Brigate Rosse

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Brigate Rosse
Periodo di attività 1970-1988; 1999-2003
Paese Repubblica Italiana
Tipo Organizzazione Terroristica
Contesto Anni di piombo
Ideologia politica
  • "Marxismo-Leninismo" (autodichiarati)
  • Anarchismo
  • Spontaneismo
  • Trotskismo (di fatto)
  • Terrorismo Individualista
Abbreviazione BR

Le Brigate Rosse furono un'organizzazione armata di tipo terroristico, attiva in Italia dal 1970 al 1988, e poi dal 1999 al 2003, autoproclamatasi "marxista-leninista" e "comunista", ma che, nei nomi, nelle azioni e nella retorica, è stata tutt'altro. Lo scopo di questa voce, forte delle fonti a disposizione, è di dimostrare che tale organizzazione, tutt'altro che un organismo dedito alla "lotta armata", o ancora una "risposta" al "terrorismo nero" di organizzazioni come Ordine Nuovo, altro non è stata che un'operazione psicologica, principalmente, il cui intento era di screditare e sfavorire non solo il PCI revisionista e impedire un "governo di unità nazionale", ma anche il comunismo tutto nel nostro paese, intento in cui i suoi "militanti" (in buona parte) riuscirono.

Premessa: infiltrazione dell'estrema destra "a sinistra" ai tempi della Resistenza

Per poter comprendere la genesi dell'ultrasinistra extraparlamentare degli anni 60 e 70 è necessario fare un passo indietro e analizzare le ultime fasi della Seconda Guerra Mondiale e della Resistenza in Italia. Mentre il PCI, non ancora degenerato e divenuto revisionista, lottava e guidava i partigiani contro i collaborazionisti fascisti e le forze militari tedesche, diverse formazioni "di sinistra" spuntarono come funghi, pubblicando diversi opuscoletti di critica e di forte attacco alla guerra partigiana e al PCI. Già nel dicembre del 1943 il PCI, per tramite di Pietro Secchia in un comunicato sul giornale clandestino del partito, La Nostra Lotta, in cui avvisava i partigiani, gli operai e i militanti del PCI della vera natura di questi opuscoli di ispirazione trotskista e della sinistra comunista bordighiana[1].

Come è già stato approfondito in altre voci di questa enciclopedia, le opposizioni "a sinistra" della linea del PCUS, dell'Unione Sovietica e del Comintern nell'epoca immediatamente precedente alla Seconda Guerra Mondiale, e in taluni casi anche durante essa, hanno cooperato, "tatticamente" o meno, con le forze nazi-fasciste pur di andare contro l'Unione Sovietica e il socialismo "degenerato" perché pragmatico anziché perfettamente corrispondente alle infantili utopie dei trotskisti e della "sinistra" di Bordiga. Quest'ultimo, come ammesso anche dai media mainstream borghesi e capitalisti, pur non "collaborando" tatticamente è rispauto che si augurasse. tuttavia, la vittoria della Germania e dei suoi alleati nella guerra[2]. Ma cosa ha questo a che vedere con l'ultrasinistra degli anni 70 e con le Brigate Rosse? L'organizzazione "Stella Rossa", definita da Pietro Secchia una quinta colonna trotskista, e i cui pamphlet ci sono oggi reminiscenti delle miriadi di analoghi pamphlet delle miriadi di "collettivi" sedicenti "comunisti", di ispiazione anarcoide e trotskista, contro il "campismo" e il progresso storico dell'alternativa multipolare, aveva a capo un uomo, tale Luigi Cavallo (di cui, curiosamente, non esistono fotografie e non sono reperibili da nessuna parte).

Sergio Flamigni, giornalista ed ex parlamentare nelle commissioni d'inchiesta sulla P2, sulla mafia e sul terrorismo per il PCI, parlava del ruolo di Luigi Cavallo, ex comunista diventato provocatore anticomunista e collaboratore del colonnello Renzo Rocca del SIFAR, in una "guerra psicologica" contro il comunismo in Italia a partire dagli anni Cinquanta. Cavallo, che aveva avuto un passato come partigiano e giornalista per "l'Unità", successivamente si allineò con forze anticomuniste, lavorando per la Fiat come agente antisindacale. Utilizzava tattiche sofisticate, come la propaganda mascherata da sinistra, per attaccare il PCI e la CGIL, fomentando divisioni all'interno del movimento operaio. Cavallo fu coinvolto anche nei disordini di piazza Statuto del 1962, considerati una prova della "strategia della tensione" usata per destabilizzare i movimenti di sinistra[3].

Quindi la nascita della cosiddetta "sinistra extraparlamentare italiana" è da considerarsi avvenuta non negli anni 60, ma nei primi anni 40, durante la Resistenza. Sergio Flamigni riporta nel suo libro che anche il Generale dei Carabinieri ed ex-partigiano Carlo Alberto Dalla Chiesa aveva gli stessi dubbi. Dalla Chiesa sospettava che questa strategia avesse legami con il periodo della Resistenza e che il terrorismo brigatista fosse ambiguo, con possibili infiltrazioni. Il colonnello Nicolò Bozzo, braccio destro di Dalla Chiesa, testimonia che il generale riteneva che l'organizzazione "Franchi" di Edgardo Sogno fosse coinvolta. Dalla Chiesa ipotizzava l'esistenza di una struttura segreta paramilitare, originariamente creata con funzioni difensive antinvasione, ma che si sarebbe poi trasformata in una forza illegale per stabilizzare l'ordine interno, con legami tra destra eversiva, criminalità, massoneria e settori deviati dei servizi segreti[4].

Nascita delle BR e cenni biografici sui principali componenti

Mario Moretti, "capo" delle Brigate Rosse e rapitore-esecutore di Aldo Moro
Renato Curcio, uno dei principali fondatori delle Brigate Rosse
Corrado Simioni (primo da sinistra) insieme all'Abbé Pierre (al centro) mentre incontra il papa Wojtyła, nell'unica foto reperibile di lui

Per comprendere l'origine delle "Brigate Rosse", è essenziale esaminare le figure chiave come Mario Moretti. Nonostante abbia cercato di presentarsi come proletario e comunista, la realtà, secondo la ricostruzione effettuata da Sergio Flamigni, per tramite di interviste condotte dallo stesso a suoi ex conoscenti, è diversa: Moretti proveniva da una famiglia piccolo-borghese con legami fascisti e cattolici. Frequentò scuole religiose, con la sua istruzione finanziata dalla nobile famiglia Casati Stampa, noti per la loro vicinanza alla destra liberale[5][6].

Moretti viene descritto dal rettore, dalle insegnanti e dai compagni di classe come introverso e scontroso, senza tratti ribelli, e durante gli studi difendeva il regime fascista[6]. Dopo il diploma nel 1966, si trasferì a Milano, dove mantenne posizioni neofasciste e cattoliche. Grazie al sostegno della marchesa Anna Casati Stampa, ottenne un impiego alla Sit-Siemens e proseguì gli studi all'Università Cattolica del Sacro Cuore, mantenendosi estraneo alle agitazioni politiche dell'epoca, con un atteggiamento reazionario verso il Movimento studentesco[7].

Negli anni '60, l'Italia vive un periodo turbolento con l'avvento dei governi di centrosinistra DC-PSI e la misteriosa morte del colonnello del SIFAR Rocca, collaboratore della CIA e coinvolto nell'Operazione Gladio. Si sospetta che Rocca sia stato vittima di un regolamento di conti tra i servizi segreti deviati[8]. Mario Moretti, collegato a questi ambienti attraverso il probabile inquilino Luigi Cavallo in Via Gallarate 131[9], sviluppa una coscienza sindacale durante il suo lavoro alla Sit-Siemens, assumendo posizioni antiunitarie e anticomuniste. Moretti fonda il Gruppo di Studio Impiegati (GSI) ma si oppone all'unificazione delle lotte tra operai e impiegati, creando divisioni tra CGIL e CISL. Nonostante il suo impegno, non viene eletto nella Commissione interna e viene descritto come poco carismatico e ostile ai comunisti[10][11][12].

Dal materiale analizzato finora si evince, dunque, che il futuro "proletario" rapitore di Moro aveva appreso ben benino le sue tecniche di infiltrazione e di larping ante litteram quasi sicuramente dal suo co-inquilino Cavallo, in questo "veterano" in quanto ex provocatore trotskista per la Gestapo, ex infiltrato della CIA nel PCI e successivamente provocatore "sindacale" per la FIAT.

Flamigni descrive la scissione del Gruppo di Studio Operai-Impiegati (GSO-I) nel 1969, quando Mario Moretti e altri si uniscono al Collettivo Politico Metropolitano (CPM), precursore delle Brigate Rosse, mentre altri confluiscono in Avanguardia Operaia. Il CPM, guidato da Corrado Simioni e Renato Curcio, si opponeva ai sindacati tradizionali e cercava di organizzare lotte autonome. Flamigni evidenzia come queste dinamiche abbiano portato allo scioglimento del GSO-I[13][14][15][16].

Il CPM, descritto come una setta, perseguiva l'idea di "comuni dell'amore libero"[17]. Tuttavia, la comune di Moretti, molto diversa dall'immaginario hippy, era caratterizzata da rituali religiosi e una gestione moralista[18][19]. Durante l'autunno caldo del 1969, le proteste operaie si intrecciano con la contestazione studentesca, e l'ultrasinistra si trova infiltrata da provocatori e neofascisti. In questo contesto, Luigi Cavallo lancia "Iniziativa sindacale", un progetto che usa infiltrazione e propaganda per manipolare i sindacati, evidenziando le complesse relazioni tra politica e criminalità nell'Italia dell'epoca[20].

Nello stesso periodo avviene una specie di "congresso fondativo" delle future Brigate Rosse, nell'albergo Stella Maris di Chiavari, vicino Genova, nel mezzo di una riunione delle principali organizzazioni di ultrasinistra[21]. Di questo congresso un collega, sindacalista e membro della comune di Stuparich, tale Antonio Saporiti, sostenne che, sebbene si sia discusso di lotta armata, questo non era un tema centrale per lui, ricordando invece attacchi violenti contro i sindacati e descrive il dibattito come confusionario e privo di chiarezza, definendolo una "gran babele" di idee rivoluzionarie[22].

Il Collettivo Politico Metropolitano (CPM), si mostra da subito estraneo alla classe operaia. Nel dicembre 1969, la strage di Piazza Fontana segna l'inizio degli "Anni di piombo", favorendo un clima di repressione e terrore. Questo evento pare mirasse a spingere l'ultrasinistra verso la clandestinità, trasformandola in movimenti terroristici per screditare i comunisti. Giangiacomo Feltrinelli, fondatore dei GAP, entra in clandestinità nel 1970, ma muore nel 1972, probabilmente eliminato perché sfuggito al controllo di Gladio[23]. Nel medesimo periodo Moretti diventa padre, e abbandona il CPM e la comune di piazza Stuparich per trasferirsi con la moglie e il figlio in Via delle Ande n15, una località più vicina all'indirizzo di Via Gallarate 151, dove, tra l'altro, abitavano il capo dell'Ufficio Politico della Questura di Milano, Antonino Allegra, al n16, e un certo Roberto Dotti, al n5, ex "comunista", anch'egli infiltrato nel PCI come Cavallo, e collaboratore insieme a lui per Pace e Libertà, l'organizzazione anticomunista del Conte Edgardo Sogno, ex ambasciatore per l'Italia in Birmania e uomo ossessionato dalla minaccia del "cattocomunismo". Lo stesso conte Sogno nel 2000 confessò che utilizzavano delle tecniche infiltratorie per indebolire il PCI dall'interno e rivela che Piero Rachetto, un socialista e partigiano della Val di Susa, aveva aiutato Dotti a fuggire a Praga e lo aveva consigliato come sostituto di Cavallo[24].

Dotti entrò in contatto tramite Simioni con Mara Cagol, la moglie di Curcio. Di questo ce ne parla l'ex BR Franceschini descrive un incontro organizzato da Simioni nel 1970 tra Mara e Dotti alla Terrazza Martini. Simioni disse a Mara che Dotti era una figura di grande fiducia a cui potevano rivolgersi per qualsiasi problema, inclusi i finanziamenti o altre necessità. Dotti era anche responsabile della gestione delle schede biografiche degli arruolati in una struttura clandestina chiamata "Zie rosse", che Mara doveva consegnargli. Dotti raccontò di essere stato un partigiano comunista ed ex collaboratore de "l'Unità", costretto a fuggire a Praga dopo essere stato accusato di aver ucciso un dirigente della Fiat, e che non si era più iscritto al PCI per disaccordi con la linea politica di Togliatti.[25].

La tesi degli "opposti estremismi" viene validata nell'opinione pubblica italiana da parte della CIA e dell'enorme apparato atlantista in Italia, che sia con organizzazioni di estrema destra che di estrema "sinistra" provoca una costante destabilizzazione del paese e una forte "polarizzazione" politica. È necessario notare che in questa "polarizzazione" è totalmente esclusa la classe operaia, e solo un (relativo) pugno di individui costituisce la vera e propria massa di "lottatori armati" e terroristi. Tutto ciò altro non è che l'effetto della "manovra a tenaglia" ideata e attuata dal conte Sogno: il PCI va attaccato, sia da destra, con l'eversione neofascista, che da "sinistra", con l'eversione di diversi gruppi "rivoluzionari". Del conte Sogno ne traccia una breve biografia Flamigni:

«Nato a Torino nel 1915, scuole inferiori presso i Gesuiti, maturità classica, nel 1933 Sogno era entrato volontario nella Scuola ufficiali di cavalleria. Nel 1937, conseguita la laurea in Giurisprudenza, aveva frequentato a Roma le lezioni dell’ambasciatore Sergio Fenoaltea per entrare in diplomazia, ma senza successo. Monarchico e liberale, accesamente anticomunista, nell’estate del 1938 aveva combattuto come volontario in Spagna dalla parte dei franchisti insieme ai nazifascisti. Nel 1940 aveva conseguito a Torino due lauree, in Lettere e Scienze politiche, ma un secondo tentativo di entrare in diplomazia non aveva avuto successo. Nell’agosto del 1942 aveva chiesto di essere arruolato nel Savoia cavalleria in partenza per il fronte russo, ma era stato mandato come sottotenente a Nizza nel Nizza cavalleria. All’inizio del 1943 si era schierato con gli Alleati, era stato arrestato per alto tradimento, e alla caduta del fascismo (25 luglio 1943) era tornato in libertà e aveva preso parte alla Resistenza. Nel gennaio 1944 Sogno era entrato, come rappresentante del PLI, nel CLN del Piemonte, e aveva assunto il nome di battaglia “Franchi”; conosciuto in Svizzera John McCaffery, il capo della Special force britannica per l’Europa, aveva organizzato la brigata Franchi, struttura clandestina che svolgeva un’intensa attività militare e di intelligence. Nel luglio 1944, Sogno aveva avuto contatti a Roma con il ministro della Guerra Alessandro Casati Stampa di Soncino, dopodiché aveva ripreso la sua ardita attività politico-militare e di intelligence che gli varrà la medaglia d’oro al valor militare. All’inizio di febbraio 1945 era stato catturato dai tedeschi, e aveva evitato il plotone di esecuzione solo grazie all’intercessione di Alien W. Dulles, il capo dell’Oss-Office of strategie Services americano, presso il comandante delle SS in Italia, generale Karl Wolff, che stava trattando la resa. Membro della Consulta nazionale nel settembre 1945 in rappresentanza del PLI, lo stesso anno aveva ereditato dal PWB (l’organizzazione degli Alleati per la guerra psicologica) il quotidiano della sera “Corriere Lombardo”. Schierato coi monarchici nel referendum del 2 giugno 1946, Sogno all’inizio del 1947 aveva cominciato la carriera diplomatica: segretario d’ambasciata prima a Buenos Aires, poi, nel 1950, a Parigi. Su incarico del ministro dell'Interno Mario Scelba, aveva cominciato a organizzare formazioni paramilitari anticomuniste sotto la sigla “Atlantici d’Italia” (embrione della struttura paramilitare segreta della Nato Stay Behind-Gladio), e nell’ambito di questa sua attività segreta aveva seguito un corso di difesa psicologica presso il Nato Defence College di Parigi, dopo il quale - col sostegno dei ministri della Difesa Randolfo Pacciardi e Paolo Emilio Taviani - aveva organizzato un “Comitato italiano per la difesa psicologica” dal comunismo. Rientrato in Italia, alla fine del 1953 Sogno aveva fondato a Milano, con gli ex comunisti Luigi Cavallo e Roberto Dotti, l’organizzazione anticomunista Pace e Libertà (ispirata all’analoga “Paix et liberté” organizzata a Parigi dall’ex funzionario Nato Jean Paul David), la cui attività era finanziata dalla FIAT di Vittorio Vailetta, dal ministero dell'Interno, dalla Confindustria, dall’Usis-United States Information Service, e soprattutto dal capo della CIA Alien Dulles. Nel 1955, poiché la sigla Pace e libertà "si era logorata", Sogno aveva dato vita a un nuovo organismo anticomunista paramilitare e di intelligence, il “Comitato di difesa nazionale” comprensivo di un “Ufficio operazioni speciali”, "tutti nomi di copertura dati all’azione anticomunista, prima sostenuta dallo Stato, poi da Washington". All’attività del nuovo organismo collaborava l’ufficiale del Sifar Renzo Rocca, che alla fine del 1956 aveva accompagnato Sogno in missione nell’Ungheria invasa dalle truppe sovietiche. Alla fine del 1958, Sogno aveva ripreso la carriera diplomatica: prima console generale a Filadelfia, poi, dalla fine del 1959 al 1966, ministro-consigliere a Washington dei due amici-ambasciatori Manlio Brosio e Sergio Fenoaltea. Nel 1966 era stato nominato ambasciatore in Birmania, ma a partire dall’estate dell’anno dopo aveva avuto forti contrasti col presidente del Consiglio Aldo Moro e col ministro degli Esteri Amintore Fanfani per la loro politica filo-araba e per la freddezza del governo italiano di centro-sinistra verso l’intervento americano in Vietnam. Alla fine del 1969, postosi in aspettativa, Sogno era ritornato in Italia, preoccupato della situazione politica “minacciata” dalla crescente forza elettorale del Partito Comunista e da una DC ritenuta debole, imbelle e soprattutto troppo orientata a sinistra[26]

Secondo l'intuizione del Conte Sogno, la strategia più efficace per il suo anticomunismo (e quindi, visto il suo "curriculum", nazifascismo) più sfegatato era quella di un attacco da destra e "da sinistra", infiltrando le organizzazioni sindacali e i partiti, favorendo scissioni o inserendosi in nuove scissioni per favorire quelle tesi idealiste, astratte e di matrice anarco-trotskista che, se negli anni 30 avevano formato gruppi cospiratori e terroristi antisovietici in URSS, negli anni 60 e 70 dovevano formare gruppi anticomunisti, ostili all'Unione Sovietica e non solo, anche al PCI revisionista ormai su posizioni sempre più passivamente atlantiste. Cavallo possedeva un archivio pieno di carte contenenti segreti e punti deboli dei leader del PCI, sostenendo che facendo leva sulle contraddizioni e sui lati oscuri del partito, i militanti del PCI se ne sarebbero allontanati[27].

La fondazione delle BR

Nell'Agosto del 1970 avviene la riunione fondativa delle Brigate Rosse, il grosso del CPM si discioglie, e i membri "scelti" da Curcio e Simioni, incluso Moretti, entrano a far parte della nuova entità. Franceschini, di quel momento storico, ha poi ricordato che Simioni gli presentò una certa Sabina Longhi, stretta collaboratrice del segretario generale della NATO in quel momento, Manlio Brosio. Franceschini affermò che Simioni glielo fece presente quasi come a fargli notare che anche loro avevano i loro "infiltrati", ma i rapporti di forza chiaramente evidenti (le nascenti BR erano e sono sempre state quantitativamente un pugno di mosche), e la storia di Simioni, dimostrano quanto questo fosse in realtà il contrario, e quanto, quindi, le Brigate Rosse si fossero formate sin da subito all'ombra della NATO e del conte Sogno, collaboratore di Brosio. Nel medesimo momento il conte Sogno prepara il suo "golpe bianco", e avviene la strage dei Casati Stampa, un omicidio-suicidio della già citata marchesa da parte del marito in un raptus di gelosia, che determinerà il passaggio della villa di Arcore a Silvio Berlusconi per tramite di Cesare Previti[28]. Dopo il "congresso fondativo", a cui era assente, paradossalmente, solo Moretti, le BR iniziano ad essere operative, e, dopo una campagna inizialmente fallimentare da emuli dei gruppi di guerriglieri latinoamericani, in particolare dei Tupamaros Uruguayani (ritorna la natura da larper tipica dell'ultrasinistra), il cui unico "successo", a eccezion fatta di qualche rapina a tinte eroiche tipica più da personaggi dei fotoromanzi che non da rivoluzionari, è stato un raid ad una "base operativa" di Sogno in cui sono stati resi pubblici i documenti del tentato golpe bianco. Il 2 Maggio 1972 la polizia di Milano ha l'occasione di arrestare diversi membri dell'organizzazione terroristica, ma non il nucleo dirigente, composto da Moretti, Franceschini, Curcio e Cagol. La "fuga miracolosa", avvenuta in coincidenza con il possibile assassinio di Feltrinelli, è avvenuta secondo il già citato capo della polizia di Milano, Antonino Allegra, nel pomeriggio, lasciando quindi intendere che Moretti e il resto del nucleo delle Brigate Rosse, tutt'altro che "fortunati", scamparono perché informati da parti "deviate" dei servizi di polizia e dello stato; anche se lo stesso Allegra confessò che fu in parte a causa della "copertura mediatica" dell'operazione. In quel momento l'intero gruppo "dirigente" della banda armata terroristica era noto alle autorità, eppure sono riusciti a fuggire e a continuare ad agire per diversi anni, nel caso di Moretti, un decennio[29]. Uno dei catturati, tale Pisetta, ex "GAPino" seguace di Feltrinelli, viene liberato poco dopo e fatto espatriare, a dimostrazione della natura "permeabile" delle BR, eccessivamente esposte ad infiltrazioni da parte della polizia[30], ma ciononostante "irriducibili" almeno fino agli anni 80. A ulteriore dimostrazione della natura di utili idioti/collaboratori delle BR e dell'ultrasinistra tutta, il 17 maggio 1972 viene assassinato a Milano il commissario Luigi Calabresi, stretto collaboratore del capo dell’Ufficio politico della Questura Allegra, accusato da buona parte dell'ultrasinistra di essere responsabile della morte dell'anarchico Giuseppe Pinelli, indiziato durante le indagini per Piazza Fontana e morto dopo essere precipitato dalla finestra della Questura di Milano durante gli interrogatori. Per quanto in quel momento la morte non sia stata rivendicata da nessuno, ulteriori indagini hanno dimostrato la colpevolezza dell'allora capo di Lotta Continua Adriano Sofri (che, tra le tante cose, faceva uso della stessa tipografia, a Roma, usata anche dal fascista e sionista Giano Accame) come "mandante", e la morte fu presto cavalcata come utile pretesto dal Conte Sogno e dagli anticomunisti più accaniti[31]. Nello stesso periodo il "Superclan", l'agenzia terroristica parallela alle Brigate Rosse, guidata da Corrado Simioni, ha il suo apice di attività, e le altre organizzazioni "rivali" delle Brigate Rosse, come Potere Operaio e la già citata Lotta Continua, iniziano a discutere la possibilità di darsi anche loro alla clandestinità (e quindi al terrorismo)[32]. Il già menzionato Pisetta, da Monaco di Baviera, fa i nomi dell'intero nucleo "dirigente" dell'organizzazione terroristica Brigate Rosse, nominando persino Simioni e il suo collaboratore Mulinaris, oltre che quanti più nomi possibili di tutte le altre principali organizzazioni dell'ultrasinistra, tra cui Lotta Continua, Potere Operaio ed ex-GAP di Feltrinelli, ciononostante, tutte queste organizzazioni (in quanto intrinsecamente borghesi e legate al capitalismo, oltre che utili agli atlantisti e all'anticomunismo) hanno continuato ad agire relativamente indisturbate per il decennio a venire[33].

Episodio della "Stella di David", eterodirezioni e possibili connessioni con il Mossad

Foto del comunicato delle Brigate Rosse in merito al rapimento del dirigente Alfa Romeo Mincuzzi, con la stella "sbagliata" a decorazione del comunicato.

All'inizio del 1973, nelle Brigate Rosse (Br) si forma una Direzione strategica, una sorta di "parlamentino" che nomina un Comitato esecutivo composto da Curcio, Franceschini, Cagol e Moretti, il "governo" dell'organizzazione. Il 15 gennaio, un gruppo di brigatisti, tra cui l'informatore della polizia Francesco Marra, fa irruzione nella sede dell'UCID a Milano, suscitando scalpore nonostante l'azione sia incruenta. Il 19 gennaio, a Colonia si tiene una riunione segreta tra i servizi segreti della NATO, che discute l'infiltrazione nei gruppi eversivi di sinistra come le Br. Francesco D'Agostino, rappresentante italiano, afferma che l'estrema sinistra è più difficile da infiltrare rispetto all'estrema destra, poiché meno interessata al denaro. I servizi segreti puntano a infiltrare e strumentalizzare le formazioni sovversive, non solo per ottenere informazioni ma per dirigere le azioni di questi gruppi. In Italia, le Br sono ancora un piccolo fenomeno, ma gli apparati nazionali e internazionali mirano a trasformarle in una minaccia più grande per destabilizzare l'intero sistema politico[34].

L'organizzazione terroristica delle Brigate Rosse, lungi dall'essere "genuina" sin da subito, come è stato dimostrato più volte dalle fonti d'archivio, giornalistiche, di interviste e indagini, tra cui anche di commissioni parlamentari, tutte riportate da Flamigni, era quindi vista come un'"opportunità", da parte dei vertici atlantisti, per favorire i loro scopi e destabilizzare il paese Italia nello specifico. Nel medesimo periodo le autorità italiane confermano le informaizoni già menzionate dal Pisetta in merito ai "dirigenti" brigatisti, ma queste informazioni restano comodamente ignorate, di modo da permettere il continuato funzionamento dei terroristi e dei loro piani. Intanto la strategia della tensione prosegue, con la strage della questura di Milano, del 17 Maggio 1973, quando tale Gianfranco Bertoli, autoproclamato anarchico individualista, con provati legami con l'eversione neofascista e con l'entità sionista, in cui pare abbia soggiornato a lungo (ma ciononostante è ancora osannato da buona parte della comunità anarchica). Il XII Congresso della DC del 10 Giugno riapre i democristiani al centro-sinistra, e il 17 Giugno il conte Sogno a Firenze tiene un congresso in cui denuncia i suoi deliri in merito alla minaccia "cattocomunista" di una DC "troppo piegata a sinistra". Il 28 Giugno avviene il rapimento, da parte di un commando delle Brigate Rosse guidato da Mario Moretti, di un dirigente tecnico Alfa Romeo iscritto all'UCID, tale Ingegner Michele Mincuzzi. Viene fatta una fotografia con un cartello con i soliti slogan grotteschi, insieme all'individuo sequestrato, ma il simbolo ha una Stella di David al posto della stella a cinque punte simbolo dell'organizzazione terroristica[35]. Moretti ha affermato di aver usato un "pizzico di fantasia" nel suo disegno, ma secondo Franceschini in realtà tale simbolo poteva essere un "messaggio" per qualcuno. Secondo la sua testimonianza, nello stesso periodo, le BR avrebbero preso contatti con il Mossad, che aveva interesse alla continuata destabilizzazione della penisola per via delle politiche "filo-arabe" del governo italiano in quel momento.

Alfredo Bonavita, brigatista pentito, racconta che emissari dei servizi segreti israeliani proposero alle Brigate Rosse di fornire armi, finanziamenti, coperture e addestramento militare in cambio di un maggiore impegno delle Br nel destabilizzare la situazione politica italiana attraverso azioni più eclatanti. Gli israeliani giustificavano questa offerta con la necessità di ribaltare il sostegno politico-militare degli Stati Uniti all'Italia, che era vista come cruciale per il controllo del Mediterraneo. Destabilizzando l'Italia, speravano di rendere Israele un alleato più indispensabile per gli USA. La proposta fu fatta attraverso un professionista socialista di Milano, e nonostante il rifiuto delle Br, i servizi segreti israeliani promisero comunque di sostenere la lotta armata in Italia[36].

Per quanto la "testimonianza" di Franceschini vada presa molto con le molle (lo stesso si è contraddetto più volte, ritenendo ora Moretti un "infiltrato", ora un genuino "esaltato che si credeva Lenin"), essendo anch'egli un ex-terrorista che ha come primo interesse disinformare e portare acqua al proprio mulino, l'idea che le Brigate Rosse abbiano iniziato dei contatti con il Mossad in questo periodo, poi continuati nello "zenith" della sua massima attività, ossia i tardi anni 70 e primi anni 80, permetterebbe di comprendere meglio il funzionamento dell'organizzazione terroristica stessa e delle sue principali "concorrenti", come la già citata Lotta Continua o Prima Linea.

Il primo sequestro da parte delle Brigate Rosse

L'11 Settembre 1973 avviene il golpe di Pinochet in Cile, sovvenzionato dalla CIA e aiutato dal sabotaggio del governo socialista cileno da parte della stessa maggioranza di governo che aveva sostenuto Allende, in particolare i democristiani cileni. Ciononostante, il PCI di Berlinguer inizia ad adottare la linea del "compromesso storico" con l'illusione di poter entrare a far parte di un governo insieme alla DC. Questa vana illusione altro non farà che esacerbare le manovre "a tenaglia" contro il PCI; la destra missina e il gruppo di Sogno sono gli unici ad applaudire al golpe, mentre l'ultrasinistra (accertata nei precedenti paragrafi come costituita di infiltrati, e accertato che i fondatori delle BR stesse, come Curcio, Simioni e Moretti, sono stati sin da subito degli "infiltrati" da destra) approfitta dell'ulteriore "concessione" del PCI revisionista per incrementare la propria attività. Nonostante la linea moderata e sostanzialmente innocua per il "capitalismo di stato" della Prima Repubblica Italiana del PCI di Berlinguer, un partito "comunista" molto all'acqua di rose, i fanatici anticomunisti come Sogno diventano ancora più accaniti, in quanto ostili all'idea stessa di un partito comunista, seppure solo nominalmente, al governo[38]. A condividere l'idea di Sogno è anche Licio Gelli, gran maestro ("capo" ufficiale) della loggia massonica Propaganda 2, i cui veri capi (i servizi atlantisti, sionisti e imperialisti) non verranno mai scoperti, non nelle singole identità anagrafiche, perlomeno. Gelli, che aveva attuato un piano più "subdolo" rispetto a quello del suo ex commilitone Sogno (anche Gelli fu volontario in Spagna per i fascisti di Franco) per la trasformazione della "statica" Prima Repubblica Italiana tramite infiltrazione di giornali, partiti politici, forze dell'ordine, magistratura e istituzioni, afferma, in particolare, nei documenti del cosiddetto "Schema R", documento organizzativo del suo "piano di rinascita democratica" della P2, come viene riportato da Flamigni[39].

Lungi dall'essere una difesa a spada tratta del PCI, che anzi si dimostra ancora di più essere un partito con una dirigenza inetta e incapace di comprendere la realtà oggettiva, ossia l'impossibilità di un partito "comunista", seppur "moderato", di entrare al governo tramite "elezioni democratiche", la linea del "compromesso storico", la cui ostilità espressa dai brigatisti con comunicati sempre più estremisti e grotteschi, durante il rapimento nel Dicembre del 1973, a Torino, di un dirigente FIAT, tale Ettore Amelio, fa alzare il sopracciglio alle principali organizzazioni e partiti della sinistra italiana, dai più "moderati" PCI e PSI, passando per le organizzazioni sindacali come CGIL, CISL e UIL e per il giornale "comunista" vicino all'ultrasinistra anarco-trotskista del Manifesto (che invece, anni dopo, da miglior organo della borghesia quale è sempre stato e quale è tutt'oggi, ha proceduto a difendere la presunta "purezza rivoluzionaria" e "genuinità" dei terroristi). Flamigni riporta inoltre che sul quotidiano socialista Avanti! le BR vennero definite «una organizzazione di estrema destra» e ancora «elementi neofascisti il cui obiettivo principale sarebbe proprio quello della provocazione», mentre su L ’Unità viene scritto «Chi li paga?... È più che evidente che alle spalle di questa banda esiste una organizzazione interessata a certe operazioni squisitamente politiche» e su Il Manifesto viene definito Renato Curcio uno «specialista della tecnica dell’infiltrazione»[40].

Se eventuali difensori dei brigatisti/terroristi asseriscono che la maggior parte di questi attacchi provengono da fonti con pregiudiziali revisioniste, e quindi da scartare "a priori", in quanto le BR e altri gruppi affini sarebbero "nati come opposizione della "classe operaia" al revisionismo della sinistra italiana". Tali obiezioni si sciolgono come neve al sole se si considera che nel medesimo periodo, sia in Italia che all'estero, anche in ambito marxista-leninista le Brigate Rosse sono state etichettate come organizzazione "neofascista" e "terrorista". Ad esempio, Enver Hoxha, leader dell'Albania Socialista, forte critico del revisionismo sovietico kruscioviano e dell'eurocomunismo berlingueriano, afferma che, nonostante la Costituzione italiana garantisca diritti democratici, essa permette allo Stato, ai carabinieri e alla polizia di preparare un meccanismo pronto a instaurare un regime fascista. Secondo Hoxha, gruppi fascisti, estremisti di destra, le Brigate Rosse e i terroristi come quelli della strage di Piazza Fontana trovano giustificazione nella Costituzione italiana. Sottolinea che l'anarchismo, il terrorismo e il banditismo, in crescita nei paesi capitalisti e revisionisti, non hanno nulla a che fare con la rivoluzione. Piuttosto, questi gruppi vengono usati dalla reazione per preparare la dittatura fascista, impaurire la piccola borghesia e reprimere la classe operaia, mantenendola soggiogata al capitalismo. Hoxha critica questi gruppi che si mascherano sotto nomi come "proletari" o "comunisti", ma che non hanno nulla a che fare con il vero marxismo-leninismo o comunismo[41].

Anche il PMLI, piccolo partito politico italiano per molti versi contradditorio e controverso, ma non senza i suoi meriti, oltre che i suoi de-meriti, come più volte concluso in altre voci di questa enciclopedia, si espresse in modo contrario e risoluto contro le "Brigate Rosse", e il PMLI, in tutte le sue diverse contraddizioni, per certi versi "schizofreniche", ha sempre mantenuto come uno dei suoi pochi (meritevoli) tratti coerenti una forte opposizione, ideologica e pratica, al revisionismo e all'estremismo "sinistrista", che altro non sono che due facce della medesima medaglia[42].

Con queste due fonti abbastanza autorevoli in fatto di cosa possa definire o meno un marxista-leninista, vero, sedicente o presunto (al punto che viene anche citato Lenin stesso nella sua posizione in merito al terrorismo e all'individualismo), è già in buona parte dimostrata la totale estraneità dell'organizzazione terroristica delle sedicenti "Brigate Rosse" con il comunismo e con la "classe operaia" che coi suoi comunicati da bohemienne piccolo-borghesi, totalmente estranei ad essi, ha dichiarato più volte, falsamente e ipocritamente, di "sostenere" o addirittura di "difendere". Una "difesa" di (autoproclamati) "comunisti" che, come degli esaltati, hanno più volte, poi, attaccato sedi sindacali, sindacalisti e operai, contribuendo alla distruzione presso di essi della buona reputazione del comunismo. Il primo "sequestro" vero e proprio delle Brigate Rosse, dopo il "banco di prova" della vicenda di Amelio (che definirà l'esperienza, poco più di una settimana di cattura, come relativamente breve e indolore), avviene nell'anno 1974, ai danni del magistrato Mario Sossi, a Genova, giudice fortemente anticomunista nonché responsabile della condanna di molti membri dell'organizzazione XXII Ottobre, la già citata cricca infiltrata da elementi camorristi e neo-fascisti. Il clima dell'anno 1974 in Italia è molto teso: ennesimo rimpasto di governo del centrosinistra a guida democristiana, segue un altro governo ad egemonia democristiana insieme ai socialisti, il referendum per il divorzio è in corso, con i partiti di sinistra da un lato favorevoli al mantenimento della legge e i democristiani e la destra "conservatrice" contrari e per l'abrogazione della legge. In questo contesto, il rapimento di Sossi è chiaramente volto a portare la psiche della classe operaia italiana in particolare, e dell'opinione pubblica in genereale, a dei livelli ancora più estremi e tesi, di modo da avvicinarla sempre più ai partiti "centristi" o "moderati", come è stato già analizzato nelle fonti consultate poc'anzi. L'operazione è gestita dal "primo" nucleo dell'organizzazione, in particolare da Franceschini, Cagol e Curcio. Il 18 Aprile 1974 Sossi viene catturato mentre rincasa nella sua abitazione, portato su un furgone e chiuso in un sacco, e poi portato in una villa acquistata da Franceschini stesso (località molto "proletaria" dove allestire una "prigione del popolo") nella periferia di Tortona, nella provincia di Alessandria, in Piemonte. L'operazione avviene nella sera inoltrata, e i sequestratori riescono ad agire inspiegabilmente in modo indisturbato, nonostante il loro bersaglio sia un magistrato inviso ad un pubblico di esaltati, rapitori e pistolettatori particolarmente crudi e attivi[43]. Il gruppo terrorista rilascia poi il seguente comunicato:

«Mario Sossi era la pedina fondamentale dello scacchiere della controrivoluzione, un persecutore fanatico della classe operaia, del movimento degli studenti, dei commercianti, delle organizzazioni della sinistra in generale e della sinistra rivoluzionaria in particolare. Sossi verrà processato da un tribunale rivoluzionario. Sin da giovane, Sossi si è messo “a disposizione” dei fascisti presentandosi per ben due volte nella lista del Fuan [l’organizzazione degli studenti universitari neofascisti, ndr]. Divenuto magistrato, si schiera immediatamente con la corrente di estrema destra della magistratura. Compagni, entriamo in una fase nuova della guerra di classe, fase in cui il compito principale delle forze rivoluzionarie è quello di rompere l’accerchiamento delle lotte operaie estendendo la resistenza e l’iniziativa armata ai centri vitali dello stato. La classe operaia conquisterà il potere solo con la lotta armata! Contro il neogollismo, portare l’attacco al cuore dello stato! Trasformare la crisi di regime in lotta armata per il comunismo! Organizzare il potere proletario! Avvertiamo poliziotti, carabinieri e sbirri vari che il loro comportamento può aggravare la posizione del prigioniero[44]..»

Il "comunicato" è scritto con un linguaggio astratto, per certi versi roboante e altisonante, reminiscente degli opuscoli dei gruppi "a sinistra" dei partigiani attaccati da Secchia nel già citato documento clandestino del Dicembre 1943. La menzione alla "minaccia gollista", avvenuta tra l'altro in un momento di "crisi" per lo stesso Sogno, che si ritrova nelle sue proposte "golpiste" smentito dai suoi stessi commilitoni nella sua cricca, sembra invece fornire una giustificazione ideologica molto conveniente a quest'ultimo, e ai suoi compari, per le loro azioni, in un tempo molto sospetto. Di questo avviso pare sia convinta anche la sinistra, parlamentare e non, dei tempi del sequestro, sia Lotta Continua che il Manifesto definiscono il rapimento una "provocazione", a Genova vengono rilasciati sempre più ordini di dispacci di polizia e pattuglie, con un irrigidimento del controllo poliziesco, e i già citati movimenti dei servizi segreti "deviati", che con le loro pressioni fanno si che ogni volta che vengono arrestati uomini dei commando terroristici, questi vengano poi prontamente liberati, vengono menzionati da tale Federico Umberto D'Amato, capo dell'Ufficio Stampa degli Affari Riservati del Viminale, come il principale motivo della continuata attività terroristica. La vicenda del "sequestro Sossi" sembra una specie di "prova generale" del futuro sequestro Moro: viene rilasciato un comunicato "falso" delle Brigate Rosse, seguito poi da un comunicato "vero", il sequestrato collabora "contro ogni aspettativa", come avrebbe poi detto Franceschini, e avviene una accesa discussione tra Franceschini e Curcio da una parte, che vorrebbero liberare il magistrato, in quanto era ormai inutile trattenerlo ulteriormente, e Moretti, futuro sequestratore e poi assassino di Aldo Moro, che invece è più propenso ad uccidere Sossi[45]. Queste "divergenze", lungi dal dimostrare una "purezza rivoluzionaria" delle "prime BR", altro non sono che disaccordi dal semplice punto di vista pratico, e il fatto che tutti gli ex capi brigatisti si siano ritrovati, una volta terminate le vicende della "strategia della tensione", "tutti insieme appassionatamente" fuori dal carcere e tutti d'accordo su un'unica (falsa) "ricostruzione ufficiale", lo dimostra chiaramente, come viene ampiamente dimostrato nei successivi paragrafi. In contemporanea al sequestro di Sossi le BR attaccano sedi della DC e dell'organizzazione di Sogno, dimostrando ancora una volta il loro vero scopo di provocatori atti a favorire una frammentazione politica e uno spostamento dell'opinione pubblica in senso anticomunista e reazionario per semplice "paura" del banditismo. Lungi dal chiedere il sostegno dell'opinione pubblica, della "classe operaia" di cui si sono riempiti tanto la bocca nei loro "proclami" roboanti e astratti, i sequestratori richiedono in realtà uno "scambio di prigionieri", da verificarsi con l'intermediazione dei seguenti paesi: Cuba, Corea del Nord, Algeria[46]. Nessun diplomatico dei tre paesi citati ha mai effettivamente garantito per i brigatisti, a dimostrazione, ancora una volta, dell'estraneità di questi non solo nei confronti della classe operaia italiana, ma del movimento socialista e rivoluzionario internazionale. Di questo un "improbabile" menzione viene fatta dall'allora ministro dell'interno Taviani:

«Queste Brigate Rosse, spesso accostate ai Tupamaros, sono una cosa ben diversa. Laddove agiscono, i Tupamaros hanno aliquote consistenti di opinione pubblica favorevole. Invece i delinquenti delle BR non hanno nemmeno l’un per mille del popolo italiano che li favorisca o li sostenga: sono isolati dall’opinione pubblica, da tutti i partiti, e da qualsiasi grappo sociale. Sono come dei folli appestati. Come appestati si nascondono da tutti; come folli si gonfiano di megalomanìa[47]

Il 9 maggio, durante il sequestro del magistrato Sossi, avviene una rivolta nel carcere di Alessandria, in cui i detenuti prendono ostaggi chiedendo la libertà in cambio del loro rilascio. La rivolta viene repressa dal generale Dalla Chiesa, e 14 persone, inclusi 5 ostaggi, muoiono. Questo spinge sia Sossi che il brigatista Franceschini, a capo del sequestro, a collaborare per paura di un raid.

Sossi, temendo che lo Stato voglia usarlo come "martire" politico, collabora e viene proposto per uno scambio con i membri del gruppo terrorista XXII Ottobre, ma le autorità cubane rifiutano di aiutare e il procuratore Coco blocca il salvacondotto. Fallisce anche l'obiettivo di influenzare l'opinione pubblica dopo il referendum sul divorzio, che si conclude con il sostegno alla sinistra. I brigatisti decidono di liberare Sossi, che torna a Genova ma è considerato una "mina vagante" dalla stampa[48]. Sossi descrive i brigatisti come nemici leali ma fuori dalla realtà, e addirittura anticomunisti, poiché si oppongono al Partito Comunista[49].

Il gruppo terrorista non aveva certo il primato di "opposizione" al PCI revisionista (si pensi al PCd'I-ML dell'ex partigiano Fosco Dinucci), visto che con le sue azioni altro non ha fatto altro, oltre che dimostrarsi come una setta invisa, all'opinione pubblica e soprattutto a buona parte dei suoi "omologhi" co-ideologici (per quanto questi in futuro avrebbero cercato poi di "mitizzare" e "riabilitare" i terroristi), che favorire un maggiore supporto per il PCI di Berlinguer, come viene analizzato in seguito. Tra l'altro, la vicenda Sossi mostra molti tratti comuni con la successiva vicenda di Moro. Flamigni evidenzia le ambiguità emerse attorno al sequestro Sossi, nonostante la sua apparente chiarezza. Si scoprì che il generale Vito Miceli, capo del SID (Servizio segreto militare), aveva elaborato un piano per intervenire nel sequestro, il che implicava che sapesse dove Sossi era tenuto prigioniero. Miceli voleva non fermare i sequestratori, ma affiancarli, portando a un esito tragico: rapire e uccidere l’avvocato Giovambattista Lazagna e organizzare un'operazione in cui Sossi, i brigatisti e Lazagna sarebbero stati trovati morti. Questo piano non venne attuato per le obiezioni di alcuni ufficiali, ma dimostrava come settori dello Stato alimentassero il terrorismo per aumentare l’allarme sociale. Bonavita, brigatista pentito, testimoniò sul sequestro Sossi, ma evitò di citare Francesco Marra, un informatore della polizia, proteggendo così la sua identità. Il giudice Sossi, nel 1979, espresse la convinzione che la guerriglia rivoluzionaria in Italia fosse orchestrata da agenti segreti di potenze straniere[50].

La vicenda di "Frate Mitra" e l'arresto di parte del nucleo terroristico

Necrologio di Roberto Dotti, collaboratore di Sogno ed ex "comunista", pubblicato sul "Corriere della Sera" il 31 Ottobre 1971, uno dei documenti trovati dai brigatisti nel loro assalto alla sede di Milano dei Comitati di Resistenza Democratica di Sogno nel 1974.

Nel giugno 1974, i brigatisti scoprono di essere stati in contatto con Roberto Dotti, uomo legato al Conte Edgardo Sogno, tramite Simioni. Questo avviene durante un periodo di transizione sia per Sogno, il cui "golpe bianco" fallisce e viene liquidato insieme a Luigi Cavallo, sia per le Brigate Rosse, dove la linea più violenta di Moretti inizia a prevalere. La crescente brutalità delle loro operazioni, come l'assalto a una sede dell'MSI a Padova e l'uccisione di due membri, segna la trasformazione delle Brigate Rosse da un gruppo dimostrativo a una squadra di assassini politici.

Nel frattempo, il generale Dalla Chiesa, con l'aiuto di Silvano Girotto ("Frate Mitra"), organizza un'operazione per catturare i leader brigatisti. Girotto, veterano della guerriglia, riconosce che le azioni delle Brigate Rosse favoriscono il capitalismo e la repressione poliziesca. Dopo incontri pedinati dai carabinieri, una soffiata anonima avverte Moretti, portando all'arresto di Curcio e Franceschini. Franceschini accusa Moretti di aver orchestrato la fuga, forse con il supporto del Mossad o di ambienti interni al Viminale, con l'obiettivo di continuare le operazioni delle Brigate Rosse per screditare il comunismo e eliminare figure scomode.

Fatto sta che l'8 Settembre Girotto, con un pretesto, si allontana dai due capi BR Renato Curcio e Alberto Franceschini, e questi due vengono prontamente arrestati dai Carabinieri[51], i quali, pur tentando inizialmente di "coprire" Girotto, evidentemente non riescono nell'intento, e questi viene "attaccato" in un risibile comunicato dell'organizzazione terroristica, che lo accusa di essere un "agente al soldo dei servizi imperialisti e di anti-guerriglia". Le fonti a disposizione dimostrano quanto questa accusa sia ridicola, ancor di più visto che proviene dalla bocca di Mara Cagol, moglie di Renato Curcio e "capa" brigatista, che tramite Simioni fu in contatto con l'agente anticomunista Dotti. Il "Frate Mitra" accusa le Brigate Rosse di essere state colpite dallo Stato, proprio mentre proclamavano il loro attacco "al cuore dello Stato". Ammette apertamente di aver collaborato con i carabinieri per fermare le loro azioni, considerandole un pericolo per la classe lavoratrice. Secondo lui, le Brigate Rosse, con il loro comportamento irresponsabile e megalomane, stavano favorendo l’avanzata del fascismo. Afferma che le masse lavoratrici, che le Br pretendevano di rappresentare, in realtà le rifiutavano, e che la loro presenza nello scontro di classe era dannosa. La loro esistenza stava provocando la creazione di strumenti repressivi che, dopo la loro scomparsa, sarebbero stati usati dalla borghesia contro i lavoratori e le vere avanguardie. "Frate Mitra" sottolinea di non voler vedere il sangue operaio versato a causa delle azioni della piccola borghesia anarcoide, di cui le Br erano un esempio[52].

A dispetto delle giuste e condivisibili idee e propositi di Girotto, in realtà il sangue operaio continuò, purtroppo, a scorrere sulle bandiere di quella che lui ha definito "piccola borghesia anarcoide": nonostante i carabinieri avessero fotografato tutti e tre gli incontri, incluso quindi quello in cui era presente Moretti, identificato da uno dei carabinieri della squadra, la fotografia con Moretti presente era "sparita" misteriosamente dagli archivi delle forze dell'ordine, per riemergere solo anni dopo, per di più con degli evidenti tagli e possibili montaggi, come dimostrato dai negativi delle fotografie. L'operazione stessa è stata attuata in modo molto frettoloso e sospetto, e lo stesso Girotto ebbe da dichiarare anni dopo che, dopo un incontro con Curcio e Moretti nel 1974, propose al capitano dei carabinieri Gustavo Pignero un piano per arrestare tutti i membri delle Brigate Rosse, inclusi Moretti, semplicemente fingendo di unirsi a loro. Tuttavia, l'ordine di Dalla Chiesa fu di arrestare solo Curcio e Franceschini l'8 settembre, cosa che lasciò Girotto perplesso, facendogli pensare che qualcuno volesse proteggere i terroristi. Sostiene che, se si fosse agito diversamente, Moretti non sarebbe diventato una figura di spicco né avrebbe potuto orchestrare il sequestro Moro e la strage di via Fani.[53].

Secondo la ricostruzione del Flamigni, non è mai stato chiarito se l’arresto solo di Curcio e Franceschini a Pinerolo nel 1974 sia stato un errore del generale Dalla Chiesa o il risultato di ordini superiori, forse da parte di figure legate alla P2, come i generali Giovanbattista Palumbo e Enrico Mino, o dal ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani. Girotto, che aveva proposto un piano per catturare l’intero vertice delle Brigate Rosse, rimase con il dubbio che ci fosse stata una decisione presa sopra la sua testa. Episodi simili si erano già verificati nel 1972 a Milano, quando l’informatore Pisetta avrebbe potuto consentire l'arresto di tutto lo stato maggiore delle Br. In entrambe le occasioni, i vertici brigatisti riuscirono a sfuggire alla cattura, lasciando libero Mario Moretti, che poi prese il controllo delle Brigate Rosse[54].

Nell'estate del 1974, il piano di "golpe bianco" di Edgardo Sogno viene rimandato a causa di eventi come la strage dell'Italicus e lo scandalo Watergate, che indebolisce il sostegno di Nixon. Sogno viene incriminato, e si scoprono documenti che evidenziano un piano per sovvertire la Repubblica italiana in favore di una repubblica gollista. Le tensioni tra Sogno e il ministro dell'Interno Taviani ostacolano il golpe. Nel frattempo, le Brigate Rosse, guidate da Mara Cagol e Mario Moretti, sono divise sull'opportunità di organizzare un'operazione per liberare Curcio, arrestato. Nonostante Moretti fosse contrario, l'operazione riesce, e il gruppo emette un comunicato attaccando il PCI di Berlinguer.

Nonostante gli atti di terrorismo delle Brigate Rosse, inclusi rapimenti e gambizzazioni, il PCI di Berlinguer cresce elettoralmente nelle elezioni locali del 1975. Nel giugno 1975, un blitz dei carabinieri uccide Mara Cagol durante un'operazione mal riuscita delle Brigate Rosse. Curcio viene arrestato nel gennaio 1976, mentre Moretti continua la sua latitanza indisturbata. Franceschini, in una testimonianza dubbia, afferma che Curcio gli avrebbe rivelato che Moretti era una spia, ma questo è in contraddizione con la successiva riconciliazione tra Curcio e Moretti in carcere.[55].

Le BR a guida Moretti dalla strage di Genova al rapimento Moro

Moretti, che nella sua versione "ufficiale" post-datò l'affitto dell'appartamento in Via Gradoli a Roma al 1977, lo ha in realtà affittato nel 1975, come testimoniato da Valerio Morucci. Moretti si presenta ai padroni del locale come "Mario Borghi", e la vicenda dell'affitto del locale in sé è piena di enigmi: i due coniugi che gli fittarono la casa, Giancarlo Ferrero e Luciana Bozzi, affermarono di averla acquistata nel 1974, ma non ci è dato sapere se dal 1974 fino al 1975 l'appartamento fu affittato ad altri o meno, e non sono presenti ricevute di pagamento eventuali da parte di "Mario Borghi" degli affitti del locale, o ancora se l'affitto dell'appartamento sia mai stato pagato. Luciana Bozzi pare sia stata in contatto con una certa Giuliana Conforto, figlia di un "sospetto agente del KGB", tale Giorgio Conforto, ma non sono presenti verbali di interrogatori della Bozzi negli atti processuali del caso Moro. Giancarlo Ferrero, in quel momento ingegnere dell'IBM, negli anni 80 e 90 risulterà ricoprire importanti figure manageriali nel suo campo, essendo dotato del "Nos", nullaosta di sicurezza da parte delle autorità NATO e dei servizi segreti italiani, e pare abbia avuto nello stesso periodo contatti con un'importante multinazionale fornitrice anche di armamenti per la NATO, tale Bell Atlantic International[56].

Via Gradoli è descritta dal Flamigni come una stradina stretta e facilmente controllabile, con un unico accesso, una scelta insolita per una base delle Brigate Rosse (BR), poiché non offre vie di fuga né sicurezza. Nonostante questo, Moretti decide di stabilirvi la base romana delle BR, in un contesto dove vivono personaggi legati alla polizia e ai servizi segreti, come il sottufficiale Luigi Di Maio e Arcangelo Montani, ufficiale del Sismi. Inoltre, molti appartamenti nella via appartengono a società immobiliari controllate da fiduciari dei servizi segreti, dimostrando una forte presenza dello Stato. Via Gradoli è anche vicina sia alla casa di Aldo Moro che al luogo del suo rapimento, suggerendo che la scelta di collocare la base lì fosse parte del piano per colpire Moro già dal 1975[57].

In merito alla scelta di rapire proprio Moro, il Flamigni riporta che Moro era il leader della Democrazia Cristiana (DC) più vicino alla sinistra, mostrando posizioni progressiste e filo-palestinesi, al contrario di altri come Giulio Andreotti o Amintore Fanfani, più legati alla destra e all'integralismo cattolico. Con la sua politica di centro-sinistra e dialogo con il Partito Comunista Italiano (PCI), si era guadagnato molti nemici potenti: la destra della DC, segmenti dei servizi segreti italiani, parte della Curia vaticana, settori atlantici, l'amministrazione statunitense e Israele. In particolare, il suo equilibrio tra arabi e israeliani nella Guerra dei Sei Giorni del 1967 irritò molto gli Stati Uniti e il Mossad. Con l'avvento del compromesso storico negli anni '70, anche la Loggia P2 e le BR, tramite Mario Moretti, si unirono ai suoi nemici.[58].

Per evitare eventuali accuse da parte di "avvocati del diavolo", che ancora una volta potrebbero o vorrebbero farsi scudo di una presunta ostilità al revisionismo che in realtà, come è già stato dimostrato, non gli appartiene, sono qui riportate le opinioni in merito, ancora una volta, di altre fonti ideologicamente "anti-revisioniste". Enver Hoxha analizza il "compromesso storico" proposto dal Partito Comunista Italiano (PCI), inizialmente visto come una strategia per trasformare l'Italia in una potenza industriale. Tuttavia, con la crisi e il risorgere del fascismo, il compromesso divenne attraente per alcune fazioni della borghesia e della Democrazia Cristiana (DC), specialmente rappresentate da Aldo Moro. Nonostante questo, Moro fu eliminato perché i democristiani non erano pronti ad accettare pienamente l'accordo, nonostante le loro sconfitte elettorali. Malgrado alcuni tentativi di collaborazione con i comunisti, la paura di un PCI moderato rimaneva forte[59]. Di simile avviso pare essere stato il PMLI, sia all'epoca dei fatti che a posteriori[60].

Secondo Flamigni, la latitanza indisturbata di Mario Moretti gli consente di incontrare altri terroristi, come Barbara Balzerani, e di viaggiare in Italia, in particolare in Sicilia e Calabria. Le motivazioni di queste visite rimangono sconosciute anche ai suoi colleghi, ma potrebbero essere legate a incontri con esponenti della criminalità organizzata e delle mafie locali, possibilmente attraverso la P2. Nel frattempo, il Partito Comunista Italiano (PCI) di Berlinguer sembra guadagnare terreno, mentre il PSI, guidato da De Martino, interrompe la collaborazione con la DC e propone il "social-comunismo" e i "fronti popolari". Nella DC, la corrente "morotea" di Aldo Moro cerca un dialogo con il PCI. Le destre italiane e americane temono un governo autonomo sotto il PCI, non essendo pronte a un confronto tra la NATO e l'URSS. Flamigni riporta le testimonianze di leader americani sull'instabilità politica in Italia durante il "compromesso storico". William Colby, ex direttore della CIA, esprime dubbi sulla sincerità del PCI, suggerendo che nonostante la flessibilità ideologica, il partito mantenerebbe legami con Mosca. L'ammiraglio Horacio Rivero avverte che l'accesso del PCI al governo potrebbe minacciare la presenza militare americana nel Mediterraneo, mentre altri commentatori evidenziano la crisi della NATO e la debolezza delle istituzioni italiane, temendo che l'influenza del PCI possa compromettere la sicurezza occidentale[61].

Il principale obiettivo dei reazionari era prevenire la possibilità che il Partito Comunista Italiano (PCI) potesse salire al governo, piuttosto che preoccuparsi delle Brigate Rosse, considerate un prodotto dei comandi NATO per mantenere l'egemonia in Italia. Flamigni sottolinea l'ingenuità delle proposte moderate del PCI sotto la guida di Berlinguer, evidenziando che un "partito comunista" non potrà mai ottenere il potere pacificamente attraverso la democrazia liberal-borghese, poiché la sua ascesa sarà sempre ostacolata dai reazionari e dai capitalisti.

Nella campagna elettorale italiana del 1976, caratterizzata da tensioni, le destre si mobilitano per impedire che il PCI superi la Democrazia Cristiana (DC). In questo clima, le Brigate Rosse, guidate da Moretti, compiono un triplice omicidio a Genova, assassinando il procuratore Francesco Coco e due membri delle forze di sicurezza. Questo atto di terrorismo mira a instillare paura e a influenzare le elezioni, che non vedono il "sorpasso" comunista ma confermano le preoccupazioni delle destre. La DC, incapace di formare una maggioranza senza il PCI, stabilisce un governo Andreotti sostenuto da astensioni, mentre l'opposizione al compromesso storico continua. Il PSI, ora guidato da Bettino Craxi, si allontana dalla collaborazione con il PCI, seguendo i piani della Loggia P2 di Licio Gelli per rafforzare una posizione anticomunista in Italia[62].

Il ruolo della "scuola di lingue" (di fatto centrale dell'intelligence) Hyperion

Flamigni narra che mentre a Roma si sviluppa un gruppo di BR, ex membri del Superclan lasciano l'Italia per Parigi, dove fondano una scuola di lingue chiamata prima Agorà e poi Hyperion. Nonostante siano indagati per attività sovversive, il servizio segreto francese permette il funzionamento dell'istituto, sostenuto da figure influenti come il prelato Abbé Pierre. Nel 1978, l'Hyperion apre filiali in Italia, ma chiude dopo il sequestro di Aldo Moro. Flamigni segnala che, con la cattura dei leader delle vecchie Br, le nuove Br morettiane guadagnano terreno; Prospero Gallinari evade dal carcere e si unisce a Moretti. Il 12 gennaio 1977, Moretti guida il sequestro dell'armatore Piero Costa a Genova, un'operazione ben organizzata, rivendicata solo dopo il rilascio dell'ostaggio. Il sequestro è finalizzato al riscatto e Costa, appartenente a una famiglia con legami anticomunisti, viene rilasciato il 3 aprile dopo il pagamento di un ingente riscatto. Il denaro ottenuto rafforza il Moretti all'interno delle Br e fornisce risorse per future operazioni terroristiche. Pochi giorni dopo la liberazione di Costa, avviene il rapimento di Guido De Martino, la cui vicenda si rivela complicata e danneggia la carriera politica del padre, Francesco De Martino, ritenuto uno dei socialisti più favorevoli al PCI[63].

In pratica, i piani delle Brigate Rosse guidate da Moretti e di fatto indirizzate dalla P2 sono indirizzati sin da subito al rapimento di Moro e alla distruzione del "compromesso storico" e del "governo di unità nazionale". Moretti continua a muoversi e ad agire protetto e indisturbato nella sua latitanza, nonostante sia ricercato dal 1972, sia stato fotografato dai carabinieri nel 1974 e dal 1975 si sia stabilito in una strada dove informatori della polizia e centrali di intelligence sono ovunque. Mentre è in corso il sequestro di Costa, nel Marzo del 1977 Moretti apre una tipografia a Roma, in via Pio Foà, dotata di un modello Ab-Dik 360 di macchina da stampa, proveniente dal Raggruppamento Unità Speciali del SID (Servizio Informazioni Difesa) e una fotocopiatrice proveniente dal Ministero dei Trasporti. Ciò, per quanto negato in modo poco credibile e platealmente menzognero da Moretti, è confermato dalla testimonianza di Enrico Triaca, il brigatista predisposto alla tipografia.

Triaca incontra Mario Moretti nell'estate del 1976 durante le assemblee del movimento studentesco a Roma e inizia a frequentarlo regolarmente. Verso la fine dell'anno, Moretti rivela di far parte delle Brigate Rosse e invita Triaca a unirsi, promettendo contatti limitati a lui e a un nucleo ristretto. Moretti propone di aprire una tipografia a Roma per stampare materiale per l'organizzazione, promettendo di finanziare l'attrezzatura. Triaca trova un locale in via Pio Foà, stipula un contratto d'affitto e inizia i lavori, ricevendo 5 milioni di lire e macchine tipografiche da Moretti. La tipografia diventa così uno strumento importante per le Br[64].

Diversi capi dei servizi si troveranno curiosamente d'accordo con il capo brigatista nel confermare la sua fallace ricostruzione "ufficiale". Giuseppe Santovito, capo del SISMI, affermava che la macchina da stampa Ab-Dik 360 era in realtà un "rottame" venduto come tale, ma la macchina aveva una durata di utilizzo di 10 anni, ed era insensato che fosse stata rivenduta a terzi e questi terzi le avrebbero poi rivendute ai terroristi. Per altro, la tipografia brigatista ottenne l'Ab-Dik 360 nel Marzo 1977, mentre tale modello era stato ufficialmente "decommissionato" solo in Ottobre del 1977. Ciò che è certo è che l'Ab-Dik 360 divenne proprietà dei brigatisti nel Marzo del 1977, e soprattutto che i RUS erano parte dell'intricata rete di intelligence atlantiste, come ha dichiarato alla commissione parlamentare stragi il generale Serravalle, già capo di Gladio[65].

Il Conto alla Rovescia

Il Flamigni analizza, inoltre, i significativi cambiamenti sociopolitici in Italia nel 1977, evidenziando la crescente vicinanza del PCI all’area governativa e il conseguente indebolimento della sinistra extraparlamentare, culminato nella nascita del "movimento del Settantasette". Questa situazione radicalizza l'estremismo di settori giovanili, mentre un’ondata di attacchi terroristici, sia di estrema destra che di sinistra, continua a colpire figure pubbliche, causando morti e feriti. Si menzionano le relazioni internazionali, come l’avvertimento di Henry Kissinger sulla possibile inclusione del PCI nel governo italiano, e gli sviluppi del terrorismo in Germania, con il rapimento di Hans-Martin Schleyer da parte della Raf. Flamigni nota che il sequestro di Schleyer ha analogie con il successivo sequestro di Aldo Moro, sottolineando l’aumento del potere di Mario Moretti nelle Brigate Rosse, specialmente dopo il sequestro di Costa. In questo contesto, il governo Andreotti cerca di formare una nuova maggioranza con il PCI, mentre gli Stati Uniti esprimono preoccupazione riguardo all’influenza comunista in Italia. La situazione culmina con il rapimento di Moro il 16 marzo 1978, considerato da Flamigni un’operazione complessa e strategica, mirata a minare la "solidarietà nazionale" e mantenere il leader democristiano come ostaggio per un lungo periodo, prima della sua eventuale uccisione. La narrazione suggerisce che dietro al sequestro ci siano complicità all’interno dello Stato, rendendo l'operazione di Moretti una manovra pianificata e non il frutto di un'azione casuale di terroristi inesperti[66].

Il Caso Moro e le varie ricostruzioni

Per approfondire meglio: Caso Moro

Il Caso Moro fu uno degli episodi più drammatici della storia italiana, oltre che complessi, oscuri e controversi. Il caso ruota attorno al rapimento e successiva uccisione di Aldo Moro, leader della Democrazia Cristiana, avvenuti nel 1978 per mano delle BR. La vicenda ebbe inizio il 16 marzo 1978 con un attacco in via Fani, dove Moro fu rapito e la sua scorta massacrata. Il rapimento avvenne in un momento cruciale della politica italiana, poiché il giorno stesso Moro si sarebbe recato alla Camera dei Deputati per votare la fiducia al governo guidato da Giulio Andreotti, con il supporto del Partito Comunista Italiano (PCI). Questo evento segnò un punto di svolta nell'equilibrio politico del paese. Nonostante i numerosi processi e diverse indagini, molti quesiti rimangono ancora oggi senza risposta, soprattutto riguardo ai reali mandanti dell'operazione e ai veri scopi del rapimento.

L'attacco fu meticolosamente pianificato: una Fiat 128 bianca, guidata dal brigatista Mario Moretti, bloccò il traffico in via Fani, mentre altri membri delle Brigate Rosse aprirono il fuoco contro l'auto di Moro e la scorta. La sparatoria durò pochi minuti, lasciando quattro membri della scorta morti e uno ferito gravemente. Moro fu preso come ostaggio e portato via in una Fiat 132 rubata. In seguito Aldo Moro vivrà 55 giorni di prigionia come ostaggio delle Brigate Rosse.

Durante la prigionia, le BR inviarono una serie di comunicati in cui dichiaravano di voler processare Moro in un "Tribunale del Popolo". La richiesta principale era uno scambio tra Moro e alcuni detenuti brigatisti, una condizione che il governo, principalmente su pressione della Democrazia Cristiana, rifiutò categoricamente. La linea ufficiale adottata dal governo fu quella della "fermezza", che consisteva nel non cedere ai ricatti dei terroristi. Moro fu tenuto in un luogo segreto, che secondo la versione ufficiale delle BR sarebbe stata un'abitazione in via Montalcini 8 a Roma. Tuttavia, negli anni, diverse versioni e testimonianze hanno sollevato dubbi sulla veridicità di questa ricostruzione, suggerendo che Moro potrebbe essere stato trasferito in più luoghi durante la sua prigionia.

Le Contraddizioni della Ricostruzione Ufficiale

Una delle principali contraddizioni riguarda il ruolo di alcuni personaggi di alto profilo, come l'ufficiale del Sismi, Camillo Guglielmi, avvistato vicino a via Fani il giorno del rapimento, e la figura di Alessio Casimirri, brigatista figlio di un diplomatico vaticano. Casimirri riuscì a fuggire dall'Italia dopo gli eventi, e il suo coinvolgimento getta ombre sulla presunta connivenza di alcuni settori dello Stato con le BR.

Le testimonianze dell'ex brigatista Valerio Morucci, che partecipò al rapimento, sono state spesso messe in discussione. Morucci raccontò che Moro fu trasferito in Piazza Madonna del Cenacolo e poi in via Montalcini, ma altre testimonianze e prove, come la presenza di foglie e polline nell'auto usata per il rapimento, sembrano indicare che Moro fu portato in una zona alberata, ben diversa dalla piazza indicata da Morucci.

L'assassinio di Moro

Moro fu ucciso il 9 maggio 1978. Il suo corpo fu ritrovato nel bagagliaio di una Renault 4 rossa in via Caetani, una strada simbolicamente situata a metà strada tra le sedi della Democrazia Cristiana e del Partito Comunista Italiano. Secondo la versione ufficiale delle BR, Moro fu ucciso con una mitragliatrice Skorpion, ma le indagini balistiche hanno rivelato incongruenze, suggerendo che fu ucciso con due armi diverse.

Inoltre, la decisione di abbandonare il corpo in via Caetani ha sollevato ulteriori sospetti. La scelta di quella strada sembra essere stata pensata per lanciare un messaggio politico chiaro: la rottura definitiva del dialogo tra la DC e il PCI, che aveva dato il via alla solidarietà nazionale. Questa interpretazione è stata sostenuta da diverse teorie secondo cui il rapimento e l'assassinio di Moro furono orchestrati da poteri occulti, con la complicità di servizi segreti italiani e stranieri.

Complicità e ruolo di servizi segreti ed organizzazioni straniere

Le indagini successive hanno rivelato legami tra le Brigate Rosse e altre organizzazioni terroristiche europee, come la Rote Armee Fraktion (RAF) tedesca. Si sospetta che un killer tedesco possa aver partecipato all'agguato di via Fani, anche se questa teoria non è mai stata dimostrata.

Inoltre, vi sono stati sospetti di un coinvolgimento indiretto dei servizi segreti italiani, in particolare del SISMI e della loggia massonica P2. La presenza di numerosi personaggi legati alla P2 nelle indagini e nelle decisioni politiche dell'epoca ha alimentato l'idea che il rapimento di Moro fosse parte di un più ampio piano volto a impedire l'ingresso del PCI nell'esecutivo e a mantenere il controllo della politica italiana da parte delle forze più conservatrici.

Rapido declino delle "prime" BR

Subito dopo l'assassinio di Aldo Moro, il declino delle Brigate Rosse, un'organizzazione terroristica neofascista, inizia inesorabilmente. Costituita da elementi criminali di diverse estrazioni, le Brigate Rosse sono segnate da disaccordi interni e contraddizioni. La loro perdita di sostegno da parte di mandanti come i servizi segreti, la P2 di Gelli e altre forze della destra, unita alla "concorrenza" di gruppi di ultrasinistra, accelera la loro caduta. Nuove reclute provenienti dalla piccola borghesia "di sinistra", prive di una solida formazione politica, si limitano a grandi città, mentre il loro appello alla guerra civile fallisce.

Le organizzazioni sindacali e politiche si schierano contro i terroristi, che sono visti come agenti del capitalismo. Inoltre, la secretazione delle dichiarazioni di Moro, che denuncia il governo, e la rivelazione dell'Organizzazione Gladio da parte dei terroristi dimostrano la loro collaborazione con i servizi d'intelligence della NATO. Le divisioni interne tra i brigatisti aumentano, soprattutto dopo il delitto di Moro, portando a conflitti tra diversi gruppi.

Il governo Andreotti IV, sostenuto dal PCI, si dimette, mentre i brigatisti continuano a mostrare segni di crisi interna. L'assassinio del sindacalista Guido Rossa provoca una reazione negativa dell'opinione pubblica e segna la rottura tra alcuni membri del gruppo. La formazione di un nuovo governo di transizione e il successivo governo di Giovanni Spadolini evidenziano il cambiamento politico in atto, mentre le Brigate Rosse continuano a disintegrarsi, perdendo il sostegno e la direzione. I mandanti delle BR, come la loggia P2 e le forze anticomuniste, raggiungono i loro obiettivi, infiltrando i partiti e promuovendo un'alleanza tra PSI e DC, con il consenso dei vertici atlantisti. La militarizzazione dell'Italia avanza, mentre il PCI, ormai all'opposizione, è visto come una minaccia da parte delle forze reazionarie[67].

Contestazioni interne al gruppo terroristico, la scissione della "Colonna Walter Alasia", il sequestro D'Urso

Le contestazioni alla leadership di Mario Moretti all'interno delle Brigate Rosse provengono sia dalla vecchia guardia in carcere che dalle nuove leve a Milano. La principale critica riguarda il militarismo e il terrorismo di Moretti, considerati fini anziché mezzi, e la sua leadership autoritaria e priva di dialogo con i giovani membri, oltre alla mancanza di un progetto politico chiaro, a differenza della precedente "propaganda armata" di Curcio e Franceschini. All'inizio del 1980, Moretti continua la sua strategia "stragista" con attacchi violenti, come l'assalto a una pattuglia di polizia in via Schievano, durante il quale si trovano bossoli sparati dalla sua pistola. Questi eventi si intrecciano con discussioni parlamentari sulla riforma della polizia, alla quale si oppongono non solo le Brigate Rosse, ma anche la destra neofascista e la loggia P2, dimostrando il loro ruolo reazionario.

Nella primavera del 1980, avvengono ulteriori stragi in diverse città italiane, colpendo le forze dell'ordine e la magistratura, contribuendo a creare un clima di ostilità tra la sinistra extraparlamentare e le forze di polizia. Anche la leadership storica delle Brigate Rosse, rappresentata da Curcio e Franceschini, critica queste azioni, suggerendo collegamenti tra le BR e poteri occulti. Le divisioni interne si intensificano, con la base di Milano che boccia un comunicato ostile ai sindacati e al PCI, mentre Moretti percepisce queste critiche come influenzate dalla mentalità comunista, rivelando una sua ossessione anticomunista. I suoi attacchi al PCI si trasformano in una critica generica e pregiudiziale contro il partito.

Alcune contestazioni affermano che Mario Moretti fosse eccessivamente legato alla "mafia romana" ed alla banda della Magliana, che avrebbe avuto un ruolo nel "falso comunicato" sul rapimento di Moro, redatto da Toni Chichiarelli, un criminale trovato in possesso di una foto di Moro in prigionia, senza che ciò fosse mai chiarito. Nel luglio 1980, la "Colonna Walter Alasia" dichiara la scissione e prende il controllo delle basi terroristiche a Milano. Nonostante i tentativi di pacificazione, la scissione risulta insanabile e i tentativi di creare una nuova "colonna" fedele a Moretti falliscono.

Per evitare imbarazzi con il "nucleo storico" in carcere, Moretti tenta di ricucire i rapporti con operazioni di sequestro, tra cui il rapimento di Giovanni D'Urso, funzionario del Ministero di Grazia e Giustizia, avvenuto il 12 dicembre 1980. Questo evento riporta l'Italia nel clima dei sequestri di Sossi e Moro, con la formazione di una "linea della fermezza" (PCI e PRI) e una "linea umanitaria" (PSI e Radicali). Il PSI, con nuovi supporti economici, impone la sua linea e il magistrato D'Urso viene liberato in cambio di comunicati contrari alla carcerazione di massa, mentre il PCI denuncia la cessione dello Stato ai terroristi. D'Urso viene trovato vivo e incatenato in una FIAT 128 vicino al Ministero.

Il sequestro di Giovanni D'Urso rivela la vera natura neofascista e filo-capitalista delle BR. Mentre in passato criticavano i media come "servi del sistema", ora pubblicano senza problemi le proprie dichiarazioni e un'"autointervista" su *L'Espresso*. L'inerzia delle forze dell'ordine e della politica, sotto il controllo della loggia P2, evidenzia i legami tra le BR e le forze politiche del capitalismo della Prima Repubblica Italiana. Il sequestro avvantaggia soprattutto il PSI di Craxi, che si presenta come un "partito umanitario" nelle trattative con i terroristi, nonostante la concessione della demolizione del carcere dell'Asinara fosse già stata decisa autonomamente. Durante l'operazione, i brigatisti attaccano anche il dirigente del PCI Ugo Pecchioli, già bersaglio del trotskista Luigi Cavallo. Infine, l'assassinio di un fratello dell'ex brigatista pentito Patrizio Peci segna un'ulteriore rivelazione della natura neofascista e camorrista delle BR.

Le BR non riescono a fermare le scissioni e si dividono in due tronconi: le BR-Partito Comunista Combattente, seguaci della linea di Moretti, e leBR-Partito Guerriglia, orientate verso una linea "movimentista" sostenuta dalla colonna napoletana e dai carcerati. Nonostante le apparenti divisioni ideologiche, entrambi i tronconi mantengono una struttura centralista e verticista, con un'organizzazione dall'alto verso il basso e un uso comune di assassini, sparatorie, sequestri e rapine. Queste tattiche sono in netto contrasto con l'idea di "partito d'avanguardia" concepita da Lenin[68].

L'arresto di Moretti

Il declino dell'organizzazione terroristica, ormai scesa in un vortice di scissioni e costituita non più dagli originali agenti neofascisti infiltratisi sin da subito nella sua creazione, ma da in buona parte una "nuova generazione" di ragazzini borghesi sinistrati, in tutto e per tutto figli delle ideologie anarco-trotskiste sessantottine, coincide con la fine della "protezione" del suo capo nonché principale attore dietro il sequestro di Moro. A seguito, infatti, di un'intervista del Generale Dalla Chiesa ad Enzo Biagi il 12 febbraio 1981, in cui afferma che Moretti sarebbe "in difficoltà", avviene il suo arresto, il 5 Aprile 1981: la fine della sua latitanza è stata quindi preceduta da una sorta di "avviso". Il capo delle "BR" viene arrestato nei pressi della stazione centrale di Milano, insieme ad un suo "collega", tale Enrico Fenzi, a seguito di una denuncia da parte di un "aspirante" piccolo criminale. Fenzi dichiarerà in aula che tale arresto è avvenuto perché ormai le "BR" erano di fatto decadute, e la "scissione" della cosiddetta "Colonna Walter Alasia" aveva decretato la fine definitiva della loro operatività[69].

"Ergastoli" momentanei e protezioni per gli ex capi terroristi

L'arresto di Mario Moretti segna un punto cruciale per le Brigate Rosse (BR) e la loro decadenza. Il sequestro di Giovanni D'Urso mette in evidenza la natura neofascista e filo-capitalista delle BR, che, pur criticando i media, pubblicano le proprie dichiarazioni senza problemi. L'inerzia delle forze dell'ordine, sotto il controllo della loggia P2, suggerisce legami tra le BR e la politica italiana, mentre il sequestro avvantaggia il PSI di Craxi, che si presenta come "partito umanitario".

Moretti tenta di riunificare le BR dopo la scissione tra "BR-Partito Comunista Combattente" e "BR-Partito Guerriglia" e avvia operazioni di sequestro per riconquistare potere. Tuttavia, le divisioni interne aumentano, e il suo approccio militarista viene criticato. Nonostante gli sforzi, il sequestro di D'Urso non produce i risultati sperati, e i rapporti tra i terroristi e la politica rimangono complessi.

Con il processo sul rapimento di Aldo Moro, emergono contraddizioni tra le varie fazioni delle BR. Il processo si conclude con la condanna all'ergastolo di Moretti e di altri terroristi, mentre le divisioni interne continuano a emergere. Nonostante la continua violenza, il terrorismo in Italia inizia a declinare, con pentimenti e arresti che portano alla liquidazione di diverse fazioni. La politica si mostra più incline a una certa comprensione per i terroristi, mentre Moretti, in una sua intervista del 1984, inizia a sostenere una narrazione che minimizza la responsabilità delle BR, cercando di distaccarsi dal passato violento e giustificando le proprie azioni[70].

"Amnistia" di fatto e reintegro in sordina dei terroristi nella società

Ii terroristi delle Brigate Rosse negli anni '80 vennero reintegrati nella società grazie ad una controversa strategia politica che ne ha permesso il rilascio in alcuni casi. Un aspetto centrale è la divisione all'interno delle stesse Brigate Rosse, tra la fazione BR-PCC (Partito Comunista Combattente) e BR-UCC (Unione dei Comunisti Combattenti), con la prima che rimase più fedele alla linea originale, mentre la seconda si orientò verso posizioni più critiche e scissioniste. Un esempio emblematico di questa spaccatura è rappresentato dall'assassinio di Ezio Tarantelli nel 1985 da parte delle BR-PCC, e l'attentato fallito contro Antonio Da Empoli, orchestrato dalle BR-UCC. Mario Moretti, leader delle BR, era una figura ambigua e potente, in grado di mantenere il controllo nonostante i numerosi ergastoli inflittigli. Durante gli anni '80, molti brigatisti dissociati o pentiti ottennero sconti di pena, mentre Moretti riuscì a trovare un compromesso per uscire di prigione senza né dissociarsi né pentirsi, con il supporto di alcuni membri della Democrazia Cristiana (DC). Moretti e altri terroristi sostennero una "quarta posizione" che prevedeva una soluzione politica al terrorismo, cercando di evitare il processo giudiziario e privilegiando il dibattito giornalistico e politico.

Uno degli episodi più significativi di quegli anni fu l'assassinio di Roberto Ruffilli nel 1988, considerato l'ultimo grande atto terroristico delle Brigate Rosse. Questo evento, insieme a una serie di operazioni di polizia, portò allo smantellamento delle BR-PCC. Tuttavia, la persistenza di un substrato ideologico legato al terrorismo rosso lasciò aperta la porta alla resurrezione dell'organizzazione negli anni successivi, in forme mutate e distanti dalle origini. Vi fu inoltre un coinvolgimento di diverse forze politiche nell'ambito delle trattative per il rilascio dei brigatisti, con accuse di connivenza tra la DC e i terroristi stessi. Un ruolo importante fu giocato dall'ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, sostenitore di una "verità di Stato" che avrebbe coperto i veri mandanti del terrorismo, compresi esponenti dell'organizzazione segreta Gladio e della CIA. Cossiga, a capo del Ministero dell'Interno durante il rapimento di Aldo Moro, avrebbe avuto interesse a mantenere una versione ufficiale degli eventi che proteggesse l'establishment politico dell'epoca.

Il ritrovamento del memoriale di Moro nel 1990 fece emergere ulteriori dettagli compromettenti sui legami tra la politica italiana e le agenzie di intelligence straniere. Le rivelazioni inclusero finanziamenti illeciti alla Democrazia Cristiana e altre manovre politiche legate a scandali come quello della Lockheed. Questi eventi contribuirono a delineare un quadro oscuro di collusioni tra politica, terrorismo e poteri occulti, che continuò a influenzare l'opinione pubblica italiana per molti anni.[71].

Scarcerazione "progressiva" di Moretti

A Novembre 1992 la scarcerazione dell'ergastolano Moretti ha inizio con un drastico cambiamento nelle condizioni della sua prigonia, viene introdotta nel carcere di Opera la compagnia informatica Lombardia Informatica SPA, che allestisce un laboratorio informatico frequentato dai carcerati, tra cui Moretti, che inizia a lavorare per la compagnia con tanto di stipendio, il cui vicepresidente è l'ex parlamentare DC Alberto Garrocchio, e tra i fondatori vi è il già citato ex terrorista "rosso" Vito Messana[72][73].

Il 23 gennaio 1993, Mario Moretti, condannato a sei ergastoli, ottiene un permesso premio di quattro giorni a Milano, suscitando polemiche. La notizia non viene ben accolta da familiari delle vittime del terrorismo, tra cui la vedova di Oreste Leonardi e Maria Fida Moro, che si dichiarano indignate per la concessione a un "sovversivo". Anche l'ex commissario di polizia Ettore Filippi, che arrestò Moretti, esprime la sua indignazione per la situazione. Il permesso di Moretti è visto come parte di un'amnistia silenziosa per i terroristi, neri e "rossi", in riconoscimento del loro ruolo nel rafforzare il sistema repressivo italiano. Durante il permesso, Moretti si muove liberamente a Milano, incontra giornalisti e la sua ex compagna Paola Besuschio, e concorda di scrivere un articolo per una rivista legata all'Opus Dei. Questi eventi coincidono con la prossima pubblicazione dell'agiografia del Conte Sogno[74].

Scarcerazione di tutti i capi del "nucleo storico"

Moretti non è il solo a godere di permessi premio e della libertà. Curcio, che rispetto a Moretti ha le mani meno sporche di sangue, non essendo stato neanche coinvolto nel caso Moro, esce di galera il 7 Aprile 1993, giorno in cui gli viene garantita la semilibertà, e nel medesimo giorno rilascia un'intervista ai diversi giornalisti, dichiarando anch'egli la "genuinità" delle "BR" (sebbene un anno prima sia stato rivelato che egli stesso è un infiltrato neofascista, ndr)[75]. Il clima di Mani Pulite e il desiderio di "giustizialismo" dell'opinione pubblica bloccano un'amnistia generale, rendendo i permessi premio e le semi-libertà misure temporanee per i capi terroristi, sia neri che "rossi". Dopo la semi-libertà di Curcio, Moretti ottiene un permesso per le vacanze pasquali. Nell'estate del 1993, decide di rilasciare un'intervista al giornale trotskista "Il Manifesto", assumendo il ruolo di "pentito" e nominando Rita Algranati come parte del sequestro Moro. Moretti menziona anche il marito di Algranati, Alessio Casimirri, che vive in Nicaragua senza aver scontato pene per il suo coinvolgimento nel rapimento. Grazie alle sue connessioni con la curia vaticana, che gli hanno permesso di fuggire dall'Italia anzitempo, Casimirri non ha mai scontato un giorno in carcere, mentre Algranati e Loiacono (che attualmente vive in Svizzera e lavora come docente universitario, dopo aver scontato poco meno di un lustro in Svizzera per delle condanne pendenti inerenti alla sua attività di terrorista) erano già stati nominati in precedenti testimonianze. La situazione evidenzia le complicate relazioni tra i terroristi e le istituzioni, insieme alla mancanza di giustizia per alcuni membri coinvolti negli eventi chiave del terrorismo in Italia[76][77].

Moretti ha l'obiettivo di sostenere la "ricostruzione ufficiale" di Morucci e di "salvare" l'amico Prospero Gallinari, che rischia di essere condannato come "esecutore materiale" dell'omicidio di Aldo Moro. Per raggiungere questo scopo, ammette di essere stato il vero assassino di Moro dopo 15 anni dai fatti. Viene pubblicato il libro "Brigate Rosse, Una Storia Italiana", curato da Sandro D'Alessandro, ex membro del Superclan, parallelo alle BR. Un'altra intervista, "Il Prigioniero", condotta da Paola Tavella con Anna Laura Braghetti, mira a presentare una versione "genuina" delle BR e della prigionia di Moro, pubblicata da Mondadori, collegata all'ex P2 di Silvio Berlusconi, che era un ex protettore di Moretti. Le interviste potrebbero essere state registrate dai servizi segreti, che informano Morucci, spingendolo a confermare la presenza di Rita Algranati e un "quarto uomo", Germano Maccari, che viene poi arrestato grazie alle rivelazioni di Moretti. Sebbene Moretti neghi di essere uno spione, affermando che la magistratura fosse già a conoscenza di Maccari, le sue affermazioni vengono confermate anche da Adriana Faranda, che ammette che i veri tiratori di Moro erano Moretti e Maccari, non Gallinari. Sandro Acciari, giornalista di "Paese Sera", sottolinea come le nuove rivelazioni stiano smentendo la "verità" accettata, evidenziando le contraddizioni nel caso Moro. Alfredo Carlo Moro, fratello di Aldo, esprime scetticismo sulla veridicità delle affermazioni dei brigatisti, mentre Franceschini suggerisce l'esistenza di una regia che cerca di diffondere una "verità di comodo" per tutti i coinvolti.

Vengono a sapersi le nuove libertà e privilegi dell'ex capo brigatista e assassino di Moro, dai suoi 15 giorni trascorsi fuori dal carcere in permessi premio nel 1993 al suo stipendio da parte della regione Lombardia come impiegato della Lombardia Informatica SPA, tanto che un consigliere regionale missino chiede la sospensione dello stipendio, che viene respinta[72]. Anche Francesco Fonti, pentito della Ndrangheta, in una sua testimonianza all'Espresso del 22 Settembre 2009 testimonierà, in un incontro avvenuto con Moretti in carcere, come questi stesso gli abbia rivelato di percepire uno stipendio dal ministero dell'Interno, ufficialmente come insegnante di informatica[73].

Il 1 Maggio 1994 Prospero Gallinari è libero per motivi di salute, e morirà nel 2013 nella sua casa di Reggio Emilia; il suo funerale sarà celebrato da militanti del partito "comunista" nato dall'unione dei residui dei rimasugli revisionisti del PCI berlingueriano e delle organizzazioni trotskiste di ultrasinistra degli anni 70, Rifondazione Comunista. L'11 Giugno l'ormai reo confesso assassino di Moro ottiene un altro permesso premio e partecipa alla prima alla Scala di Milano del Rigoletto di Verdi, diretto da Riccardo Muti, un evento da ricchi, mondano, borghese, cui prende parte vestito di una cravatta regimental abbinata a un completo color grigio-perla. Intanto Maccari nega dal carcere di Rebibbia qualsiasi coinvolgimento nel delitto Moro, per poi ammetterlo poco dopo[78].

Il ruolo della "Seconda Repubblica" di Berlusconi nella "riconciliazione nazionale"

La "Seconda Repubblica" di Berlusconi emerge negli anni '90, con le inchieste di Mani Pulite utilizzate per giustificare la rimozione di politici come Craxi e Andreotti. In questo contesto, il 26 aprile 1995, si svolge una cerimonia di "riconciliazione nazionale" a Roma, con la partecipazione di Edgardo Sogno, legato ai Casati Stampa, e di Cesare Previti, avvocato di Berlusconi. Si osserva una "pacificazione" tra terroristi neri e rossi e lo Stato italiano. Corrado Guerzoni, segretario di Moro, afferma che il delitto fu "appaltato" ai brigatisti. La liberazione di Barbara Balzerani suscita indignazione, e Germano Maccari ammette di aver partecipato al rapimento di Moro, conformandosi alla "verità ufficiale". Moretti, nel 1993, rifiuta di testimoniare alla Commissione Stragi, ma ottiene la semilibertà nonostante non sia un pentito o un dissociato. Le sue interviste mirano a sostenere la "ricostruzione ufficiale". Il 23 gennaio 1993, dopo solo 12 anni di detenzione e condanne a 6 ergastoli, ottiene un permesso premio, suscitando indignazione tra le famiglie delle vittime. In questo periodo, Edgardo Sogno rivela di aver ricevuto finanziamenti da Gladio e dalla CIA per la sua lotta contro il comunismo in Italia.

Inoltre, Sogno ammette di aver pianificato un "golpe bianco" nel 1974, mentre Moretti rilascia un'intervista in cui afferma che Moro sarebbe stato un "bersaglio casuale". Franceschini accusa Moretti di essere un "infiltrato del terzo livello" e di aver beneficiato di un accordo per ottenere la libertà in cambio di silenzio. Cossiga, ex capo di Gladio, difende le BR e attacca chi sostiene che Moro fosse vittima di un complotto, esprimendo solidarietà a Moretti. La relazione tra ex funzionari e brigatisti solleva dubbi sulla verità riguardo al delitto Moro e alle dinamiche politiche dell'epoca[79].

Le "Nuove BR"

La parabola delle "Vecchie BR" si conclude ufficialmente nel 1988, dopo l'ultimo attentato contro un collaboratore del presidente del Consiglio Ciriaco De Mita. Questa azione riflette la confusa ideologia delle BR, che si definivano erroneamente come risposta al terrorismo neofascista, mentre in realtà rappresentavano una sua faccia speculare. Le BR e altre organizzazioni simili come "Prima Linea" e "Lotta Continua" miravano a screditare l'intera sinistra, in particolare il PCI di Berlinguer, per ostacolare qualsiasi possibilità di accesso al potere attraverso le istituzioni democratiche. L'obiettivo a lungo termine era quello di legittimare una "sinistra" controllata da Gladio e COINTELPRO, compatibile con i riformisti e i "revisionisti".

Il danno principale inflitto dalle "Vecchie BR" è stato quello di presentare il comunismo come un ideale irrealizzabile e come una manifestazione di violenza. Inoltre, Flamigni, criticato da giornalisti e sostenitori delle "BR", come Paolo Mieli, ha fornito prove documentali e testimonianze che supportano le sue ricostruzioni. Nonostante ciò, "Il Manifesto", sostenitore della "genuinità" delle "BR" da dopo il sequestro Moro, è stato tra i primi, pochi anni prima dell'agguato di Via Fani, a criticare Curcio, definendolo un infiltrato, evidenziando così l'ipocrisia e le divisioni interne della sinistra extraparlamentare[80].

Il concetto di "comunismo ideale irrealizzabile" e la glorificazione della "lotta armata" come eroica sono stati criticati da Lenin e Stalin e si sono radicati nella mentalità di una nuova generazione post-68, portando alla rinascita delle "Nuove Brigate Rosse" (BR) negli anni '90 e 2000. Queste ultime sono responsabili dell'assassinio di Massimo D'Antona e Marco Biagi, giuslavoristi coinvolti in riforme anti-operaie per i governi di centro-sinistra e centro-destra.

Le azioni delle "Nuove BR", pur dichiarando di agire in nome della classe operaia, hanno in realtà servito a legittimare riforme che smantellavano diritti dei lavoratori, associando i loro oppositori al terrorismo. Anche il Partito Marxista-Leninista Italiano (PMLI) ha condannato gli omicidi, sostenendo che l'opposizione al governo di D'Alema dovesse avvenire in modo pubblico e democratico, piuttosto che attraverso il terrorismo.

Il PMLI, pur considerato un "partito-scherzo" in alcune cerchie politiche italiane, ha fornito analisi ragionate contro il terrorismo "rosso" e "nero", rimanendo coerente con le posizioni di Lenin, Stalin e Mao, e ha pubblicato dichiarazioni di condanna nei confronti delle azioni delle "Nuove BR"[81][82].

Le "Nuove BR", frutto diretto della guerra psicologica delle "Vecchie BR", nel loro periodo di attività, dal 1999 fino al 2003[83], anno in cui i principali capi terroristi, cioè tale Nadia Desdemona Lioce e Mario Galesi, furono arrestata la prima e ucciso sul posto il secondo, dopo un poco dignitoso tentativo di fuga in treno a seguito di identificazione da due agenti della polizia ferroviaria, hanno pubblicato dei proclami con un linguaggio ancora più astratto, "pastoso" e arzigogolato di quello delle "Vecchie BR" di Curcio e di Moretti. Se le "Vecchie BR" amavano parlare di una lotta in opposizione ad un presunto "Stato Imperialista delle Multinazionali" (SIM), una locuzione che tradisce una pregiudiziale analitica di tipo anarcoide e trotskista più che marxista-leninista e fondata su un vero studio che parta dalla consapevolezza delle strutture economiche e delle sovrastrutture sociali alla base della società e dell'economia capitalista, le "Nuove BR" si lasciano ad un linguaggio sempre più confuso, dispersivo e che non giunge ad una vera conclusione. Anche le registrazioni degli interrogatori e dei processi ai "Nuovi Brigatisti", come la già citata Desdemona Lioce, sembrano tradire questa "confusione" e questo astrattismo tipico di un modus operandi avventurista, terrorista e individualista totalmente estraneo al marxismo-leninismo e al comunismo, e proprio più di ideologie "di sinistra" piccole borghesi. A tal proposito il PMLI propone in merito ulteriori (giuste) analisi[84][85].

Conclusioni

Analizzate quindi le diverse fonti a disposizione in merito alla storia e alla "ideologia" delle cosiddette "BR", vecchie e nuove, cosa si può concludere? Le cosiddette "Brigate Rosse", insieme ad altri analoghi gruppi del terrorismo "rosso", altro non erano che una banda terroristica costituita principalmente di infiltrati neofascisti sin dalla fondazione e che, con la sua ideologia deviante e fuorviante, ha inquinato, insieme ai movimenti piccolo borghesi del 68 e del 77, le menti di molte potenziali leve di qualsivoglia movimento progressista, rivoluzionario e democratico che avrebbe potuto formarsi in Italia. Diverse "dietrologie" ufficiali cercano di attribuire una paternità "sovietica" alle "BR" e ad altri gruppi terroristi, ma la loro natura ideologica avventurista e individualista, totalmente incompatibile con gli ideali della Rivoluzione d'Ottobre e dell'Unione Sovietica, anche di un'Unione Sovietica post-Stalin degenerata a causa del revisionismo di Chruščëv e del tradimento di quei valori che hanno portato alla vittoria del Socialismo e delle Democrazie Popolari nell'est Europa nel 1945. Come è stato concluso dallo stesso PMLI, un partito tutt'altro che simpatizzante della linea politica attuata dall'URSS all'epoca di maggiore attività dei terroristi "rossi" in Italia, per quanto vi fossero possibili convergenze di interessi tra il KGB sovietico e la CIA americana (coadiuvata dal Mossad) nella liquidazione di Moro e in un'azione che avrebbe screditato il PCI di Berlinguer, è anche e soprattutto vero che coloro che avevano e hanno tutt'oggi abilità di manovra illimitata nella penisola non sono i sovietici/russi, ma gli americani con la CIA e il Mossad; lo stesso Aldo Moro, come è stato rivelato in un'intervista del 2005 di Giovanni Galloni, ex vicepresidente della DC, era consapevole della presenza di "infiltrati della CIA e del Mossad" nelle "BR", cosa di cui né la CIA né il Mossad avevano dato comunicazioni alle autorità italiane, né prima né durante il rapimento Moro; cosa che invece avvenne con il "rapimento" del generale americano Dozier a fine 1981, dove si ebbe la piena collaborazione dei servizi dell'"alleato" americano e una spettacolarizzazione del "blitz antiterrorismo" che fece pensare a molti ad una possibile collaborazione o previa comunicazione tra terroristi e autorità dei servizi americani. Il PMLI, nell'analisi dell'intervista e delle repliche sia di Cossiga (ex capo di Gladio, con i suoi chiari interessi a sostenere l'"autenticità" dell'aberrante ideologia terrorista "rossa") sia di Paolo Guzzanti, all'epoca senatore e stretto collaboratore di Berlusconi, conclude che è altamente improbabile che un servizio segreto di una superpotenza rivale e nemica dell'Italia potesse agire indisturbata sul proprio territorio, proprio perché una simile operazione a parti invertite è altrettanto inverosimile e irrealistica[86]. Curcio, tra l'altro, era già noto ai servizi segreti della Germania Democratica, paese del socialismo reale e del patto di Varsavia, per le sue attività, e viene descritto, a riprova della totale estraneità tra URSS e alleati da un lato e "BR" dall'altro, come un "agente infiltrato neofascista", e viene fatta menzione del suo passato di militante in "Giovane Europa" in un rapporto della Stasi del 1978, 14 anni prima che venisse fuori, pubblicamente, la militanza di estrema destra di Curcio, venuto fuori in una ricerca e inchiesta sulla Stasi pubblicata nell'estate del 2004 dal corrispondente de "La Stampa" a Berlino, Francesca Sforza[87].

Sulla figura di Curcio, fondatore delle "BR" oggi riciclatosi presso centri sociali ed editori "indipendenti" con "strani" legami che si ritrovano sempre con le grandi editorie borghesi come "anarchico" e autore di libri dai toni neo-luddisti e pseudo-critici del capitalismo (ma senza vere critiche rivoluzionarie o di tipo marxista), il PMLI in un suo editoriale del Luglio 2004 critica aspramente la metamorfosi di Renato Curcio, fondatore delle "Brigate Rosse", che da figura terroristica si è trasformato in un riformista. Durante un evento, Curcio si presenta come una "star" e invita a concentrarsi sulle storie quotidiane dei lavoratori, senza rinnegare il suo passato. Il PMLI sottolinea l'ipocrisia di Curcio, che, pur avendo avuto un ruolo nel terrorismo, ora cerca una nuova identità nel riformismo, senza affrontare le responsabilità per la violenza e le conseguenze delle sue azioni[88].

Secondo il PMLI, Curcio dovrebbe riconoscere gli errori del suo passato, denunciare la natura controrivoluzionaria del terrorismo e rivelare ciò che sa sugli "anni di piombo" e le infiltrazioni dei servizi segreti. La critica si concentra sul fatto che, nonostante Curcio parli contro il capitalismo, egli evita di discutere della necessità della rivoluzione socialista, mantenendo un silenzio su questioni fondamentali. In questo modo, il PMLI accusa Curcio di perpetuare illusioni riformiste anziché affrontare la realtà delle sue scelte passate[88].

Curcio non è il solo palese infiltrato ad essersi "riciclato" come sostenitore del pacifismo borghese e del riformismo, come "rivoluzionario dei tempi andati" che però ora riconosce che "è impossibile lottare" e ammettendo implicitamente che non ci sarebbero "soluzioni" o "alternative" al capitalismo[89]. Adriana Faranda, una dei primi a "dissociarsi", non fa altro che continuare a partecipare a diversi eventi, "memoriali", "anniversari" sull'agguato di Via Fani, addirittura partecipando ad una grottesca manfrina del "vogliamoci tutti bene" insieme alla figlia di Aldo Moro, Agnese Moro (ben lieta di incontrare Faranda, una delle persone direttamente responsabili per la morte del padre, ma poco lieta invece se un gruppo musicale come P38 fa delle canzoni palesemente satiriche e provocatorie, seppur di cattivo gusto, con la simbologia delle "BR").

Il suo ex compagno Valerio Morucci, ex capo della colonna romana delle "Brigate Rosse", è invece tutt'oggi uno stretto collaboratore dei servizi segreti, con cui pare abbia collaborato per molto tempo; L'analisi-inchiesta del PMLI sul Morucci (che cita gli articoli usciti fuori sui giornali mainstream borghesi, ma per qualche motivo passati in sordina) evidenzia la sua collaborazione con i servizi segreti italiani, il Sisde, prima e dopo la sua liberazione nel 1994, nonostante fosse stato condannato a diversi ergastoli. Morucci, che partecipò al rapimento di Aldo Moro, ha mantenuto una posizione di "dissociato" e ha fornito informazioni alla giustizia che, secondo l'inchiesta, non avrebbero rivelato nulla di sostanziale[90].

Questa informazione è emersa durante un'audizione della commissione parlamentare su Moro, in cui si è confermato che Morucci collaborava attivamente con il Sisde già nel 1990. La sua associazione con i servizi segreti non era occasionale, ma continuativa, suggerendo un legame diretto con figure chiave come Mario Mori, un ex ufficiale dei carabinieri. Da notare, inoltre, la collaborazione di Morucci con una rivista di destra, "Theorema", e il suo coinvolgimento in attività legate a esponenti della destra eversiva, sono ulteriori prove che le "Brigate Rosse" erano in realtà infiltrate e strumentalizzate dai servizi segreti per fini politici. Morucci è descritto come un personaggio torbido, il cui lavoro attuale in un'agenzia di sicurezza privata legata ai servizi segreti dimostra il continuo intreccio tra terrorismo e istituzioni[90].

Un'altra ex brigatista che, a dispetto degli ergastoli cui fu condannata, è riuscita ad essere liberata dal carcere, a ricevere sconti di pena e una di fatto amnistia e poter circolare libera, al punto da riciclarsi fuori, poi, come "poetessa" e autrice di libri melensi in odore di piccola borghesia liberale "di sinistra", addirittura collaborando anche con l'autore Erri De Luca, è stata Barbara Balzerani, morta il 4 Marzo 2024, di cui furono tracciati degli elogi funebri in alcune università italiane da alcuni professori e "intellettuali" vicini a quell'ambiente accademico trotskista e riformista i cui principali esponenti sono Cacciari, Recalcati, Zizek e simili, tutti principali "volti" della "nuova sinistra" borghese figlia dei movimenti del 68 e del 77 che giustifica "da sinistra" il capitalismo neoliberale e monopolistico con la fuorviante locuzione di "globalismo". Tutto ciò non deve stupire, come non deve stupire neanche la più recente dichiarazione contraddittoria di Alberto Franceschini che, da "sospettoso" nei confronti di Moretti, ha poi rinnegato tutto e si è conformato anch'egli alla ricostruzione "ufficiale" degli eventi (che come è già stato dimostrato non ricostruisce un bel niente)[91].

Né sono le sole "BR" ad avere avuto elementi "infiltrati" o "ex capi" che oggi lavorano nei gangli della borghesia e del mainstream, si pensi a "Lotta Continua", che fu rivelato nel 2019 dal magistrato Giulio Salvini essere anch'esso soggetto ad infiltrazione da parte di un agente del SID nella "direzione" del gruppo all'epoca in cui fu deciso l'omicidio del carabiniere Calabresi[92] e il cui ex capo Sofri, condannato a 20 anni di galera per omicidio, di cui ne ha trascorsi solo 8, scrive oggi per giornali come "Il Foglio" e "La Repubblica", organi della destra borghese più estrema e della "sinistra" borghese più melensa rispettivamente, e i cui principali articoli sono a sostegno delle diverse operazioni imperialiste nei diversi paesi del mondo soggetti all'imperialismo unipolare USA, si pensi alla Jugoslavia Federale nel 1999, all'Afghanistan nel 2001, all'Iraq nel 2003, alla Libia nel 2011, alla Siria dal 2011 ad oggi con le operazioni (fallimentari) di "cambio di regime" e sostegno ai terroristi "moderati" "islamisti" reazionari a trazione USA (tra terroristi ci si intende) e in ultima istanza all'Ucraina oggi con il sostegno ai neonazisti finanziati da Gladio/Stay Behind che si è semplicemente spostata ad est, attaccando persino il Papa.

I terroristi "rossi", in realtà neri e neofascisti, i cui mandatari erano i servizi di intelligence atlantisti e sionisti, hanno distrutto una generazione di potenziali rivoluzionari, hanno distrutto in modo irreparabile la reputazione del "comunismo" in Italia e in Occidente (se si considera il piano più ampio di COINTELPRO di sostegno a gruppuscoli anarcoidi e trotskisti per infiltrare la sinistra e i comunisti e distruggerli "da sinistra", piano di cui il cripto-fascista Conte Sogno ha fatto parte e lo ha fieramente ammesso prima di morire), e anche volendo ignorare i palesi legami con il neofascismo e la reazione, la loro "ideologia" è totalmente incompatibile, nelle idee e nella prassi, con il comunismo, con il marxismo-leninismo, e questo era noto all'epoca dei fatti da parte di autentici marxisti-leninisti, come Enver Hoxha e Mao Zedong, da parte di altri partiti "antirevisionisti" italiani come il PMLI e il PCDI-ML, da parte dei paesi del "socialismo reale" dell'URSS revisionista e del Patto di Varsavia e da parte del PCI revisionista di Berlinguer.

La tesi della "genuinità" della "lotta armata" è stata costruita a posteriori, in parte come "contentino" ai brigatisti in cambio del loro silenzio sui mandanti delle stragi e dei delitti di cui furono colpevoli solo in quanto "esecutori" per conto di terzi, e in parte come pezzo fondamentale e costituente della propaganda reazionaria, neofascista e capitalista a cui fa comodo la nozione di un terrorismo "rosso" che sia "vero e genuino" e che possa favorire sia la repressione poliziesca a danno dei genuini movimenti progressisti e democratici di protesta che l'affermarsi di "nuove leve" e "utili idioti" nella veste dei centri sociali anarco-trotskisti su cui si appoggia tutta la galassia della "sinistra radicale" di partiti che sono un "mostruoso connubio" di neo-revisionisti e trotskisti come Rifondazione, Partito dei CARC e Potere al Popolo, che sono "a sinistra" solo del Partito Democratico e del Centro-Sinistra che continuano a sostenere mutando la loro posticcia "intransigenza" movimentista in un prevedibile ballottaggio "per arginare le destre" ogni volta, come è stato in tempi più recenti alle Elezioni Europee del 2024 in cui tutti questi movimenti e collettivi a loro associati, inclusi molti dei quali utilizzano tutt'oggi l'aberrante stella sproporzionata delle "BR", hanno votato per il PD o per AVS per via della presenza di candidati "strategici" nelle loro liste, come Ilaria Salis o Mimmo Lucano.

Vi sono diverse analogie, inoltre, tra la vicenda delle "BR" e del terrorismo "rosso" da una parte e quanto avvenne con le cospirazioni degli anni 30 in URSS, sia nella tattica del ricorso al terrorismo individuale e all'assassinio che nella "teoria" e nella retorica degli attori coinvolti, oltre che nella "convergenza" della destra e della "sinistra" in funzione anticomunista. Anche l'"efficacia" della disinformazione nei rispettivi campi, che sia nella "ricostruzione ufficiale" con tanto di "album di famiglia" del terrorismo neofascista mascherato di "rosso" negli anni 70 e 80 che nella disinformazione trotzkista che ha teso a negare tutto quello che invece i documenti d'archivio e le ricerche storiche hanno dimostrato essere effettivamente avvenuto in entrambi i casi. In ultima istanza, la vicenda delle "BR", tutt'altro che affine al "comunismo" o ai "rivoluzionari", è invece un'esperienza in tutto e per tutto replicante le azioni di infiltrazione da parte trotzkista e anticomunista "di sinistra" (che è come dire la stessa cosa) volte a creare una "sinistra compatibile" inoffensiva, innocua, conformista e totalmente favorevole all'imperialismo e al capitalismo avvenute col patrocinio, sin dagli anni 40 e 50, di COINTELPRO e dei servizi di informazione anglo-americani e delle potenze reazionarie, capitaliste e di fatto fasciste del "libero occidente".

Bibliografia

Note

    1. Secchia,1943
    2. Bordiga, il leninista che sperava nell’Asse
    3. Flamigni, 2004, p.18,19-21
    4. Ibidem, p.256
    5. Ibidem, p.7-8, 9-11
    6. Ibidem, p.11-12,13,14
    7. Ibidem, p.14-17
    8. Ibidem, p.17-18
    9. Ibidem, p.18-19
    10. Riguardo questo tale Alfredo Novarini, che ha testimoniato direttamente a Flamigni nell'agosto del 2003, egli ebbe da dire nello specifico all'autore, in merito alla "scoperta" della presenza di Moretti nelle Brigate Rosse: «Quando i giornali cominciarono a scrivere di Moretti come del capo delle Brigate rosse, tutti noi che lo avevamo conosciuto in fabbrica eravamo increduli: se uno come lui era diventato il capo, chissà cos’erano gli altri brigatisti!», Flamigni, 2004, p.25
    11. Ibidem, p.22-23,24,25,26
    12. Ibidem, p.25
    13. «Nel 1965, dopo essere stato espulso per indegnità morale dal Psi, Simioni collaborò con l'Usis occupandosi di attività culturali. In quel periodo, c’è da dire, l’Usis aveva pianificato una serie di operazioni psicologiche attraverso le quali si sarebbe dovuto ridimensionare il ruolo del Partito comunista e rafforzare il sentimento filoatlantico dell’opinione pubblica. Uno dei passaggi principali di questa strategia sarebbe dovuto consistere in un dialogo serrato con esponenti socialisti, i quali avrebbero dovuto essere “occidentalizzati”, fino a rompere con la tradizione marxista»; Gianni Cipriani, Lo Stato invisibile. Storia dello spionaggio in Italia dal dopoguerra a oggi, Sperling & Kupfer 2002, pag. 150., citato in Ibidem, p.29
    14. La giovanile militanza di Curcio nella destra radicale emergerà solo nel 1992, quando verranno resi pubblici i rapporti intercorsi fra Giovane Europa e l’estrema sinistra maoista, e risulterà evidente come tali rapporti avessero portato quadri dell’organizzazione nei ranghi delle Br, «e al più alto livello». Così si saprà anche di Curcio: «Il capo storico delle Br non ha iniziato la sua carriera politica a Trento nel 1967, come credono i suoi biografi, ma molto prima in Giovane nazione, poi in Giovane Europa. Nel numero 4 della rivista “Giovane nazione” troviamo menzione della nomina del compagno Renato Curcio a capo della sezione di Albenga. Nel numero 5 dello stesso periodico si segnala il suo zelo di militante. Giovane nazione servirà come trampolino di lancio per la creazione della rete italiana di Jeune Europe, dove militerà Curcio. [Non molto più tardi] raggiungerà i ranghi del “Movimento studentesco”. È in Giovane Europa che imparerà le virtù dell’organizzazione e della centralizzazione leninista. È lì che studierà le teorie della guerra partigiana e il concetto di “Brigate” politico-militari»; Jean Luc, Giovane Europa, Barbarossa 1992, pagg. 46-47, citato in Ibidem, p.30
    15. Commenta Flamigni nella pagina originale del suo testo: «Dunque, nel caso di Renato Curcio, prossimo fondatore-ideologo delle Brigate rosse, la tesi del cosiddetto "album di famiglia" del comunismo - tesi elaborata dalla giornalista Rossana Rossanda per collocarvi le radici delle Br - è una sciocchezza. Idem per quanto riguarda l’anticomunista Corrado Simioni, alle origini delle Br ambiguo propugnatore della lotta armata.», p.30
    16. Ibidem, p.27-30
    17. Vincenzo Tessandori, Br. Imputazione: banda armata, Baldini & Castoldi 2002, p.38-40, citato in ibidem, p.31
    18. “Tempo illustrato”, 25 febbraio 1970. Commenta Flamigni: «Nell’inchiesta sulle comuni a Milano, firmata da Walter Tobagi, Moretti si fa intervistare a condizione di restare anonimo, coperto dallo pseudonimo di “Mauro”. Il socialista Tobagi - inviato del “Corriere della Sera” - verrà assassinato dai terroristi di Prima linea il 28 maggio 1980 a Milano»; citato in ibidem, p.33
    19. Ibidem, p.35-36
    20. Ibidem, p.36-37
    21. Ibidem, p.37-38
    22. Il terrorismo in fabbrica, p.111-112, citato in ibidem, p.39
    23. Ibidem, p.40-41
    24. Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, Testamento di un anticomunista, Mondadori 2000, pagg. 101-02,110-11., citato in Flamigni, 2004, p.47
    25. Ibidem, p.47
    26. Ibidem, p.50-51
    27. Sogno, Cazzullo, 2000, p.96,103, citato in ibidem, p.52
    28. Ibidem, p.55-58
    29. Ibidem, p.74-86
    30. Ibidem, p.87
    31. Ibidem, p.89-90
    32. Ibidem, p.90-92
    33. Ibidem, p.92-93
    34. Ibidem, p.97-99
    35. Ibidem, p.100-102
    36. Cfr. Sentenza-ordinanza del giudice istruttore Ferdinando Imposimato del 12 gennaio 1982; CM, volume 54, p. 324-325, citato in ibidem, p.103
    37. Flamgini, 2004, p.104-105
    39. Ibidem, p.183
    40. Ibidem, p.106-107
    41. Hoxha, 1980, p.199-200,287
    42. Granito, 2002, PMLI
    43. Flamigni, 2004, p.108-109
    44. Ibidem, p.109-110
    45. Ibidem, p.111-113
    46. Ibidem, p.114-115
    47. Ibidem, p.116
    48. Ibidem, p.116-123
    49. Ibidem, p.123
    50. Ibidem, p.124-125
    51. Ibidem, p.127-141
    52. Ibidem, p.142
    53. Ibidem. p.144
    54. Ibidem, p.145
    55. Ibidem, p.152-163
    56. Ibidem, p.169-172
    57. Ibidem, p.172-175
    58. Ibidem, p.175-176
    59. Hoxha, 1980, p.212
    60. PMLI, 2018
    61. Flamigni, 2004, p.177-178
    62. Ibidem, p.180,181,182-183
    63. Ibidem, p.184-186,187-189,190
    64. Ibidem, p.191-192
    65. Ibidem, p.193-194
    66. Ibidem, p.194-195,196-197,199-200
    67. Ibidem, p.251-267
    68. Ibidem, p.267-285
    69. Ibidem, p.287-290
    70. Ibidem, p.291-307
    71. Ibidem, p.307-322
    72. Dovete sospendere lo stipendio a quel Br - Repubblica, 23 Ottobre 1993
    73. Io boss, cercai di salvare Moro - Espresso, 22 Settembre 2009
    74. Flamigni, 2004, p.322-324
    75. Renato Curcio: «Dietro le BR c'erano solo i militanti delle BR»
    76. Servizio delle Iene su Casimirri
    77. Servizio delle Iene, con intervista, su Loiacono
    78. Flamigni, 2004, p.324-330
    79. Ibidem, p.330-340
    80. Ibidem, p.341-349
    81. CONDANNIAMO IL BARBARO E CONTRORIVOLUZIONARIO ASSASSINIO DI D'ANTONA - L'Ufficio politico del PMLI, Firenze, 21 maggio 1999, ore 8,45
    82. ASSASSINATO BIAGI CONSULENTE DEL MINISTERO DEL LAVORO - PMLI, 27 Marzo 2002
    83. Secondo alcuni fino al 2006, anno dell'ultimo "attentato" rivendicato dalla sigla "Nuove BR" ad una caserma della Brigata "Folgore" dell'esercito italiano, a Livorno
    84. Il terrorismo "BR" è controrivoluzionario e anti marxista-leninista - PMLI, 21 febbraio 2007
    85. Analisi del documento che rivendica l'omicidio di Biagi - PMLI (2002)
    86. Moro sapeva che le "Br" erano infiltrate da Cia e Mossad - PMLI, 13 Luglio 2005
    87. Secondo i servizi segreti dell'ex Repubblica Democratica Tedesca, Le "brigate rosse" di Curcio erano neofasciste - PMLI, 22 settembre 2004
    88. Alla festa regionale toscana di "Liberazione" a Massa, Curcio, star di Rifondazione trotzkista, Dal terrorismo al riformismo - PMLI, 21 luglio 2004
    89. Il fondatore delle "Brigate Rosse", ora editore, è passato dal terrorismo al codismo borghese. Curcio: "la nostra violenza veniva dalla storia del novecento. Oggi viviamo in una società completamente diversa" - PMLI, 23 maggio 2012
    90. Una conferma che le “Brigate rosse” erano uno strumento della borghesia. L'ex terrorista “rosso” Morucci ha collaborato con i servizi segreti. Passò al Sisde un rapporto sul memoriale di Moro, presidente della Dc rapito e poi ucciso dalle “Brigate rosse” - PMLI, 19 dicembre 2018
    91. Franceschini: "Moretti una spia? Riduttivo, si sentiva Lenin"
    92. Lo denuncia il magistrato Giulio Salvini. Dentro la direzione di Lotta continua c'era un infiltrato del Sid. Adriano Sofri, leader dell'ex sedicente gruppo rivoluzionario, non ne sapeva niente? - PMLI, 13 febbraio 2019