Tentativo di Contro-Rivoluzione in Ungheria del 1956

Da Xitpedia.
Vai alla navigazioneVai alla ricerca

Il tentativo di contro-rivoluzione in Ungheria del 1956, comunemente definito dall'agiografia anticomunista con il titolo inesatto di rivoluzione ungherese del 1956, noto anche come "fatti d'Ungheria", fu un tentativo di stravolgimento politico del regime di democrazia popolare instauratosi in Ungheria dal 1949, avvenuto col sostegno delle intelligence occidentali, del Vaticano, della Jugoslavia titista ma soprattutto delle nuove dirigenze revisioniste dell'Unione Sovietica e del nascente Patto di Varsavia all'indomani del "discorso segreto" di Nikita Chruščëv. Lo scopo di questa voce, forte delle diverse fonti a disposizione (molte delle quali, tra l'altro, scritte da storici con una pregiudiziale ideologica kruscioviana e revisionista), è di dimostrare la verità dei fatti avvenuti nel 1956 in Ungheria, a dispetto della propaganda agiografica anticomunista, sia da destra che da "sinistra", che tende a dipingerla come una "rivoluzione pacifica di socialismo dal volto umano stroncata dalla dittatura totalitaria stalinista carrista sovietica". Come si può leggere nei seguenti paragrafi, è chiaro ed evidente non solo che non vi fu alcuna "mano stalinista", ma che tali fatti, sotto Stalin, non sarebbero mai potuti avvenire, in quanto frutto solo e soltanto degli errori e delle concessioni ideologiche e pratiche fatte da Chruščëv e i suoi accoliti una volta al potere.

Premessa

Durante la Seconda Guerra Mondiale, l'Ungheria, come altri paesi dell'Est Europa, si alleò con il Terzo Reich e partecipò all'invasione dell'Unione Sovietica, commettendo crimini di guerra. Dezső Nemes, storico e giornalista ungherese, afferma che con l'avanzata sovietica, le autorità ungheresi, pur esitanti, iniziarono a cercare un armistizio. Il 11 ottobre 1944, fu firmato un accordo preliminare di cessate il fuoco, ma Horthy non attuò le necessarie misure militari. Il 15 ottobre, il governo di Horthy cedette al controllo tedesco, mentre molti soldati ungheresi iniziarono a disertare per unirsi all'Armata Rossa. Il Partito Comunista lanciò un appello per una resistenza armata contro i nazisti. Con la disintegrazione dell'esercito di Horthy, emerse un fronte antifascista unito, culminando nella creazione del Comitato di Liberazione dell'Insurrezione Nazionale Ungherese per coordinare gli sforzi di liberazione del paese[1].

In Ungheria, per opporsi al governo collaborazionista e preparare la liberazione nazionale, vennero creati comitati di liberazione e un "fronte unito nazionale", principalmente dominato dai comunisti, ma includente anche democratici borghesi e socialdemocratici di sinistra. L'Assemblea nazionale provvisoria si riunì a Debrecen il 21 dicembre 1944, con una maggioranza comunista e rappresentanti di vari partiti, e funse da base per una nuova Ungheria democratica. Dopo la liberazione di Pest, il 18 gennaio 1945, l'Armata Rossa assediò Budapest, dove le forze fasciste, intrappolate, utilizzarono i civili come scudi. L'Assemblea di Debrecen e le autorità a Budapest iniziarono a coordinarsi, rafforzando la cooperazione tra il Partito Comunista Ungherese (PCU) e il Partito Socialdemocratico (PSD), con accordi per affrontare insieme la reazione e promuovere la democrazia. Nella riorganizzazione dei sindacati, i due partiti cercarono di moderare le rivalità interne e garantirono il riconoscimento dei comitati di fabbrica, concedendo loro poteri significativi. Questa cooperazione rafforzò l'influenza del proletariato nella vita politica e contribuì alla costruzione di una nuova società[2].

La lotta del Partito Comunista Ungherese contro i Socialdemocratici di destra e i reazionari del Partito dei Piccoli Proprietari

In Ungheria, il Partito Comunista mantenne il dominio sulla coalizione di governo. Dopo la liberazione, emersero problemi di cooperazione tra il Partito Comunista Ungherese (PCU) e i socialdemocratici, culminati nelle elezioni municipali di Budapest, dove il blocco di destra, guidato dal Partito dei Piccoli Proprietari Terrieri, ottenne la maggioranza. Questo successo incoraggiò la speculazione economica e il sabotaggio delle consegne agrarie. Nei successivi eventi elettorali nazionali, il Partito dei Piccoli Proprietari Terrieri ottenne una percentuale significativa di voti, mentre il PCU e il Partito Socialdemocratico ricevettero risultati simili. Ciò portò a tensioni interne tra le forze democratiche e il blocco reazionario. I socialdemocratici furono messi di fronte a una scelta: allearsi più strettamente con i comunisti o cedere al blocco di destra. Si sviluppò così un'alleanza tra il PCU e i socialdemocratici, congiuntamente impegnati a combattere le forze reazionarie. Nonostante il successo del Partito dei Piccoli Proprietari, la loro leadership non riuscì a distaccarsi completamente dalla coalizione democratica, influenzati dalla presenza sovietica e dalle difficoltà economiche. Si formarono nuovi governi con una maggiore rappresentanza dei Piccoli Proprietari, ma anche il PCU e i socialdemocratici mantennero il loro ruolo chiave.

Il Partito Comunista lanciò un contrattacco contro la reazione, sollecitando un movimento di massa e chiedendo l'epurazione dei funzionari reazionari. Una risoluzione del PCU richiese anche la dichiarazione dell'Ungheria come repubblica, per evitare qualsiasi tentativo di restaurare la monarchia, particolarmente da parte di elementi clericali. Il 1° febbraio 1946, l'Assemblea Nazionale proclamò ufficialmente l'Ungheria repubblica, eleggendo Zoltán Tildy come Presidente. Questo rappresentò una vittoria per le forze rivoluzionarie, nonostante il rafforzamento della posizione del Partito dei Piccoli Proprietari[3].

Tra le principali forze reazionarie in Ungheria vi erano soprattutto diversi ufficiali del precedente regime collaborazionista di Horty prima e delle Croci Frecciate poi, che continuavano ad esercitare regolarmente le loro cariche anche nel nuovo regime post-bellico. A differenza dell'Italia, dove, grazie all'Amnistia Togliatti, essi poterono circolare liberamente senza alcun problema e addirittura ri-formare un partito dichiaratamente fascista, in Ungheria (come nel resto delle democrazie popolari dell'Est Europa), forte della presenza sia delle truppe sovietiche che del Partito Comunista Ungherese, un partito forte guidato dalla vecchia guardia del Comintern e dai veterani della Repubblica Sovietica Ungherese del 1919 di Bela Kun, la presenza continuata di questi funzionari fu fortemente contestata, e ne fu richiesta la rimozione immediata dai loro uffici[4].

La vittoria del Partito Comunista Ungherese nel mantenere la sua egemonia fu facilitata dalla divisione interna dei partiti rivali, in particolare il Partito dei Piccoli Proprietari, e dal forte sostegno popolare per i comunisti. Tra il 1946 e il 1949, in Ungheria e in altri paesi con regimi di democrazia popolare, vennero implementate politiche di nazionalizzazione e industrializzazione, seguendo i piani quinquennali dell'Unione Sovietica. Inoltre, si rafforzò l'egemonia delle fazioni di sinistra dei partiti borghesi, come il Partito Contadino e il Partito dei Piccoli Proprietari[5]. Allo stesso tempo, i Socialdemocratici inglobarono nella loro base elettiva gran parte degli elettori disillusi dalla "trasformazione" dei partiti borghesi in partiti gradualmente sempre più a sinistra, rafforzando quindi l'ala anticomunista e di destra del PSD[6].

La vittoria del comunismo in Cina con Mao Zedong e il declino delle forze antifasciste in Occidente, come in Francia e Regno Unito, posero i socialdemocratici ungheresi in una situazione difficile. A differenza del PSI in Italia, che continuò a collaborare con i comunisti, i socialdemocratici ungheresi si trovarono isolati. Le forze anglo-americane, che avevano contribuito alla sconfitta dei comunisti in Grecia, tentarono manovre simili contro le democrazie popolari, ma senza successo. Nel settembre del 1947, una conferenza dei partiti comunisti denunciò apertamente il tradimento dei socialdemocratici, accusandoli di sostenere forze antagoniste all'Unione Sovietica e alle Democrazie Popolari, ovvero il Blocco NATO e gli Stati Uniti[7].

Le elezioni del 1947 in Ungheria confermarono l'egemonia del Partito Comunista, mettendo in difficoltà i Socialdemocratici e il Partito dei Piccoli Proprietari. Questo scenario favorì un'alleanza tra comunisti e agrari, mentre i dirigenti del Partito dei Piccoli Proprietari, inizialmente intenti a pianificare un colpo di stato, furono costretti a rinunciare a causa del forte supporto popolare per i comunisti. Dopo discussioni interne, i socialdemocratici nominarono una dirigenza di destra e anticomunista, e il 23 settembre si formò una nuova maggioranza di governo con un rappresentante dei Piccoli Proprietari, ma con una presenza comunista accentuata. Le politiche di nazionalizzazione di banche, industrie e risorse economiche furono facilmente implementate[8]. In questo contesto, iniziarono a emergere le posizioni dissidenti di Imre Nagy nel partito comunista. Nagy sostenne che, sebbene la nazionalizzazione fosse avvenuta sotto il potere popolare, non avrebbe cambiato il carattere capitalista del modo di produzione. Espresse dubbi sul reale progresso verso il socialismo, ritenendo che il paese fosse intrappolato nel capitalismo di stato. Tuttavia, il Comitato centrale del Partito comunista respinse le sue posizioni, affermando che l'economia ungherese si stava muovendo verso relazioni di produzione socialiste, nonostante la presenza di un settore capitalista ancora significativo[9].

Tra il 1947 e il 1948, si intensificarono le discussioni per unificare i partiti comunista e socialdemocratico in Ungheria, spingendo a un conflitto tra l'ala destra anticomunista e l'ala sinistra social-comunista. Nel congresso del Partito Socialdemocratico, tenutosi dal 6 all'8 marzo 1947, prevalse l'ala sinistra, avviando negoziati per formare il Partito Ungherese dei Lavoratori. Durante questo periodo si unirono anche le organizzazioni femminili e giovanili, formando rispettivamente la Federazione Democratica delle Donne Ungheresi e la Federazione Popolare della Gioventù Ungherese. Inoltre, fu promulgata una legge di nazionalizzazione della Chiesa nello Stato, ma non si raggiunse un'intesa con la Chiesa cattolica a causa dell'opposizione del Cardinale Mindszenty[10]. Le politiche di edificazione del socialismo continuarono, e il 20 Agosto 1949 fu proclamata la Repubblica Popolare Ungherese.

La Repubblica Popolare e l'impatto del "cambio della guardia" kruscioviano

Tra il 1949 e il 1953, la Repubblica Popolare Ungherese attuò il primo piano quinquennale, completato un anno prima del previsto. Tuttavia, la morte di Stalin nel 1953 portò a un cambio di leadership con l'uscita di scena di Mátyás Rákosi, sostituito dal più moderato Ernő Gerő, mentre Imre Nagy divenne primo ministro con il supporto di destri e socialdemocratici. Enver Hoxha, segretario del Partito del Lavoro d'Albania, descrisse la situazione come intrighi contro Rákosi, evidenziando le pressioni di Chruščëv e Tito. Hoxha criticò la riabilitazione dei nemici interni e la debolezza della direzione ungherese, che non mobilitò il popolo contro la crescente controrivoluzione. Durante un incontro a Budapest nel 1956, Hoxha notò la confusione tra i dirigenti ungheresi e il loro atteggiamento passivo di fronte ai segnali di insurrezione. I sovietici, preoccupati per la situazione, cercarono una soluzione attraverso Nagy, segnando l’inizio di una fase critica per l'Ungheria[11].

Enver Hoxha attribuisce parte della responsabilità per la crisi ungherese alla debolezza di Rákosi, Gerő e di altri dirigenti. Giovanni Apostolou riassume gli eventi in Ungheria tra il 1953 e il 1956, evidenziando un processo di involuzione capitalistica e l'imborghesimento del Partito dei Lavoratori, a causa della debolezza dei sostenitori del socialismo. Dopo una fase di successo economico e industrializzazione, il governo Rákosi fu costretto a dimettersi nel 1953 a causa della crescente opposizione parlamentare e dell'alleanza tra forze revisioniste e socialdemocratiche, portando all'instaurazione del primo governo Nagy. Questo governo invertì le politiche socialiste, riducendo la produzione industriale e aumentando i prezzi, impoverendo ulteriormente i contadini. Il governo Nagy fu anche responsabile della riabilitazione di burocrati corrotti. Le tensioni sociali culminarono in proteste popolari contro la sua politica, portando infine all'espulsione di Nagy dal Partito dei Lavoratori nel 1955 e alla formazione di un nuovo governo sotto Hegedüs, a seguito delle pressioni popolari[12].

Enver Hoxha racconta di un incontro con Michail Suslov a Mosca, dove espresse preoccupazioni sulla situazione in Ungheria. Suslov minimizzò le inquietudini, sostenendo che non c'erano segnali di controrivoluzione e che la situazione stava migliorando. Hoxha contestò l'uso del termine "compagno" per Imre Nagy, poiché era stato ripudiato dal Partito dei Lavoratori Ungheresi. Suslov replicò che Nagy si era pentito e aveva fatto autocritica, mostrando una lettera in cui Nagy ammetteva i suoi errori e chiedeva supporto ai sovietici. Hoxha dubitò dell'autenticità dell'autocritica, avvertendo che Nagy era un traditore e che aiutare un traditore rappresentava un grave errore[13].

Avvenimenti nel 1956

In seguito alla caduta del primo governo di Imre Nagy in Ungheria erano ormai note le conseguenze negative della controriforma pro-kulak. Nonostante gli sforzi del nuovo governo di risanare la situazione, l'impatto della riforma e la debolezza dei funzionari di partito portarono a un aumento della disoccupazione e della criminalità. Molti ex criminali, reintegrati nella società, si ritrovarono disoccupati e si unirono ai servizi di intelligence.

Un dossier del governo ungherese del 1957 (disponibile sull'archivio online di internet, in uno scan che pare recuperato dalla biblioteca dell'Università di Chicago) descrive l'Ungheria come un'arena di eventi tragici, accusando la politica di Rakosi-Gero di aver portato a un punto morto lo sviluppo socialista. Si osserva che il malcontento popolare ha portato a una richiesta di riforme, con la classe operaia e i contadini che rifiutano il ritorno al capitalismo. Tuttavia, le forze controrivoluzionarie hanno cercato di approfittare del movimento popolare per rovesciare il potere. Il documento accusa i controrivoluzionari di aver pianificato un attacco contro il governo, con un piano militare ben strutturato. Si menzionano diversi eventi e testimonianze che dimostrano la crescente violenza e le rappresaglie contro i sostenitori del governo. La risposta del governo fu inefficace, e l'autorità sembrava impotente di fronte al caos crescente. Vengono descritte le tattiche dei controrivoluzionari, che includevano l'eliminazione delle forze di sicurezza, il reclutamento di criminali e la penetrazione nelle strutture governative. Si evidenzia anche il supporto esterno, con emigrati fascisti e operazioni clandestine. La controrivoluzione divenne sempre più visibile, con la creazione di nuovi partiti e giornali che sostenevano la restaurazione borghese[14].

Il testo precedentemente citato attribuisce delle colpe a Gero e Rakosi, sostenendo che si tratta di una visione propagandistica del governo ungherese post-1956, influenzata da politiche revisioniste. Secondo l'analisi della crescita economica e sociale dell'Ungheria durante il loro governo e le memorie di Hoxha, il "pasticcio" ungherese inizia nella seconda metà di ottobre 1956. Laszlo Oravecz, un cittadino di Budapest, descrive un episodio del 31 ottobre 1956, in cui un uomo accusato di essere un membro della Sicurezza dello Stato viene brutalmente picchiato e impiccato dalla folla. Il suo corpo viene lasciato con un cartello che annuncia la stessa sorte per tutti i membri della Sicurezza dello Stato. La testimonianza do Oravecz evidenzia come le vittime siano state oggetto di calunnie e istigazioni, senza che fosse accertata la loro reale affiliazione[15]. Un'altra testimonianza proviene da Csaba Banyai, un quindicenne coinvolto in un "dispaccio speciale". Egli descrive come, il 2 e il 3 novembre, i membri del gruppo si sistemassero in gruppi di dieci in appartamenti requisiti dagli abitanti. Banyai racconta di aver ucciso le loro vittime somministrando iniezioni di veleno e poi sparando loro alla testa, per nascondere le tracce dei crimini commessi[16].

Il dossier prosegue rivelando dettagli su figure chiave coinvolte negli eventi del 23 ottobre. Vera Laskovics, una prostituta con precedenti penali, guidava un gruppo armato nel distretto di Lith, noto per le sue azioni violente e il consumo di alcol. Un sedicenne, Janos Szilagyi, racconta di un episodio in cui un capitano in borghese e lui stesso assalirono una famiglia di un membro della Sicurezza di Stato, torturando e uccidendo i genitori e infine anche la loro figlia. Un altro individuo, Sz. E., che fu arrestato mentre tentava di fuggire, riferisce di come un ingegnere di nome Janos Horvath uccise diversi membri della Sicurezza di Stato nella sua casa e in cantina[17].

János Berecz, un dirigente del Partito Ungherese dei Lavoratori, approfondisce la situazione politica in Ungheria durante gli anni '50, in particolare il ruolo di Radio Free Europe e il suo programma "Operazione FOCUS". Dopo aver accumulato esperienza e risorse nel 1953 e 1954, Radio Free Europe avviò una campagna contro i paesi socialisti, inclusi volantini e pubblicazioni ostili. Il piano prevedeva di incoraggiare e organizzare l'opposizione interna in Ungheria, con l'aspettativa di supporto esterno.

Nonostante i successi iniziali della riforma socialista, i conflitti interni all'interno del partito, guidati da Rakosi e Nagy, portarono a un'opposizione frammentata e alla stagnazione della produzione. Le tensioni si intensificarono con il lancio di un programma di "resistenza nazionale" che proponeva cambiamenti socio-economici senza però richiedere un rovesciamento del regime. In questo contesto, Radio Free Europe e i movimenti reazionari si coordinarono per infiltrarsi nelle elezioni comunali del 1954 e fomentare dissenso contro il sistema. La campagna culminò in una crescente insoddisfazione, culminando nella rivolta del 1956, che, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni, era il risultato di anni di preparazione clandestina da parte di organizzazioni reazionarie, sostenute da elementi ex-dominanti del regime e da orientamenti imperialisti. Il clima di instabilità permise l'emergere di diverse organizzazioni controrivoluzionarie che cercarono di riacquisire potere, pianificando insurrezioni e collaborando con Radio Free Europe. Tra queste, alcune organizzazioni, come i Feher Partizanok e Hadaprddok Szervezete, erano ben organizzate e attive nella preparazione di azioni sovversive, anche progettando piani di attacco e occupazione di istituzioni statali[18].

Berecz, dirigente del revisionista Partito Socialista dei Lavoratori Ungheresi, cerca di attribuire la responsabilità dei problemi iniziali alla linea "stalinista" di Rakosi e Gero, ma riconosce anche le colpe di Nagy e il suo tradimento nei confronti della causa socialista. Questo implica la responsabilità dei kruscioviani, sia sovietici che ungheresi, come Kadar, che hanno facilitato la "riabilitazione" di Nagy e di ex-collaborazionisti fascisti, aprendo la strada alla propaganda contro-rivoluzionaria degli agenti atlantisti e dei collaboratori interni. La sua analisi conferma quanto già sostenuto da Hoxha e Apostolou, ossia che la debolezza interna del partito ungherese e l'incapacità della dirigenza di Rakosi e Gero di fermare le azioni contro-rivoluzionarie di Nagy hanno contribuito in modo significativo agli eventi violenti in Ungheria, comprese le violenze di matrice anti-semita legate al mito del "giudeo-bolscevismo".

L'eventuale "contraddizione schizofrenica" tra il revisionismo di Kadar, Berecz e Chruščëv e il più aperto capitolazionismo di Nagy (e del suo principale sostenitore Tito) nei confronti del capitalismo è approfondita ulteriormente da Apostolou il quale analizza la degenerazione del partito comunista ungherese, attribuendola all'accettazione di frazioni interne e alla fusione con il Partito Socialdemocratico nel 1948. Sostiene che questa fusione avrebbe dovuto essere evitata, lasciando il partito socialdemocratico "morire per dissanguamento". Per placare la base, i revisionisti elessero Ernö Gerö, un opportunista, come nuovo segretario, facendolo da mero fantoccio per sostituirlo in seguito con il titoista Janos Kadar. La divisione tra revisionisti titoisti e liberisti si intensificò, portando alla supremazia della prima in Jugoslavia nel 1954 e a un compromesso in Polonia con Gomułka per un capitalismo misto.

Nel periodo tra luglio e ottobre 1956, le frazioni revisioniste non riuscirono a intraprendere azioni significative contro-riformatrici. Il 6 ottobre, i golpisti Gyorgy Palffy e László Rajk furono trasformati in "martiri" dalla propaganda revisionista. Il 23 ottobre, gli studenti borghesi organizzano manifestazioni, mentre le masse operaie si radunano solo più tardi per ascoltare il discorso di Gerö. Il suo intervento suscita confusione tra i lavoratori e provoca provocazioni da parte di controrivoluzionari, che iniziano attacchi coordinati contro edifici pubblici e la stampa. Il nuovo governo di Nagy non era omogeneo e, nonostante gli attacchi, il 24 ottobre il Consiglio dei Ministri proclama la legge marziale. Le forze sovietiche rispondono alla richiesta d'aiuto ma non intervengono subito. Nagy annuncia una "via ungherese al socialismo", promettendo amnistia a chi depone le armi. Tuttavia, gli imperialisti statunitensi orchestrano ulteriori provocazioni. Il 25 ottobre, dopo la revoca di Gerö e l'assegnazione della carica a Kadar, riprendono gli attacchi controrivoluzionari[19].

Aldo Calcidese, autore marxista-leninista probabilmente vicino a Piattaforma Comunista, analizza la situazione ed afferma moti di piazza in Ungheria furono azioni ben organizzate, non una semplice "rivolta popolare". Gruppi armati segnavano le case di comunisti ed ebrei, bruciando libri marxisti. Il 23 ottobre, il Partito dei Lavoratori Ungheresi nominò Imre Nagy primo ministro, mentre si preparavano assalti a edifici pubblici. Nagy definì il movimento "nazionale e democratico", ma gli Stati Uniti offrirono 20 milioni di dollari come aiuto. Il 31 ottobre, furono ricostituiti partiti fascisti e, in un attacco alla sede del partito, avvennero impiccagioni di oppositori, inclusi alcuni comunisti[20]. Lo storico statunitense Herbert Aptheker, di idee kruscioviane, afferma inoltre che i gruppi di attaccanti durante i moti ungheresi erano ben organizzati, armati e identificabili tramite bracciali comuni. Il 25 ottobre, bande armate incendiarono il Museo Nazionale, sparando su lavoratori e cittadini che cercavano di proteggere le opere d'arte. Nelle campagne, gruppi di 20-50 uomini iniziarono a perseguitare e uccidere comunisti e funzionari locali in un chiaro atto di terrorismo fascista. Con il passare di ottobre, la violenza divenne sempre più sistematica, e solo l'arrivo delle truppe sovietiche a Budapest evitò un massacro di massa contro gli ebrei, poiché si stava verificando un aumento di pogrom antisemiti[21].

Calcidesi riporta anche un discorso da parte del professore e intellettuale comunista italiano Concetto Marchesi, che all'VIII congresso del PCI denunciò che la partecipazione di operai e studenti alle proteste in Ungheria non giustificava le loro azioni, poiché molti erano rinnegati che avevano sostenuto il fascismo. Criticò gli intellettuali comunisti per non riconoscere che la situazione rappresentava una caccia ai comunisti piuttosto che una guerra civile. Marchesi sottolineò che l'Armata Rossa, schiacciando la rivolta ungherese, aveva perso la sua innocenza, mentre i massacri dei comunisti venivano minimizzati dai nuovi leader reazionari[22].

Giorgio Napolitano, all'epoca non ancora apertamente sostenitore del comunismo riformista, espresse opinioni simili, sottolineando che l'intervento sovietico in Ungheria fosse giustificato non solo per motivi militari e strategici dell'URSS, ma anche per prevenire il caos e la controrivoluzione. Sottolineò l'importanza di questo intervento nel contesto della crescente tensione internazionale, affermando che contribuì a mantenere la pace nel mondo e a fermare le provocazioni imperialiste, specialmente in Medio Oriente[23].

La "coincidenza" con la crisi di Suez del medesimo anno

Per approfondire meglio: Crisi di Suez

Apostolou descrive come, dopo aver appreso dell'imminente intervento militare degli Stati Uniti in Europa centrale, Gran Bretagna e Francia decisero di intraprendere un'azione autonoma per riconquistare il loro status di potenze imperialiste. L'occasione si presentò quando l'Egitto, sotto il governo di Gamāl ‘Abd al-Nasser, nazionalizzò la Compagnia del Canale di Suez, provocando l'indignazione delle due potenze europee. Il 28 ottobre, l'entità sionista di "Israele", supportato dal Regno Unito e dalla Francia, attaccò l'Egitto, mentre queste ultime mobilitavano forze per invadere. Nasser rifiutò l'offerta di mediazione delle potenze imperialiste, che utilizzarono questo pretesto per l'invasione, mirando a riprendere il controllo del canale e rovesciare il governo di Nasser.

Dal 31 ottobre, Gran Bretagna e Francia bombardarono l'Egitto, mentre Nasser chiuse il canale affondando le navi. Le forze britanniche e francesi sbarcarono a Porto Said il 6 novembre, incontrando una forte resistenza. Durante questi eventi, gli Stati Uniti ordinarono alle truppe NATO di prepararsi a intervenire contro gli anglo-francesi, rimandando l'invasione in Ungheria. La CIA sostenne la controrivoluzione ungherese affinché potesse resistere, mantenendo la pressione su Budapest per favorire l'intervento NATO, distratto dalle crisi mediorientali[24].

Hoxha racconta gli eventi dell'Ungheria nel 1956, sottolineando come Chruščëv e Suslov abbiano perso il controllo di Imre Nagy, considerato inizialmente un alleato. Nagy si proclamò reazionario e dichiarò l'intenzione di ritirarsi dal Patto di Varsavia, mentre l'ambasciatore sovietico Andropov si trovò isolato e assediato dalla controrivoluzione. Nonostante il caos, Mosca continuò a sostenere Nagy, temendo di intervenire. La controrivoluzione, guidata da Kadar, si intensificò e i sovietici dovettero infine decidere di intervenire militarmente. Chruščëv, spaventato, ordinò l'invio di truppe a Budapest, portando a scontri diretti. Nagy cercò asilo presso l'ambasciata di Tito, ma Hoxha lo definisce un traditore per il suo ruolo nell'aprire le porte al fascismo. Alla fine, Nagy fu giustiziato, ma Hoxha critica il modo in cui ciò avvenne, sottolineando l'assenza di un processo pubblico. Viene messa in luce la complicità dei dirigenti sovietici negli eventi ungheresi e l'influenza di Tito e Chruščëv, che si rivelarono elementi chiave nella manovra controrivoluzionaria[25].

Golpe di Nagy e richieste assurde di "neutralità"

Apostolou descrive il contesto della controrivoluzione in Ungheria dopo l’eliminazione di deputati comunisti non allineati con Nagy. L’Assemblea Nazionale perde rappresentatività e il governo Nagy prosegue con controriforme revisioniste, introducendo un modello economico jugoslavo che riduce il potere decisionale degli organi operai e favorisce la creazione di piccoli “Consigli Operai”. Il 27 ottobre, Nagy forma un governo a destra, introducendo una tregua che avvantaggia la controrivoluzione. Nello stesso giorno, Kádár scioglie il Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori, creando un comitato d’emergenza. Il governo Nagy si allinea con le richieste controrivoluzionarie, proponendo il ritiro delle truppe sovietiche e dichiarando la neutralità dell’Ungheria. Il 2 novembre, Nagy chiede l'intervento delle Nazioni Unite, mentre il suo governo si riempie di membri di partiti borghesi e socialdemocratici. La situazione culmina in un clima di terrore bianco e pogrom, con un ritorno alle posizioni capitaliste, mentre la classe operaia, priva di un'organizzazione centrale, non riesce a resistere efficacemente[26].

Pogrom Antisemiti e Terrore Bianco dei "ragazzi di Buda"

L'United Press International, il 26 ottobre 1956, riportava che i ribelli ungheresi erano ben armati e addestrati, sfruttando il crescente fermento nel paese per colpire il regime comunista[27]. Il 30 ottobre, Kurt Neubauer dell'United Press scrisse che i disordini in Ungheria erano il risultato di anni di preparazione. Il "terrore bianco" si intensificò dopo che l'Armata Rossa lasciò Budapest, con i "Consigli rivoluzionari" che imprigionavano e uccidevano membri del Partito Comunista e della polizia. Altri report, come quello del Daily Express, descrivevano attacchi brutali alla sede del Partito dei Lavoratori, dove gli aggressori impiccarono e fucilarono gli occupanti. I corrispondenti evidenziarono il massacro di poliziotti e soldati, sottolineando l'orrore della violenza. Nonostante le testimonianze reazionarie, emerse un’ondata di nazionalismo e vendetta contro i comunisti, con squadre di giovani rivoluzionari che uccidevano e torturavano i presunti membri della polizia segreta. Le notizie di massacri da parte di elementi fascisti suscitarono preoccupazione[28].

Il contesto delle rivoluzioni colorate degli anni '80 è illuminato dai pogrom antisemiti che si verificarono in Ungheria nel 1956. Durante questo periodo, si evidenziò come l'entrata delle truppe sovietiche a Budapest prevenne l'uccisione di migliaia di ebrei, poiché tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre gli attacchi antisemiti, perpetrati dai gruppi di ex-croci frecciate, ripresero dopo una pausa di dodici anni. Numerosi rapporti documentarono un'azione organizzata contro gli ebrei, con espressioni di antisemitismo tra i ribelli e manifestazioni pubbliche di odio[29]..

Testimonianze di giornalisti e osservatori indicavano la presenza di ex-nazisti che si erano uniti ai rivoltosi, mentre affissi di propaganda antisemita comparivano in tutta Budapest. I circoli rabbinici e il Congresso mondiale ebraico confermarono gli attacchi antisemitici in oltre venti villaggi, attribuendoli a gruppi fascisti che approfittarono del vuoto di potere. I profughi ebrei fuggirono principalmente per timore degli ungheresi, piuttosto che dei sovietici, e in vari campi di rifugiati si verificarono episodi di violenza antisemitica, confermando la reazione negativa di alcuni elementi tra i ribelli[30].

Intervento "brutale" dei carri armati sovietici

L'intervento dei carri armati sovietici, descritto in modo sensazionale come "violento" e costituito di "grandi battaglie", tutte guarda caso senza chissà quale numero di morti, fu in realtà piuttosto mite, specie se rispetto ai pogrom e alle violenze che lo avevano preceduto:

«Nonostante che buona parte della stampa e degli organi di informazione occidentali abbia riferito storie sensazionali di grosse battaglie, la verità appare molto più modesta: non vi fu nulla che potesse essere definito come una battaglia decisiva, le devastazioni non furono gravi e limitato rimase il numero delle vittime. Dopo circa 15 ore, era praticamente cessata ogni forma organizzata di resistenza controrivoluzionaria: nello spazio di circa una settimana tutte le operazioni armate erano terminate in ogni parte del paese. Se si tiene conto che l’intervento dell’armata rossa pose fine al terrore bianco e ai pogrom e salvò centinaia di persone già destinate alla tortura e all’esecuzione, appare probabile che il numero delle vite perse nei combattimenti di quella settimana non sia stato più grande di quello delle vite così risparmiate, per non parlare delle perdite che sarebbero derivate da una guerra civile su larga scala! Forse l’unica testimonianza direttamente accessibile, di fonte non-comunista, e capace di dare qualche senso della realtà, dal punto di vista militare, delle forze sovietiche entrate in azione il 4 Novembre, ricorre nell’articolo di Peter Schmid sulla rivista Commentary del 17 Novembre 1956. Il 6 Novembre, Schmid racconta, “mi avventurai a uscire” per le vie di Budapest, e “trovai che i danni erano sorprendentemente lievi anche nelle aree dove si erano svolti direttamente gli scontri”. E “nelle vie secondarie, la vita continuava proprio come al solito”. Schmid ebbe “l’impressione che il comando russo non volesse prendere le cose di petto a Budapest”, e di più, che “la visibile esitazione del comando sovietico a lanciare una azione a fondo era nulla in confronto alla riluttanza del singolo soldato russo a sparare su civili indifesi”. Da questi fatti, in parte, Schmid è condotto alla conclusione che “le perdite degli insorti durante la battaglia vera e propria furono infinitamente minori delle valutazioni esagerate apparse sulla stampa mondiale. Non saprei sottolineare abbastanza la necessità di toglier fede alle macabre storie di montagne di cadaveri e di sangue corrente a rivi nei rigagnoli di Budapest, con cui i giornalisti affamati di sensazionale hanno riempito le loro corrispondenze”[31]

Conclusione dei fatti d'Ungheria

«Dal 23 Ottobre al 1° Dicembre, gli ospedali di Budapest registrano poco meno di 13.000 pazienti curati per ferite; i corpi di combattenti (escluse le perdite causate dal terrore bianco) controrivoluzionari, militari rivoluzionari ungheresi e sovietici trovati morti sul campo ammontano a circa 2000. Delle perdite fuori la capitale non ci sono state fatte stime anche se esse furono quasi certamente più lievi che a Budapest. Stime approssimative portano a circa 22.000 le vittime del terrore fascista dei controrivoluzionari. Fra loro comunisti, antifascisti ed ebrei. Il cardinal Mindszenty, che della controrivoluzione divenne la “figura morale”, trovò asilo politico nell’ambasciata americana di Budapest ossia il quartier generale della controrivoluzione. Vi rimase fino al 1971 quando, con la mediazione di Nixon, poté raggiungere Roma e poi Vienna dove morì sotto i ferri il 6 Maggio 1975. Imre Nagy e altri ministri del suo sciagurato governo illegittimo e golpista trovarono rifugio nell’ambasciata jugoslava e poi poterono recarsi a Snagov, in Romania, in semilibertà vigilata in attesa di riabilitazione. Sì, proprio così. Dato che sui fatti dell’Ottobre-Novembre del 1956 non avevano la coscienza pulita ne Kadar ne altri suoi collaboratori revisionisti, questi fecero di tutto per evitare un processo a Nagy e per evitare quindi che l’istruttoria e il dibattimento li coinvolgesse direttamente. Ma, per tutto il 1957, manifestazioni di massa in tutta l’Ungheria chiesero che Nagy (e i suoi compari) fosse pubblicamente processato per la sua complicità attiva con la controrivoluzione del 1956 che tanti lutti procurò a non poche famiglie ungheresi. Nonostante le continue dimostrazioni della volontà popolare solo col Governo del revisionista Ferenc Münnich (succeduto al “sordo” Kadar il 27 Gennaio 1958) Nagy verrà estradato dalla Romania e processato coi suoi accoliti il 10 giugno 1958 ma non pubblicamente bensì a porte chiuse (per tranquillizzare Kadar ed altri). Il 15 giugno Nagy, Maleter & C. verranno condannato a morte per alto tradimento e impiccati all’alba del giorno seguente. Giustizia fu fatta! (nonostante tutto!). Questa la verità sui fatti d’Ungheria![32]»

I fatti del 1956, che avevano come colpevoli e diretti responsabili non solo Nagy, ma anche Kadar, in Ungheria, e personalità come Andropov e Mikojan[33], nell'Unione Sovietica kruscioviana, ebbero una (parziale) giustizia con la condanna a morte di Nagy. Il processo fu tenuto a porte chiuse, e, come ha concluso saggiamente Hoxha nelle sue memorie, questo non fu giusto, perché tale "processo farsa" salvò i restanti responsabili dal "pasticcio" che riportò l'Ungheria, per due settimane, ai tempi della guerra e del nazifascismo. Il Partito Socialista dei Lavoratori Ungheresi fu ricostituito nel 1956, e alla sua guida, da allora fino al 1988, vi fu il kruscioviano Kadar, che guidò l'Ungheria tramite una politica di "comunismo goulash" in cui lasciava un'amminstrazione prudentemente a-personalistica e priva di qualsivoglia pubblicità nella figura sua e del politburo del partito ungherese. A dispetto della propaganda anticomunista, sia essa trotzkista, fascista o simile, i pogrom antisovietici in Ungheria sono stati ampiamente documentati da diverse fotografie, che vengono mostrate nel paragrafo successivo.

Galleria

Bibliografia

Note

    1. Nemes, 1972, p.13-31
    2. Ibidem, p.40-41,44-46,61,63,65
    3. Ibidem, p.94-99,105-106
    4. Ibidem, p.109-113
    5. Ibidem, p.149-153
    6. Ibidem, p.154-155
    7. Ibidem, p.157-163
    8. Ibidem, p.164-169
    9. Ibidem, p.169-170
    10. Ibidem, p.174-186
    11. Hoxha, 1980, p.71,206-207,210,273-274,275,277,282
    12. Apostolou, 2013
    13. Hoxha, 1980, p.281-281
    14. Information Bureau of the Council of Ministers of the Hungarian People's Republic, 1957, p.3-8
    15. Ibidem, p.9-11
    16. Ibidem, p.11
    17. Ibidem, p.11-13
    18. Berecz, 1986, p.25-27,29,30-31,32,41-43,46-47,48-51
    19. Apostolou, 2013
    20. Calcidesi, 2013
    21. Aptheker, 1957, p.322-323,331,378, citato in Ibidem
    22. Concetto Marchesi, Umanesimo e comunismo, Editori Riuniti, pp.114-115, citato in Calcidesi, 2013
    23. Intervento di Giorgio Napolitano all'VIII Congresso del PCI, riportato in "Il PCI nell'anno dell'Ungheria", L'Espresso, Roma 1980, p. 87; MicroMega, 9 (2006), p. 116; V. Meliadò, Il fallimento dei "101". Il PCI, l'Ungheria e gli intellettuali italiani, Liberal edizioni, Roma 2006, pp. 96-97
    24. Apostolou, 2013
    25. Hoxha, 1980, p.290-291,292-293,294-297
    26. Apostolou, 2013
    27. United Press, Budapest, 26 Ottobre 1956, citato in Apostolou, 2013
    28. Apostolou, 2013
    29. Ibidem
    30. Associazione Stalin, che a sua volta cita nelle fonti tutti gli articoli di giornale, con data ed edizioni, reperibili negli archivi di ciascuna testata giornalistica salvo misteriose "sparizioni"
    31. Apostolou, 2013
    32. Ibidem
    33. Hoxha, 1981, p.34-35