Lavrentij Pavlovič Berija
Lavrentij Pavloviĉ Berija |
Nome Ufficiale | Лаврентий Павлович Берия |
Nome Intero | Lavrentij Pavloviĉ Berija |
Data di nascita | 29 Marzo 1899 |
Luogo di nascita | Sukhumi, Impero Russo (oggi in Abcasia |
Data di morte | 23 Dicembre 1953 |
Luogo di morte | Mosca, Unione Sovietica |
Cariche politiche |
|
Partito politico |
|
Lavrentij Pavloviĉ Berija è stato un politico e militare sovietico, di origni georgiane. La sua ascesa politica ha avuto inizio nel 1938, quando viene nominato dal governo sovietico come Commissario del Popolo per gli Affari Interni (poi Ministro dell'Interno), sostituendo così Ežov, che fu degradato in quanto responsabile, tramite abuso d'ufficio, di azioni che nelle loro intenzioni dovevano favorire un clima di terrore e terreno fertile per un Colpo di Stato. Ritenuto da alcuni, come Vjačeslav Molotov e Enver Hoxha, un traditore direttamente coinvolto nelle circostanze misteriose della morte di Stalin che avrebbe voluto applicare, una volta al governo, delle politiche di restauro parziale del capitalismo in Unione Sovietica (tesi che pare essere in buona parte confermata anche dagli studi di Ludo Martens, storico, pensatore, teorico e militante marxista-leninista belga), mentre da altri una figura ingiustamente demonizzata e innocente da qualsiasi sospetto o accusa, come asserito dallo storico marxista-leninista Grover Furr, dal militante marxista-leninista britannico Bill Bland e (in parte) anche da Finnish Bolshevik, lo scopo di questa voce, tramite lo studio delle fonti di entrambi i campi, di riportare un resoconto quanto più imparziale e obiettivo possibile sulla sua figura. Ciò che è certo di Berija è che egli fu tutt'altro che il boia di Stalin di cui il comunista buono Chruščëv si sarebbe sbarazzato facendo un favore al mondo, come la vulgata anticomunista tende spesso ad affermare.
Biografia di Berija dalla nascita fino al 1938
Berija nacque nel 1899 in una famiglia di contadini residenti a Sukhumi, allora nell'Impero Russo. Sebbene Sukhumi sia da sempre il centro storico del popolo abcaso (nonché attuale capitale della Repubblica di Abcasia), Berija e la sua famiglia era di etnia georgiana. Nel Marzo 1917 si iscrisse al Partito Operaio Socialdemocratico Russo, avvicinandosi così alla corrente bolscevica ed iscrivendosi quindi al Partito Operaio Socialdemocratico Russo (bolscevico) nel 1918 quando si sciolse il partito.
Successivamente alla Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre, Berija entrò nell'Armata Rossa e successivamente nella Čeka nel 1920 o nel 1921 (a seconda delle fonti). Berija nel 1922 fu vice-capo del Direttorato Politico Combinato di Stato (OGPU) in Georgia. Nel 1924 Berija supportò Stalin per la successione a Lenin. Nel 1925 ha anche intrapreso una breve carriera calcistica giocando nel Dinamo Tbilisi come centrocampista.
Berija fu nominato capo dell'OGPU georgiano nel 1926, mentre nel 1931 fu nominato segretario del partito comunista georgiano (branca georgiana del PCUS). Berija mantenne un importante ruolo dirigenziale sulla Repubblica Socialista Sovietica Georgiana anche dopo il suo trasferimento dalla Georgia avvenuto nel 1938 con gli incarichi che il politico georgiano ottenne nell'NKVD fino alla sua epurazione nel 1953.
Ascesa al potere, ruolo nella liquidazione dell'Ežovščina
Nel 1938, nel mezzo delle "Grandi Purghe", Stalin e il politburo divennero decisamente più sospettosi nei confronti di Ežov e quindi incaricarono Berija (che fino ad allora aveva solo ricoperto ruoli marginali nell'amministrazione sovietica, come primo segretario della sezione georgiana del Partito), come secondo in comando dell'NKVD per mantenere un occhio su Ežov, e verso la fine dell'anno Ežov fu definitivamente rimosso, come testimonia lo storico Robert Thurston:
«Nell'autunno del 1938 la leadership di Ežov dell'NKVD era sotto costante fuoco da varie direzioni. Il regime rispose ufficialmente il 17 novembre, con una risoluzione congiunta del Sovnarkom e del Comitato centrale del partito. Questo documento arrivò a migliaia di funzionari in tutta l'URSS nell'NKVD, nella Procura e nel partito, fino al livello di raion. Così, il riconoscimento che si erano verificati errori grotteschi e ingiustizie si diffuse ampiamente, difficilmente l'azione di un governo che voleva continuare a spaventare i suoi cittadini. La risoluzione iniziò affermando che nel 1937-38 l'NKVD aveva svolto un "lavoro importante" per distruggere i nemici del popolo. [...] Nemici del popolo e spie straniere erano penetrati nella polizia di sicurezza e nel sistema giudiziario e avevano "consapevolmente ... eseguito arresti massicci e infondati". L'NKVDisty aveva completamente abbandonato le attente operazioni investigative e aveva recentemente adottato "i cosiddetti 'limiti' [quote]" per gli arresti. Gli agenti volevano solo ottenere confessioni dagli arrestati, indipendentemente dalle prove o dalla loro mancanza. La risoluzione continuava dicendo che molti prigionieri non erano stati interrogati fino a molto tempo dopo il loro arresto. I verbali delle loro dichiarazioni spesso non venivano tenuti o, se rimossi, erano pieni di modifiche apportate dalla polizia. [...] Quando si richiedeva la sanzione di un procuratore per l'arresto, l'NKVD doveva produrre materiale incriminante, che la Procura era tenuta a verificare. Ai procuratori distrettuali era stato specificamente ordinato di non consentire arresti infondati. L'NKVD doveva seguire rigorosamente le procedure del codice penale sulle indagini, incluso l'interrogatorio entro ventiquattro ore. [...] La risoluzione si concludeva con un avvertimento a tutti i membri dell'NKVD e della Procura: "non importa chi fosse la persona", qualsiasi parte colpevole della "minima violazione" della direttiva e delle leggi sovietiche sarebbe stata sottoposta alla "più severa contabilità legale"[1]»
Ludo Martens, storico e studioso di ispirazione marxista-leninista, ci parla di una prima istanza in cui Berija fu considerato dai cospiratori:
«Nel 1939, Tokaev [il "compagno X" poi disertore a Londra, cospiratore reo confesso mai pentito in più opere, ndr] e cinque suoi compagni, tutti ufficiali superiori, si riunirono nell'appartamento di un professore dell'Accademia militare Budënnyj. Discussero di un piano per rovesciare Stalin in caso di guerra. [...] Uno dei cospiratori propose di offrire il posto di primo ministro a Berija, divenuto molto popolare dopo che aveva liberato un gran numero di persone arrestate al tempo di Ežov[2].»
Grigorij Tokaev, il cospiratore impenitente che disertò per il Regno Unito nel 1948, dove visse il resto della sua vita e morì nel 2003, nella sua testimonianza, però, riporta uno dei principali motivi per cui Berija fu poi "scartato" dal suo gruppo di cospiratori:
«La paura di essere sospettati di mancanza di vigilanza spingeva dei fanatici locali a denunciare non solo dei buchariniani, ma anche dei malenkoviani, degli ežovisti, perfino degli stalinisti. Certo, non è impossibile che fossero anche spinti ad agire così da oppositori clandestini! (...) Berija, durante una riunione congiunta del Comitato Centrale e del Comitato Centrale di Controllo, tenuta nell'autunno del 1938, dichiarò che se Ežov non era un agente nazista consapevole, lo era certo involontariamente. Aveva trasformato i servizi centrali della NKVD in un covo di agenti fascisti [...] Gardinašvili, uno dei miei migliori contatti, ebbe un colloquio con Berija proprio prima che quest'ultimo fosse nominato capo della polizia. Gardinašvili domandò a Berija se Stalin non si rendesse conto dello sconcerto provocato da un numero così alto di esecuzioni; se non si fosse reso conto che il regime del terrore si era spinto troppo oltre ed era diventato controproducente; uomini ai più alti livelli si chiedevano se all'interno della NKVD non si fossero infiltrati degli agenti nazisti che usavano la loro posizione per screditare il nostro paese. La replica realista di Berija fu che Stalin era ben conscio di tutto ciò, ma che c'era una difficoltà pratica: il ritorno improvviso alla "normalità" in uno Stato delle dimensioni dell'URSS, controllato centralmente, era un compito immenso. Per di più esisteva un pericolo reale di guerra, e il governo doveva mostrarsi molto prudente quando si trattava di distensione [3].»
Rivalità con il gruppo di Chruščëv
Dopo aver svolto un ruolo prettamente ordinario come commissario politico dell'esercito durante la Grande Guerra Patriottica, Berija pare che abbia guidato una delle nuove tendenze revisionistiche sorte in seno al PCUS nei tardi anni '40. Come riporta ancora Martens:
«Questa debolezza si aggravò ancor più per le tendenze revisioniste che emersero, alla fine degli anni Quaranta, in seno alla Direzione suprema del Partito. Per dirigere i diversi settori del Partito e dello Stato, Stalin si era sempre avvalso dei suoi collaboratori. Dal 1934, Andrej Zdanov aveva svolto un ruolo essenziale nel lavoro di consolidamento del Partito. La sua morte, nell'agosto 1948, lasciò un vuoto. All'inizio degli anni Cinquanta, la salute di Stalin peggiorò fortemente a causa del superlavoro accumulato durante la guerra. In un futuro molto prossimo si sarebbe posto il problema della successione a Stalin. Fu allora che due gruppi di revisionisti in seno alla Direzione si manifestarono e tramarono degli intrighi, pur giurando fedeltà a Stalin. Il gruppo di Berija e quello di Chruščëv formarono due frazioni revisioniste rivali che, minando segretamente l'opera di Stalin, si fecero reciprocamente la guerra. Si potrebbe supporre che Berija, che sarebbe stato fucilato da Chruščëv nel 1953, poco dopo la morte di Stalin, fosse un avversario del revisionismo chruščeviano. È la posizione che adotta Bill Bland in uno studio ben documentato sulla morte di Stalin. Tuttavia testimonianze di fonti assolutamente opposte concordano nell'affermazione che Berija adottò una linea di destra. Così, l'autore Thaddeus Wittlin pubblicò una biografia di Berija nello stile nauseabondo del maccartismo. Per darne il tono: "Stalin, il dittatore, contempla il suo popolo come un nuovo dio implacabile che sorveglia i suoi milioni di schiavi". Testualmente. Ora, esponendo le idee sviluppate da Berija verso il 1951, Wittlin sosteneva che egli voleva autorizzare l'iniziativa privata nel settore dell'industria leggera e "ridurre il sistema delle fattorie collettive" per tornare "ai metodi precedenti a quelli di Stalin, cioè alla NEP". Berija "si oppone alla politica staliniana di russificazione delle nazioni e delle repubbliche non russe". "Gli piacerebbe avere delle buone relazioni con i paesi occidentali" e "intende anche riannodare le relazioni con Tito". Tokaev, oppositore clandestino, sosteneva di aver conosciuto Berija sin dagli anni Trenta, "non nel ruolo di servitore, ma come nemico del regime". Gardinašvili, un collaboratore vicino a Berija, aveva dei collegamenti molto stretti con Tokaev. Chruščëv, che avrebbe avuto chiaramente interesse a presentare Berija come un fedele di Stalin, scriveva: "Berija aveva preso l'abitudine di esprimere sempre più la sua mancanza di rispetto nei confronti di Stalin, durante gli ultimi anni di vita di questi". "Stalin aveva paura di essere una vittima prescelta da Berija". "Stalin, a volte, sembrava aver paura di Berija. Sarebbe stato molto contento di sbarazzarsene, ma non sapeva come fare." Bisogna anche menzionare l'opinione di Molotov che, con Kaganovič, rimase sempre fedele al suo passato rivoluzionario. "Non escludo che Berija abbia provocato la morte di Stalin. Lo sentivo attraverso ciò che egli mi raccontava. Il Primo Maggio 1953, sulla tribuna del Mausoleo, faceva delle allusioni di questo tipo. Voleva suscitare sentimenti di complicità. Diceva: 'L'ho fatto sparire'. Cercava di coinvolgermi. 'Vi ho salvati tutti'". "Considero Chruščëv come uno di destra, ma Berija come uno ancora più a destra. Entrambi erano di destra. E. Mikojan pure. Ma erano delle personalità diverse. Chruščëv era di destra e completamente marcio, Berija era ancora più di destra e ancora più marcio". "Chruščëv era senza dubbio un reazionario, è riuscito a infiltrarsi nel Partito. Sicuramente non credeva in alcun genere di comunismo. Considero Berija come un nemico. Si è infiltrato nel Partito con degli scopi perfidi. Berija era un uomo senza principi."[4]»
Dallo studio di Martens, che riporta diverse testimonianze, molte delle quali citate in altre voci di questa enciclopedia direttamente dalla fonte primaria, si evince come Berija fu tutt'altro che il boia di Stalin descritto dalla propaganda anticomunista. Egli, in realtà, come i suoi predecessori, altro non era che un carrierista e un opportunista, che agiva autonomamente, al di fuori di qualsivoglia "diretto controllo" di sperava di poter prendere il controllo del paese, nel medesimo modo in cui riuscirono, poi, i suoi rivali Chruščëv e Mikojan. Come riporta Molotov nelle sue memorie:
«Berija era senza principi. In diverse occasioni ho sentito che Berija, in gioventù, era stato reclutato da qualche servizio di intelligence straniero, e c'erano stati alcuni rapporti in tal senso. Ma questo non è mai stato dimostrato. Ma se fosse effettivamente associato ai commissari di Baku e se avesse servito la causa in gioventù dovrebbe essere verificato. [...] A mio parere, Stalin non aveva il controllo completo di sé stesso durante i suoi ultimi anni. Non credeva a nessuno intorno a lui. Sto giudicando in base alla mia esperienza. [...] Sapeva che Berija non si sarebbe fermato davanti a nulla per salvare se stesso. Questo stesso Berija era responsabile della rimozione degli ufficiali di sicurezza, e Stalin faceva delle selezioni tra coloro che Berija aveva scelto. Berija aveva ingannato Stalin facendogli credere che fosse stato lui stesso a fare l'intera selezione, ma Berija era dietro a tutta la faccenda. [...] [Chruščëv] era estremamente dispettoso verso Stalin, e ancora di più verso Berija. A volte Stalin esprimeva disprezzo per Berija. Voleva che venisse rimosso. Di chi si fidava? È difficile dirlo. Nessuno, direi[5].»
Anche Hoxha, nell'unica vera e propria interazione avuta con Berija, non ne dipinge certo un ritratto positivo:
«In quanto comunista e dirigente del Partito, anch’io ho dovuto partecipare attivamente e dare il mio contributo a questa grande lotta eroica del nostro Partito. Incaricato dal Partito e dalla sua direzione fin dalla Liberazione dell’Albania, e soprattutto durante gli anni 1950-1960, ho più volte guidato le delegazioni del Partito e dello Stato negli incontri ufficiali con i dirigenti sovietici e con i principali dirigenti degli altri partiti comunisti e operai. Ci siamo anche scambiati visite, e ho preso parte a consultazioni e a incontri intemazionali dei partiti comunisti dove ho esposto e difeso la giusta linea del nostro Partito, le sue decisioni e le sue raccomandazioni. Durante tutti questi incontri e queste visite ho conosciuto da vicino gloriosi e indimenticabili dirigenti come Stalin, Dimitrov, Gottwald, Bierut, Pieck ed altri, ma ho dovuto entrare in contatto e conoscere anche i traditori kruscioviani, i quali, attraverso un processo lungo e complesso, hanno gradualmente usurpato il potere sia in Unione Sovietica che nei paesi che erano un tempo democrazie popolari. [...] Il giorno successivo alla morte di Stalin, il 6 marzo 1953, il Comitato Centrale del Partito, il Consiglio dei Ministri e il Presidium del Soviet Supremo dell’Unione Sovietica convocarono in fretta un’adunanza congiunta. In caso di gravi perdite, come quella di Stalin, riunioni urgenti come questa sono una cosa utile e indispensabile. Ma i numerosi e importanti rimpasti comunicati attraverso la stampa il giorno seguente, dimostrarono che questa riunione urgente aveva avuto luogo unicamente per procedere... alla spartizione delle cariche! Stalin era appena morto, la sua salma non era stata portata ancora nella sala in cui gli sarebbero stati resi gli ultimi omaggi, non era stato preparato nemmeno il programma per l’organizzazione degli omaggi e della cerimonia funebre, i comunisti e il popolo sovietico erano in lacrime per la grande perdita, e invece il vertice della direzione sovietica riteneva opportuno proprio quel giorno per procedere alla spartizione dei portafogli! Malenkov fu designato presidente del Consiglio dei Ministri, Berija primo vicepresidente del consiglio e ministro degli interni, mentre Bulganin, Kaganovič, Mikojan, Molotov si spartirono le altre principali cariche. Quello stesso giorno si procedette a importanti cambiamenti in tutti gli organi supremi del partito e del potere. Il Presidium e l’Ufficio del Presidium del Comitato Centrale del Partito si fusero in uno solo organo, furono eletti nuovi segretari al Comitato Centrale del Partito, si procedette alla fusione di vari ministeri, furono fatti cambiamenti nella composizione del Presidium del Soviet Supremo ecc. [...] Ma se all’inizio tutto ciò suscitava in noi solo interrogativi che ci sconvolgevano e ci stupivano, l’evolversi degli avvenimenti, le vicende e i fatti che avremmo appreso in seguito ci avrebbero maggiormente convinti che da tempo mani segrete tramavano la congiura e aspettavano solo l’occasione per avviare il processo di distruzione del Partito Bolscevico e del socialismo in Unione Sovietica. [...] Noi, e molti altri come noi, ritenevamo che Primo Segretario del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica sarebbe stato eletto Molotov, il più stretto collaboratore di Stalin, il bolscevico più vecchio, più maturo, dotato di maggiore esperienza e meglio conosciuto in Unione Sovietica e all’estero. Ma non fu così. Malenkov fu messo alla testa e Berija si aggrappò a lui. In quei giorni dietro di loro, un po’ più nell’ombra, stava una «pantera» che si apprestava a divorare e liquidare i primi due. Questi era Nikita Chruščëv. La sua ascesa, per il modo in cui avvenne, era veramente strana e destava sospetti: all’inizio fu designato solo capo della commissione centrale per l’organizzazione della cerimonia dei funerali di Stalin e il 7 marzo, quando la spartizione dei posti fu resa di pubblica ragione, non gli fu assegnata nessuna carica; egli fu solo esonerato dalle funzioni di Primo Segretario del Comitato di Partito di Mosca dato che «sarebbe stato incaricato a lavo rare principalmente presso il Comitato Centrale del Partito». Appena pochi giorni dopo, il 14 marzo 1953, Malenkov «dietro sua richiesta» fu esonorato dalla funzione di Segretario del Comitato Centrale del Partito (!) e nella composizione del nuovo Segretariato, eletto lo stesso giorno, Nikita Chruščëv figurava alla testa. Simili atti, benché non ci riguardassero, non ci piacquero affatto. Rimanemmo molto delusi per quanto riguarda l’idea che c’eravamo fatti della stabilità al vertice della direzione sovietica, ma pensammo che non eravamo affatto al corrente del modo in cui si sviluppava la situazione all’interno del Partito e della direzione dell’Unione Sovietica. Dai contatti che avevo avuto con lo stesso Stalin, con Malenkov, Molotov, Chruščëv, Berija, Mikojan, Suslov, Vorošilov, Kaganovič ed altri principali dirigenti, non avevo notato la benché minima spaccatura o discordanza fra loro. Stalin ha combattuto in modo coerente ed è stato uno dei fattori decisivi dell’unità marxista-leninista del Partito Comunista dell’Unione Sovietica. Questa unità nel partito, per la quale aveva lavorato Stalin, non era stata raggiunta con il terrore, come sostennero più tardi Chruščëv e i kruscioviani, facendo eco alle calunnie degli imperialisti e della borghesia capitalista mondiale, che lottavano per rovesciare e distruggere la dittatura del proletariato in Unione Sovietica, ma poggiava sulle conquiste del socialismo, sulla linea e l’ideologia marxista-leninista del Partito Bolscevico, sulla somma e indiscutibile personalità di Stalin. [...] Se in tutta questa titanica e giusta lotta c’è stato anche qualche eccesso, non fu Stalin a farlo, ma Chruščëv, Berija e soci, i quali, per fini oscuri e segreti, al tempo in cui non si sentivano abbastanza potenti, si mostrarono fra i più zelanti a fare epurazioni. Essi agirono in questo modo per acquistarsi credito come «fervidi difensori» della dittatura del proletariato, dimostrandosi «spietati con i nemici», con il proposito di dare la scalata al potere e di impadronirsene in seguito. I fatti dimostrano che quando Stalin venne a scoprire l’attività ostile di un Jagoda o di un Ežov, il tribunale della rivoluzione li condannò senza esitare. Simili elementi, come anche Chruščëv, Mikojan, Berija e i loro aparatciki nascondevano la verità a Stalin. In un modo o nell’altro essi bluffavano, ingannavano Stalin, che non aveva fiducia in loro, perciò aveva apertamente detto: "-... dopo di me, voi venderete l’Unione Sovietica". E’ stato lo stesso Chruščëv ad ammetterlo. E avvenne proprio come aveva previsto Stalin. Finché lui era vivo, anche questi nemici parlavano di unità, ma dopo la sua morte stimolarono la scissione. Questo processo andò via via sviluppandosi. [...] Alcuni mesi dopo la morte di Stalin, nel giugno 1953, mi recai a Mosca alla testa di una delegazione del nostro Partito e del nostro governo per chiedere un credito economico e militare. Era il tempo in cui Malenkov sembrava essere il principale dirigente. Egli era presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica. Chruščëv, benché dal marzo 1953 figurasse in testa all’elenco dei segretari del Comitato Centrale del Partito, a quanto pare non si era ancora impadronito totalmente del potere, non aveva preparato ancora il suo putsch. [...] Malenkov era sempre quello di prima — grasso e con una faccia gialla da imberbe. L’avevo conosciuto tanti anni prima a Mosca, durante gli incontri che avevo avuto con Stalin, e mi aveva fatto una buona impressione. Egli adorava Stalin e sembrava che Stalin pure lo apprezzasse. Al 19° Congresso fu Malenkov a presentare il rapporto in nome del Comitato Centrale. Egli era uno dei quadri relativamente giovani che erano giunti alla direzione, e che più tardi fu eliminato dal revisionista mascherato Chruščëv e dai suoi seguaci. Ma allora egli era a capo del paese, rivestiva la carica di presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica. Accanto a lui stava Berija, con gli occhi scintillanti dietro i suoi occhiali e le mani in continuo movimento. Dopo Berija veniva Molotov, calmo, simpatico, uno dei più serii e dei più rispettati dirigenti per noi, in quanto vecchio bolscevico fin dai tempi di Lenin e intimo compagno di Stalin. Continuavamo a considerare tale Molotov anche dopo la morte di Stalin. Dopo Molotov veniva Mikojan dal volto bruno e cupo, tetro come la notte. Questo trafficante teneva in mano una di quelle grosse matite rosso e blu (un oggetto che in Unione Sovietica si poteva vedere in tutti gli uffici), e stava facendo dei «calcoli». Ora egli aveva maggiormente esteso le sue competenze. Il 6 marzo, giorno in cui si procedette alla distribuzione delle cariche, era stato deciso che il Ministero del Commercio Estero e quello del Commercio Interno si fondessero in uno solo, e l’armeno aveva strappato il portafoglio del ministro commerciante. [...] Incominciai a parlare dei problemi che ci preoccupavano, specie delle questioni militari ed economiche. Prima feci un preambolo della situazione politica interna ed estera del nostro paese, che noi giudicavamo preoccupante. Dovevo senz’altro motivare le nostre necessità e le nostre richieste sia per quanto riguardava il settore economico che quello militare. Riguardo quest’ ultimo, gli aiuti forniti dai sovietici al nostro esercito erano sempre stati insufficienti, minimi, sebbene noi li avessimo apprezzati molto anche pubblicamente. Nella mia esposizione dei fatti ebbi cura di essere il più possibile conciso e concreto, cercai di non dilungarmi e stavo parlando da appena venti minuti quando sentii Berija, dagli occhi di vipera, dire a Malenkov che stava immobile come una mummia ad ascoltarmi: "Non sarebbe meglio dirgli ciò che abbiamo da dirgli e farla finita?" [...] Berija prese la parola. Con aria preoccupata, irritato, muovendo gli occhi e le mani, egli inco minciò a dire che, secondo le informazioni di cui disponevano, noi avevamo non solo ell’esercito, ma anche negli apparati dello Stato e dell’economia degli elementi poco buoni e sospetti (!), e citò perfino una cifra in percentuale. Bulganin tirò un respiro di sollievo e guardò intorno senza nascondere la sua soddisfazione, ma Berija gli stroncò il sorriso sulle labbra. Si oppose apertamente al "consiglio" di Bulganin a proposito delle epurazioni rilevando che "gli elementi con un passato oscuro, ma che in seguito si erano incamminati sulla giusta via, invece di essere epurati dovevano essere perdonati". L’ostilità e le profonde contraddizioni che esistevano fra questi due si manifestavano del tutto apertamente. Come risultò più tardi, le divergenze Bulganin-Berija non erano semplicemente divergenze personali, ma il riflesso delle contraddizioni, dei dissidi e dei profondi contrasti che covavano fra gli organi di Sicurezza dello Stato sovietico e gli organi d’informazione dell’esercito sovietico. Ma questo lo dovevamo apprendere più tardi. Nel caso concreto si trattava di una grave accusa contro di noi, accusa che non potevamo in nessun modo accettare. [...] Da ciò si poteva indovinare che nel Presidium del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica era cominciato fra i capi il gioco di gomiti. Malgrado la loro preoccupazione di non dare fuori l’impressione che al Cremlino stava per aver luogo il "cambio della guardia", essi non potevano nascondere tutto. Nel Partito e nel Governo erano stati fatti e venivano fatti ancora dei cambiamenti. Chruščëv, dopo aver fatto lo sgambetto a Malenkov, lasciandogli solo la carica di primo ministro, nel settembre del 1953 assunse personalmente il posto di Primo Segretario del Comitato Centrale. Si capiva che Chruščëv e il gruppo dei suoi stretti seguaci tramarono bene l’intrigo al Presidium, seminando la discordia fra gli oppositori, eliminando Berija, mentre gli altri, a quanto pare, furono messi «a dovere». Quanto all’arresto e all’esecuzione di Berija, esistono parecchie versioni in merito. Si è detto, tra l’altro, che Berija fu arrestato da uomini dell’esercito, con a capo il generale Moskalenko, nel corso stesso di una riunione del Presidium del Comitato Centrale del Partito. Pare che Chruščëv e compagni, non avendo fiducia negli organi di Sicurezza dello Stato, dal momento che erano stati per anni interi nelle mani di Berija, incaricarono l’esercito dell’esecuzione di questa "missione speciale". Il piano era stato predisposto in precedenza: Mentre era in corso la riunione del Presidium del Comitato Centrale del Partito, Moskalenko e i suoi uomini si erano introdotti, senza essere visti, in una stanza attigua. In un certo momento Malenkov preme il bottone di un campanello e, pochi istanti dopo, Moskalenko entra nell’ufficio in cui aveva luogo la riunione e si avvicina a Berija per arrestarlo. Questi, si dice, avrebbe allungato la mano verso la borsa che teneva vicino, ma Chruščëv, «vigilante», al suo fianco, si era mostrato più «lesto» e gli aveva strappato la borsa dalle mani. L’«uccello» non poteva prendere il volo, l’azione fu coronata di successo! Proprio come in un film poliziesco, ma non in un film qualsiasi: gli attori erano membri del Presidium del CC del PC dell’Unione Sovietica! Questa è la versione dei fatti che fu data, e Chruščëv stesso l’ha confermata. Più tardi un generale, consigliere militare sovietico, di nome Sergatskov, se ricordo bene, quando venne a Tirana ci raccontò qualche cosa a proposito del processo di Berija. Egli ci disse di essere stato chiamato come testimone per dichiarare al processo di Berija che questi si sarebbe comportato con arroganza nei suoi confronti. In quest’occasione, Sergatskov aveva detto in confidenza ai nostri compagni: "Berija si è difeso molto bene durante il processo, non ha ammesso nulla e ha respinto le accuse."[6]»
Riporta ancora Martens:
«Nel Plenum che seguì il XIX congresso, Stalin fu ancora più duro nelle critiche da lui rivolte a Mikojan, Molotov e Vorošilov; egli era virtualmente in aperto conflitto con Berija. Ogni membro della Direzione capiva perfettamente che Stalin esigeva un cambiamento di rotta radicale. Chruščëv comprese chiaramente il messaggio e, come gli altri, nascose la testa tra le spalle. [...] A quell'epoca, Stalin era già un uomo vecchio, stanco e malato. Agiva con prudenza. Essendo arrivato alla conclusione che i membri dell'Ufficio Politico non erano più all'altezza [dei loro compiti], introdusse nel Presidium dei giovani più rivoluzionari per metterli alla prova e verificarli. I revisionisti e i cospiratori come Chruščëv, Berija e Mikojan sapevano che presto avrebbero perso la loro posizione. Sempre secondo Chruščëv, Stalin avrebbe detto ai membri dell'Ufficio Politico, dopo il caso del complotto dei medici, alla fine del 1952: "Siete ciechi come gattini. Cosa succederebbe senza di me? Il paese perirebbe perché non sapete riconoscere i nemici." Chruščëv usò questa citazione come prova della follia e della paranoia di Stalin. Ma la storia ha dimostrato quanto questa osservazione fosse pertinente. [...] Nel corso del 1949, quasi tutta la cerchia di Ždanov fu arrestata e giustiziata. Kuznecov, segretario del Comitato Centrale e braccio destro di Zdanov, Rodjonov, primo ministro della Repubblica russa e Voznesenskij, presidente del Piano, furono le vittime più importanti. Erano tra i quadri più in vista della nuova generazione. Chruščëv attribuì la loro eliminazione agli intrighi di Berija[7].»
Breve parentesi al potere e caduta
Le prove indiziarie, eloquentemente illustrate con tanto di fonti, dimostrano che la morte di Stalin nel 1953 avvenne molto probabilmente per omissione di soccorso, e fu un "assassinio" con la tattica della "negligenza medica", già utilizzata da parte di altri cospiratori in passato. Le responsabilità di questo (possibile) assassinio gravano tutte, oltre che su Chruščëv, sullo stesso Berija in primis. Il periodo immediatamente successivo alla morte di Stalin vide un breve "interregno" guidato da Berija:
«Qualche mese prima della morte di Stalin, fu smantellato tutto il sistema di sicurezza che lo proteggeva. Aleksandr Proskrebyšev, il suo segretario personale che lo serviva dal 1928 con grande efficienza, fu licenziato e posto agli arresti domiciliari. Avrebbe sottratto dei documenti segreti. Il luogotenente colonnello Nikolaj Vlasik, capo della sicurezza personale di Stalin da 25 anni, fu arrestato il 16 dicembre 1952 e morì qualche settimana più tardi in carcere.Il generai maggiore Pëtr Kosynkin, vicecomandante della guardia del Cremlino, responsabile della sicurezza di Stalin, morì "per una crisi cardiaca", il 17 febbraio 1953. [...] Solo Berija era nella posizione giusta per poter dirigere un simile complotto. Il 1° marzo alle 23, la guardia trovò nella sua camera Stalin steso per terra in stato di incoscienza. Vennero chiamati per telefono i membri dell'Ufficio Politico. Chruščëv affermò che era arrivato anche lui, poi "ognuno era rientrato a casa propria". Nessuno avvisò un medico... Dodici ore dopo il suo attacco, Stalin ricevette le prime cure. Morì il 5 marzo. [...] Immediatamente dopo la morte di Stalin venne convocata una riunione del Presidium. Fin dalla sua apertura Berija propose Malenkov come presidente del Consiglio dei Ministri e Malenkov chiese che Berija fosse nominato primo vicepresidente e ministro degli Affari Interni e della Sicurezza di Stato.Nei mesi seguenti Berija dominò la scena politica. [...] Appena insediato nuovamente a capo della Sicurezza, Berija fece arrestare Proskrebyšev, il segretario di Stalin, poi Rjumin che aveva diretto l'inchiesta sulla morte sospetta di Zdanov. Ignat'ev, il capo di Rjumin, fu denunciato per il suo ruolo nello stesso caso. Il 3 aprile i medici accusati di aver ucciso Zdanov furono liberati. Il sionista Wittlin affermava che riabilitando i medici ebrei, Berija voleva "denigrare la politica estera di Stalin, diretta essenzialmente contro l'Occidente, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna"[8].»
Come testimonia il già menzionato giornalista Harrison Salisbury, corrispondente da Mosca e quindi testimone oculare della vicenda:
«Convogli di camion fluidi e silenziosi scivolavano nella città. Seduti a gambe incrociate su panche di legno nei camion dipinti di verde c'erano distaccamenti di truppe del MVD con i cappelli blu e rossi, ventidue per camion, le truppe speciali del Ministero degli Interni. . . . Mi passò per la mente il pensiero fugace che, forse, un colpo di stato potesse essere in atto. [...] Alle nove... le truppe degli Affari Interni erano ovunque nel centro della città [...] Nella parte alta di Gorky Street fecero la loro comparsa colonne di carri armati [...] Tutte le truppe e tutti i camion e tutti i carri armati appartenevano ai distaccamenti speciali del MVD. Non si vedeva un solo distaccamento di forze dell'esercito regolare. Più tardi scoprii che il MVD aveva, di fatto, isolato quasi tutta la città di Mosca [...] Alle dieci o alle undici del mattino del 6 marzo 1953 nessuno poteva entrare o uscire dal cuore di Mosca se non con il permesso del MVD [...] Le forze del MVD avevano preso il controllo della città [...] Potevano altre truppe entrare in città? No, a meno che non avessero il permesso del MVD o fossero pronte a farsi strada combattendo, strada per strada, barricata per barricata[9].»
Riporta ancora Martens in merito all'"apice" della carriera di Berija:
«Sempre in aprile, Berija organizzò un 'contro-colpo' [di Stato] nella sua terra natale, la Georgia. Mise di nuovo i suoi uomini a capo del Partito e dello Stato, Dekanozov (che sarebbe stato fucilato con Berija) diventò ministro della Sicurezza di Stato al posto di Ruchadze, arrestato come 'nemico del popolo'. [...] Intanto Chruščëv tramava contro Berija. Ottenne prima di tutto l'appoggio del "protetto" di Berija, Malenkov, poi incontrò individualmente tutti gli altri. L'ultimo a essere contattato fu Mikojan, il migliore amico di Berija. Il 24 giugno venne convocato il Presidium, nel corso del quale fu arrestato Berija. Mikojan vi espresse il parere che Berija "prenderà a cuore le nostre critiche... il suo caso non è disperato".A un segnale convenuto, undici marescialli e generali implicati nel complotto e diretti da Zukov entrarono nella sala e arrestarono Berija, che sarebbe stato fucilato con i suoi collaboratori il 23 dicembre 1953. Il 14 luglio 1953, il generale Aleksej Antonov e il general maggiore Efimov organizzarono un "colpo di Stato" nel Partito Comunista della Georgia e cacciarono gli uomini di Berija. Mžavanadze, vecchio luogotenente generale, diventò primo segretario del Partito. Rjumin era stato arrestato da Berija il 5 aprile 1953. Quindici mesi più tardi, i chruscëviani lo condannarono per il suo ruolo nel "caso dei dottori". Il 23 luglio fu fucilato. Ma Ignat'ev, il suo capo, protetto da Chruščëv, fu nominato primo segretario della Repubblica autonoma di Baškiria. Alla fine di dicembre del 1954, Abakumov, ex ministro della Sicurezza di Stato, e i suoi collaboratori vennero condannati a morte per aver costruito, su istruzioni di Berija, "il caso di Leningrado" contro Voznesenskij e i suoi amici. Nel settembre 1955, Nikolaj Ruchadze, responsabile della Sicurezza in Georgia, che aveva condotto le purghe contro gli uomini di Berija nel 1951, fu condannato e fucilato come 'complice di Berija'. Così, dal 1950 al 1955, diversi clan revisionisti. ingaggiarono una lotta a coltello per regolare i conti tra loro e approfittarono dell'occasione per eliminare anche i sostenitori di Stalin[10].»
I motivi dietro la "demonizzazione" postuma di Berija
Ma allora perché Berija, che è stato dimostrato dalle diverse fonti citate in merito essere un revisionista e un avversario di Stalin tanto quanto Chruščëv, è stato dipinto da Chruščëv come uno "stalinista" duro e puro? Il motivo è semplice: aveva bisogno di un capro espiatorio per poter giustificare le sue revisioni ideologiche e il suo tradimento della Rivoluzione d'Ottobre, essendo egli salito al potere tramite un golpe con l'avallo del generale Zukov. Di questa "demonizzazione" non fu l'unica vittima, dato che Malenkov (difficilmente definibile "stalinista" dato che entrò nel politburo solo nel 1941, ed era il più giovane dei dirigenti dell'epoca), Molotov e Kaganovič ne furono in egual misura colpiti. Scrive in merito Martens:
«Dopo la morte di Stalin, sotto Chruščëv, opportunisti e nemici del leninismo, inviati, a ragion veduta, in Siberia sotto Stalin, furono riabilitati e collocati in posti di comando. Sergej, il figlio di Chruščëv, ci informa di questo. Negli anni Trenta, Chruščëv e Mikojan erano stati nel giro di un certo Snegov, condannato nel 1938 a venticinque anni di carcere come nemico del popolo. Nel 1956, Chruščëv lo fece uscire da un campo [di lavoro] perché testimoniasse "sui crimini staliniani". Ora, questo Snegov 'provò' al figlio di Chruščëv, che "non si trattava tanto di errori e sbagli casuali di Stalin, ma che la sua politica sbagliata e criminale era la causa di tutti i mali. E che questa politica non era apparsa tutt'a un tratto nel mezzo degli anni Trenta, ma che aveva radici nella Rivoluzione d'Ottobre del 1917 e nella guerra civile". Un simile individuo, che si dichiarava apertamente avversario della Rivoluzione d'Ottobre, fu nominato da Chruščëv commissario al Ministero degli Interni dove si occupò, in particolare, della riabilitazione delle "vittime dello stalinismo". Chruščëv andò persino a ripescare l'imbroglione Solženicyn in un campo di lavoro. Così, il capo revisionista che giurava di voler «ritornare al leninismo», contrasse un'alleanza con uno zarista reazionario per combattere lo 'stalinismo'. Le due canaglie si intendevano a meraviglia. In uno slancio di tenerezza per il suo complice 'marxista', Solcenicyn scriverà più tardi: "Era impossibile prevedere l'attacco improvviso, veemente e furioso che Chruščëv si era riservato contro Stalin per il XXII Congresso! Non mi ricordo di aver letto da molto tempo una cosa così interessante." [...] Dopo l'esecuzione di Berija, Chruščëv si impose come figura dominante del Presidium. Al XX Congresso, nel febbraio del 1956, aveva stravolto completamente la linea ideologica e politica del Partito. Aveva proclamato rumorosamente che la "democrazia leninista" e la "direzione collegiale" erano state ristabilite, ma aveva praticamente imposto il suo Rapporto Segreto su Stalin agli altri membri del Presidium. Molotov testimonia: "Quando Chruščëv lesse il suo Rapporto al XX Congresso, ero già stato chiuso in un vicolo cieco. Mi si domanda spesso: perché al XX Congresso non avete preso la parola contro Chruščëv? Il Partito non era preparato a questo. Ci avrebbero messo alla porta. Restando nel Partito speravo di poter raddrizzare un po' la situazione." [...] L'eliminazione della maggioranza marxista-leninista del Presidium fu possibile grazie all'intervento dell'esercito, in particolare di Žukov, e dei segretari regionali che vennero in aiuto a Chruščëv, messo in minoranza. Le esitazioni, la poca perspicacia politica, lo spirito conciliante di Molotov, Malenkov e Kaganovič causarono la sconfitta. Anche in politica internazionale, la linea seguita da Stalin fu completamente smantellata. Chruščëv si arrese di fronte alla borghesia mondiale. Al XX Congresso disse: "Il Partito ha fatto a pezzi le concezioni superate." "Vogliamo essere amici degli Stati Uniti." "La Jugoslavia ottiene degli importanti risultati nell'edificazione del socialismo." "La classe operaia può conquistare una solida maggioranza nel Parlamento e trasformarlo nello strumento di una vera volontà popolare." Chruščëv iniziò lo smantellamento dell'opera di Stalin facendo delle profezie affascinanti. A riascoltarle oggi, Chruščëv ci appare nel suo vero ruolo di pagliaccio. "Nel periodo del culto della personalità - disse Chruščëv - erano emerse delle persone che gettavano la polvere negli occhi." Con Stalin adulatori e illusionisti erano [invece] ovviamente spariti. Ecco perché Chruščëv proseguì con spudoratezza il suo discorso [al XXII Congresso]: "Nei prossimi dieci anni (1961-1970) l'Unione Sovietica, che crea la base materiale e tecnica del comunismo, supererà nella produzione pro-capite il paese capitalista più potente e più ricco, gli USA." Vent'anni dopo l'"entrata nel comunismo" promessa da Chruščëv per il 1970, l'Unione Sovietica è esplosa sotto i colpi dell'imperialismo americano; le sue Repubbliche sono sottoposte alla rapina dei mafiosi e dei capitalisti rapaci, il popolo è sprofondato nella miseria e nella disoccupazione, il crimine regna dappertutto, il nazionalismo e il fascismo provocano delle guerre civili atroci, si contano i morti a decine di migliaia, i profughi a milioni[11].»
Furr, una delle poche voci in merito a favore di Berija, riporta, invece:
«Berija è la figura più calunniata nella storia sovietica. Pertanto, il capovolgimento del giudizio storico sulla carriera di Berija, iniziato bruscamente dopo la fine dell'Unione Sovietica, è stato ancora più drammatico della rivalutazione accademica del ruolo di Stalin, che è l'argomento principale di questi articoli. I "Cento giorni" di Berija, in realtà 112 giorni dalla morte di Stalin il 5 marzo 1953 alla rimozione di Berija il 26 giugno, hanno assistito all'avvio di un gran numero di riforme drammatiche. Se la leadership sovietica avesse permesso a queste riforme di svilupparsi pienamente, la storia dell'Unione Sovietica, del movimento comunista internazionale, della Guerra fredda, in breve, dell'ultima metà del XX secolo, sarebbero state drammaticamente diverse. Le iniziative di riforma di Berija includevano almeno le seguenti, tutte meritevoli, e alcune delle quali stanno ricevendo, uno studio speciale anche se il governo russo mantiene la maggior parte delle fonti primarie vitali su di esse chiuse persino ai ricercatori fidati: 1) La riunificazione della Germania come stato non socialista e neutralista, un passo che sarebbe stato molto popolare tra i tedeschi e decisamente sgradito agli alleati della NATO, compresi gli USA; 2) La normalizzazione delle relazioni con la Jugoslavia, che prometteva di tirarla indietro dalla sua tacita alleanza con l'Occidente verso il Cominform. 3) Una politica delle nazionalità che si opponeva alla "russificazione" nelle aree recentemente annesse dell'Ucraina occidentale e degli stati baltici, insieme all'obiettivo di raggiungere almeno alcuni dei gruppi di emigrati nazionalisti. Una politica delle nazionalità riformata in altre aree non russe, tra cui Georgia e Bielorussia. 4) Riabilitazioni e risarcimenti per coloro che erano stati ingiustamente condannati da organi giudiziari speciali (troika e "commissioni speciali" dell'NKVD) durante gli anni '30 e '40. Sotto Berija questo processo sarebbe stato svolto in modo molto diverso da come è stato poi condotto sotto Chruščëv, che "riabilitò" molti che erano indiscutibilmente colpevoli. [...] Ufficialmente, Berija fu arrestato dai suoi colleghi membri del Politburo e da alcuni generali il 26 giugno 1953. Ma i dettagli di questo presunto arresto sono poco chiari e esistono versioni contraddittorie. In ogni caso, durante il Plenum del CC del luglio 1953 dedicato all'accusa di vari crimini a Berija, Mikojan disse: "Quando [Berija] fece la sua presentazione sulla Piazza Rossa sulla tomba del compagno Stalin, dopo il suo discorso dissi: 'Nel tuo discorso c'è un punto in cui garantisci a ogni cittadino i diritti e le libertà previsti dalla Costituzione. Anche nel discorso di un semplice oratore questa non è una frase vuota, e nel discorso di un ministro degli affari interni, questo è un programma d'azione, devi rispettarlo'. Mi rispose: "E lo realizzerò". In questo stesso Plenum del giugno 1953, Chruščëv disse: "Ricordate, allora Rakosi [leader comunista ungherese] disse: Vorrei sapere cosa viene deciso nel Consiglio dei ministri e cosa nel Comitato centrale, che tipo di divisione dovrebbe esserci... Berija allora disse con noncuranza: Quale Comitato centrale? Lasciamo che decida il Consiglio dei ministri e che il Comitato centrale si occupi di quadri e propaganda". [...] Questi uomini sembrano aver creduto che Berija intendesse far uscire il Partito dal processo di gestione diretta del paese. Ciò era molto simile a ciò per cui Stalin e i suoi soci avevano lottato durante le discussioni costituzionali del 1935-37. Lo si può di nuovo discernere nella bozza del programma del Partito del 1947 e nella ristrutturazione del Partito bolscevico da parte di Stalin durante il 19° Congresso del Partito e il successivo Plenum del Comitato Centrale solo pochi mesi prima. Il figlio di Berija, Sergo, afferma che suo padre e Stalin concordavano sulla necessità di far uscire il Partito dalla gestione diretta della società sovietica: "I rapporti di mio padre con gli organi del Partito erano complicati... Non ha mai nascosto i suoi rapporti con l'apparato del Partito. Ad esempio, ha detto direttamente a Chruščëv e Malenkov che l'apparato del Partito corrompe le persone. Era tutto appropriato per i tempi passati, quando lo stato sovietico era appena stato formato. Ma, chiese loro mio padre, chi ha bisogno di questi controllori oggi? Ha avuto lo stesso tipo di colloqui franchi con i direttori di industrie e fabbriche che, naturalmente, non si curavano affatto delle inerzie del Comitato Centrale. Anche mio padre era altrettanto franco con Stalin. Joseph Vissarionovich era d'accordo sul fatto che l'apparato del Partito si era sottratto alla responsabilità per questioni concrete e non aveva altro da fare che parlare. So che un anno prima della sua morte, quando Stalin presentò la nuova composizione del Presidium del Comitato Centrale, tenne un discorso in cui il punto principale era che era necessario trovare nuove forme di gestione del paese, che i vecchi metodi non erano i migliori. In quel periodo si tenne una seria discussione sull'attività del Partito." [...] Logicamente questo avrebbe seriamente alienato Berija dalla maggior parte della nomenklatura del Partito. Chruščëv guidava e rappresentava gli interessi di questo gruppo o, per lo meno, di una parte ampia e attivista di esso. E Chruščëv aveva un concetto di "democrazia" del tutto diverso. Il famoso regista Mikhail Romm registrò le parole di Chruščëv in un incontro con gli intellettuali: "Certo, tutti noi qui vi abbiamo ascoltato, abbiamo parlato con voi. Ma chi deciderà? Nel nostro Paese deve decidere il popolo. E il popolo, chi è? Questo è il Partito. E chi è il Partito? Questo siamo noi. Noi siamo il Partito. Ciò significa che decideremo. Io deciderò. Capito?" [...] Il risultato immediato dei fallimenti di Stalin e Berija nella democratizzazione fu di lasciare l'URSS nelle mani della dirigenza del Partito. Nessuna democrazia operaia si realizzò nell'Unione Sovietica. I massimi dirigenti del Partito continuarono a monopolizzare tutte le posizioni importanti, comprese quelle nello Stato e nell'economia, e si svilupparono in uno strato completamente parassitario e sfruttatore con forti somiglianze con le loro controparti nei paesi francamente capitalisti. In un certo senso questo strato è ancora al potere oggi. Gorbaciov, Eltsin, Putin e il resto dei leader della Russia e degli stati post-sovietici sono tutti ex membri della dirigenza del Partito. Hanno a lungo spremuto i cittadini dell'Unione Sovietica come funzionari super-privilegiati. Poi, sotto la guida di Gorbaciov, presiedettero alla privatizzazione di tutta la proprietà prodotta collettivamente che apparteneva alla classe operaia dell'URSS, impoverendo non solo i lavoratori, ma anche la grande classe media nel processo. Questa è stata definita la più grande espropriazione nella storia del mondo. La nomenklatura del partito distrusse l'Unione Sovietica[12].»
Per quanto tale approfondimento, con tanto di fonti, da parte di Furr sia indubbiamente frutto di una riflessione interessante e con delle conclusioni assolutamente condivisibili, è difficile, date le prove indiziarie del coinvolgimento di Berija nel (possibile) assassinio di Stalin, le testimonianze da parte di Molotov e altri in merito alla chiara sfiducia che Stalin riponeva soprattutto nei confronti di Berija, e l'opposizione, dimostrata, di Berija e dei suoi uomini ai tentativi di riforma di Stalin e Zdanov del 1947, pensare che Berija abbia potuto (e voluto) continuare le proposte di Stalin per una "democratizzazione" del Partito e una trasformazione di esso in un più simbolico "partito guida" o "principe moderno", per dirla in termini gramsciani, se così fosse, sarebbe inspiegabile, anni dopo la sua morte, la continuata ostilità, velata o meno, di individui di scuola "stalinista" come Molotov o Hoxha nei suoi confronti. La riunificazione delle due Germanie fu già proposta da Stalin, e fu rifiutata da parte del blocco NATO, e la proposta di ingresso dell'URSS nella nascente NATO, eccetto forse per l'unica voce positiva di Churchill, era chiaramente impossibile da vedere attuata nella prassi, e pensare il contrario è nel migliore dei casi idealismo politico. Lo stesso discorso vale per quanto riguarda il rapprochement con la Jugoslavia; senza uno scalzamento di Tito, essa sarebbe rimasta un paese revisionista, di fatto capitalista e quindi una perenne spina nel fianco delle democrazie popolari e dell'URSS. In merito vi fu una riflessione di Molotov, nelle sue memorie, che esprime chiaramente l'impossibilità di questo assunto:
«A volte Stalin cambiava direzione molto all'improvviso. Chruščëv menziona Tito a questo proposito: "Stalin disse che per liberarsi di Tito non bastava altro che alzare il mignolo". Stalin si sbagliava sicuramente in questo. Ancora oggi [1984] Tito è zar e Dio in Jugoslavia, anche se non tutti i comunisti condividono questa visione. Ma il fatto è che è saldamente trincerato tra i comunisti jugoslavi. Vede, libri come questo vengono pubblicati all'estero e poi riescono ad arrivare fino a noi. Penso che abbiate fatto la cosa sbagliata l'ultima volta quando avete menzionato questo libro con altre persone presenti. Non si dovrebbe fare così[13].»
In conclusione, per quanto le accuse di Chruščëv nei confronti di Berija abbiano di veritiero solo l'infantilità e l'inettitudine politica dell'accusatore, Berija, in gran parte grazie alle fonti a disposizione e alle ricostruzioni dei fatti che ne derivano da esse, ne esce più vicino ad un revisionista e opportunista, come era visto da molti suoi contemporanei che ci ebbero a che fare direttamente, come i già citati Molotov e Hoxha, piuttosto che un "fedele continuatore" della linea di Lenin e di Stalin. In conclusione, Berija è una figura più negativa che positiva (pur avendo i suoi meriti, come l'aver contribuito a porre fine all'Ežovščina), da un punto di vista e di analisi socialista, marxista-leninista e multipolare, ossia il principale assunto alla base questa enciclopedia.
Bibliografia
- Stalin. Un altro punto di vista - Ludo Martens (1994)
- Life and Terror in Stalin's Russia, 1934-1941 - Robert W. Thurston (1996)
- Molotov Remembers: Inside Kremlin Politics - Felix Chuev, Vyacheslav Molotov (1993) (in inglese)
- I Kruscioviani (Memorie) - Enver Hoxha (1980)
- Stalin’s Russia and After - Harrison Salisbury (1952)
- The Khrushchev Coup (Death of Stalin & Khrushchev’s Rise to Power) - Finnish Bolshevik, archiviato, video archiviato (in Inglese)
- Stalin and the struggle for Democratic Reform - Grover Furr (diviso in due parti)
Note
- 1. Thurston, 1996, p.114-115
2. Martens, 1994, p.364
3. Tokaev, 1956, citato in ibidem, p.411-412
4. Martens, 1994, p.523-524
5. Molotov, Chuev, 1993, p.233-235
6. Hoxha, 1980, p.11-12, 13-18, 19-24, 26-27, 30-32
7. Martens, 1994, p.532-533
8. Ibidem, p.535-536
9. Salisbury, 1952, p.163-64, 166, 171, 173, citato in Finnish Bolshevik
10. Martens, 1994, p.536-537
11. Ibidem, p.538-540
12. Furr, parte 2, p.7-10
13. Molotov, Chuev, 1993, p.533