Brigate Rosse

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Le Brigate Rosse furono un'organizzazione armata di tipo terroristico, attiva in Italia dal 1970 al 1988, e poi dal 1999 al 2003, autoproclamatasi "marxista-leninista" e "comunista", ma che, nei nomi, nelle azioni e nella retorica, è stata tutt'altro. Lo scopo di questa voce, forte delle fonti a disposizione, è di dimostrare, in barba anche a quei sedicenti "compagni", come i militanti del Partito dei CARC o i molti larpers e bimbiminchia trotskoidi, che tale organizzazione, tutt'altro che un organismo dedito alla "lotta armata", o ancora una "risposta" al "terrorismo nero" di organizzazioni come Ordine Nuovo, altro non è stata che un'operazione psicologica, principalmente, il cui intento era di screditare e sfavorire non solo il PCI revisionista e impedire un "governo di unità nazionale", ma anche il comunismo tutto nel nostro paese, intento in cui i suoi "militanti" (in buona parte) riuscirono.

Premessa: infiltrazione dell'estrema destra "a sinistra" ai tempi della Resistenza

Per poter comprendere la genesi dell'ultrasinistra extraparlamentare degli anni 60 e 70 è necessario fare un passo indietro e analizzare le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza in Italia. Mentre il PCI, non ancora degenerato e divenuto revisionista, lottava e guidava i partigiani contro i collaborazionisti fascisti e le forze militari tedesche, diverse formazioni "di sinistra" spuntarono come funghi, pubblicando diversi opuscoletti di critica e di forte attacco alla guerra partigiana e al PCI. Già nel dicembre del 1943 il PCI, per tramite di Pietro Secchia in un comunicato sul giornale clandestino del partito, La Nostra Lotta, in cui avvisava i partigiani, gli operai e i militanti del PCI della vera natura di questi opuscoli di ispirazione trotskista e della "sinistra comunista" bordighiana:

«Gli uomini di Hitler e di Goebbels non potevano certo illudersi di riuscire a fare presa sulle masse operaie italiane con la propaganda nazionalsocialista, antisovietica e antibolscevica, servendosi di strumenti fuori uso quali Mussolini, Pavolini, Farinacci e soci. Come frenare, ostacolare, limitare l’eroica lotta che il proletariato, guidato dal Partito Comunista conduce per la cacciata dei tedeschi dall’Italia e l’annientamento dei rigurgiti del fascismo? Ecco allora saltar fuori i nemici dell’Unione Sovietica e parlare a nome dell’Unione Sovietica, ecco gli autori del Patto antibolscevico parlare a nome del bolscevismo, ecco gli autori del patto anticomintern in combutta col «sinistrismo» denigratore del Comintern parlare a nome dell’Internazionale e protestare per lo scioglimento dell’Internazionale, invocare il nome di Marx e di Lenin, richiamarsi ai principi comunisti per gridare contro la degenerazione, contro l’opportunismo, contro il centrismo dei comunisti. Ma sotto la maschera del "sinistrismo" è facile scorgervi il bieco sanguinario volto del nazi-fascismo. Strappiamo questa maschera, laceriamo il velo e vi scorgeremo il grugno di Hitler. Ogni operaio al quale sia capitato per le mani qualcuno di questi luridi fogli dai titoli altisonanti e dall’etichetta "rivoluzionaria" si sarà certamente reso conto della vera natura del loro contenuto. Bastano a ciò poche riflessioni. I nazisti che oggi occupano i due terzi dell’Italia, sono coloro che da dieci anni opprimono sotto la più feroce dittatura il proletariato tedesco, sono coloro che sono intervenuti per schiacciare la Repubblica popolare Spagnola, sono coloro che hanno scatenato l’attuale guerra mondiale, sono coloro che hanno invaso, saccheggiato, private della loro indipendenza e libertà tutta una serie di paesi d’Europa, sono coloro infine che hanno aggredito, mosso la guerra e invaso l’Unione Sovietica, il paese del Socialismo. Ebbene, questi fogli, "Stella Rossa" e "Prometeo", non dicono una sola parola contro i tedeschi, contro i nazisti, non incitano alla lotta ed alla lotta immediata contro i nazisti tedeschi, al contrario questi luridi fogli attaccano il Partito Comunista perché con tutte le sue forze è sceso in lotta per la cacciata dei tedeschi dall’Italia, perché chiama le masse popolari italiane a lottare con tutti i mezzi, ad insorgere contro i tedeschi ed i fascisti. [...] I tedeschi hanno aggredito e messo a ferro e fuoco vasti territori dell’Unione Sovietica e i "sinistri", uomini di "Prometeo" e di "Stella Rossa", hanno la spudoratezza di proclamare che non bisogna lottare contro i tedeschi, hanno la spudoratezza di predicare l’astensionismo; hanno la spudoratezza di invitare gli operai a non andare nelle formazioni partigiane, hanno la spudoratezza di dire che tra i due contendenti che si battono sul nostro suolo, non vi è possibilità di scelta. Vi è un solo operaio che può avere il minimo dubbio sulla marca di fabbrica di quella "sinistra" propaganda? La marca di fabbrica è quella tedesca: Made in Germany. Come, non vi è possibilità di scelta fra i due contendenti? Ma gli anglo-americani sono oggi gli alleati dell’Unione Sovietica. I tedeschi invece sono gli aggressori, i saccheggiatori dell’Unione Sovietica. Gli anglo-americani sono coloro che assieme all’Unione Sovietica hanno posto come condizione di pace l’annientamento del fascismo e del nazismo, l’abbattimento dei regimi di Hitler, di Mussolini e dei loro satelliti; i tedeschi invece sono coloro che hanno tolta l’indipendenza ai popoli, sono coloro che, occupata l’Italia, hanno subito ricostituito un governo con i Mussolini, i Pavolini e gli altri traditori fascisti. I redattori di "Prometeo" e di "Stella Rossa" accusano il P[artito] C[omunista] di tradire il proletariato italiano perché si è fatto propugnatore del C[omitato] d[i] L[iberazione] N[azionale], perché si è alleato con i Partiti borghesi. Costoro strillano che bisogna farla finita con la democrazia, che la democrazia è la stessa cosa del fascismo. Costoro dicono che bisogna fare la rivoluzione proletaria, che ci vuole la dittatura del proletariato. [...] Tutti i nemici del nazismo e del fascismo si sono nel corso di questa guerra coalizzati. Hitler, sempre più stretto alla gola da questo potente blocco di forze strilla e grida al bolscevismo: "Si vuole instaurare il bolscevismo in Europa." Alle sue grida fanno eco "Prometeo" e "Stella Rossa" ed altri fogli di tale risma che scrivono: "Oggi noi non dobbiamo lottare contro i tedeschi, ma contro la democrazia, per la dittatura, per il bolscevismo." Sciocchi servitorelli di Hitler! Questo brigante ha bisogno oggi per creare timori, incertezze, esitazioni tra i popoli, per incrinare la compagine delle Nazioni Unite e dei Fronti Nazionali di sbandierare lo spettro del bolscevismo, ed ecco subito trovati i servi ben disposti ‒ coscienti o no ‒ di "Stella Rossa" e di "Prometeo". Ecco queste losche figure levare alte grida al cielo: "Sì, vogliamo il bolscevismo" e lanciare contumelie contro il P[artito] C[omunista] perché avrebbe rinnegato il suo programma. Ogni operaio sa che il nostro Partito, il Partito Comunista, non ha per nulla rinunciato al suo programma e ai suoi obiettivi fondamentali. Ogni operaio sa che gli obiettivi dell’imperialismo anglo-americano non sono gli stessi dell’Unione Sovietica, non sono gli stessi obiettivi delle larghe masse popolari di tutti i paesi, ma ogni operaio sa anche che in questo momento l’Inghilterra e l’America hanno in comune con l’Unione Sovietica e con le masse popolari di tutti i paesi l’obiettivo della sconfitta della Germania, dell’annientamento del nazismo, della restituzione dell’indipendenza e della libertà ai popoli. Ogni operaio sa che il raggiungimento di questi obiettivi è oggi l’interesse fondamentale e preminente della classe operaia di tutti i paesi. Ogni operaio sa che il raggiungimento di tali obiettivi è la premessa essenziale per l’ulteriore avanzata della classe operaia sulla strada della rivoluzione. Oggi nei diversi paesi, ed anche in Italia, si è realizzato un blocco di forze, un blocco di partiti che sono d’accordo di lottare assieme per la cacciata dei tedeschi, per l’annientamento del fascismo, che sono d’accordo di lottare assieme per la realizzazione di un governo di democrazia popolare. I tentativi di Hitler, di Goebbels e dei loro servi, i "sinistri" italiani, per incrinare questo blocco sono ridicoli. [...] Oggi il tradimento più infame è perpetrato da coloro che sotto la maschera di un frasario pseudo-rivoluzionario, massimalista, estremista, predicano la passività, invitano gli operai a starsene neutrali, a non partecipare alla lotta partigiana, aiutando così i tedeschi ad opprimere il popolo italiano. Costoro cercano di indebolire l’azione che il nostro Partito conduce contro i tedeschi ed i fascisti, tentando di diminuire la sua autorità, predicando l’assenteismo e la passività, tentando di incrinare il blocco delle forze antifasciste, sono dei traditori della Guerra di L[iberazione] N[azionale], si rivelano per degli alleati diretti di Hitler e di Mussolini, costoro, lo sappiano o no, sono dei volgari agenti della Gestapo[1]

Come è già stato approfondito in altre voci di questa enciclopedia, le opposizioni "a sinistra" della linea del PCUS, dell'Unione Sovietica e del Comintern nell'epoca immediatamente precedente alla Seconda Guerra Mondiale, e in taluni casi anche durante essa, hanno cooperato, "tatticamente" o meno, con le forze nazi-fasciste pur di andare contro l'Unione Sovietica e il socialismo "degenerato" perché pragmatico anziché perfettamente corrispondente alle infantili utopie dei trotskisti e della "sinistra" di Bordiga. Quest'ultimo, come ammesso anche dai media mainstream borghesi e capitalisti, pur non "collaborando" tatticamente è rispauto che si augurasse. tuttavia, la vittoria della Germania e dei suoi alleati nella guerra[2]. Ma cosa ha questo a che vedere con l'ultrasinistra degli anni 70 e con le Brigate Rosse? L'organizzazione "Stella Rossa", definita da Pietro Secchia una quinta colonna trotskista, e i cui pamphlet ci sono oggi reminiscenti delle miriadi di analoghi pamphlet delle miriadi di "collettivi" sedicenti "comunisti", di ispiazione anarcoide e trotskista, contro il "campismo" e il progresso storico dell'alternativa multipolare, aveva a capo un uomo, tale Luigi Cavallo (di cui, curiosamente, non esistono fotografie e non sono reperibili da nessuna parte). Come riporta Sergio Flamigni, giornalista ed ex parlamentare nelle commissioni d'inchiesta sulla P2, sulla mafia e sul terrorismo per il PCI:

«Fin dalla metà degli anni Cinquanta, il colonnello Rocca per la sua segreta “guerra psicologica” in funzione anticomunista si era avvalso di un prezioso collaboratore: l’ex comunista Luigi Cavallo. Attivo a Torino nell’ambito sindacale come provocatore al soldo della Fiat, Cavallo utilizza per la sua torbida attività una base milanese, un appartamento situato in via Gallarate 131, dove il colonnello Rocca talvolta si recava: "Conobbi il colonnello Rocca nella casa [milanese] di Cavallo in via Gallarate 131", testimonierà Cesare Carnevale, collaboratore di Cavallo. [...] Un’attività di rilievo, perché il personaggio è di notevole spessore. Nato a Torino nel 1920, nel 1938 Cavallo "per intercessione del segretario federale fascista di Torino" aveva vinto una borsa di studio e si era trasferito nella Germania nazista, a Berlino e Tubinga, dove si era laureato in Filosofia. Sposata la figlia di un dirigente dei servizi segreti del Reich hitleriano, nel 1942 era tornato insieme a lei a Torino, e aveva cominciato a lavorare per il comando del Genio ferrovieri della Wermacht (senza trascurare gli studi: seconda laurea, in Scienze politiche). Nel 1943 era stato tra i fondatori di Stella Rossa, gruppo partigiano ultracomunista che propugnava la rivoluzione armata per instaurare la dittatura del proletariato; sul periodico del gruppo, “Stella Rossa”, era lui che scriveva gli articoli politico-militari sulla necessità della lotta armata. Dopo la Liberazione, Cavallo era riuscito a entrare nella redazione piemontese de “LUnità”, arrivando a scrivere editoriali in prima pagina: parlava correntemente 4 lingue straniere (compreso il russo), e conosceva i classici del pensiero marxista 24. Nel maggio 1946 si era trasferito a Parigi come corrispondente de “l’Unità”, e ci era rimasto fino alla fine del 1949, quando era stato improvvisamente allontanato dal giornale e dal partito. Subito dopo, Cavallo si era trasferito - senza incontrare alcuna difficoltà - a New York, ufficialmente con rincarico di inviato della “Gazzetta del popolo”, e ci era rimasto per quattro anni: smessi gli abiti di colto comunista ortodosso, dagli Usa mandava corrispondenze di plauso per il neocapitalismo americano. "Due cose affascinavano Cavallo: la politica keynesiana dei magnati dell’industria statunitense, e il potere esercitato sulle masse dagli strumenti di informazione". Il suo soggiorno americano non era stato privo di ambigui “incidenti”, che lui stesso descriverà così: "Venni segnalato all’Fbi come un pericoloso agente del comuniSmo internazionale. Sono stato arrestato nel 1950 a New York come 'agente sovietico'". All’inizio del 1954 l’ex comunista Cavallo era riapparso in Italia, a Milano, a fianco di Edgardo Sogno nell’organizzazione anticomunista Pace e Libertà, e per un certo periodo i due avevano fatto diversi viaggi a Parigi. L’anno dopo Cavallo si era trasferito a Torino (secondo alcune fonti, dopo avere rotto il sodalizio con Sogno per contrasti politici; secondo altre, per una "nuova destinazione"), dove aveva cominciato a svolgere segretamente una torbida attività antisindacale di provocatore al soldo della Fiat; in quello stesso periodo aveva avviato un’intensa collaborazione con il colonnello del Sifar Renzo Rocca, collocandosi "al centro di una trama in cui [convergevano] gli interessi e l’azione della Fiat, dell’Ambasciata americana, dei servizi segreti, del MSI". Nel 1966 Cavallo si era iscritto al Psi milanese, allacciando rapporti con la destra anticomunista del partito (gli autonomisti del giovane leader Bettino Craxi). L’attività antisindacale e anticomunista di Cavallo alla Fiat negli anni Cinquanta era stata eccezionalmente sofisticata. Attacchi al PCI e alla CGIL “da sinistra”, attraverso lettere, volantini, manifesti, giornali, opuscoli, caratterizzati da una tecnica che «sfruttava due elementi: un linguaggio para-comunista, con una collocazione da sinistra, nel senso che Cavallo [parla] a nome della classe operaia, anzi egli "è, di volta in volta, il lavoratore, l’immigrato, il sindacalista, il compagno; l’attacco diretto e personale a dirigenti di partito e di sindacato, la diffamazione, la calunnia". L’ex cronista de “l’Unità” Manfredo Liprandi, dopo un casuale incontro con Cavallo a Torino nella primavera del 1957, racconterà: "Mi dice che ha fatto carriera... Mi dice che possiede una tipografia e stampa giornali a colori. E poi: l’aereo personale. 'Sono appena stato a Berlino', mi dice, 'nel settore russo, con una missione alleata”. Mi invita nel suo ufficio... C’è uno schedario rotante, uno dei primi che si vedevano; Cavallo lo fa girare piano, come accarezzandolo, e intanto mi dice: 'Qui dentro ci sono i nomi, i recapiti, gli indirizzi di tutti gli iscritti al PCI di Torino'". L’attività anticomunista di Cavallo era soprattutto in ambito sindacale, contro Cgil e Fiom, per alimentare le spinte antiunitarie favorendo la scissione del sindacato. Secondo il senatore comunista Ugo Pecchioli (segretario della Federazione del Pei di Torino dal 1956 al 1966), anche nei disordini di piazza Statuto del 7 e 9 luglio 1962 - scioperi di massa degli operai Fiat, degenerati in gravi incidenti, con oltre mille fermi e 53 arresti - c’era stato lo zampino di Cavallo: "In piazza Statuto c’era di tutto... C’erano gli uomini di Luigi Cavallo, gli ex attivisti e provocatori di Pace e libertà. I fatti di piazza Statuto, nella loro componente di provocazione, sono stati la prima grande e preordinata prova di quella strategia della tensione che il padronato più reazionario e settori dell’apparato dello Stato, servendosi di gente come Cavallo, mettono in atto ogni qualvolta si trovano in presenza di grandi, unitari, vittoriosi movimenti di classe e democratici"[3]

Quindi la nascita della cosiddetta "sinistra extraparlamentare italiana" è da considerarsi avvenuta non negli anni 60, ma nei primi anni 40, durante la Resistenza. Di questo pare ne fosse convinto anche il Generale dei Carabinieri, nonché ex combattente anch'egli al fianco dei partigiani, Carlo Alberto Dalla Chiesa:

«Il generale Dalla Chiesa sospetta da tempo che la strategia della tensione affondi alcune delle sue radici nel periodo della Resistenza, e che il terrorismo brigatista presenti aspetti di forte ambiguità. Lo testimonierà Tallora colonnello dei carabinieri Nicolò Bozzo (braccio destro di Dalla Chiesa dal 1° settembre 1978), secondo il quale i sospetti del generale si appuntano in particolare sull’organizzazione Franchi di Edgardo Sogno: "Dalla Chiesa era molto interessato da una ipotesi di lavoro che aveva cominciato a elaborare a seguito degli attentati a Savona del 1974-75. Si era infatti accorto che poteva intravedersi un collegamento operativo tra ambienti della destra eversiva, criminalità comune organizzata, massoneria e settori dei Servizi deviati. Successivamente al 1° settembre 1978 il generale mi invitò, in più occasioni, ad approfondire questa ipotesi che, a suo parere, si fondava sull’esistenza di una struttura segreta paramilitare, con funzioni organizzative antinvasione ma che aveva poi debordato in azioni illegali e con funzioni di stabilizzazione del quadro interno. A suo parere, questa struttura poteva aver avuto origine sin dal periodo della Resistenza, attraverso infiltrazioni nelle organizzazioni di sinistra e attraverso il controllo di alcune organizzazioni di altra tendenza."[4]»

Nascita dell'organizzazione e brevi cenni biografici sui suoi principali componenti

Mario Moretti, "capo" delle Brigate Rosse e rapitore-esecutore di Aldo Moro
Renato Curcio, uno dei principali fondatori delle Brigate Rosse
Corrado Simioni (primo da sinistra) insieme all'Abbé Pierre (al centro) mentre incontra il papa Wojtyła, nell'unica foto reperibile di lui

Per comprendere da dove sia nata l'organizzazione terroristica "Brigate Rosse", è importante prima fare luce sui suoi membri e "dirigenti" principali. Uno dei membri più "duraturi" e l'uomo definito indubbiamente, anche da una parte dei difensori della "validità" dei terroristi, come un palese infiltrato, è l'uomo che avrebbe poi diretto nel 1978 il rapimento di Aldo Moro, ossia Mario Moretti. In merito si esprime, ancora, Flamigni:

«Dal carcere, a posteriori, Mario Moretti cercherà di attribuire alla propria adolescenza una connotazione proletaria, operaia e comunista: "I miei erano poveri, a casa si mangiava soprattutto pane e mortadella... Mio padre votava comunista, come gli amici che da bambino vedevo per casa, ma in quel periodo e da quelle parti la gente si sentiva soprattutto antifascista... Quasi tutti i miei amici erano operai che lavoravano sui pescherecci, nelle fabbriche di calzoleria o di meccanica". Ma sono mistificazioni, falsificazioni della realtà. Infatti, stando ai documenti, la famiglia Moretti - padre mediatore nel commercio di bestiame, madre insegnante di musica, quattro figli (due maschi e due femmine) - non è di estrazione proletaria bensì piccolo-borghese, e non è di matrice comunista ma ultracattolica e destrorsa. È una famiglia "di discreta estrazione sociale", e non ha mai avuto niente a che fare col comunismo, bensì col suo esatto contrario: nel parentado ci sono due zii fascisti, e uno zio materno, Mario Romagnoli, è corrispondente del quotidiano di destra “Il Resto del Carlino”. Inoltre, la famiglia Moretti ha un qualche rapporto con il nobile casato dei marchesi Casati Stampa di Soncino (legati alla destra liberale lombarda e attigui all’aristocrazia “nera” romana), e in casa c’è l’impronta materna di una religiosità intensa fino al bigottismo. Nato a Porto San Giorgio (Ascoli Piceno) il 26 gennaio 1946, Mario Moretti frequenta la locale scuola elementare statale e l’oratorio parrocchiale. Le medie, invece, le fa a Macerata, nel collegio dei Salesiani. A ottobre del 1961 comincia a frequentare, da interno, il convitto “Girolamo Montani”, istituto tecnico di Fermo che all’epoca ha una forte caratterizzazione religiosa. Il 31 marzo 1962 muore prematuramente il capofamiglia. [...] Effettivamente la retta (di importo consistente) del convitto “Montani” dove dal 1961 al 1966 studia e vive il futuro capo delle Br viene pagata [...] dall’amministrazione milanese dei marchesi Casati Stampa di Soncino mediante un rapporto diretto con la direzione dell’istituto tecnico. Una circostanza singolare e enigmatica: non risulta che i Casati Stampa fossero dediti a opere di beneficenza. La "signora generosa", benefattrice del futuro capo brigatista, è Anna Fallarino. Nata nel 1929 in provincia di Benevento, di umili origini, ex aspirante attrice (una piccola apparizione nel film Totò Tarzarn), donna procace e disinibita, la Fallarino è diventata marchesa nel giugno 1961 sposando in seconde nozze il marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, discendente dell’omonimo casato lombardo. Benché le vastissime proprietà terriere e immobiliari del casato siano essenzialmente in Lombardia (con residenza ufficiale nella Villa San Martino di Arcore, e amministrazione dei beni situata nel palazzo Soncino di via Soncino-angolo via Torino a Milano), Camillo Casati e la neo-marchesa abitano stabilmente a Roma, in un superattico in via Puccini con terrazzi pensili affacciati su Villa Borghese, insieme alla figlia di primo letto del nobiluomo, la marchesina Annamaria (che vi è nata nel 1951). Nella capitale, i Casati Stampa frequentano la “nobiltà nera” romana, ma storicamente il casato è legato alla destra liberale lombarda. Uno zio del marchese Camillo, il liberale milanese Alessandro Casati, nel 1924 era stato ministro dellTndustria nel governo Mussolini, rappresentante del PLI nel CLN (1943), nonché ministro della Guerra nel primo e secondo governo Bonomi (1944)[5]

Lungi dall'essere uno studente "ribelle" o da un forte carattere tipicamente "rivoluzionario" e da "lottatore armato", Moretti è invece ricordato in questo modo dai suoi insegnanti e compagni di classe:

«L’ex rettore del convitto, Ottorino Prosperi, ne ricorda l’irrequietezza e la frustrazione per il fatto che, pur essendo di Porto San Giorgio (a soli 7 chilometri da Fermo), dovesse pernottare nel convitto. Secondo l’ex rettore, era "un ragazzo scontroso" ma in fondo remissivo perché privo di un vero carattere. Secondo Maria Marcozzi, allora professoressa di Lettere e Storia, Moretti "era uno studente anonimo, dal carattere chiuso e introverso. Non parlava mai di sé, né manifestava particolari inclinazioni. Dagli altri studenti capitava di ricevere confidenze, richieste di ascolto o di aiuto, ma da lui non usciva niente". Univoco anche il ricordo “politico” che ne hanno alcuni suoi compagni di scuola dell’epoca: da studente Mario Moretti professava idee fasciste. Secondo Adriana Pende,"per lui tutto quello che aveva fatto Mussolini era perfetto... Moretti aveva uno zio ex camicia nera, che probabilmente era per lui un modello, un punto di riferimento. Mi ricordo le nostre discussioni, specialmente dopo le lezioni di Storia: lui difendeva sempre il regime fascista e l’operato di Mussolini. Io ho frequentato il “Montani”, per tre anni sono stata nella stessa classe di Moretti, e posso dire che Mario era un esaltato". Nadia Piergentili, sua compagna di classe dal terzo anno fino al conseguimento del diploma in Telecomunicazioni, conferma: "Moretti era nettamente di destra, ma non la destra liberale, la destra fascista, quella del Movimento sociale di allora, forse perché anche la sua famiglia aveva quell’orientamento... Mi ricordo che lui a un certo punto si era fatto fare il basco nero con il pon-pon che portavano i giovani fascisti alle manifestazioni". [...] L’orientamento di destra dello studente Moretti è confermato da Ivan Cicconi, suo coetaneo e anche lui studente del “Montani”. Secondo Cicconi, il futuro capo delle Br all’epoca militava addirittura nella Asan-Giovane Italia, l’associazione studentesca neofascista[6]

Conseguito il diploma, Moretti si trasferisce a Milano, e la sua "protezione" presso i Casati Stampa continua anche in questo frangente della sua vita:

«A luglio del 1966 Moretti si diploma perito industriale con specializzazione in Telecomunicazioni, e si congeda dal collegio “Montani” di Fermo. Ottiene l’esonero dal servizio militare in quanto, orfano di padre, viene considerato capofamiglia. Dopo l’estate si trasferisce a Milano, presso gli zii che abitano nel palazzo Soncino dei Casati Stampa. Il ventenne Moretti che nel settembre 1966 arriva a Milano fresco di diploma non ha niente di sinistra, e men che meno di estrema sinistra. Al contrario: è vicinissimo alla destra neofascista, è cattolico e anticomunista. Del tutto estraneo alla classe operaia e al proletariato, è invece legato al nobile casato dei Casati Stampa, sia pure nel particolare ruolo di beneficiario di privilegi. Infatti Tombrello protettivo dei marchesi non si è chiuso con il conseguimento del diploma, né con l’ospitalità nel palazzo Soncino. Il 27 settembre Moretti compila una richiesta di assunzione alla Sit-Siemens "raccomandato dalla marchesa Anna Casati Stampa di Soncino" 14, seguita il 14 ottobre da una dettagliata domanda d’impiego nella quale Moretti indica come proprio domicilio il palazzo Soncino dei Casati Stampa in "Via Soncino 2", come referenze "marchesa Anna Casati Stampa di Soncino, villa San Martino, Arcore (Milano)", e precisa di essere "temporaneamente assunto dalla Ceiet [società di impianti telefonici, ndr] in qualità di operaio in attesa di occupazione inerente alla mia specializzazione". Il lavoro alla Ceiet dura solo pochi mesi 15, perché il 16 gennaio 1967 viene assunto alla Sit-Siemens come tecnico-impiegato, e assegnato ai collaudi ponti radio con la mansione di collaudatore di apparecchiature a alta frequenza. [...] Effettivamente Moretti sembra proprio un ventenne piccoloborghese dai sani princìpi. Tanto è vero che dopo aver ottenuto il bell’impiego alla Sit-Siemens, decide di proseguire gli studi, e sceglie l’Università cattolica del Sacro cuore di Milano. Per accedere all’ateneo cattolico è indispensabile un certificato di “buona condotta” religiosa e politica, così il 9 settembre 1967 il viceparroco di Porto San Giorgio, don Luigi Campanelli, indirizza al "Rettore Magnifico" della Cattolica una dichiarazione, avallata dalla Curia arcivescovile di Fermo, con la quale certifica che "il giovane Mario Moretti ha tenuto sempre una condotta buona, e professa sane idee religiose e politiche". Un settimanale ["Panorama" del 14 Aprile 1980, ndr], anni dopo, scriverà che "a spianargli la strada della Cattolica, però, più dell’affettuoso interessamento di don Campanelli, fu la raccomandazione autorevole di una nobile e potente famiglia, quella dei Casati Stampa di Soncino... La marchesa Anna già gli aveva pagato le rette del collegio di Fermo, e gli aveva trovato un posto come tecnico dei ponti radio alla Sit-Siemens". Fatto sta che il 24 ottobre 1967 Moretti viene ammesso alla Cattolica, facoltà di Economia e commercio, e propone come primo piano di studi 7 materie, la prima delle quali è “Esposizione della dottrina e della morale cattolica”. L’ateneo del Sacro Cuore è in subbuglio, nella notte fra il 17 e il 18 novembre viene occupato dalle avanguardie del Movimento studentesco (il rettore fa intervenire la polizia e chiude l’Università); ma la matricola Moretti rimane completamente estranea alla rivolta sociopolitica di molti suoi coetanei, tanto più che - da piccoloborghese reazionario quale egli è - la avversa[7]

Il turbolento periodo dei tardi anni 60 in Italia è caratterizzato dalle prime avvisaglie dei governi del Centrosinistra "Organico" DC-PSI, e in contemporanea il già menzionato Colonnello del SIFAR Rocca viene trovato morto con una pallottola in testa: la sua morte viene archiviata come suicidio, ma le prove indiziare dimostrano che la sua morte fu probabilmente un "regolamento di conti" interno ai Servizi Segreti "deviati". Rocca era uno stretto collaboratore dei servizi statunitensi, in particolare della CIA, con cui ha cooperato nella formazione di gruppi di infiltrati "a sinistra", come Luigi Cavallo, in ambito sindacale e partitico, nell'ambito dell'Operazione Gladio[8]. Nel già citato edificio di Via Gallarate 131 in cui era operativa la base di Cavallo pare si fosse accasato anche Moretti: «Durante l’estate del cruciale 1968 lo studente-lavoratore Moretti si conferma un ventiduenne piccoloborghese senza grilli per la testa. In agosto, durante le ferie a Porto San Giorgio, conosce una impiegata milanese sua coetanea, Amelia C. Dopo le ferie i due si rivedono a Milano e si fidanzano. [...] Per combinazione, il “fidanzamento ufficiale” di Moretti avviene in un posto molto particolare: infatti Amelia C. abita con i genitori in via Gallarate 131, cioè nello stesso palazzo dove Luigi Cavallo ha collocato la centrale milanese della sua attività di provocatore[9]

È in questo periodo della sua vita che, stando a quanto riporta Flamigni, Moretti pare abbia avuto un episodio di "conversione" politica simile a quello di San Paolo:

«Il fidanzamento con Amelia C. non distrae Moretti dagli studi universitari, specialmente da quelli a carattere religioso, i soli nei quali eccelle: il 10 ottobre 1968 supera l’esame di Esposizione della dottrina e della morale cattolica ottenendo la massima votazione, 30/30. Un riconoscimento tanto più brillante se si considera che il docente che glielo attribuisce è don Luigi Giussani, il carismatico teologo che sta trasformando la “Gioventù studentesca” nell’organizzazione cattolico-integralista di “Comunione e liberazione”. Una prodezza intellettuale tanto più significativa, se si considera che avviene mentre le università italiane sono a soqquadro - con scioperi, assemblee, occupazioni - per le lotte del Movimento studentesco, lotte alle quali il futuro capo brigatista continua a rimanere del tutto estraneo, e che anzi avversa. [...] Alla coincidenza di via Gallarate 131, dove il superesperto di “sindacalismo” Luigi Cavallo, coinquilino della fidanzata di Moretti, sta preparando una nuova tappa della sua attività di provocatore al soldo della Fiat (“Iniziativa sindacale”), segue un altro incidentale colpo del Destino. Sul posto di lavoro alla Sit-Siemens, nel corso del 1968, Moretti alFimprovviso, come folgorato sulla via di Damasco, prende miracolosamente coscienza, in chiave sindacale, della sua dimensione tecnico-impiegatizia. E per combinazione si tratta di una concezione sindacale antiunitaria e anticomunista, “a sinistra” della Cgil. [...] Insomma, all’impiegato-tecnico Moretti un imprecisato giorno del 1968, grazie a un gruppo di scalmanati operai-operai, sarebbe scattata nella testa "una molla" capace di renderlo consapevole di essere "una parcella del ciclo". Un vero sortilegio, dal momento che fino ad allora nella testa del futuro capo brigatista c ’erano “molle compresse” di tipo clericale e reazionario. Il fatto certo è che Moretti prende la tessera della Fim-Cisl (il sindacato cattolico), e si mette a fare "il primo lavoro politico fra i tecnici". [...] In effetti nella primavera 1968 alla Sit-Siemens nasce il Gruppo di studio impiegati (Gsi), originato dalla necessità, per impiegati e tecnici, di migliorare le proprie condizioni (dopo il declassamento patito in conseguenza dell’evoluzione tecnologica), e di superare la frustrazione professionale in un periodo di crescita tumultuosa dell’azienda, specializzata in un settore in forte espansione. Nell’autunno del 1968 l’assemblea impiegati-tecnici elabora alcune rivendicazioni e apre una vertenza sindacale, che il Gruppo di studio gestisce con il supporto ufficioso dei sindacati: FIOM, FIM e UILM riconoscono la specificità e la autonomia del nuovo organismo in quanto formato anche da lavoratori non iscritti, o diffidenti, o addirittura ostili alle organizzazioni sindacali. [...] La direzione della Sit-Siemens a tutta prima rifiuta di prendere in considerazione qualsiasi rivendicazione dei “colletti bianchi”, e ciò provoca un primo sciopero (cui aderisce il 90 per cento degli impiegati e tecnici); seguono altri scioperi, fino alla primavera del 1969, con punte di partecipazione del 98 per cento, per cui la controparte è costretta a trattare. Un altro tecnico del Gsi, Rossano Gelosini, oggi ricorda: "Quando finalmente la direzione dell’azienda accettò di discutere le nostre rivendicazioni e si fissò rincontro, Moretti si preoccupò di correre a casa per mettersi la giacca e la cravatta, in modo da presentarsi davanti ai rappresentanti padronali con elegante deferenza". Nella fase finale della vertenza tecnico-impiegatizia maturano una serie di rivendicazioni che riguardano le maestranze operaie. È l’occasione per unificare le due lotte, e a questo scopo viene indetta un’assemblea comune al Palalido; ma mentre la FIOM-CGIL sostiene l’unificazione, la FIM-CISL è contraria. Moretti e gli altri sindacalisti cislini del Gruppo di studio si impegnano a contrastare l’unificazione delle due vertenze, alimentando la tradizionale divisione fra impiegati e operai, e rinfocolando le contrapposte tendenze corporative. Ricorda Alfredo Novarini [membro del "Gruppo di Studio" di Moretti, ndr[10]]: "Moretti, che da anticomunista non perdeva mai l’occasione di manifestare la sua ostilità verso la CGIL, si adoperava per dividere il sindacato, per fomentare contrasti tra la CISL e la CGIL". La direzione aziendale approfitta delle divisioni avanzando offerte separate a impiegati-tecnici e operai, in modo da favorire la divaricazione. Così la proposta dell’unificazione naufraga, e le due vertenze si concludono separatamente. Finita la lotta ri vendicativa dei tenici-impiegati, il Gsi si scioglie. Il suo ultimo atto è la presentazione unitaria dei candidati impiegati-tecnici alla elezione della Commissione interna, che si svolge nella tarda primavera del 1969. Moretti, candidato nelle liste della FIM-CISL, non viene eletto; vengono invece eletti i due leader cislini Ivano Prati e Gaio Di Silvestro. Novarini, eletto delegato nella lista della Fiom-Cgil, oggi ricorda: "Moretti era finito nella CISL perché nella FIOM-CGIL c’erano i comunisti che lui odiava, e non venne eletto nella Commissione interna semplicemente perché era il meno brillante dei tre della CISL - non aveva certo la stoffa del leader"[11]

Tale Novarini, del periodo da "sindacalista" di Moretti, ha riportato a Flamigni questa testimonianza:

«Il Gsi convocava le assemblee degli impiegati e tecnici e ne elaborava le rivendicazioni; inoltre teneva i rapporti con gli altri gruppi di studio che stavano formandosi in altre aziende milanesi. Quel Gruppo di studio impiegati lo si potrebbe più correttamente definire un organismo “pre-sindacale”. Al suo interno, io e altri compagni rappresentavamo la FIOM-CGIL; Mario Moretti, Gaio Di Silvestro e Ivano Prati la FIM-CISL. Il Moretti, al pari degli altri, era molto impegnato in questa vertenza e partecipava attivamente alle assemblee dei lavoratori. Quelle assemblee non si svolgevano mai nelle sedi sindacali, perché - insistevano i tre della FIM-CISL - non bisognava dare l’impressione di essere troppo legati ai sindacati. All’interno del Gsi già emergevano due orientamenti: il primo intendeva collegare la vertenza alle più generali problematiche degli operai e del sindacato; la seconda, al contrario, voleva isolarla, sganciarla completamente da qualunque contesto sindacale-operaio. Moretti, che era schierato con questa seconda posizione, durante le assemblee non parlava molto, ma quando interveniva gli piaceva dire e ripetere frasi roboanti del tipo: “Rendiamoci conto che in Italia siamo ancora in una fase di paleonto-capitalismo”... Erano paroioni che sembravano frasi fatte, e a volte avevo l’impressione che Moretti le ripetesse come recitando una parte. Nel terzetto FIM-CISL Moretti non era certo il leader[12]

Da queste prove si evince quindi che il futuro "proletario" rapitore di Moro aveva appreso ben benino le sue tecniche di infiltrazione e di larping ante litteram quasi sicuramente dal suo co-inquilino Cavallo, in questo "veterano" in quanto ex provocatore trotskista per la Gestapo, ex infiltrato CIA nel PCI e poi provocatore "sindacale" per la FIAT. Questo dimostra, però, la sola "invalidità" di Moretti. Per quanto riguarda gli altri brigatisti, invece? Riporta ancora Flamigni, in merito ai contatti di Moretti con i suoi futuri colleghi terroristi:

«Una seconda scissione all'interno del Gruppo di studio operai-impiegati si consuma in autunno, quando il terzetto Di Silvestro-Prati-Moretti aderisce al raggruppamento extrasindacale Collettivo Politico Metropolitano [organizzazione "embrione" delle Brigate Rosse, ndr]; altri attivisti del Gso-i, in dissenso, confluiscono nell’organizzazione extraparlamentare Avanguardia Operaia [anch'essa, come si vede più avanti, organizzazione infiltrata e frutto indiretto di GLADIO, ndr]. Subito dopo le lotte e il rinnovo contrattuale dell’autunno 1969, la maggioranza del Gruppo di studio approva il nuovo contratto che chiude la vertenza, respingendo la tesi estremistica ("accordo bidone sulla pelle dei lavoratori") sostenuta da Moretti e dalla componente del CPM. I contrasti seguiti alla ratifica del contratto riducono ulteriormente il Gruppo: «E una costante della sua breve storia: più venivano scomparendo le ragioni originarie della sua esistenza e si restringeva la sua base di massa, più si dilatavano le tendenze avanguardistiche. Una contraddizione che, in breve, decreterà la sua fine: dopo qualche mese infatti il Gruppo si scioglie". Tra i capetti del Gso-i, oltre alla triade cislina Di Silvestro-Prati-Moretti, ci sono Corrado Alunni, Pierluigi Zuffada, Umberto Farioli: in tempi diversi, aderiranno poi tutti alle Br. [...] Moretti racconterà che "all’inizio il CPM non si presenta neanche come un gruppo - non ha una linea precisa - ma come un luogo di ricerca d’una piattaforma capace di mettere insieme soggetti diversi come gli operai della Pirelli, i tecnici della Ibm e della Siemens, e chi stava nei collettivi lavoratori-studenti. Gli animatori del Cpm sono Simioni e Curcio". Gli “animatori” del Cpm sono due personaggi del tutto estranei alla realtà della fabbrica, e guidano il Cpm in aperta e dichiarata contrapposizione alle organizzazioni sindacali della classe operaia, a tutta prima per tentare di egemonizzare e pilotare le lotte autonome di base alTinterno delle fabbriche. Ma chi sono, Corrado Simioni e Renato Curcio? Del veneto Simioni si sa poco. Nato a Dolo (Venezia) nel 1934, di famiglia borghese, personaggio colto e carismatico, a metà degli anni Cinquanta si era iscritto alla Federazione milanese del PSI, e aveva aderito alla corrente anticomunista (autonomista) del partito diventando amico del giovane dirigente Bettino Craxi. All’inizio degli anni Sessanta aveva sperimentato la vita comunitaria, e nel 1964 era stato espulso dal Psi per “indegnità morale”: "Ufficialmente l’allontanamento fu motivato dalla sua vita irregolare nelle 'comuni', da storie di donne; in realtà Simioni si bruciò con le sue manovre, con le provocazioni nelle assemblee, con le lettere che contenevano piani per rovesciare gli equilibri di allora". Cacciato dal Psi, Simioni per un certo periodo aveva lavorato per l ’Usis (United States Infor mation Service)[13], poi aveva trascorso un biennio a Monaco di Baviera dedicandosi fra l’altro a studi di Teologia, quindi era tornato a Milano facendo il consulente per la Mondadori. Alla vigilia del Sessantotto aveva fondato e diretto un non meglio definito Cip-Centro informazione politica (con sede in corso Italia, a Milano), al quale avevano poi aderito anche Renato Curcio, Duccio Berio, Franco Troiano, Sandro D’Alessandro e altri. Il Cip era strutturato su un doppio livello, uno ufficiale e uno riservato: una doppiezza adottata poi anche nel Cpm. Nel 1969-70 Simioni è il capo del Cpm, e vi svolge un’attività riservata, mentre il leader “pubblico” è il numero due Curcio. Secondo la Commissione controinformazione di Avanguardia operaia, Simioni ha collegamenti con l'intelligence statunitense, e sarebbe stato addestrato dalla Cia in Francia; secondo Lotta continua, sarebbe un informatore della Polizia. Una lista di presunti agenti della Cia attivi in Italia, comprendente il nome di “Simioni Corrado”, perverrà in forma anonima alla redazione del quotidiano “Lotta continua”. Nato in provincia di Roma nel 1941, figlio di una ragazza-madre, Renato Curcio ha avuto una gioventù avventurosa: "Ho vissuto per un anno e mezzo nei bassifondi [di Genova], con i ladri, le puttane, i truffatori. All’inizio dormivo sulle panchine o alla stazione Principe. Poi mi sono legato di amicizia con un ragazzo alcolizzato [...] e vivevo con lui: dormendo di giorno e sveglio di notte, e facendo lavori sull’orlo della legge... Mi sono spinto anche su altri bordi: l’alcolismo, gli psicofarmaci". Ha studiato a Albenga (Savona) diplomandosi perito chimico, e ha militato dapprima in “Giovane nazione”, quindi in “Giovane Europa”, due minuscole organizzazioni di estrema destra[14]. Nel 1962 si è trasferito a Trento, e presso la facoltà di Sociologia ha formato il gruppo della “Università negativa” (con Mauro Rostagno, Marco Boato, Duccio Berio, Mara Cagol, Vanni Mulinaris e altri). Nell’estate del 1967, a Verona, ha fatto parte del comitato di redazione della rivista “Lavoro politico”, quindi - come la maggior parte dei militanti di Giovane Europa - ha aderito al Partito comunista d’Italia marxista leninista (linea rossa), di orientamento maoista, ma alla fine del 1968 ne è stato espulso. Nel 1969 Curcio si è trasferito a Milano, e insieme all’amico Simioni (che ha conosciuto non si sa dove né quando) ha fondato il Cpm, nel cui ambito svolge l’attività “pubblica”, speculare a quella occulta svolta da Simioni[15][16]

Bibliografia

Note

    1. Secchia,1943
    2. Bordiga, il leninista che sperava nell’Asse
    3. Flamigni, 2004, p.18,19-21
    4. Ibidem, p.256
    5. Ibidem, p.7-8, 9-11
    6. Ibidem, p.11-12,13,14
    7. Ibidem, p.14-17
    8. Ibidem, p.17-18
    9. Ibidem, p.18-19
    10. Riguardo questo tale Alfredo Novarini, che ha testimoniato direttamente a Flamigni nell'agosto del 2003, egli ebbe da dire nello specifico all'autore, in merito alla "scoperta" della presenza di Moretti nelle Brigate Rosse: «Quando i giornali cominciarono a scrivere di Moretti come del capo delle Brigate rosse, tutti noi che lo avevamo conosciuto in fabbrica eravamo increduli: se uno come lui era diventato il capo, chissà cos’erano gli altri brigatisti!», Flamigni, 2004, p.25
    11. Ibidem, p.22-23,24,25,26
    12. Ibidem, p.25
    13. «Nel 1965, dopo essere stato espulso per indegnità morale dal Psi, Simioni collaborò con l'Usis occupandosi di attività culturali. In quel periodo, c’è da dire, l’Usis aveva pianificato una serie di operazioni psicologiche attraverso le quali si sarebbe dovuto ridimensionare il ruolo del Partito comunista e rafforzare il sentimento filoatlantico dell’opinione pubblica. Uno dei passaggi principali di questa strategia sarebbe dovuto consistere in un dialogo serrato con esponenti socialisti, i quali avrebbero dovuto essere “occidentalizzati”, fino a rompere con la tradizione marxista»; Gianni Cipriani, Lo Stato invisibile. Storia dello spionaggio in Italia dal dopoguerra a oggi, Sperling & Kupfer 2002, pag. 150., citato in Ibidem, p.29
    14. La giovanile militanza di Curcio nella destra radicale emergerà solo nel 1992, quando verranno resi pubblici i rapporti intercorsi fra Giovane Europa e l’estrema sinistra maoista, e risulterà evidente come tali rapporti avessero portato quadri dell’organizzazione nei ranghi delle Br, «e al più alto livello». Così si saprà anche di Curcio: «Il capo storico delle Br non ha iniziato la sua carriera politica a Trento nel 1967, come credono i suoi biografi, ma molto prima in Giovane nazione, poi in Giovane Europa. Nel numero 4 della rivista “Giovane nazione” troviamo menzione della nomina del compagno Renato Curcio a capo della sezione di Albenga. Nel numero 5 dello stesso periodico si segnala il suo zelo di militante. Giovane nazione servirà come trampolino di lancio per la creazione della rete italiana di Jeune Europe, dove militerà Curcio. [Non molto più tardi] raggiungerà i ranghi del “Movimento studentesco”. È in Giovane Europa che imparerà le virtù dell’organizzazione e della centralizzazione leninista. È lì che studierà le teorie della guerra partigiana e il concetto di “Brigate” politico-militari»; Jean Lue, Giovane Europa, Barbarossa 1992, pagg. 46-47, citato in Ibidem, p.30
    15. Commenta Flamigni nella pagina originale del suo testo: «Dunque, nel caso di Renato Curcio, prossimo fondatore-ideologo delle Brigate rosse, la tesi del cosiddetto "album di famiglia" del comunismo - tesi elaborata dalla giornalista Rossana Rossanda per collocarvi le radici delle Br - è una sciocchezza. Idem per quanto riguarda l’anticomunista Corrado Simioni, alle origini delle Br ambiguo propugnatore della lotta armata.», p.30
    16. Ibidem, p.27-30