Massacro di Ferrazzano

Da Xitpedia.
Vai alla navigazioneVai alla ricerca

Il Massacro di Ferrazzano è stato un episodio di omicido, stupro e tortura avvenuto per mano di Angelo Izzo presso la città di Ferrazzano, in provincia di Campobasso.

Antefatti

Angelo Izzo nel 1993, poco dopo il suo arresto a seguito della sua evasione a Parigi
Luca Palaia, complice di Angelo Izzo nel massacro di Ferrazzano
Dario Saccomanni, fondatore di "Città Futura"

Angelo Izzo, già detenuto e condannato all'ergastolo per il Massacro del Circeo, tentò una prima evasione nel 1993 quando, detenuto presso il carcere di Alessandria, scappò arrivando fino a Parigi, per poi tornare in carcere l'estate dello stesso anno. A seguito di questo ultimo fallimentare tentativo di evasione, Izzo cerca di dipingersi dinanzi all'opinione pubblica come un individuo cambiato che ha imboccato la via della redenzione[1], e perciò meritevole di sconti di pena, come pare abbia iniziato ad ottenere nei primi anni 2000, quando viene trasferito nel carcere di Campobasso, in cui fu compagno di cella di un certo Antonio Palaia, anch'egli ergastolano e collaboratore di giustizia; sotto raccomandazione di questi Izzo, durante i suoi permessi premio, si avvicina ai suoi figli, in particolare a Luca, e tra i due nasce una forte intesa, che lascia presagire a più riprese un rapporto omosessuale e quasi-pederastico. La collaborazione tra Izzo e il figlio di Palaia continua grazie anche all'associazione senza scopo di lucro "Città Futura", ufficialmente avente lo scopo di riabilitare i detenuti e fornire servizi utili a persone in stato di indigenza come clochard e immigrati, ma che era in realtà, stando alle ricostruzioni dei fatti riportate agli atti processuali, ripresi anche per la trasmissione RAI "Un Giorno in Pretura", una copertura per poter garantire il reintegro di Izzo nella società; infatti tale associazione, non essendo a scopo di lucro, non aveva capitale sociale e si sostentava solo sulle "donazioni individuali", provenienti principalmente da tale Guido Palladino, imprenditore informatico locale e unico vero sovvenzionatore dell'associazione, ufficialmente capeggiata da tale Dario Saccomanni, predicatore e pastore evangelico toscano, e i principali beneficiari erano i familiari di Izzo, i quali versavano una quota mensile di circa 500 euro che andava a rimpinguare il "salario" di Izzo come "impiegato"[2].

Episodio dell'Hotel Roxy

L'Hotel Roxy di Campobasso (Fonte: Molise Network)

Durante i suoi permessi premio, Izzo è stato protagonista, in questo periodo, di diversi incontri, avvenuti tramite sontuose cene all'Hotel Roxy di Campobasso presso il quale Izzo era domiciliato grazie a Città Futura, con individui appartenti alla politica e imprenditoria locale, con i rinfreschi pagati sempre dalla famiglia di Izzo, al punto che Giuseppe Pittà, individuo anch'egli coinvolto in Città Futura, ricorda, durante i procedimenti, tale episodio in cui Izzo si fece "offrire" la cena da questi per poi "ripagarlo" con un bonifico i cui mittenti erano i genitori di Izzo. Fu proprio all'Hotel Roxy, a seguito di uno di questi ricevimenti che andò troppo per lunghe (un pranzo che durò fino al pomeriggio), Izzo, non avendo voglia di rimettersi a mangiare al ristorante dell'Hotel, invitò Luca Palaia e suo fratello Ivan, insieme a degli amici di questi, a consumare insieme a lui una pizza nella sua stanza d'albergo. Nella stessa notte vi fu una retata della squadra mobile di Campobasso, che nei verbali a seguito dell'operazione ha riportato il ritrovamento del pigiama di Luca Palaia, concludendo quindi ipotizzando un rapporto omosessuale (e quindi anche pederastico, vista la differenza di età dei due) tra quest'ultimo e Izzo. A seguito di questo episodio, per evitare eventuali "reazioni" dal padre di Luca, Izzo venne trasferito al carcere Pagliarelli di Palermo[2].

Incontro con Giovanni Maiorano

Fu durante la sua detenzione a Palermo che Izzo incontrò Giovanni Maiorano, ex membro della Sacra Corona Unita, poi pentito e collaboratore di giustizia, che fu suo compagno di cella. Strinsero un rapporto più o meno amicale, al punto che Maiorano, credendo che Izzo fosse un omosessuale, gli fece promettere, una volta ottenuta la semi-libertà, di prendersi cura, soprattutto economicamente, della moglie Carmela Linciano (detta Antonella) e della figlia minorenne Valentina Maiorano, che in quel momento vessavano in condizioni economiche misere, al punto che la Linciano chiese aiuto sia alla Caritas che al sindaco del loro paese d'origine, incontrando solo porte chiuse. Izzo avrebbe poi proposto alla Linciano di aprire un ristorante nel benventano presso uno stabile di proprietà della famiglia Izzo[2].

Semilibertà e ritorno a Campobasso presso Città Futura

Il tribunale di sorveglianza di Palermo avrebbe poi accordato nel dicembre del 2004 la semilibertà ad Angelo Izzo, che sarebbe quindi tornato a Campobasso per riprendere i contatti con Città Futura e con Luca Palaia. È tramite l'associazione che Izzo entra in diretto contatto con la moglie e figlia di Maiorano, stando a quest'ultimo, nel primo incontro tra Izzo e la Linciano, questi si sarebbe lasciato ad un baciamano nei confronti della moglie dell'ex criminale, gesto che fece sospettare Valentina, la figlia, in merito alle buone intenzioni di Izzo. Nel frattempo il rapporto tra Izzo e Palaia si infittisce e va oltre la semplice amicizia, diventando un rapporto di complicità criminale. È in questo periodo che Izzo "patrocina" Palaia, al punto da pianificare anche per lui un viaggio in Francia per recuperare una somma di denaro presumibilmente appartenente allo stesso Izzo, sottratta ad un banchiere svizzero durante la sua evasione del 1993 e poi data in affidamento fiduciario ad una donna parigina che avrebbe investito tale somma. Nel frattempo Izzo propone alla Linciano di iniziare i lavori dello stabile appartenente alla sua famiglia per poterlo convertire in un ristorante, per fare ciò è richiesto alla Linciano un versamento di denaro da parte di Izzo, rigorosamente in contanti, a dispetto dello stato economico di precarietà della coniuge di Maiorano. Come dichiarato successivamente dallo stesso Izzo l'intento era quello di truffare la malcapitata intascandosi i soldi anziché aprire il ristorante. È in questo periodo, stando a quanto dichiarato da Izzo al processo di Palaia, che questi avrebbe intrapreso una relazione sentimentale e sessuale con la Linciano, al quale trespolo amoroso si sarebbe aggiunta talvolta anche la figlia Valentina; in realtà tale "ricostruzione" è smentita dalle registrazioni telefoniche di Izzo con quest'ultima, oltre che dall'autopsia. Una volta finito di prosciugare le due malcapitate, Izzo decide di sbarazzarsene definitivamente; memore ancora dell'esperienza del Circeo, pianifica meticolosamente una "replica" del suo "capolavoro" da svolgersi in una villa di Ferrazzano di proprietà di Guido Palladino, il già citato "benefattore" di Città Futura[2]. È in questo periodo che Izzo fa procurare a Palaia, suo complice che partecipa insieme a lui a diverse orge con varie prostitute (in cui, stando alla testimonianza di Maiorano, Izzo sarebbe rimasto "solo a guardare"), delle manette da un Sexy Shop di Campobasso denominato "Cose Belle"[3].

Il Massacro

Pianificazione dell'omicidio

Dopo aver intascato i soldi dalla Linciano, Izzo ha iniziato a sentirsi sempre più infastidito dalle continue richieste di questa in merito ad aggiornamenti sull'ipotetica, ma inesistente, pizzeria da fondare. In questo periodo, stando alla testimonianza dello stesso Izzo (da prendere con le molle), la Linciano avrebbe recriminato nei confronti di questi il suo favoritismo, soprattutto economico, nei confronti di Palaia, che era totalmente succube di Izzo grazie anche alle promesse economiche di questi, come quella di acquistargli un'automobile e un panino al McDonald's. Quello che è certo è che in questo periodo inizia il "corteggiamento" di Izzo nei confronti di Palaia di modo da convincere quest'ultimo a fargli da complice nelle sue attività criminali, incluso l'omicidio che sta pianificando. D'altro canto, Izzo non ha mai ammesso la complicità effettiva di Palaia a partire da questo periodo, cercando invece, per sviare le indagini, di dipingere la Linciano, povera madre di famiglia, sposata con un carcerato e ridotta al lastrico, come una vampira assetata di soldi e disposta a tutto pur di entrare in accordi criminali con il mostro del Circeo, Angelo Izzo. Degno di nota è l'episodio, presumibilmente mai avvenuto e probabilmente inventato di sana pianta, degli smeraldi che Izzo avrebbe rubato durante l'evasione a Parigi del 1993 e avrebbe dato in custodia ad un certo Aldo Salvino, presunto trafficante di cocaina italo-colombiano, e tramite questi li avrebbe poi consegnati alla sua futura vittima. In questo periodo quindi Izzo decide di pianificare l'omicidio di madre e figlia, scegliendo come luogo designato la villa di Ferrazzano di Guido Palladino, volendo emulare il suo primo "capolavoro" fatto al Circeo, decidendo di coinvolgere Palaia per una sua presumibile parafilia per cui identificava in questi un novello Gianni Guido (complice del delitto del Circeo, scarcerato nel 2008), e soprattutto perché, a suo dire, non riuscirebbe a fidarsi di qualcuno finché non lo coinvolge in un reato violento[2].

L'esecuzione

La mattina del 28 aprile 2005 Carmela Linciano e la figlia Valentina Maiorano sono convinte da Angelo Izzo di essere prossime a partire per un viaggio alle Canarie pagato da questi. L'appuntamento, avvenuto alle 11 presso Città Futura, vide Angelo Izzo e Luca Palaia ritirare le due donne e condurle presso la villa di Palladino. Nella vettura erano presenti armi e documenti falsi, fatto che fece storcere il naso alla PM del processo, Rita Caracuzzo, ma che Izzo ha semplicemente spiegato ribadendo come in realtà, quando ci sono dei controlli da parte delle autorità, ad esempio ai posti di blocco, qualora non vi siano problemi al di fuori dei documenti, queste lascino andare qualsivoglia soggetto, e sbeffeggiandola con un aforisma divenuto poi una sorta di meme, ossia «Dottoressa, lei evidentemente non ha una grossa esperienza criminale»[3]. Luca Palaia, stando ai verbali degli interrogatori di Izzo dinanzi al GIP, avrebbe pensato che Izzo voleva portare le due donne nella villa per "scopare". Una volta condotte le due donne nella villa di Ferrazzano, Izzo avrebbe poi portato Palaia in cucina, mostrandogli gli "attrezzi" da usare per l'imminente massacro, ossia nastro adesivo, lacci emostatici e le manette che gli aveva fatto acquistare dal già citato "Cose Belle". Izzo intimò alla Linciano di sdraiarsi, per essere perquisita di modo da verificare se indossasse dei microfoni nascosti, per poi essere ammanettata; di seguito Izzo avrebbe tirato fuori la pistola e intimato Palaia di fare quanto detto da lui, ma questi sarebbe svenuto dalla paura, sbiancando in volto, costringendo Izzo a fare tutto da solo soffocando la donna con una busta di plastica in testa. Vista l'incapacità di Palaia di proseguire, Izzo ha agito allo stesso modo con Valentina, sbarazzandosene in pochi istanti. Izzo avrebbe poi dicharato che liquidare Valentina sarebbe stato più "duro", da un punto di vista morale più che materiale, avvertendo, nonostante la necessità di ammazzarla, avendo fatto lo stesso con la madre, una qualche sorta di senso di colpa, in realtà smentito dal fatto che le ricostruzioni dimostrano che vi fosse una forma di premeditazione anche nel caso della figlia. Degno di nota è un suo intervento, anch'esso divenuto un meme, in cui dichiara, testuali parole: «Non è che sono un pazzo o un serial killer, l'ho dovuta ammazzare perché non ne potevo fare a meno». A testimonianza dell'incredibile freddezza dell'assassino è il fatto che questi si sarebbe bevuto una coca cola una volta eliminate le due donne, in maniera del tutto disinvolta. Una volta compiuti gli omicidi, vi è la necessità di occultare i cadaveri, e qui la complicità di Palaia è più evidente; Angelo Izzo, a causa della sua forma fisica non proprio smagliante, necessita dell'aiuto del giovane per spostare e seppellire i due corpi. Una volta terminato il tutto, i due ritornano a Campobasso. A testimonianza del fatto che Palaia lungi dall'essere il "bravo ragazzo" o la "vittima plagiata" da Izzo, è la telefonata, registrata dalle autorità e fatta ascoltare durante i procedimenti, in cui Palaia discute in modo abbastanza tranquillo con Izzo per telefono, parlando dei panini desinati alle due donne, che Luca avrebbe buttato suscitando non l'ira ma l'appetito di Izzo, dotato di una fame leonina. Luca Palaia, come riportato nel processo a suo carico dal fratello maggiore Vincenzo, un po' frastornato dall'accaduto, da buon criminale avrebbe poi lavato i suoi vestiti in lavatrice, notando come questa non sia un'abitudine propria del fratello minore. Così si sarebbe conclusa la giornata dell'omicidio[3].

Il dott. Antonio Sabusco, presidente della corte di Campobasso durante il processo di Luca Palaia
L'avvocatessa Francesca Conte, che rappresentò Maiorano come parte civile
L'ex PM di Campobasso, Rita Caracuzzo

L'arresto e il processo

La mattina del 29 Aprile, il giorno successivo ai fatti, Izzo mandò Palaia e Palladino a controllare la situazione della "tomba" presso la villa di Ferrazzano, rendendo quest'ultimo un informato sui fatti. Successivamente, i due sono andati, per incarico di Izzo, a recuperare i borsoni con le armi. Si fa notare in questa vicenda un piccolo "siparietto" rinvenuto tramite le intercettazioni telefoniche, trattasi di una telefonata in cui Palaia si lamentava con Palladino di un dolore alla mano, con quest'ultimo, evidentemente per niente scosso dai fatti avvenuti di cui era chiaramente a conoscenza, che gli avrebbe risposto: «Allora mettiti la pomata e, già che ci sei, infilatela pure nel culo». Tramite queste intercettazioni telefoniche, le autorità riescono a fermare Palladino, e lo trovano in possesso di armi, tra cui una pistola nascosta in una tower di un vecchio PC. Da questo fermo ebbe inizio un circolo vizioso per cui Palladino rivelò del coinvolgimento di Palaia, Palaia rivelò del coinvolgimento di Izzo, questi fu richiamato in centrale dalla squadra mobile di Campobasso, che lo tratteneva con l'accusa di traffico di armi illegale, ma non essendone consapevole, il già responsabile del massacro del Circeo confessò dell'omicidio del giorno prima[4]. A seguito di questi avvenimenti quasi comici iniziarono le indagini e il lavoro di ricerca dei cadaveri delle due vittime. Dopo due anni di detenzione, iniziarono i procedimenti giudiziari. Palladino avrebbe patteggiato con l'accusa di concorso in occultamento di cadavere con la pena di tre anni e due mesi di reclusione[5], Izzo, con rito abbreviato, sarebbe stato condannato ad un secondo ergastolo, in un processo da egli stesso reputato una farsa e un "plotone di esecuzione", al punto da dichiarare esplicitamente il suo rifiuto a parlare, dimostrandosi disposto, invece, a rispondere ai quesiti degli inquirenti al processo di Palaia[2].

Il Processo Palaia

Il processo di Luca Palaia, oggetto anche delle due puntate della trasmissione RAI "Un Giorno in Pretura", principale fonte anche di questa voce enciclopedica, è stato il procedimento legale che più di tutti ha permesso il disvelamento di buona parte dei dettagli inerenti alla vicenda. Palaia, difeso dall'avvocato d'ufficio Giuseppe Fazio, una sorta di "Saul Goodman" del Molise, avanzava la tesi secondo cui sarebbe stato una povera vittima, individuo plagiato da Izzo e quindi da non ritenere colpevole nel momento in cui avvennero i fatti. Durante il processo, l'accusa, guidata dalla PM Rita Caracuzzo, coadiuvata dall'avvocatessa Francesca Conte, che ha rappresentato Giovanni Maiorano, che si era costituito nel frattempo come parte civile, chiedeva l'ergastolo per l'imputato. Il procedimento non si è svolto in maniera del tutto lineare, durando più di un anno, complice anche l'atteggiamento di Izzo, chiamato in causa come testimone, che ha ricorso a diverse menzogne, strafalcioni e battute scarcastiche divenute oggetto di diversi meme, che hanno reso particolarmente difficoltose le indagini. Uno di questi particolari episodi, degno di nota tanto quanto gli altri già menzionati in questa pagina, riguarda un momento in cui a Izzo furono chieste delucidazioni in merito a delle fotografie pedo-pornografiche ritrovate sul computer di Dario Saccomanni, il già menzionato principale sostenitore, oltre Palladino, di Città Futura, e Izzo disse, citando testuali parole: «Pedofilia per me non sono le ragazze di 16-17 anni, per me pedofilia è Maiorano con la figlia», dichiarazione per cui fu anche denunciato per diffamazione[2]. Degno di nota nel processo è anche il presidente della corte, il dott. Antonio Sabusco, ricordato per un suo tormentone, ossia «Passiamo appresso!», ripetuto spesso a causa dei frequenti battibecchi tra Izzo e la PM Caracuzzo (e talvolta anche l'avvocatessa Conte). Nonostante la strenua difesa dell'avvocato Fazio, il quale tentò di giocarsi in ultima istanza i resoconti del carcere di Lanciano, presso cui il suo assistito era detenuto, che riportavano uno scarso o assente sonno, Palaia fu condannato a 24 anni, divenuti poi 30 anni di detenzione in appello, pena comunque molto ridotta rispetto all'ergastolo chiesto dalla PM[3].

A seguito del secondo massacro per opera di Angelo Izzo, la famiglia di questi decise di smettere di supportarlo economicamente, revocandogli l'avvocato e disconoscendolo ufficialmente, tagliando ogni rapporto con lui[6][7]. Nel 2010 si sarebbe sposato con Donatella Papi, sedicente giornalista, ma certa mitomane, che fu anche intervistata da Lucci, inviato del programma televisivo Le Iene, a seguito della cerimonia, fuori dal carcere di Velletri presso il quale Izzo è detenuto tutt'oggi[8]. Giovanno Maiorano, distrutto dalla perdita di moglie e figlia, si sarebbe poi risposato con una donna conosciuta durante le sue lunghe permamenze in ospedale a causa dei problemi di salute dovuti all'età[9]. Dario Saccomanni ha effeettuato un'operazione di cambio di sesso, facendosi chiamare ora Darianna[10]. Di Luca Palaia non si hanno notizie recenti, ma è presumibilmente ancora detenuto e starebbe scontando ancora i suoi rimanenti anni di pena.

Note