso accettando in massa come “comunisti” non solo i militanti della base operaia ma anche i vertici opportunisti socialdemocratici. Per non suscitare la reazione sdegnata della base del partito (idealmente legato alla sinistra) i revisionisti elessero come nuovo segretario generale un ex esponente della sinistra fautrice del socialismo, e convertito di fresco per opportunismo al revisionismo moderno: Ernö Gerö. Gerö fungeva solo da fantoccio per i destri che aspettavano il momento più opportuno per sostituirlo con l’impopolare revisionista titoista Janos Kadar non prima di averlo “riabilitato” completamente con una propaganda di beatificazione. Una volta impadronitisi del partito i destri persero la loro unità d’azione dando inizio alle rivalità fra loro: i revisionisti titoisti-krucioviani erano per un capitalismo di Stato che mettesse al potere la borghesia burocratica dei quadri statali corrotti e degenerati mentre i revisionisti nagysti e socialdemocratici erano propensi a un capitalismo liberista che mettesse al potere i resti della borghesia capitalistica spodestata e che richiamasse gli investimenti monopolistici dei capitali esteri occidentali. Questo contrasto tra nuova borghesia burocratica e la vecchia borghesia liberista si risolse nella Jugoslavia revisionista di Tito nel 1954 con la netta supremazia della prima e la marginalizzazione della seconda (rappresentata dal revisionista liberista Milovan Gilas). In Polonia si arrivò invece al compromesso con la linea di Władysław Gomułka che prevedeva lo smantellamento del sistema economico socialista a favore di un capitalismo misto statale-privato che, ovviamente, prendeva il nome di “via polacca al socialismo”. [...] In Ungheria, dal luglio all’Ottobre 1956, le frazioni revisioniste (impadronitesi del Partito) non riuscirono a prendere nessuna seria iniziativa contro-riformatrice. Il 6 Ottobre le salme dei golpisti Gyorgy Palffy e László Rajk (fucilati a seguito di condanna a morte, ingiunta a conclusione di un regolare processo pubblico, con l’accusa di alto tradimento per aver orchestrato il fallito golpe del 1949) furono esumate e solennemente trasferite, per ordine del gruppo dirigente revisionista, in un “sepolcro d’onore”. Da golpisti e traditori del proletariato e del popolo lavoratore magiari Palffy e Rajk vennero trasformati dalla propaganda revisionista in “martiri” e “paladini della” (non specificata per chi, NDA)“libertà”. [...] Il 23 Ottobre alle 14.30 gli studenti universitari borghesi nagysti (assieme a imprenditori, kulak, ricchi commercianti tutti nostalgici di Imre Nagy al quale dovevano la loro esistenza e sopravvivenza di classe) organizzati dal Circolo Petőfi, si riuniscono di fronte alla Casa degli Scrittori, inneggiano a Gomułka e portano anche bandiere polacche accanto a quelle magiare. Verso le 15 i dimostranti, 50 mila in tutto, si portarono al monumento al poeta Sandor Petőfi per poi proseguire fino alla conclusione del corteo davanti alla statua del generale Bem, eroe polacco che aveva partecipato al risorgimento ungherese un secolo prima. Le masse operaie e lavoratrici, invece, affollarono (in 200mila) le principali piazze di Budapest solo di sera, e non per appoggiare la manifestazione nagysta del pomeriggio ma per ascoltare, dagli altoparlanti, il messaggio al paese, trasmesso alla radio, di Ernö Gerö che, nonostante la sua recente abiura e conversione al revisionismo moderno, godeva ancora di molta popolarità tra i lavoratori. Nel suo discorso, pronunciato alle ore 20, Gerö esaltò il regime economico (a capitalismo di “Stato”) della Jugoslavia revisionista da lui descritto come “esempio da emulare”, suscitando molta perplessità in chi lo ascoltava (nel recente passato il Partito dei Lavoratori aveva sostenuto molte campagne informative che smascheravano, nella sua essenza, il “socialismo” titoismo). Scroscianti applausi, invece, segnarono il suo discorso quando disse: ”…noi condanniamo coloro che cercano di diffondere il veleno dello sciovinismo nella nostra gioventù, e che si sono valsi delle libertà democratiche assicurate dal nostro Stato per compiere una manifestazione di carattere nazionalistico”. Un coro di “no” echeggiò da tutte le piazze quando Gerö (seppur ipocritamente e rivolto strumentalmente al solo revisionismo nagysta) formulò la domanda “… o forse vogliamo interrompere l’edificazione socialista per poi aprire di nuovo al capitalismo?”. A questo punto, verso le ore 21, apparvero segni di un’azione preordinata e disciplinata di provocazione e di disordine fra la folla nelle piazze: ingiurie antisemite, false voci di sparatorie, scoppi di petardi. Poco dopo, alcuni drappelli si separano dalla folla e, molto sicuri e con chiara idea su quello che c’era da fare, dove si doveva andare e come si distribuivano i compiti, un primo gruppo si diresse alla stazione radio; un secondo alla sede dell’ organo del Partito dei Lavoratori “Szabad Nep”; un terzo alla centrale telefonica; un quarto, un quinto e un sesto a un parco motoristico con 60 autocarri, a una centrale elettrica recentemente trasformata in una fabbrica di armi, e a un deposito di munizioni. A proteggere la stazione radio si trovavano alcuni poliziotti e guardie armate che avevano precisi ordini di non sparare se non per difendersi. Furono attaccati: gli assalitori controrivoluzionari ne uccisero alcuni e altri ne ferirono, le guardie risposero al fuoco e dopo una schermaglia e qualche danno agli impianti, l’attacco alla stazione radio fu interrotto. Alla sede del giornale “Szabad NEP” una donna fu uccisa e il gruppo armato controrivoluzionario riuscì ad impadronirsi dell’edificio: distrusse una libreria bruciandone i volumi contenuti fra cui libri di Marx ed Engels e le opere complete di Lenin e Stalin. La bandiera rossa che sventolava sul tetto dell’edificio veniva strappata e data alle fiamme. Gli squadristi controrivoluzionari mantennero il controllo delle rotative per circa 16 ore. Nel frattempo un altro manipolo di autisti, chiaramente preparati e scelti in precedenza, si erano impadroniti degli autocarri del deposito per servirsene poi per caricare armi e munizioni tratte dalla fabbrica e dalla polveriera. A queste azioni rapide e più o meno simultanee parteciparono forse un migliaio di persone o poco meno. Intanto, fra chi era nelle piazze di Budapest, molti erano tornati alle loro case, e anche il governo, a quanto sembra, fu informato con lentezza e non molto istantaneamente di quelli che sembravano attacchi sporadici e non connessi fra loro, compiuti da sparuti gruppi di poche persone. Alle 21.30 un gruppo di controrivoluzionari, attrezzati di funi e piccozze, entrano in Piazza degli Eroi per abbattere la maestosa statua di Stalin che li si trovava. La popolazione (quella presente che tornava alle case dopo aver ascoltato il discorso di Gero) si mise in mezzo occupando pacificamente la piazza per impedire l’abbattimento di quel monumento che per molti ungheresi era un simbolo che riassumeva in sé i recenti progressi socialisti del paese come la proprietà pubblica, socializzata e collettiva della terra, delle fabbriche e dei mezzi di produzione e di scambio; la soppressione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, il diritto di ogni cittadino al lavoro, all’istruzione e all’assistenza sanitaria gratuite; la direzione dello Stato da parte della classe operaia come classe d’avanguardia nella società; l’eguaglianza dei diritti economici, sociali, culturali e politici di tutti i cittadini indipendentemente dalla condizione, dall’origine, dal sesso, dal lavoro svolto, ecc.; la garanzia, sulla base del principio della democrazia socialista, non solo dei diritti dei cittadini ma anche dei mezzi necessari all’esercizio di questi diritti. Questo simboleggiava Stalin per il popolo lavoratore ungherese mentre per la borghesia, per la reazione e per i “comunisti” revisionisti era il simbolo della loro rovina (e lo è tutt’oggi), un simbolo da distruggere e denigrare in tutti i modi! Il gruppo di controrivoluzionari si ritirò cacciato da una piccola folla disarmata di uomini, anziani, donne e bambini (in tutto un migliaio). I manifestanti pensavano che i controrivoluzionari si fossero arresi. [...] Il nuovo Governo Nagy, appena insediato, non era certo un “monocolore” nagysta. Contemporaneamente, i gruppi di squadristi si radunavano, salvo quello asserragliato nel palazzo del giornale “Szabad NEP”, e, nelle prime ore del 24 Ottobre, si accingevano all’assalto di altri edifici pubblici. Soltanto verso le 8 del mattino, passata una notte insonne, il Consiglio dei Ministri diede il primo annuncio dell’ “attacco armato contro gli edifici pubblici e contro le nostre formazioni armate compiuto da elementi reazionari fascisti”. Nel corso della mattinata, il Consiglio dei Ministri proclamò la legge marziale e finalmente fece un terzo passo annunciando che “gli organi di governo non hanno fatto conto della possibilità di vili e sanguinosi attacchi nella capitale”, il Consiglio dei Ministri (presieduto da Nagy!) fece appello “alle formazioni sovietiche di stanza in Ungheria” perché venissero al suo aiuto in conformità con le clausule del Trattato di Varsavia. Pur rispondendo affermativamente alla richiesta d’intervento, le formazioni sovietiche non intrapresero azioni armate degne di nota fino al giorno successivo. Dal 24 Ottobre fin verso mezzogiorno del 25, si videro truppe sovietiche fraternizzare con le masse ungheresi. Mezzi di trasporto militari sovietici, fra cui carri armati, trasportavano perfino dei civili ungheresi ai punti di raccolta nelle principali piazze di Budapest dove in molti affluivano spontaneamente per pacifiche dimostrazioni contro i gravi atti di squadrismo fascista accaduti. A mezzogiorno del 24 Ottobre Nagy plla radio annunciando “la realizzazione di una via ungherese al socialismo, corrispondente alle nostre caratteristiche nazionali”, condannava ufficialmente gli “atti criminali di elementi ostili alla democrazia popolare” promettendoli però “piena amnistia per quelli che deporranno le armi entro le ore 14” (il termine fu poi spostato alle 22). Ma gli imperialisti americani, che manovravano direttamente dall’ambasciata USA in Ungheria i criminali squadristi in azione, non avevano alcuna intenzione di interrompere una grossa provocazione che le avrebbe permesso una aggressione armata, magari ancora, come 6 anni prima in Corea, “sotto l’egida dell’ONU”. Quel tanto di combattimenti che si svolse nella giornata del 24 contro le bande squadriste fu sostenuta in massima parte da unità dell’esercito ungherese, e al calare della notte il corpo essenziale dell’attacco armato controrivoluzionario sembrava spezzato. Il mattino del 25 il Comitato Centrale del partito revisionista ungherese annunciò la revoca da segretario generale a Gerö e che Janos Kadar lo sostituiva. Ma nella stessa mattinata del 25 ripresero nuovi attacchi contro unità della polizia e dell’esercito ungheresi, la provocazione controrivoluzionaria continuava[19]

Aldo Calcidese, autore marxista-leninista (forse) vicino a Piattaforma Comunista, riporta nella sua analisi degli eventi:

«Il segno politico dei moti di piazza fu subito chiaro. Apparve subito evidente che non si trattava di una ”rivolta popolare spontanea”, come la presentò quasi tutta la stampa occidentale. Squadre perfettamente organizzate ed inquadrate percorrevano la capitale, segnando con croci bianche le case dei comunisti e con croci nere le case degli ebrei. Come a Berlino nel 1933, si bruciavano i libri marxisti e si dava la caccia ai comunisti e agli ebrei. La sera del 23 ottobre il comitato centrale del Partito dei Lavoratori Ungheresi, ormai epurato degli elementi leninisti, offriva la carica di primo ministro a Imre Nagy. Contemporaneamente, si radunavano vari gruppi armati per dare l’assalto a edifici pubblici. [...] Imre Nagy, in un discorso alla radio, negò che il movimento in corso fosse da considerare una controrivoluzione, anzi lo definì ”un movimento nazionale e democratico”. Intanto il governo Eisenhower offriva al nuovo governo ungherese 20 milioni di dollari a titolo di ”aiuti”. Il 31 ottobre vennero ricostituiti vari partiti fascisti e reazionari. Le forze che l’apprendista stregone Chruscev aveva liberato ormai erano sfuggite al suo controllo e si rivolgevano alle potenze imperialiste per chiedere il loro aiuto. Il Daily Express di Londra del 31 ottobre pubblicava una descrizione del lungo e sistematico assalto condotto il giorno prima contro la sede centrale del partito a Budapest, dovuta al suo corrispondente Sefton Delmar che si era trovato sul posto. Gli attaccanti, scrive Delmar, ”hanno impiccato tutti senza eccezione gli uomini e le donne trovati nel palazzo, fra cui alcuni comunisti buoni, sostenitori della ribellione contro Mosca del primo ministro comunista Nagy… Gli impiccati pendono dalle finestre, dagli alberi, dai lampioni, da qualunque oggetto a cui si possa impiccare un uomo”[20]

Riporta il (kruscioviano) Herbert Aptheker:

«Il carattere disciplinato dei gruppi di attaccanti era manifesto; si osservò pure che essi erano ben equipaggiati con armi da fanteria e che molti portavano dei bracciali d’identificazione tutti uguali fra loro, apparsi repentinamente per la vie della città, si direbbe, e ormai a centinaia…Nella giornata del 25 bande armate incendiarono il Museo nazionale: lavoratori, pompieri e semplici cittadini che tentavano di impedire la distruzione delle opere d’arte furono accolti dalle pallottole dei banditi. [...] Sempre il 25, nei villaggi fuori Budapest e nelle campagne, gruppi di armati da venti a cinquanta uomini, montati su veicoli…cominciarono a darsi alla caccia all’uomo. Questo era semplice terrorismo fascista e nello spazio di poche ore in circa quindici piccoli centri dei dintorni le bande procedettero sistematicamente al massacro di tutti i comunisti noti, presidenti dei Consigli locali, guardie di polizia e dirigenti di cooperative e collettivi. [...] Mentre ottobre passava in novembre, la furia cresceva, e sempre più il massacro prendeva la forma di un’azione bene organizzata. Vi sono prove conclusive del fatto che solo l’entrata delle truppe sovietiche a Budapest prevenne l’uccisione di centinaia, forse di migliaia di ebrei: fra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, i pogrom antisemiti – segni del terrore fascista senza più freni – erano riapparsi in Ungheria[21]

Calcidesi riporta anche un discorso da parte del professore e intellettuale comunista italiano Concetto Marchesi, che pronunciò all'VIII congresso del PCI:

«Si è ripetuto e si ripete che nella sommossa erano operai e studenti. La qualifica di operaio e di studente non basta a nobilitare la loro azione. Operai rinnegati e studenti alimentarono lo squadrismo e le brigate nere di Mussolini! Sotto la corteccia della repubblica democratica, in Ungheria, restavano forse ciurme di servi che aspettavano i vecchi padroni per opprimere altri servi. A ciò non hanno badato quegli intellettuali comunisti che hanno testè sollevato gli entusiasmi della stampa borghese e di taluni uomini di sinistra addetti ad un perpetuo esame di coscienza. Vercos, autore di ”Silenzio del mare”, poteva scrivere: ”L’esercito rosso, schiacciando coi suoi carri armati gli operai ungheresi si è battuto per la prima volta contro la liberazione di un popolo e ha perduto così, agli occhi di milioni di uomini, la sua innocenza”. Sono le belle frasi dei letterati che alle belle frasi sacrificherebbero, se ne avessero, le belle idee. In Ungheria era cominciata non la guerra civile, ma la caccia al comunista. Per codesti intellettuali comunisti i massacri dei comunisti non contano. Essi sono gli olocausti dovuti alla sacra ira del popolo insorto, anche se di questo popolo i nuovi capi siano il cardinale primate e i castellani di Horty![22]»

Anche un insospettabile Giorgio Napolitano, all'epoca non ancora (almeno non dichiaratamente) fautore del "comunismo" sullo stile di Amendola e dei miglioristi, rilasciò una dichiarazione simile:

«Il compagno Giolitti […] poi ci ha detto che l'intervento sovietico poteva giustificarsi solo in funzione della politica dei blocchi contrapposti, quasi lasciandoci intendere […] che l'intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell'Unione Sovietica; senza vedere come nel quadro della aggravata situazione internazionale, del pericolo del ritorno alla guerra fredda non solo ma dello scatenarsi di una guerra calda, l'intervento sovietico in Ungheria, evitando che nel cuore dell'Europa si creasse un focolaio di provocazioni e permettendo all'Urss di intervenire con decisione e con forza per fermare l'aggressione imperialista nel Medio Oriente, abbia contribuito, oltre che ad impedire che l'Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, abbia contribuito in misura decisiva, non già a difendere solo gli interessi militari e strategici dell'Urss ma a salvare la pace nel mondo[23]

Il ruolo della "coincidenza" della crisi di Suez del medesimo anno

Come riporta Apostolou:

«Una volta appreso che gli Stati Uniti stavano preparando un intervento militare in Europa centrale, gli imperialisti britannici e francesi decisero di approfittarne per prendere un’iniziativa per conto proprio svincolandosi dalla collaborazione forzata con l’alleato d’oltre atlantico che pretendeva che ogni nuova conquista imperialista fosse fatta sotto la sua direzione e, quindi, il bottino ottenuto non fosse spartito in parti uguali con gli alleati ma che la fetta più grossa spettasse “al più forte”. Era l’occasione per Gran Bretagna e Francia di dimostrare di poter essere ancora imperialisti in proprio come ai tempi della Cordiale Intesa. L’occasione si presentò in Medio Oriente. L’Egitto, emancipatosi dalla dominazione britannica quattro anni prima, si era dato una nuova Costituzione repubblicana e sotto il governo antimperialista di Gamāl ‘Abd al- Nasser nazionalizzò il 26 Luglio 1956 la Compagnia del Canale di Suez di proprietà franco-britannica. Fu uno smacco formidabile per le due potenze europee! Il 28 Ottobre il regime sionista israeliano (con l’aiuto diretto di Gran Bretagna e Francia) lanciò il suo attacco diversivo nella penisola del Sinai. Contemporaneamente, per alcuni giorni, la stampa di tutto il mondo riferiva della mobilitazione di forze francesi e britanniche in patria, a Cipro, a Malta e in Corsica per l’attacco all’Egitto. Il 29 Ottobre, Israele invase la Striscia di Gaza e la penisola del Sinai e fece rapidi progressi verso la zona del canale. Gran Bretagna e Francia si “offrirono” di rioccupare l’area e separare le parti in lotta. Nasser rifiutò l’ “offerta”, cosa che diede alle potenze europee un pretesto per un invasione congiunta per riprendere il controllo del canale e rovesciare il governo di Nasser e l’autodeterminazione egiziana. Per appoggiare l’invasione, numerose forze aeree, comprendenti molti aerei da trasporto, erano state posizionate a Cipro e a Malta da britannici e francesi. I due campi aereei di Cipro erano così congestionati che un terzo campo, che si trovava in condizioni dubbie, dovette essere rimesso in sesto per accogliere gli aerei francesi. Perfino il RAF Luqa di Malta era estremamente affollato dagli aerei del RAF Bomber Command. Gli aggressori britannici dispiegarono le portaerei Eagle, Albion e Bulwark, mentre quelli francesi fecero stazionare la Arromanches e la Lafayette. In aggiunta le britanniche Ocean e Theseus funsero da trampolino di lancio per il primo assalto elitrasportato della storia. Gran Bretagna e Francia iniziarono a bombardare l’Egitto il 31 Ottobre per costringerlo a riaprire il canale. Nasser rispose affondando tutte e 40 le navi presenti nel canale, chiudendolo in pratica fino all’inizio del 1957. Il 5 Novembre sul tardi, il terzo battaglione del reggimento paracadutisti si lanciò sul campo aereo di El Gamil, ripulendo l’area e stabilendo una base sicura per i rinforzi e gli aerei di appoggio in arrivo. Alle prime luci del 6 Novembre i commandos britannici del NOS 42 e del 40° Commando Royal Marines assalirono le spiagge con mezzi da sbarco della II guerra mondiale. Le batterie delle navi da guerra in posizione al largo iniziarono a sparare, coprendo gli sbarchi e causando danni considerevoli alle batterie egiziane. La città di Porto Said subì gravi danni. Incontrando una forte resistenza, il commando numero 45 andò all’assalto con gli elicotteri e allo sbarco si mosse verso l’interno. Diversi elicotteri vennero colpiti dalle batterie sulle spiagge subendo perdite sostenute. Il fuoco amico degli aerei britannici causò pesanti perdite al 45° commando. Combattimenti di strada e casa per casa erano all’ordine del giorno. Una dura opposizione arrivò da postazioni di cecchini ben trincerati, che causarono diverse perdite agli invasori. Un contrordine giunse alle truppe americane in forza alla NATO in Europa. L’esercito statunitense doveva essere pronto a intervenire in Egitto contro gli anglo-francesi, gli USA non potevano tollerare nessuna iniziativa autonoma dei suoi “alleati”, l’invasione americana in Ungheria era quindi rinviata a dopo la fine della crisi di Suez. La CIA dovette quindi sostenere la controrivoluzione ungherese affinché reggesse il più tempo possibile, più di quanto previsto! In quel momento, negli ultimi giorni d’Ottobre, e dal punto di vista della reazione, la violenza controrivoluzionaria soprattutto non doveva interrompersi in Ungheria; e il tentativo di distruggere, non revisionare, lo Stato democratico popolare e la sua base economica socialista doveva essere portato avanti fino alla necessaria tabula rasa sulla quale sarebbero intervenute infine le forze NATO (al momento distratte dai fatti mediorientali). L’Ungheria occidentale a ridosso della frontiera austriaca, ad Ovest, e di Budapest, ad Est, era sotto il regime controrivoluzionario (e al suo terrore fascista) che mandava rinforzi verso la capitale per tenere la situazione in ebollizione al fine di esercitare sul governo Nagy una pressione di destra sempre più forte[24]

Hoxha ricorda in questo modo gli avvenimenti:

«A Chruščëv e a Suslov sfuggì di mano anche l’uccello spennato Imre Nagy. Questo traditore nel quale Mosca aveva posto le sue speranze, come chi sta per annegare si aggrappa ai propri capelli per salvarsi, nel vortice della furia controrivoluzionaria mostrò il suo vero volto, proclamò il suo programma reazionario e fece dichiarazioni pubbliche sul ritiro dell’Ungheria dal Patto di Varsavia. Ambasciatore sovietico in Ungheria era allora un certo Andropov, un uomo del KGB, che più tardi doveva essere elevato nelle sue funzioni e svolgere un ruolo infame anche contro di noi. Questo agente con l’etichetta di ambasciatore, si trovò assediato dalla controrivoluzione che era scoppiata. Anche quando le vicende controrivoluzionarie presero a svilupparsi apertamente e Nagy venne alla presidenza del governo, i sovietici continuarono a sostenerlo, sperando, a quanto pare, di tenerlo sotto controllo. [...] L’ambasciatore sovietico si era asserragliato nella sua ambasciata e non osava mettere il naso fuori. Un alto funzionario del Ministero degli Esteri d’Ungheria, inseguito dai banditi, chiese asilo alla nostra ambasciata e noi glielo concedemmo. Egli stesso disse ai nostri compagni che si era recato anche all’ambasciata sovietica, ma non l’avevano accettato. Inizialmente le truppe sovietiche dislocate in Ungheria intervennero, ma poi si ritirarono sotto la pressione di Nagy e di Kadar e il governo sovietico dichiarò che era disposto ad intavolare conversazioni per il loro ritiro dall’Ungheria. E mentre i controrivoluzionari facevano strage, Mosca aveva paura. Chruščëv tremava, esitava ad intervenire. Tito era il re della situazione, sosteneva Imre Nagy ed aveva anche ammassato le sue truppe, pronte ad intervenire. Allora Mosca inviò a Budapest l’uomo adatto, il trafficone Mikojan ac compagnato dal galletto Suslov. Si sa ciò che avvenne in Ungheria e a Budapest. Migliaia di uomini furono uccisi. La reazione, armata dall’esterno, fece stragi passando per le armi in piena strada comunisti e democratici, donne e bambini, incendiò case, uffici e tutto ciò che le capitava tra le mani. Il banditismo vi regnò per giornate intere. L’unica scarsa resistenza fu opposta dai reparti della Sicurezza di Budapest, mentre l’esercito ungherese e il Partito dei Lavoratori Ungheresi furono neutralizzati e liquidati. Kadar fece varare il decreto per la liquidazione del Partito dei Lavoratori Ungheresi, atto che mise in evidenza il suo vero volto, ed annunciò la formazione del nuovo partito, del Partito Socialista Operaio, che avrebbero costruito lui stesso insieme a Nagy ed altri. L’ambasciata sovietica era circondata dai carri armati, mentre dentro Mikojan, Suslov, Andropov e può darsi anche altri stavano architettando intrighi. La reazione, capeggiata da Kadar e Imre Nagy, asserragliatasi al parlamento, dove si per deva in chiacchiere, continuava a lanciare appelli agli Stati occidentali capitalisti affinché intervenissero militarmente contro i sovietici. Finalmente, ancor con la paura addosso, Nikita Chruščëv fu costretto a impartire l’ordine. Le truppe corazzate sovietiche marciarono su Budapest ed ebbero inizio i combattimenti nelle strade. L’intrigante Mikojan sbattè Andropov in un carro armato e lo spedì al parlamento per ritirarvi Kadar e tentare di manipolarlo. E così avvenne. Kadar cambiò di nuovo padrone, voltò casacca, si gettò nel grembo dei sovietici e, protetto dai loro carri armati, fece appello al popolo perché cessasse i tumulti e ai controrivoluzionari perché deponessero le armi. La sorte del governo Nagy era segnata. La controrivoluzione fu repressa e Imre Nagy si rifugiò nell’ambasciata di Tito. Era chiaro che egli era un agente di Tito e della reazione mondiale. Egli godeva anche dell’appoggio di Chruščëv, al quale sfuggì di mano perché voleva andare ed effettivamente andò più lontano. Per mesi interi Chruščëv litigò con Tito per ottenere Nagy che egli non voleva consegnare, finché giunsero al compromesso di consegnare Nagy ai rumeni. Mentre erano in corso le trattative con Tito su questo problema, Krilov, l’ambasciatore sovietico a Tirana, chiese il nostro parere, se eravamo o no d’accordo che Nagy fosse mandato in Romania. "Imre Nagy, come abbiamo dichiarato anche prima", risposi a Krilov, "è un traditore che ha spalancato le porte dell’Ungheria al fascismo. Ora viene proposto che questo traditore, che ha ucciso comunisti, uomini progressisti, che ha ucciso soldati sovietici e si è rivolto agli imperialisti perché intervenissero, vada in un paese amico. Questa è una grossa concessione e noi non possiamo sottoscriverla." Quando si placarono gli animi e furono sepolte le vittime della controrivoluzione ungherese, che era stata soprattutto opera di Tito e di Chruščëv, Nagy fu giustiziato. Neppure quest’atto eragiusto, non perché Nagy non meritasse questa condanna, ma ciò non doveva essere fatto come fu fatto, di nascosto, senza processo e senza il suo smascheramento pubblico. Egli doveva essere processato e punito pubblicamente, secondo le leggi del paese di cui era cittadino. Ma questo processo non interessava certo né a Chruščëv né a Kadar né a Tito, perché Nagy avrebbe potuto scoprire i panni sporchi di coloro che avevano manovrato i fili della congiura controrivoluzionaria. Più tardi, quando la controrivoluzione in Ungheria fu repressa, vennero alla luce molti fatti che provavano la complicità dei dirigenti sovietici nelle vicende ungheresi. Noi, naturalmente, aveva mo dei sospetti sul ruolo svolto dai sovietici, specie nella destituzione di Rakosi, nell’appoggio dato a Nagy ecc. In quel tempo però non sapevamo con esattezza come si era svolta la collaborazione Chruščëv-Tito, non eravamo nemmeno al corrente de gli incontri segreti fra Chruščëv, Malenkov e Tito a Brioni. Tutto questo venne alla luce più tardi e noi ci mantenemmo sulle nostre posizioni che erano contrarie a questi atti dei sovietici[25]

Golpe istituzionale di Nagy e richieste assurde di "neutralità"

Riporta ancora Apostolou:

«Con l’eliminazione fisica e la messa in fuga (fuori da Budapest) dei molti deputati comunisti non nagysti, l’Assemblea Nazionale d’Ungheria (il parlamento) di fatto non esisteva più, o meglio: non poteva più dirsi rappresentativo del volere del popolo magiaro. I deputati rimasti formavano un parlamentino decisamente spostato a destra. Il governo Nagy, al posto di mobilitare il Paese per disarmare e debellare la controrivoluzione, proseguiva il programma di controriforme revisioniste concordato coi kadaristi. Veniva introdotto il modello economico jugoslavo nel settore industriale statale che dava autonomia di gestione alle singole aziende istituendo la figura del direttore-manager (il direttore era stato fino ad allora un semplice dipendente dello Stato e doveva rispondere, in rappresentanza di tutto l’apparato contabile-amministrativo, del suo operato verso l’alto alla Commissione per l’Attuazione del Piano Quinquennale e verso il basso alla Commissione per il Controllo Operaio eletta dalla Assemblea Generale di Fabbrica) ed eliminando il potere decisionale alle Assemblee Generali di Fabbrica, ed agli organi da essa eletti e controllati, che venivano sciolte e sostituiti da piccoli parlamentini di delegati, denominati “Consigli Operai”, eletti tra gli operai e gli impiegati della fabbrica, ai quali venivano riconosciuti vari privilegi (stipendio più alto con quota aggiuntiva proporzionale alla produttività della fabbrica e la libertà di assentarsi dal lavoro praticamente a piacimento) e il cui mandato era irrevocabile per tutto il mandato quinquennale. In Jugoslavia i lavoratori più avanzati li chiamavano con irrisione: “Consigli dell’aristocrazia operaia”, e non avevano certo torto! [...] Tutto qui! Il 27 Ottobre Nagy (col pseudo- parlamento di destra rimasto) attua il suo golpe istituzionale formando un nuovo governo funzionale alla restaurazione capitalista. Vice Primo Ministro divenne Joszef Bognar, del partito della media borghesia e dei kulak denominato “dei Piccoli Proprietari”, e Ferenc Erdei, del partito prettamente dei kulak “Nazionale Contadino”. Dei ministri quattro erano vecchi dirigenti del partito dei Piccoli Proprietari e avevano i dicasteri del Commercio estero, dell’Agricoltura, delle Aziende Agricole di Stato, e degli Esteri. A quel momento, alla fine del 27 Ottobre, sembrava esservi buone ragioni di considerare passato il peggio. Il governo, al posto di ordinare il contrattacco generale contro i criminali fascisti armati, emanava l’ordine di “immediata e generale cessazione del fuoco, con istruzione alle forze armate di sparare soltanto se attaccate”. Quest’ordine fu accolto ed eseguito come valido dalle forze sovietiche assieme a quelle ungheresi. Alla controrivoluzione Nagy regalava criminalmente una tregua che le dava tempo a riprendersi ed accumulare più forze in armamenti ed effettivi in arrivo dall’Austria. Intanto, sempre il 27, in un suo discorso radio Nagy, suscitando lo sconcerto di tutta l’Ungheria, negò vergognosamente il carattere reazionario delle azioni criminali delle bande armate considerandole nel loro insieme come “un movimento nazionale e democratico” ammettendo solo l’ “infiltrazione” di “elementi controrivoluzionari”. Nello stesso giorno Kadar scioglieva arbitrariamente il Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori, eletto al 3° Congresso Nazionale del 1954 che aveva una forte componente di onesti comunisti contrari all’abbandono della via al socialismo, trasferendo tutto il potere ad un comitato “d’emergenza” di sei membri: Kadar, Antal Apro, Karoly Kiss, Ferenc Munnich, Imre Nagy e Zoltan Szanto. Tutti revisionisti appartenenti alle frazioni kadarista e nagysta. Dopo aver taciuto fino ad allora da Belgrado il revisionista Tito dichiarava essere soddisfatto delle controriforme economiche, verso il capitalismo di Stato, intraprese dal Governo Nagy, e faceva sapere che “ogni ulteriore spargimento di sangue sarebbe solo dannoso”, quasi a voler fare intendere, con quel “ulteriore”, che una qualche utilità dello “spargimento di sangue”, fino a prima del 26, c’era stata! Dalle zone occupate (e insanguinate dai massacri) dalla controrivoluzione nell’Ungheria occidentale, e contemporaneamente da “Radio Europa Libera”, da altre trasmittenti in Spagna, in Italia e in Germania occidentale venivano lanciate “richieste” sempre nuove che riflettevano un ininterrotto spostamento verso destra. Il 28 Ottobre cominciò ad essere avanzate le “richieste” della denuncia immediata e unilaterale del Patto di Varsavia da parte dell’Ungheria, dell’immediata neutralizzazione dell’Ungheria, il cui “status” avrebbe dovuto essere garantito da un accordo a quattro (fra USA, Gran Bretagna, Francia e URSS) in cui le potenze capitaliste avrebbero messo in minoranza l’Unione Sovietica per 3 a 1, e di mutamenti economici nel senso di una dichiarata marcia indietro rispetto alla via del socialismo. Assecondando le richieste della controrivoluzione e dell’imperialismo occidentale il governo Nagy decretò il ritiro dei reparti dell’esercito sovietico da Budapest che iniziò all’alba del giorno 29. Il 30 Ottobre il governo illegittimo di Nagy (quello formatosi con un golpe istituzionale il 27 Ottobre con meno di un terzo del parlamento) forma un “Gabinetto ristretto del Governo nazionale” (che concentrava in se tutti i poteri) composto da tre “comunisti” revisionisti Imre Nagy, Janos Kadar e Gesa Losonczy; due del partito dei Piccoli Proprietari: Bela Kovacs e Zoltan Tildy; uno del partito Nazionale Contadino: Ferenc Erdei; e una socialdemocratica anticomunista (che dal 1922 al 1944 coprì a sinistra la dittatura fascista dell’ammiraglio Horthy e che dal 1948 ordì varie congiure golpiste): Anna Kethly. Formato il “gabinetto” Nagy si rivolse al Paese con un proclama nel quale ribadiva il ritiro immediato delle truppe sovietiche dal territorio di Budapest, invocava la cessazione del fuoco da parte degli “insorti” in tutto il paese, e concludeva con un “evviva” all’Ungheria “libera, democratica e indipendente” omettendo da allora (dai suoi discorsi) l’attributo “socialista”. Da notare che il revisionista Kadar (segretario generale del Partito dei Lavoratori in cui la gran maggioranza della base e dei quadri locali erano sinceri e onesti comunisti) , nel suo intervento alla radio che seguì il proclama di Nagy, non ebbe niente da ridire allineandosi al Governo illegittimo, di cui faceva parte, “in nome della pace”. Più avanti nella giornata del 31 Nagy annunciò, completamente motu proprio, che il processo del 1949 contro il cardinal Mindszenty “mancava di ogni base legale” (!?), pertanto “ il governo nazionale ungherese dichiara che le misure con cui il cardinale primate Joszef Mindszenty fu privato dei suoi diritti sono nulle e senza effetto, e che il cardinale può quindi esercitare, senza restrizione alcuna, tutte le sue prerogative civili ed ecclesiastiche”. Venne poi l’annuncio che il Consiglio Nazionale dei Sindacati era sciolto e che il governo avrebbe riconosciuto solamente la costituenda “Federazione Nazionale dei Sindacati Liberi” alla cui guida si trovavano ex corporativisti fascisti del periodo di Horthy. Nel corso del 31 Ottobre il terrore bianco degli squadristi controrivoluzionario era ripreso incontrastato su larga scala (i reparti sovietici non c’erano più e i reparti ungheresi avevano ordini governativi di non intervenire), con tanto di pogrom antisemiti rievocati dalle ex croci frecciate, a Budapest e in molte province dell’Ungheria occidentale. Il 1° Novembre, Nagy tornò ancora una volta ai microfoni della radio per annunciare nuovi “progressi”. All’ambasciatore sovietico a Budapest era stato comunicato da Nagy stesso che il suo governo denunciava senz’altro e seduta stante il Trattato Difensivo di Varsavia. Il governo Nagy aveva proclamato ufficialmente la “neutralità dell’Ungheria”, e chiesto al Segretario Generale dell’ONU di mettere all’ordine del giorno “la questione ungherese” e “lo status neutrale del Paese”; pure attraverso il segretario dell’ONU Nagy aveva chiesto ufficialmente che la “neutralità ungherese” venisse garantito da un accordo fra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e URSS (3 vs 1). Al golpe di Nagy soccorreva intanto la progressiva disintegrazione del Partito dei Lavoratori. Privata da tempo di un suo partito, attivo e fiducioso, la classe operaia stessa era come un corpo senza testa, le cui varie membra andavano simultaneamente in tutte le direzioni, di fatto paralizzandola. Alcuni gruppi di operai combatterono eroicamente le orde controrivoluzionarie ma perirono, o si dispersero, perché non coordinati ed organizzati da alcun quartier generale proletario rivoluzionario. Perciò, nel momento della spinta reazionaria, la società ungherese non disponeva di una forza di resistenza efficace e organizzata che vi si potesse opporre: e questo fatto accresceva di molto il pericolo dell’immediata soluzione fascista della crisi. Mentre nelle strade scorreva il sangue di numerosi comunisti, ebrei e progressisti massacrati, il 2 Novembre, Nagy chiese di uovo ufficialmente l’intervento delle Nazioni Unite e la “garanzia delle quattro potenze”; nello stesso tempo il golpista Pal Maleter, nuovo capo delle Forze armate dal 31 Ottobre, annunciava che l’esercito avrebbe appoggiato il governo soltanto se Nagy ritirato immediatamente l’Ungheria dal Patto di Varsavia e condotto una politica senza esitazioni per cacciare l’armata rossa dall’Ungheria “se necessario con la forza”. Il 3 Novembre Nagy effettua d’arbitrio un nuovo rimpasto al suo governo rimpolpando la presenza dei partiti dei Piccoli Proprietari, dei social democratici di destra e dei “Nazional-Contadini”. Lo stesso 3 Novembre, per la prima volta, si udirono personaggi ufficiali attaccare pubblicamente e ripudiare il socialismo, con una dichiarata prospettiva di ritorno al regime capitalista, pergiunta nella sua forma più classicamente liberista. A Mezzogiorno una dichiarazione del Partito Nazionale Contadino (due rappresentanti del quale erano nel governo illegittimo e golpista di Nagy) proclamò che il partito, pur non desiderando la revoca della riforma agraria del 1945 (era un partito kulak, e non latifondista) “afferma la sua fiducia nella proprietà privata, e chiede libertà di produzione e traffici”. Poco dopo l’organo di stampa della “Società del Sacro Cuore di Gesù” veniva diffuso a Budapest, e il suo editoriale intitolato “Quello che vogliamo – I punti essenziali del programma della Chiesa cattolica ungherese”, fu trasmesso dalle radio controrivoluzionarie in lingua magiara e francese. In esso “si chiede la restituzione delle terre che erano state di proprietà della Chiesa. Inoltre, la restituzione alla chiesa delle sue scuole”. In altri termini, codesto organo ufficiale cattolico chiedeva, il 3 Novembre, l’abrogazione della riforma agraria e della riforma scolastica (atti sempre denunciati dalla gerarchia cattolica e particolarmente da Mindszenty) ossia ancora il rovesciamento delle trasformazioni sociali che avevano posto fine alla vecchia Ungheria di Horthy[26]

Pogrom Antisemiti colonna portante degli avanzanti "ragazzi di Buda" e del loro Terrore Bianco

Lo United Press International del 26 Ottobre 1956 dichiarava:

«I ribelli sono ben armati. È questo fatto che ha indicato per primo come un movimento clandestino, che sembra addestrato e ben equipaggiato, abbia scelto questo momento di crescente fermento del paese come l’occasione adatta per colpire il regime comunista”. Lo stesso giorno, il corrispondente da Budapest del Daily Mail di Londra riferiva di aver cenato con dei dirigenti controrivoluzionari “che avevano preparato per un anno la rivolta di questa settimana[27]

Sono diversi i "report" giornalistici occidentali simili:

«Assai più estesa è una notizia dell’United Press, trasmessa il 30 Ottobre da Kurt Neubauer dal centro di frontiera austriaco di Nickelsdorf. Dopo aver parlato lungamente con molti paramilitari controrivoluzionari armati, Neubauer giungeva a questa conclusione: “È abbastanza evidente, ormai, che quanto sta accadendo in Ungheria sia frutto di mesi, se non interi anni, di preparazione”. Le testimonianze sul terrore bianco che si sviluppò in Ungheria come situazione generale (in modo da richiamare direttamente alla memoria il 1919) soprattutto dopo che il 29 Ottobre l’armata rossa lasciò Budapest, sono universali ed eccellenti. Il terrore regnò con un crescendo di furia stragista fino al 4 Novembre, ossia fino al ritorno delle forze sovietiche. Elie Abel, scrivendo da Budapest il 29 ottobre per il New York Times, riferì che i cosiddetti “Consigli rivoluzionari” dell’Ungheria occidentale erano “occupati a gettare in carcere i rappresentanti locali e semplici iscritti del Partito dei Lavoratori Ungheresi (comunista) e della polizia di sicurezza”. “in alcuni Casi” (egli continuava, NDA)“questi servitori del regime di Budapest vengono impiccati o fucilati senza formalità”. Il Daily Express di Londra del 31 Ottobre pubblicava una descrizione del lungo e sistematico assalto condotto il giorno prima contro la sede centrale del Partito dei Lavoratori a Budapest, descrizione fatta dal corrispondente Sefton Delmar che si era trovato sul posto. Gli attaccanti, scrive Delmar “hanno impiccato tutti senza eccezione gli uomini e le donne trovati nel palazzo, fra cui anche sostenitori del Primo Ministro Nagy” e poi continua “gli impiccati pendevano dalle finestre, dagli alberi, dai lampioni, da qualunque oggetto a cui si possa impiccare un uomo. Il male è che, insieme a loro, si seguita a impiccare anche semplici cittadini”. L’ammontare degli assassinati del palazzo della sede centrale del Partito dei Lavoratori ammontarono a 134! Il redattore per i Balcani del giornale dell’United States News and World Report pubblicò il 9 Novembre i suoi appunti, presi “mentre viaggiava in automobile dalla frontiera austriaca fino a Budapest, nei giorni in cui i sovietici erano fuori dalla capitale: “Si passa vicino ad assembramenti di persone riunite intorno a corpi di membri della polizia di sicurezza che vengono battuti fino a divenire masse informi che non hanno più nulla di umano. Da una casa ne pendono altri, impiccati”. Si può appena riconoscere la forma umana, ma “naturalmente” si può dire “con certezza” che gli individui torturati e massacrati sono “membri della polizia di sicurezza”! Vengono alla memoria le fotografie fatte da John Sadovy e pubblicate su Life il 12 Novembre 1956 in cui si vede un gruppo di ungheresi in uniforme, disarmati e con le mani in alto in segno di resa, alcuni feriti; poi lo stesso gruppo fucilato a freddo dalla distanza di cinque passi, e poi, uno di loro non essendo ancora morto e tenendosi eretto, un’altra fotografia mostra il calcio di un fucile che piomba sul suo cranio. Life, nel far pubblicità alla sua merce sul New York Times del 14 Gennaio 1957, dà una riproduzione di due di queste foto, facendo scrivere che esse illustrano “un momento brutale ma glorioso di una appassionata battaglia per la libertà” e, anche qui, la scusa è che i massacrati “appartenevano alla polizia di sicurezza”. Tanto per l’esattezza gli uomini uccisi, come mostrano chiaramente le loro uniformi e i loro volti, sono soldati dell’Esercito Popolare Ungherese, molto giovani, reclute probabilmente, e non poliziotti di alcun genere (e anche se per assurdo lo fossero stati era giustificata tanta brutalità?). Il fotografo di questo “momento glorioso” riferiva poi nel testo che accompagnava le fotografie che i “combattenti della libertà” non cessarono mai il fuoco su coloro che cercavano di arrendersi, urlando “niente prigionieri, niente prigionieri!”. Poi scrive Sadovy, dopo aver visto il momento “glorioso” prolungarsi per quaranta minuti di massacro a sangue freddo “i miei nervi cedettero, le lacrime cominciarono a scorrermi giù per le gote. Ero stato tre anni in guerra, ma nulla di tutto ciò che avevo visto poteva paragonarsi a questo orrore”. Gunnar D. Kumlein, corrispondente stabile da Roma del settimanale cattolico The Commonweal, si recò in Ungheria durante la controrivoluzione. Sembra che egli abbia passato buona parte di quei giorni anche fuori Budapest. Sebbene le sue relazioni fossero di parte reazionaria tuttavia egli riferisce, del resto senza un cenno di disapprovazione, che “alcuni degli insorti liquidavano i comunisti come se fossero animali” (The Commonweal del 14 Dicembre 1956, pagina 280). Leslie B. Bain, un osservatore molto moderato che conosce bene l’Ungheria, e che fu pure a Budapest durante la controrivoluzione, scrive che mentre i segni della reazione estrema apparvero fin dall’inizio dell’azione violenta, a partire dal 29 Ottobre essi si fecero via via più decisi: “… in diversi punti della città, dunque si formava un gruppo di tumultuanti, vi erano alcuni individui che lanciavano parole d’ordine di nazionalismo estremo. Certe volte chiedevo se questi elementi nazionalisti avessero un comando centrale: ho fatto del mio meglio per scoprirlo, ma senza ottenere prove convincenti. Comunque, l’ondata nazionalista continuava a salire” (The Reporter di New York del 15 Novembre 1956 pagina 21). Il 31 Ottobre, l’Associated Press trasmetteva da Budapest dispacci come questo(dove ancora l’assicurazione che le vittime erano membri della “polizia segreta” (cioè non in uniforme) può far effetto solo sugli sprovveduti): “Squadre di vendetta di giovani rivoluzionari girano ancora per le strade e perlustrano le fogne della città, alla caccia di membri dell’odiata polizia segreta ungherese. Quelli che vengono trovati nelle fogne, vengono sparati a vista e, uccisi, gettati al fondo; nelle strade, essi vengono impiccati per i piedi. Altri, fucilati nelle vie, vengono poi cosparsi di benzina e bruciati” (pubblicato sul New York Times del 1° Novembre 1956). Un altro dispaccio trasmesso lo stesso giorno da Varsavia riferiva similmente che “alcune delle notizie qui giunte da Budapest hanno causato oggi grande preoccupazione: si tratta di notizie di massacri di comunisti ed ebrei da parte di elementi indicati come fascisti” (sempre dal New York Times del 1° Novembre 1956)[28]

In quella che sembra una prova tecnica delle future rivoluzioni colorati che dagli anni '80 in poi, col supporto dei soliti noti (NED, Amnesty, HRW e altre "ONG libere, neutrali e indipendenti") la componente antisemita dei pogrom ungheresi del 1956 è una realtà non indifferente:

«Vi sono prove conclusive del fatto che solo l’entrata delle truppe sovietiche a Budapest previeni l’uccisione di migliaia di ebrei: fra la fine di Ottobre e l’inizio di Novembre i pogrom antisemiti delle (ex-) croci frecciate (ora “combattenti della libertà”) erano tornati dopo una pausa di 12anni! Già nei materiali ricordati fin qui si notano gli indizi del carattere antisemita di una parte dei massacri. Vi sono poi chiari indizi del fatto che le azioni di eliminazione di massa di ungheresi ebrei avevano carattere organizzato. Così, nell’articolo di Peter Schmid su Commentary del 3 Novembre (pubblicazione del Comitato Ebraico Americano ) l’autore, acceso anticomunista e sionista, pur negando l’evidenza dei fatti definendo come una“menzogna” che “l’insurrezione era caduta in un potere di reazionari e fascisti”, scrive tuttavia che “questi elementi” (fascisti, NDA)“erano presenti fra i ribelli” e, specificamente, riferisce di aver“individuato” quella che chiama “una corrente sotterranea di antisemitismo” nella sollevazione ungherese[29]

«Anche Leslie B. Bain [...] il cui orienta­mento politico generale non differisce di molto da quello di Peter Schmid, notò che a Budapest, fin dai primi giorni, "si videro gruppi di personaggi inde­finibili che si raccoglievano ai crocicchi e comin­ciavano a urlare 'Sterminio agli ebrei!'". E osser­va: "Già nella prima nottata, e poi nei giorni suc­cessivi, c'era in giro abbastanza antisemitismo... da presentare un chiaro segno di pericolo...". Il corrispondente del giornale israeliano Maariv di Tel Aviv scrisse: "Durante l'insurrezione un certo numero di ex-nazisti furono liberati dalle prigioni, e altri giunsero in Ungheria da Salisburgo... Questi li incontrai al confine.. A Budapest ho visto manifesti antisemiti nelle strade... Sui muri, sui lampioni, sui tram si leggevano scritte come 'Abbasso l'ebreo Gerö!', 'Abbasso l'ebreo Rákosi!', o semplice­mente: 'Abbasso gli ebrei!'". Ai primi di novembre i circoli dirigenti rabbinici di New York ricevettero un telegramma dai loro confratelli di Vienna, in cui si comunicava che «san­gue ebraico scorre in Ungheria per opera dei ri­belli». Molto più tardi, nel febbraio del 1957, il Congresso mondiale ebraico dichiarò che «durante la rivolta ungherese di ottobre-novembre eccessi an­tisemiti hanno avuto luogo in più di venti villaggi e piccoli centri della provincia». Ciò era avvenuto, affermava questo organismo molto conservatore, per­ché «gruppi fascisti e antisemiti, a quanto sembra, avevano colto l'occasione offerta dalla carenza del potere centrale per ripresentarsi alla superficie». Sempre secondo il rapporto del Congresso ebraico mondiale, molti dei profughi ebrei si erano allon­tanati dall'Ungheria per sfuggire alla tremenda atmosfera di pogrom antisemita che invadeva il paese. Ciò veniva a confermare la relazione fatta in pre­cedenza dal rabbino inglese R. Pozner, il quale, dopo una visita ai campi di profughi ungheresi, di­chiarò che "la maggior parte degli ebrei che hanno lasciato l'Ungheria sono fuggiti per paura degli un­gheresi e non dei russi. Il giornale ebraico di Pa­rigi, Naye Presse, riferiva poi che i profughi un­gheresi ebrei in Francia dichiaravano molto spesso di aver avuto salvata la vita da soldati sovietici. Il carattere reazionario e antisemita di alcuni ele­menti dirigenti dei «combattenti della libertà» viene via via confermato dalle notizie che si vanno accumulando intorno a buona parte dei rifugiati un­gheresi. In Inghilterra e nel Canadà la polizia ha dovuto intervenire in alcuni campi di profughi per impedire il linciaggio degli ebrei. Il ministro degli Interni austriaco Oskar Helmar riferiva in gennaio episodi di dimostrazioni e aggressioni antisemite nei campi di profughi ungheresi in Austria. Poco dopo Mr. Zev Weiss, membro del comitato esecutivo della Youth Aliyah, un'organizzazione in­ternazionale per l'assistenza ai bambini ebraici, vi­sitò i campi di profughi in Austria, e riferì lui pure che un "virulento antisemitismo" vi aveva libero corso. L'8 dicembre 1956 il Cleveland News riferiva il discorso tenuto da Ferenc Aprily, ex-tenente dell'E­sercito di Horthy e prigioniero in Russia durante la guerra, a una riunione di ufficiali aviatori della ri­serva. Costui, che il giornale ci presenta come "un patriota ungherese", raccontò che, tornato in patria dalla prigionia, "cominciò immediatamente a com­plottare contro la dominazione sovietica"; fu presto "ben noto ai russi come sabotatore, cospiratore, spia e combattente per la libertà", per cui, arrestato nel 1948, subì tuttavia "un processo senza prove". Comunque sia, egli era stato rilasciato nel settem­bre 1956, "in tempo - a quanto ci dice lui stesso - per unirsi al fervido sentimento di rivolta che ribol­liva in tutta l'Ungheria". Della lotta armata vera e propria, cui egli prese parte fin dall'inizio, Aprily racconta : "Noi non volevamo legarci a nessun sin­golo gruppo o uomo politico, cosicché i combatti­menti si sviluppavano, per così dire, semplicemente là dove sembrava via via necessario. Io ero consi­gliere e capo di un gruppo di 35 combattenti"[30]

Intervento "brutale" dei carri armati sovietici

L'intervento dei carri armati sovietici, descritto in modo sensazionale come "violento" e costituito di "grandi battaglie", tutte guarda caso senza chissà quale numero di morti, fu in realtà piuttosto mite, specie se rispetto ai pogrom e alle violenze che lo avevano preceduto:

«Nonostante che buona parte della stampa e degli organi di informazione occidentali abbia riferito storie sensazionali di grosse battaglie, la verità appare molto più modesta: non vi fu nulla che potesse essere definito come una battaglia decisiva, le devastazioni non furono gravi e limitato rimase il numero delle vittime. Dopo circa 15 ore, era praticamente cessata ogni forma organizzata di resistenza controrivoluzionaria: nello spazio di circa una settimana tutte le operazioni armate erano terminate in ogni parte del paese. Se si tiene conto che l’intervento dell’armata rossa pose fine al terrore bianco e ai pogrom e salvò centinaia di persone già destinate alla tortura e all’esecuzione, appare probabile che il numero delle vite perse nei combattimenti di quella settimana non sia stato più grande di quello delle vite così risparmiate, per non parlare delle perdite che sarebbero derivate da una guerra civile su larga scala! Forse l’unica testimonianza direttamente accessibile, di fonte non-comunista, e capace di dare qualche senso della realtà, dal punto di vista militare, delle forze sovietiche entrate in azione il 4 Novembre, ricorre nell’articolo di Peter Schmid sulla rivista Commentary del 17 Novembre 1956. Il 6 Novembre, Schmid racconta, “mi avventurai a uscire” per le vie di Budapest, e “trovai che i danni erano sorprendentemente lievi anche nelle aree dove si erano svolti direttamente gli scontri”. E “nelle vie secondarie, la vita continuava proprio come al solito”. Schmid ebbe “l’impressione che il comando russo non volesse prendere le cose di petto a Budapest”, e di più, che “la visibile esitazione del comando sovietico a lanciare una azione a fondo era nulla in confronto alla riluttanza del singolo soldato russo a sparare su civili indifesi”. Da questi fatti, in parte, Schmid è condotto alla conclusione che “le perdite degli insorti durante la battaglia vera e propria furono infinitamente minori delle valutazioni esagerate apparse sulla stampa mondiale. Non saprei sottolineare abbastanza la necessità di toglier fede alle macabre storie di montagne di cadaveri e di sangue corrente a rivi nei rigagnoli di Budapest, con cui i giornalisti affamati di sensazionale hanno riempito le loro corrispondenze”[31]

Conclusione dei fatti d'Ungheria

«Dal 23 Ottobre al 1° Dicembre, gli ospedali di Budapest registrano poco meno di 13.000 pazienti curati per ferite; i corpi di combattenti (escluse le perdite causate dal terrore bianco) controrivoluzionari, militari rivoluzionari ungheresi e sovietici trovati morti sul campo ammontano a circa 2000. Delle perdite fuori la capitale non ci sono state fatte stime anche se esse furono quasi certamente più lievi che a Budapest. Stime approssimative portano a circa 22.000 le vittime del terrore fascista dei controrivoluzionari. Fra loro comunisti, antifascisti ed ebrei. Il cardinal Mindszenty, che della controrivoluzione divenne la “figura morale”, trovò asilo politico nell’ambasciata americana di Budapest ossia il quartier generale della controrivoluzione. Vi rimase fino al 1971 quando, con la mediazione di Nixon, poté raggiungere Roma e poi Vienna dove morì sotto i ferri il 6 Maggio 1975. Imre Nagy e altri ministri del suo sciagurato governo illegittimo e golpista trovarono rifugio nell’ambasciata jugoslava e poi poterono recarsi a Snagov, in Romania, in semilibertà vigilata in attesa di riabilitazione. Sì, proprio così. Dato che sui fatti dell’Ottobre-Novembre del 1956 non avevano la coscienza pulita ne Kadar ne altri suoi collaboratori revisionisti, questi fecero di tutto per evitare un processo a Nagy e per evitare quindi che l’istruttoria e il dibattimento li coinvolgesse direttamente. Ma, per tutto il 1957, manifestazioni di massa in tutta l’Ungheria chiesero che Nagy (e i suoi compari) fosse pubblicamente processato per la sua complicità attiva con la controrivoluzione del 1956 che tanti lutti procurò a non poche famiglie ungheresi. Nonostante le continue dimostrazioni della volontà popolare solo col Governo del revisionista Ferenc Münnich (succeduto al “sordo” Kadar il 27 Gennaio 1958) Nagy verrà estradato dalla Romania e processato coi suoi accoliti il 10 giugno 1958 ma non pubblicamente bensì a porte chiuse (per tranquillizzare Kadar ed altri). Il 15 giugno Nagy, Maleter & C. verranno condannato a morte per alto tradimento e impiccati all’alba del giorno seguente. Giustizia fu fatta! (nonostante tutto!). Questa la verità sui fatti d’Ungheria![32]»

I fatti del 1956, che avevano come colpevoli e diretti responsabili non solo Nagy, ma anche Kadar, in Ungheria, e personalità come Andropov e Mikojan[33], nell'Unione Sovietica kruscioviana, ebbero una (parziale) giustizia con la condanna a morte di Nagy. Il processo fu tenuto a porte chiuse, e, come ha concluso saggiamente Hoxha nelle sue memorie, questo non fu giusto, perché tale "processo farsa" salvò i restanti responsabili dal "pasticcio" che riportò l'Ungheria, per due settimane, ai tempi della guerra e del nazifascismo. Il Partito Socialista dei Lavoratori Ungheresi fu ricostituito nel 1956, e alla sua guida, da allora fino al 1988, vi fu il kruscioviano Kadar, che guidò l'Ungheria tramite una politica di "comunismo goulash" in cui lasciava un'amminstrazione prudentemente a-personalistica e priva di qualsivoglia pubblicità nella figura sua e del politburo del partito ungherese. A dispetto della propaganda anticomunista, sia essa trotzkista, fascista o simile, i pogrom antisovietici in Ungheria sono stati ampiamente documentati da diverse fotografie, che vengono mostrate nel paragrafo successivo.

Galleria

Bibliografia

Note

    1. Nemes, 1972, p.13-31
    2. Ibidem, p.40-41,44-46,61,63,65
    3. Ibidem, p.94-99,105-106
    4. Ibidem, p.109-113
    5. Ibidem, p.149-153
    6. Ibidem, p.154-155
    7. Ibidem, p.157-163
    8. Ibidem, p.164-169
    9. Ibidem, p.169-170
    10. Ibidem, p.174-186
    11. Hoxha, 1980, p.71,206-207,210,273-274,275,277,282
    12. Apostolou, 2013
    13. Hoxha, 1980, p.281-281
    14. Information Bureau of the Council of Ministers of the Hungarian People's Republic, 1957, p.3-8
    15. Ibidem, p.9-11
    16. Ibidem, p.11
    17. Ibidem, p.11-13
    18. Berecz, 1986, p.25-27,29,30-31,32,41-43,46-47,48-51
    19. Apostolou, 2013
    20. Calcidesi, 2013
    21. Aptheker, 1957, p.322-323,331,378, citato in Ibidem
    22. Concetto Marchesi, Umanesimo e comunismo, Editori Riuniti, pp.114-115, citato in Calcidesi, 2013
    23. Intervento di Giorgio Napolitano all'VIII Congresso del PCI, riportato in "Il PCI nell'anno dell'Ungheria", L'Espresso, Roma 1980, p. 87; MicroMega, 9 (2006), p. 116; V. Meliadò, Il fallimento dei "101". Il PCI, l'Ungheria e gli intellettuali italiani, Liberal edizioni, Roma 2006, pp. 96-97
    24. Apostolou, 2013
    25. Hoxha, 1980, p.290-291,292-293,294-297
    26. Apostolou, 2013
    27. United Press, Budapest, 26 Ottobre 1956, citato in Apostolou, 2013
    28. Apostolou, 2013
    29. Ibidem
    30. Associazione Stalin, che a sua volta cita nelle fonti tutti gli articoli di giornale, con data ed edizioni, reperibili negli archivi di ciascuna testata giornalistica salvo misteriose "sparizioni"
    31. Apostolou, 2013
    32. Ibidem
    33. Hoxha, 1981, p.34-35